Lo stato (disastroso) della poesia contemporanea.

Le mucche non leggono MontaleGiulio Gasperini
AOSTA – Il saggio di Giulio Maffii, Le mucche non leggono Montale, edito da Marco Saya Edizioni (2015), inizia provocatoriamente dall’altrettanto provocatoria affermazione di Montale: “La poesia è l’arte tecnicamente alla portata di tutti”. Era il 1975 e Montale lesse il suo discorso, dal titolo “È ancora possibile la poesia?”, di fronte all’Accademia di Svezia ritirando il Premio Nobel. Da questa evidenza (una penna e un foglio sono alla portata di tutti) inizia l’invettiva di Maffii contro la pletora di presunti poeti e poetucoli che intasano il mercato editoriale, scegliendo le case editrici self-publishing, organizzando presentazioni a uso e consumo di parenti e amici e trovando un valido alleato anche nelle infinite possibilità di evidenza che i social network consentono.
Ma la poesia, per Maffii, non è soltanto tecnica, come molti potrebbero erroneamente pensare: “La forma è un elemento basilare ma non è tutto”. Perché il poeta ha fondamentale bisogno anche di un IO poetico che sappia giocare con le parole, le sappia consegnare nuovi significanti che non sono i soliti, che sappia lanciare uno sguardo inedito su argomenti magari inflazionati da precedenti scrittori e poeti. Non si tratta soltanto di un’abilità tecnica nel mettere in fila suoni e rime; si tratta anche di dare un contenuto che sia originale e non eternamente banale.
In un paese, come l’Italia, dove tanti (quasi tutti) scrivono ma pochi (quasi nessuno) legge, secondo Maffii si annida l’altro grande problema della poesia contemporanea: il poeta dovrebbe prima di tutto leggere gli altri, perché non si può scrivere nuova poesia se non si conosce che cosa, di poesia, è già stato scritto, principalmente da scrittori ben più ispirati. Altrimenti rimane un poeta inutile. Totalmente inutile: “Il rifiuto a leggere non può portare che a un disastro sociale che vedrà i poteri forti usare l’ignoranza come centro di comando”.
A far da contrappeso a questa vis polemica (e persino apocalittica), Giulio Maffii inserisce capitoli di breve critica su alcuni grandi poeti e poetesse del passato, magari ad oggi dimenticati. Ad esempio, parla di Majakovskij, citando i dodici punti (in “A piena voce”) “una sorta di mini compendio ad uso di chi ‘voglia diventare poeta… pur avendo cognizione che la poesia è una delle attività produttive più difficoltose”. Oppure ricordando le scelte di Margherita Guidacci, che si è sempre rifiutata di sottostare a determinate regole “di mercato” e culturali ed è stata condannata a un lungo e intenso abbandono poetico. Oppure, ancora, lo scrittore Cernuda, appartenente alla stessa “Generación del 27” di Federico García Lorca, che è rimasto poeticamente soffocato dal successo dei suoi compagni, pur meritando un ruolo di primo piano nella ricerca poetica spagnola.
Il discorso di Maffii procede in maniera semplice e diretta, senza mezzi termini né risparmiandosi critiche a un sistema dal quale pare difficilissimo uscire. Come soluzione, la proposta di modelli poetici raffinati e completi. Come a dire che soltanto riconsegnandosi alla vera poesia ci si può salvare da quella pessima (e abbondante).