“Novelle e impressioni” di Gino Racah

Silvia Notarangelo
ROMA – Personaggio di spicco del sionismo milanese delle origini, Gino Racah (1865-1911) dedicò la sua breve esistenza al tentativo di risvegliare le coscienze e le energie ebraiche che “tendevano a scomparire”, convinto della necessità di riscoprire e difendere la fede e le tradizioni giudaiche. A distanza di poco più di un secolo dalla sua morte, Carlo Tenuta ha curato, per Mucchi Editore, una raccolta di scritti dell’autore milanese da cui emerge prepotentemente tutta la sua passione, le sue convinzioni, ma anche una crescente preoccupazione per le sorti della sua religione.

Novelle e impressioni” raccoglie nove episodi di vita e di storia ebraica. Una narrazione scorrevole, lucida ma profondamente sentita, in cui le novelle sono solo uno spunto, un modo per affrontare temi e problematicità particolarmente care allo scrittore. Gli episodi, in parte a carattere autobiografico, seguono un ordine cronologico, un arco temporale che ha inizio in epoca precristiana, attraversa alcuni momenti salienti della storia fino ad arrivare ai primissimi anni del Novecento e proiettarsi in una Gerusalemme futura.
Protagonisti della quasi totalità dei racconti sono ebrei fieri delle loro origini, fedeli al proprio credo e alle tradizioni, disposti a tutto, anche a sacrificare la propria vita pur di non arrendersi e soccombere sotto i colpi di “energumeni fanatici o empi depravati”.
Con il passare del tempo, le insidie cambiano. Non sono più il cristianesimo o il paganesimo i nemici da cui tenersi lontani, non ci sono più guerre da combattere: la fede va salvaguardata da altri pericoli, forse meno evidenti ma altrettanto insidiosi.
Anche la riflessione di Racah cambia prospettiva, affrontando nuove, delicate questioni divenute cruciali: i matrimoni misti, la rinuncia o l’abbandono della fede ebraica, un persistente sentimento antisemita. È la “crescente assimilazione” una delle cause, secondo l’autore, di questa pericolosa deriva. Non sorprende, quindi, che protagonisti degli ultimi racconti siano una vecchia suocera, costretta a conservare in segreto la propria fede, e un padre che, al contrario, sembra riscoprire, l’importanza delle proprie origini. Ed è proprio a questo padre, tormentato dalla scelta della figlia di diventare monaca di clausura, che Racah affida un messaggio di speranza: “il lamentarsi senza agire è da sciocchi e da imbelli (…) insegnerò agli altri a mantenere raggiante e puro il focolare della famiglia israelitica”. Un impegno a cui l’autore ha dedicato tutta la vita.