“Le nausee di Darwin”, quando il precario scopre la natura.

Marianna Abbate
ROMA – Sulla scia della mia precedente recensione, continuo a leggere e a scrivere di un argomento entrato ormai a far parte dei classici della letteratura degli anni ’10: il precariato. Questo leitmotiv ha ormai consolidato la sua posizione nelle conversazioni e nei telegiornali, al punto tale che non mi metto a spiegare nulla- perché sono convinta che ne sappiamo tutti abbastanza.

“Le nausee di Darwin” di Giordano Boscolo, edito da Autodafè, ci racconta un volto un pochino diverso del precariato. Quello che ha il volto di un laureato nelle scienze esatte, e per la precisione in biologia. Il dottore, dopo essersi sottoposto alla solita e sfiancante trafila di lavori temporanei e spesso umilianti, accetta di partire da Chioggia con un peschereccio- per avere almeno l’illusione di lavorare nel proprio mestiere. Le giornate passate in barca, le nausee eponime, e gli sfottò dei pescatori, lo aiuteranno a crescere e a ritrovare se stesso, e forse anche la strada da seguire- come ogni eroe romantico che si rispetti.  E scoprirà che i due mondi che sembravano davvero inconciliabili, esistono sotto lo stesso cielo (in un finale un poco nostalgico e timidamente patetico).

Ma il bello sono le riflessioni, i pensieri che riguardano lo stato sociale del precariato: “puttane diplomate”, disposti a fare tutto quello che ci chiedono, purché ci paghino. Prostituiti per l’affitto della doppia, per la ricarica del cellulare, per quella pizza con gli amici. Perché di più non possiamo neanche sognare.

L’autore non è il solito giovane laureato, ma un tuttofare della cultura, appassionato di cinema. E forse per questo il suo libro è pieno di immagini- di scene che hanno un grande impatto sulla nostra mente.