Con biancoenero edizioni arriva “Mamma in fuga” dal solito caos

mamma in fuga_CHRLGiulia Siena
PARMA“Vi starete chiedendo che fine io abbia fatto. Niente segreti fra noi. Me ne sono andata per un po’. Quanto? Dipende… In mezzo a quel disastro che è casa nostra non riuscivo più a vivere”. A parlare è la madre di Silvia e Lisa che, disperata dal disordine che le figlie e il marito – un accumulatore seriale! – creano in casa, decide di sparire per un po’. Ma la sua non è una sparizione come tutte, la sua è una vera e propria fuga. Mamma in fuga, infatti, è il titolo del libro di Arianna Di Genova illustrato da Sarah Mazzetti e pubblicato nella collana Zoom di biancoenero edizioni. Ma dove sarà andata questa madre esasperata dal caos? Silvia, la più piccola della famiglia, sa subito cosa fare: cercare nel ripostiglio se la mamma ha portato via con sé la torcia o le candele. Perché? Perché questo potrebbe essere un gran bell’indizio visto che la mamma minacciava sempre di andarsene via e rinchiudersi in una grotta. E, infatti, le ha portate vie e, al posto della torcia e delle candele, c’è un biglietto… della mamma! Dice che è andata via per un po’, ma la destinazione è sconosciuta. Allora la temeraria Silvia convince il papà e la sempre riluttante Lisa a intraprendere le ricerche nel bosco: lì ci sono le grotte che potrebbero essere il nascondiglio della loro mamma. Dopo giorni pieni di ansia e una ricerca estenuante le ragazze capiscono che per far contenta la loro mamma e farla ritornare a casa devono prendersi cura delle loro cose e fare ordine nel loro perenne disordine. Decidono, così, di buttare le cose che non servono e non litigare più tanto spesso; intanto, la lunga ricerca nel bosco prende il via.

 

Un racconto fatto di problemi quotidiani e suspense. Si potrebbe riassumere così Mamma in fuga di Arianna Di Genova, il libro per tutti – è scritto con il font biancoenero ad Alta Leggibilità (ideale per chi ha difficoltà di lettura) – che è un piacevole viaggio nella vita di Silvia e del suo piccolo grande caos.

 

Dagli 8 anni.

10 Libri per la tua estate CHRL. Scelti da Alberto Gobetti

foto (36)TIRANO – I 10 libri sono diventati nel tempo il nostro must. Abbiamo ideato i 10 libri per l’estate, i 10 libri per un pomeriggio noioso, i 10 libri del Natale, i 10 libri per San Valentino, i 10 libri per ragazzi e i 10 libri per qualsiasi occasione. Ora non vogliamo più solamente 10 libri. Vogliamo, per questa estate 2014, che 10 nomi del mondo dell’editoria, della comunicazione e della scuola ci indichino le loro 10 letture estive. Saranno suggerimenti, consigli, segnalazioni, nuovi sguardi e curiosità da appagare con i libri. Poi, questi libri, li potremo portare ovunque: in ufficio, in spiaggia, in montagna, a casa e in giardino.

Partiamo oggi con i 10 Libri per la tua estate CHRL. Scelti da Alberto Gobetti. Alberto, libraio valtellinese, ha voluto completare il suo suggerimento di lettura con la qualità tematica contemplata da ogni libro.
1. Stoner di J.Williams, Fazi editore – RESILIENZA
2. Il mondo di ieri di S.Zweig, Mondadori – UMANITA’
3. Il massaggiatore mistico di V.S.Naipaul, Adelphi – FLESSIBILITA’
4. Skellig di D.Almond, Salani – FARSI CARICO
5. Argilla di D.Almond,  Salani – SCEGLIERE
6. Le voci di Berlino di M.Fortunato, Bompiani – LEGGERE
7. La trasparenza del buio di R.Pazzi, Bompiani – OSARE
8. La città aperta di T.Cole, Einaudi – FALSIFICARE
9. Philomena di M.Sixmith, Piemme – CREDERE
10. Le città invisibili di I.Calvino, Mondadori – SCRIVERE


IMG_0175Alberto Gobetti,
classe 1964, tiranese di nascita, ha studiato a Bolzano e si è laureato in Storia moderna presso l’Università degli Studi di Milano. Ha lavorato nel campo del giornalismo locale e dell’editoria. Ricercatore di Storia, ha pubblicato un certo numero di articoli su riviste di settore sia locali che regionali, e ha curato con altri autori sotto la cura della SSV e del prof. Guglielmo Scaramellini due ricerche sulla storia e la cultura di Livigno dalle origini ai nostri giorni. Commerciante, ha aperto la libreria il Mosaico di Tirano nel 2008. Vive e lavora a Tirano.

L’Editoriale: quando ogni libraio consiglia gli stessi libri

editoriale CHRL consigli del libraioGiulia Siena
ROMA – Succede ogni anno, sicuramente più volte l’anno. Succede in vista dei regali di Natale e succede per le vacanze estive. Entri in libreria e succede. I librai, tutti i librai, forti della loro esperienza di osservatori-lettori-addetti ai lavori ti segnalano un libro da portare sotto l’albero oppure il libro da mettere in valigia. Lo fanno in  diversi modi: con una classifica dei libri più venduti della libreria, con piccole recensioni home made, con segnalazioni o semplici richiami sulla copertina. Lo fanno e, anche questa volta, per questa estate che stenta a partire, lo hanno fatto. Mentre loro lo facevano ed erano intenti a esporre i libri “consigliati” io li guardavo – ne ho guardati almeno una dozzina in tutta Italia – e non ho potuto fare a meno di notare che tanti librai hanno suggerito gli stessi libri… L’equazione, infatti, è stata semplice: tanti librai per pochi libri. Nel mare magnum delle pubblicazioni che ogni giorno l’Italia del libro sforna, gli addetti ai lavori hanno selezionato più o meno sempre i soliti nomi. Quali sono questi nomi? L’ormai letterata Chiara Gamberale che con il suo “Per dieci minuti” sta diventando un fenomeno editoriale. Non me ne vogliano i suoi fans – che lei è anche brava a scrivere – ma non c’è solo il romanzo di chi, per dieci minuti, ogni giorno, fa qualcosa che non avrebbe mai fatto. Il tormentone, poi, che – a quanto pare – i librai italiani appoggiano è Giuseppe Catozzella che con il suo “Non dirmi che hai paura” si è aggiudicato il Premio Strega Giovani 2014. I visti, rivisti e già visti si arricchisce anche di “Open”, la vita romanzata dell’asso del tennis Andre Agassi: bellissimo romanzo per tutti ma… basta! Da notare, ancora, che tra i “consigliatissimi” e non si sa per quale motivo effettivo c’è sempre l’ultimo Premio Strega e, infatti, questa volta è “Il desiderio di essere come tutti” di Francesco Piccolo. E qui la mia domanda – come ogni anno – è sorta spontanea: facile per un libraio consigliare un libro fascettato con la sorniona scritta: Vincitore del Premio Strega; non sarebbe più coraggioso consigliare un bel romanzo ma scartato alle prime selezioni dell’ambito Premio? Quando finisce o finirà la dittatura dei grandi nomi, dei grandi marchi e dei piccoli libri? Dove comincia il coraggio di un libraio? Perché da Aosta a Bari, passando per Parma, Bologna, Roma e Napoli, io ho visto consigliare tutti gli stessi libri? Sicuramente ce ne sono di librai oculati, di quelli che leggono e che non hanno paura di consigliare un piccolo nome, un piccolo marchio ma un grande libro. Ma questi librai suonano ancora come rivoluzionari. Allora la rivoluzione facciamola, scegliamo dei libri che siano dei grandi libri e non facciamoci soggiogare dalla paura che quel libro andrebbe richiesto, prenotato e atteso. Anche questo è il piacere della lettura!

 

Buoni libri a tutti.

 

“Contro” uno Stato che non funziona più.

ControGiulio Gasperini
AOSTA – “Contro” di Lydie Salvayre, edito in Italia da Bébert edizioni (2014), è un pamphlet intenso e duro, scritto in una prosa poetica dallo stile caustico e risoluto. La critica allo stato francese è compatta e ben motivata, scandita da una progressiva accelerazione verso una corruzione che pare inevitabile e non più scongiurabile. Nato come scrittura, il progetto di “Contre” ha visto il coinvolgimento del chitarrista Serge Teyssot Gay, convertendosi in letture pubbliche che hanno coinvolto più intensamente e direttamente l’intera opinione pubblica.
La crisi della res publica riguarda tutti gli ambiti, in un’accelerazione alla devastazione che lascia soltanto vittime sulla sua strada. Creando una dipendenza persino mentale (“Perché nella repubblica da dove vengo, gli uomini non hanno più né occhi né lingua. Dicono di sì a tutto. Applaudono a tutto. Leccano e accarezzano”). Completamente abbrutiti in una sottomissione che è schiavitù, i sottomessi non esprimono neanche la minima volontà di riscatto, di rivalsa nei confronti dell’oppressore. Ma la critica si estende anche alla religione (“Il rimorso? Vedere, è una sorta di aceto cattolico e fortemente corrosivo”) e alla famiglia, all’interno della quale detestarsi “è un’antica consuetudine”. Con il beneplacito della società e dell’omertà imperante. Ma l’attacco colpisce anche i giornalisti e la stampa, che hanno smarrito la loro vocazione all’informazione e hanno, piuttosto, assunto il ruolo di terroristi, inseguendo (e osannando) piuttosto il sensazionalismo che correttezza e attendibilità: “La lapidazione viene praticata principalmente nei giornali e costituisce uno dei passatempi preferiti del paese”. Le accuse della Salvayre sono durissime, feroci: “Contro le nostre vite piegate, contro i porci che le calpestano e i sazi avari che le stritolano”. Tutta l’umanità pare scomparire sotto la carica del disfacimento, sotto il complotto annichilente del potere organizzato: “L’ultimo pazzo è morto / e così anche l’ultimo amante / […] / e così anche l’ultimo animale / […] / e così anche l’ultimo bambino / […] / e così anche l’ultimo musicista / […] / e così anche l’ultimo artista”.
La ricerca assillante, reiterata come fosse un salmo, la ricerca di una formula magica, è quella di un uomo che possa arrivare, abbattere dubbi e punti interrogativi, e sappia condurre lo stato a una nuova forma più completa, più : “Ha visto un uomo? Io cerco un uomo”. Un uomo come? Fondamentalmente “un uomo con gli occhi per vedere, una lingua per giurare e al di sotto un’anima”. Una sorta di nuovo Redentore in chiave contemporaneista, che sappia affrontare tutti i gravi problemi che affliggono democrazia e statalismo dei tempi nostri. Ma la soluzione, al di là dell’ennesimo salvatore del mondo, la Salvayre ce la propone nelle ultimissime pagine, con un imperativo che diventa piuttosto esigenza morale, etica; un imperativo che diventa impegno e dal quale non si può abdicare, né disertare: “Dite ne ho abbastanza. Dite io contro, contro, io sono contro”.

Federico il Pazzo, un imperatore per amico nella periferia di Napoli

federico il pazzoGiulia Siena
PARMAPatrizia Rinaldi dopo Mare Giallo e Piano Forte torna a parlare di ragazzi nelle realtà svantaggiate e questa volta lo fa con Federico Il Pazzo (Sinnos). Illustrata da Federico Appel, la storia è quella di Angelo, un tredicenne che da Verona si trasferisce nella periferia di Napoli con la serena ma poco rassicurante affermazione della madre single: “Ora stiamo tornando a casa e a casa resteremo per sempre”. La madre di Angelo è un’ottimista per natura, lei sorride in faccia alla vita e continua a ripetere “La vita va da chi le vuole bene”. Sicuramente, questo stesso ottimismo, ha svegliato Angelo dal suo coma profondo. Aveva nove mesi, solo nove mesi, ed è caduto in coma. Ha vissuto in quel “galleggiamento” che ogni tanto torna e lo ruba al presente per giorni e solo la madre, la voce della madre, lo ha trattenuto e fatto nascere, di nuovo. E grazie a lei, ora, dovrà ricominciare la sua vita in un altro posto che non è la sua casa perché, per la mamma la casa è Napoli e lì comincia la loro nuova vita. Ma per Angelo cominciano i guai: la sua lingua, il suo modo di fare e il suo modo di essere sono estranei a quella realtà colorata e problematica. I vicini ostili, le strade nuove, i cibi mai assaggiati prima, Capa Gialla, il ripetete violento per il quale Angelo diventa il bersaglio facile, sono le difficoltà che si presentano ogni giorno. Poi c’è Giusy, una “femmina” determinata a diventare meccanico e Federico il Pazzo, un vero e proprio mistero. Quel ragazzino che abita con la nonna sullo stesso pianerottolo dello “straniero Angelo” e che in aula, in terza E, si siede lontano, vicino ai teppisti, si isola nel suo libro che parla di un imperatore e la sua grandezza. Quel ragazzo in realtà si chiama Francesco, ma tutti lo chiamano Federico, come Federico II di Svevia, il grande imperatore del passato celebre per la sua lungimiranza. Francesco ha capito che rifugiarsi nella storia e nel sapere e rispondere con una dialettica arguta all’arroganza che lo circonda lo fa sentire forte e protetto. Ma cosa protegge Angelo da quell’ambiente ancora a lui estraneo? Lo scontro con Capa Gialla, infatti, non tarda ad arrivare e sarà quello il barbaro “rito di iniziazione” che regalerà al piccolo protagonista la consapevolezza che la paura si vince.

 

L’inserimento, l’amicizia, la violenza, i ricordi, la ricerca della felicità e le paure sono temi che con spontaneità si rincorrono in questo libro scritto con maestria da Patrizia Rinaldi. L’autrice, ex insegnante napoletana, racconta una realtà che conosce bene e la affronta con competenza e realismo. La scuola di Angelo è una scuola che può essere ovunque e lui, così come Francesco, Giusy o Capa Gialla, potrebbero essere i ragazzi di un qualunque quartiere.

 

Vincitore nel 2006 del Premio Pippi per l’inedito, Federico il Pazzo è un libro per tutti perché è stato stampato con la font leggimi (carattere speciale appositamente studiato per agevolare la lettura e per permettere a tutti di diventare grandi lettori!).

 

“Il veganesimo significa allargare i propri orizzonti”: ChronicaLibri intervista PoveroVegano.

PoveroveganoGiulio Gasperini
AOSTA – Il veganesimo è ben altro rispetto a una moda del momento. È una capacità di intendere il cibo (ma anche molto altro) secondo nuovi rapporti e legami con la persona stessa, la sua fisicità e la sua interiorità. Ma scegliere la strada vegan significa ripensare tutto il ricettario, imparare a cucinare diverso. Ouverture Edizioni ha pubblicato “Vegano alla mano”, comodo e pratico ricettario compilato da Arianna Mereu e Vieri Piccini, che si svelano in quest’intervista per ChronicaLibri.

 

Che cosa significa, oggi, essere vegano?
Per noi oggi essere vegani significa consapevolezza. Anni fa fare una scelta del genere implicava molto più impegno perché l’informazione a riguardo era molto scarsa e non c’era attenzione particolare verso l’alimentazione e verso l’ambiente. Oggi, un po’ perché il cibo va di moda, un po’ perché molti hanno cominciato ad interessarsi del proprio benessere, la scelta vegan è sempre più in primo piano. Si sta creando un interesse intorno a tutto ciò che è benessere per il mondo e per noi stessi. Ci interroghiamo molto di più su ciò che mangiamo e come viviamo e cerchiamo risposte che ci aiutano a capire meglio noi stessi e i nostri bisogni. Essere vegan oggi significa allargare i propri orizzonti oltre le mura della nostra casa e sentirsi parte di tutto il mondo.

 

Quali sono le domande più importanti che ognuno di noi dovrebbe porsi, in questo senso? Quali sono gli aspetti della vita moderna che il vegan riesce a far affrontare in una nuova prospettiva?
La prima domanda che dovremmo farci è: come stiamo sopravvivendo (se stiamo sopravvivendo)? Ovvero: tutto quello che stiamo facendo e che ci permette di vivere in questo mondo è sensato, coerente con la natura che ci circonda? Poi di seguito potrebbe venire fuori una domanda estranea a molti: facciamo parte della natura? In che modo? Qual è il nostro ruolo? Da qui tutti gli interrogativi sulla natura dell’essere umano. Inoltre esistono già da tempo domande e risposte riguardo all’inquinamento del pianeta e quindi se sia giusto distruggere quella che è la nostra “casa” e come comportarci con gli inquilini che la abitavano già da molti anni prima di noi.
Con la scelta vegan le prospettive si moltiplicano e sono positive nei confronti di tutto e tutti. Il mangiare è solo il primo degli aspetti che fanno affrontare la vita in un modo più consapevole. Diciamo che l’interesse nei confronti di qualsiasi cosa riguardi il nostro stile di vita si amplifica, facendoci trovare nuove possibilità di relazionarsi al nostro modo di vivere, spesso più semplici di quanto pensiamo.

 

Perché la scelta di mettere su carta? Di scrivere? In che modo il vostro ricettario può essere utile?
La scelta di scrivere un ricettario è nata da problemi di natura pratica, più che da considerazioni filosofiche: cercando su internet, o in altri ricettari, quasi mai trovavamo ricette che fossero al tempo stesso vegane, gustose ed economiche. Molto spesso il mondo vegan viene associato a una scelta alimentare elitaria, riservata a chi può permettersi di fare la spesa nei negozi specializzati seguendo tutte le ultime mode in fatto di dieta e alimenti esotici, cari e introvabili altrove. Il nostro modo di vivere l’alimentazione vegan è diametralmente opposto: alimenti di stagione, facilmente reperibili e alla portata di tutti, per cucinare ricette semplici e buone. E non è così difficile! Essere vegan per noi dovrebbe voler dire semplificare la vita, non complicarla: da quando abbiamo iniziato il blog (poverovegano.tumblr.com) e successivamente pubblicato “Vegano alla Mano”, abbiamo ricevuto molte testimonianze di persone, vegane e non, che sono rimaste colpite dalla semplicità e positività del nostro approccio, che riporta il vegan nella sfera del quotidiano e non dell’eccentrico e difficile.

 

Com’è nato il progetto PoveroVegano? Chi c’è dietro questo nome?
PoveroVegano è nato nel 2012 e gli ideatori sono Arianna Mereu e Vieri Piccini. Quando ci siamo conosciuti Vieri era vegano da diversi anni e Arianna aveva problemi di salute che la stavano indirizzando naturalmente verso questo percorso. Arianna ha apprezzato da subito il fatto che Vieri vivesse la sua scelta in modo molto semplice e spontaneo: era abituato da quando la scelta vegan era molto meno diffusa e “di moda” rispetto a adesso ad arrangiarsi con quello che aveva a disposizione, senza cercare soluzioni strane e dispendiose. Il progetto PoveroVegano è nato, come dicevamo, prima di tutto da un’esigenza personale di creare una specie di archivio di ricette buone, vegan e semplici: da lì alla voglia di condividerlo, con positività ed entusiasmo, il passo è stato breve!

 

Ci sono altre iniziative all’orizzonte? Come prevedete che continuerà il progetto di PoveroVegano?
Rispondere a questa domanda non è troppo semplice, in parte perché ci sono delle situazioni “work-in-progress” che non sappiamo bene che direzione prenderanno e in parte per scaramanzia siamo abituati a non dire niente finché non c’è qualcosa di sicuro. Per adesso continuiamo a cucinare e mandare avanti il blog cercando nuove e divertenti soluzioni per le ricette. Allo stesso tempo stiamo pensando ad una possibile nuova pubblicazione, dato il buon successo del primo libro, con contenuti diversi; vediamo dove ci porterà questa estate!

Capalbio Libri 2014, dal 2 all’8 agosto torna il festival sul piacere di leggere

capalbio libriCAPALBIO – Partirà tra pochi giorni la nuova edizione di Capalbio Libri, il festival sul piacere di leggere. In Piazza. In rete. Organizzato in collaborazione con il Comune di Capalbio e il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e la provincia di Grosseto, la manifestazione sarà un coinvolgente viaggio nel piacere della lettura in piazza e in rete da sabato 2 a venerdì 8 agosto. Ogni sera, alle ore 19,00, il piacere della lettura diventa un piacere comune. Da piazza Magenta, nel cuore della cittadina maremmana di Capalbio, la voglia di conoscere e aprirsi al mondo diventa senza confini perché la lettura è un piacere primordiale. Capalbio è un mix di cultura, intrattenimento e informazione. Perché ogni ospite possa sentirsi arricchito dall’avervi partecipato, cresciuto nell’ascolto delle persone, dei fatti e delle riflessioni. Perché ogni evento possa fornire frammenti per possibili insegnamenti di vita. Perché autore e lettore si incontrino e dialoghino dalla piazza alla rete: internet, la nuova agorà. Un modo per continuare un’esperienza, parteciparvi, sentirla vicina pur essendo a distanza. Per aprirsi a nuovi linguaggi e intercettare nuove conversazioni, per parlare di libri sempre a più persone, per il grande piacere che la lettura dà.

 

Autori Capalbio Libri 2014
Enrico Rossi, Giulio Scarpati, Annalisa Chirico, Roberto Sommella, Alfonso Celotto, Michele Neri, Luigi Bisignani, Vittorio Feltri

 

Leggi QUI il programma completo della manifestazione

“Che storia, la Bari”: racconti popolari di calcio e società.

Che storia, La BariDalila Sansone
AREZZO – Se qualcuno mi avesse chiesto un’opinione sul calcio qualche mese fa, all’inizio di una primavera stentata e piena di incertezze, avrei risposto con la solita frase: ventidue tizi in mutandoni e antiestetici calzettoni che rincorrono una palla; inconcepibile seguirli per 90 minuti! Poi ti devi ricredere e in un bar di semiperiferia lontano, lontano dalla città di cui una squadra porta il nome, scoprire che dentro le scarpe, sotto quegli orribili calzettoni ci sta un sogno, ci stanno le cose in cui credi, che a volte ti ripeti e non avresti mai pensato possibile ritrovare proprio lì. “Che storia, la Bari” (GelsoRosso 2014, a cura di Mirko Cafaro e Cristiano Carriero) è un libricino piccino, rosso vivo che pulsa esattamente come un cuore che batte. 25 racconti di gente comune, tifosi e meno tifosi, gente che LA Bari la conosce da sempre o ci si è imbattuta per caso, o di cui si è accorta dentro le lacrime della persona che ama in un fredda sera d’inverno e di delusioni. Nasce da un’idea di baresi fino al midollo, perché la stagione 2013/2014 non potevi non raccontarla: dal rischio retrocessione all’autofallimento, dagli stadi vuoti ai 50800 nella trasferta ad un soffio dai playoff (si ho imparato persino cosa sono i playoff). La Bari (perché non basta iniziare ad ascoltare on air Radio Puglia ma devi imparare pure che gli aggettivi si usano con cognizione di appartenenza) quest’inverno era un’anonima squadra di serie B, pochissimi fedelissimi ancora sulle gradinate, gli altri, in polemica con la proprietà, invece lo stadio lo avevano abbandonato da tempo; in quelle asettiche giornate di campionato, dagli spalti degli stadi vuoti, sembrava solo una storia stagnante senza futuro. Fino alla resa del “nemico”: la proprietà dichiara fallimento, è il 9 Marzo. La squadra: poco più che ragazzi, soli senza stipendio e prospettive. Bari: una città che si riscopre popolo e si riappropria della sua squadra. E’ un’alchimia che riempie lo stadio e i ragazzi scelgono di mettere il cuore dentro le scarpe, si come Nino che stavolta non avrà nessuna paura di tirare un calcio di rigore…no, loro non hanno paura, loro hanno coraggio e hanno dignità e vincono, vincono, rimontano la classifica. Bari–Cittadella 40.000 spettatori al San Nicola, lo stadio progettato da Renzo Piano con l’erba a chiazze e le coperture fatiscenti, lì giù, si al sud, dove in mezzo al niente se un cuore batte tutto è possibile e se migliaia di cuori battono all’unisono i sogni spiazzano e travolgono la realtà. Mentre i palloni vanno in rete su e giù per l’Italia e gli stadi si colorano di bianco e rosso, due aste fallimentari vanno deserte, sul web impazza l’hastag #compralabari e la Bari rinasce, peccato le sfugga la sfida più importante, senza sconfitte sul campo e la beffa di un punto di penalità. Arriva il momento delle lacrime di tutti e sui volti puliti di giocatori così strani, senza agenti, che giocano passione e segnano per rispetto e gratitudine. Lì in mezzo trovi pure la storia di un bimbo arrivato a Bari, undici mesi, sulla nave dirottata in Albania, in quello che adesso sembra un lontano 1992. Lui adesso indossa un completo biancorosso e dentro quelle scarpe ci mette il cuore perché ai baresi glielo deve.
Ecco questo libro è un nocciolo puro di umanità visto attraverso gli occhi di gente diversa, ascoltato nelle parole di un commentatore radiofonico che ti lascia senza parole perché da tempo pensavi che giornalisti degni di questo nome ormai non ne esistessero più.
Io la mia Bari l’ho vissuta attraverso uno di quei figli del sud che si inventano una vita in giro per il mondo, con la valigia sempre pronta sotto un letto. Ho incrociato la sua strada e quella della sua squadra, io che ho sempre creduto che senza passione e entusiasmo nulla abbia davvero senso ma ho anche fatto l’errore di trascurarla questa verità. Seppure a volte il prezzo da pagare sia la delusione, nella vita come su un campo di calcio, aver vissuto amando, innamorandosi e credendo possibile sfiorare un sogno con impegno e determinazione, resta l’unica strada possibile per sentirsi vivi dentro favole imperfette come questa. Un piccolo regalo di pagine e ricordi ai tifosi e ai ragazzi della Bari e a tutte le persone che hanno un cuore un po’ bianco rosso pronto a giocarsi ancora, sempre, comunque la serie A. Di qualunque campionato.

L’unità di una trilogia spiazzante.

Trilogia della città di K.Dalila Sansone
AREZZO – Non potrei pensare di leggerli separatamente, distinti l’uno dall’altro. I tre titoli che compongono la trilogia di Agota Kristof si oppongono, si sovrappongono, si confondono e costituiscono un’unità piena, alla stregua del meccanismo che unisce due individui gemelli. “Il grande quaderno” (1987) è la storia di un abbandono in tempi di guerra, lontano dalla città di K.: due gemelli, una nonna che non li vuole, una madre che scompare. Il tessuto narrativo è asciutto, al limite dell’aridità, meccanico. La prosa riflette il controllo superiore, inumano delle emozioni, il gioco perfido della loro negazione. Che sia istinto di sopravvivenza, lucida follia o intelligenza superiore, la storia di questi due bambini e il racconto del loro quotidiano evocano tutte le sensazioni possibili, al limite della nausea fisica. Nei romanzi successivi la coppia non esiste più e l’autrice inizia a tessere un gioco sottile, prima resuscitando l’umanità negata dall’aridità di stile e contenuto del primo racconto, ne “La prova” (1988), poi vestendola di abiezione e viltà nella “Terza menzogna” (1998).
Nella seconda parte della trilogia al villaggio resta Lucas, dopo la fuga oltre confine del fratello e soffre, annienta la propria esistenza nell’incolmabilità dell’assenza fino a quando non scopre la capacità di amare e ama. Sostituisce all’esercizio di negazione delle emozioni dell’infanzia, il percorso difficile dell’apertura all’altro, costantemente puntellato di ombre e arretramenti. “La terza menzogna” è un intreccio semionirico, il delirio malato di Lucas il fratello fuggito oltre la frontiera, tornato alla ricerca di Klaus. Un momento. Non era Lucas quello rimasto? No Lucas non è mai esistito, lui non ha mai vissuto nella casa nel bosco da bambino insieme al fratello, i suoi ricordi non coincidono con niente. In quest’ultimo racconto i due fratelli si incontrano. Klaus è un poeta misantropo dedito alla cura di una madre che non si mai perdonata la perdita dell’altro figlio, e usa uno pseudonimo per scrivere: Lucas. La storia dei gemelli è completamente stravolta, chi è rimasto nega all’altro il recupero della propria identità, della metà perduta e non esiste più verità, dissolta per sempre dal potere della mente, dalla deformazione dei ricordi, dalla negazione del dolore, dall’assenza di sentimenti che sortisce lo stesso effetto del loro rifiuto, voluto o subito.
Tre romanzi, tre aggettivi: atroce il primo, umano il secondo, l’ultimo privo di senso. La trilogia: spiazzante.

Alla scoperta di Cuba drink to drink.

Alcune strade per CubaGiulio Gasperini
AOSTA – Quello che ci propone Alessandro Zarlatti è un appassionante viaggio attraverso Cuba drink to drink. Dal rum liscio invecchiato al mojito, dal guarapo al vino Soroa, “Alcune strade per Cuba” edito da Ouverture Edizioni ci fa esplorare una Cuba poco convenzionale, come la può conoscere solamente chi ci vive da anni, insegnando la lingua più bella del mondo, ovvero l’italiano.
Quindici racconti, che hanno come introduzione la descrizione spiritosa e anti convenzionale di drink e cocktail facilmente reperibili nell’isola caraibica, sono ambientati in una Cuba di strada, in un’isola che scontorna la geografia e si popola di anime, di caratteri, di persone. Diventa piuttosto uno stato d’animo, un groviglio di sentimenti e di situazioni insperate e inattese, che distorcono percezioni e sensazioni.
Sono racconti divertiti e divertenti, sorprendenti nell’andamento e nella trama, come “AA04583782”, che racconta le peripezie di una banconota attraverso le tante mani della tanta gente che il denaro lo fa circolare; oppure possono toccare momenti di grande dolore come nel caso di “Perros”, che racconta la piaga dei combattimenti tra cani. L’io narrante di volta in volta cambia prospettiva, modifica la sua visione, ci fa mettere sempre in gioco, rischiando anche personalmente nella ricerca ardita di qualcosa che potremmo riconoscere, per non essere in balia di situazioni ed eventi. È un narratore che non si stanca e non si demotiva, ma conosce la ricchezza delle storia che possiede e se ne diverte, spesso procedendo per sottrazione e non lasciando troppo in dono al lettore.
Attraverso le pagine le ispirazioni alcoliche paiono darci delle coordinate fantastiche, quasi i punti di un orientamento che può compiere infinite rotte per un approdo ultimo che sempre ritardiamo, perché sappiamo troppo definitivo. Un po’ come Costantino Kavafis raccomanda in “Itaca”: “Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti?”.
Da Cuba ci si attende sempre molto perché Cuba è una terra che ha da sempre un fascino particolare. Una storia, una cronologia che l’hanno resa di volta in volta bandiera e capro espiatorio, diavolo e santo di opposte fazioni. La Cuba di Alessandro Zarlatti si libera un po’ del suo carico morale, delle sue responsabilità al cospetto del mondo e diventa luogo di curiose quotidianità, di divertenti tangenze. Un luogo che potrebbe anche, così, non esistere.