“Meno 100 chili”, quando è la pattumiera a mettersi a dieta


Silvia Notarangelo
ROMA – Umido o secco, carta, vetro, plastica. Siamo in tanti ormai, a districarci, ogni giorno, con la raccolta differenziata. Ma è davvero così importante separare accuratamente la pattumiera? A giudicare dal brillante e approfondito saggio di Roberto Cavallo si direbbe proprio di sì. Non solo. Leggendo il suo “Meno 100 chili”, pubblicato da Edizioni Ambiente, non si può non concordare con lui sull’impellente necessità di ridurre i nostri scarti.
I rifiuti sono cresciuti in peso, complessità e resistenza. In appena dodici anni, la loro produzione in Italia è aumentata di quasi 100 kg pro capite. Un incremento che trova risposta nel sempre più frequente ricorso a prodotti usa-e-getta ma anche nell’amara constatazione, purtroppo verissima, secondo la quale “compriamo cose che buttiamo”.
L’errore nasce dal concentrarsi unicamente sul rifiuto urbano, senza pensare a ciò che si nasconde dietro quell’innocuo sacchetto della spazzatura. Sul prodotto finito, quello che abitualmente gettiamo nei cestini, grava, infatti, il peso ecologico dei materiali utilizzati per la sua realizzazione. Ecco perché, per ogni chilo di rifiuti urbani, si calcola che siano stati consumati 100 kg di risorse naturali.
Eppure, senza enormi sacrifici o impensabili rinunce, ognuno di noi può, concretamente, fare qualcosa. E quale soluzione migliore se non partire dalla propria casa per mettere in atto la singolare “dieta della pattumiera”? L’obiettivo è chiaro: sulla bilancia pesa un quintale in più che occorre smaltire. Gli accorgimenti suggeriti dall’autore si articolano in relazione a quattro ambienti domestici: la cucina, il bagno, la camera dei bambini, il giardino. E allora basta con bottiglie e buste di plastica, basta con rasoi usa-e-getta, basta continuare a riempire le stanze dei figli con oggetti inutili. Le alternative ci sono e, in molti casi, promettono anche di far felice il portafoglio. Alimenti e detersivi alla spina per ridurre gli imballaggi, ecopannolini, piatti biodegradabili, compostaggi domestici da utilizzare come fertilizzanti.
Le possibilità non mancano così come le iniziative intraprese da alcuni Comuni per far sì che riciclo e solidarietà vadano di pari passo. Ora non resta che darsi da fare perché meno rifiuti significa meno discariche ma, soprattutto, una migliore qualità di vita.

Da Gallucci Editore "Frida e Diego. Una favola messicana"

ROMAFabian Negrin illustra e racconta “Frida e Diego. Una favola messicana”, una delle tante novità targate Gallucci EditoreIn Messico la Festa dei Morti è una ricorrenza allegra e colorata. Le famiglie preparano teschi di zucchero e piatti tradizionali in onore dei defunti, poi banchettano tra le tombe. In questo giorno speciale, Fabian Negrin ambienta con la forza evocativa dei suoi colori la discesa di Frida Kahlo e Diego Rivera bambini nel Paese degli scheletri.
 Dall’esplorazione di quel mondo i due piccoli artisti riemergeranno migliori di prima anche grazie all’aiuto di un cane di razza xoloitzcuintle…

Toni Servillo legge Napoli

Stefano Billi

ORVIETOPer questa festa di Ognissanti, alle ore 18:00 è stato allestito al teatro Mancinelli di Orvieto (TR) “Toni Servillo legge Napoli”, una lettura – da parte del celeberrimo e straordinario attore campano – sulla perla partenopea così come è raccontata dai suoi autori più noti ed emblematici. Il suo è un viaggio nelle parole di Napoli, da Salvatore Di Giacomo a Ferdinando Russo, da Raffaele Viviani a Eduardo De Filippo, fino alle voci contemporanee di Enzo Moscato, Mimmo Borrelli, Maurizio De Giovanni e Giuseppe Montesano.
Un excursus attraverso gli scritti di poeti e grandi uomini di teatro in una lingua estremamente viva. Uno spettacolo davvero speciale nel suo genere, un appuntamento da non perdere per tuffarsi nel ventre di Napoli, città dai mille volti e dalle mille contraddizioni, per scoprire (e riscoprire) pagine memorabili della nostra letteratura e lasciarsi stupire dal fascino, difficile quanto irresistibile, della città del Vesuvio.
Per informazioni su orari e costi, si consiglia di consultare il sito web www.teatromancinelli.com

"S.C.U.M Manifesto per l’eliminazione del maschio", perché ogni uomo, nel profondo, sa di essere un indegno pezzo di merda

Giulia Siena
ROMA “In questa società la vita, nel migliore dei casi, è una noia sconfinata e nulla riguarda le donne: dunque, alle donne responsabili, civilmente impegnate e in cerca di emozioni sconvolgenti, non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istruire l’automazione globale e distruggere il sesso maschile”. “S.C.U.M Manifesto” apparve nel 1967 nelle strade americane venduto  a 25 centesimi alle donne e 50 agli uomini da Valerie Solanas, la femminista che lo scrisse e lo autoprodusse. Oggi che il femminismo è quasi solo un ricordo, oggi che le donne fanno di tutto per apparire “accessori” del maschio,  “S.C.U.M Manifesto per l’eliminazione del maschio” viene pubblicato dalla Ortica Editrice quasi a ricordare cos’era il più sfrenato femminismo. 

Scum è sporco, è feccia. Scum sono le donne Figlie di papà che permettono al maschio di credersi utile, indispensabile, superiore e forte; invece il maschio è una nullità, vive per somigliare alla donna. Scum è il Manifesto femminista di una donna tradita dal proprio padre durante l’infanzia: gli abusi subiti ne hanno fatto una donna forte ma allo stesso tempo rabbiosa. Una donna che è stata nomade, prostituta, studiosa, eterosessuale, bisessuale e lesbica. Una donna che ha osservato la società americana del dopoguerra per descriverne – estremizzando – le crepe e le pecche. Così è nato il trattato sull’eliminazione del maschio, quasi come un appello alle femmine a schierarsi dalla parte delle donne determinate a eliminare dalla società il male rappresentato dal maschio. Un essere, secondo la Solanas, “incapace di comunicazione, di trasporto, di identificazione con altri”, un essere che acquisisce un proprio ruolo solo attraverso i figli e le guerre. Ma Scum non è sommossa isterica, “SCUM braccherà la sua preda freddamente, nell’ombra, e poi, con calma, la ucciderà” perché “ogni uomo, nel profondo, sa di essere un indegno pezzo di merda”.

"Gentilissimo sig. Dottore, questa è la mia vita": un volto per tutti quelli che non disturbano la Storia.

Giulio Gasperini
ROMA –
Sono molte le latitanze per non disturbare la Storia: Elsa Morante, ad esempio, lo dimostrò e documentò magistralmente in quel capolavoro che intitolò, non casualmente, “La Storia”. Negli anni del ribattezzato “secolo breve” uno dei modi coatti, più vergognosi e turpi, nel quale violare e sacrificare le individualità, fu il manicomio. Tutto questo prima della legge 180/78, la legge Basaglia, che chiuse tali “istituti” col nobile proposito (ahimè, mai perseguito né realizzato) di accudire e seguire i presunti “malati” in altri contesti e in altre forme di socialità. Poche sono state le voci che, dall’inferno di codesti istituti, si sono sollevate e sono giunte a ripristinare e riconfermare una liricità d’esistenza, una fiera (e, in molti casi, lucida) cognizione del sé. Adalgisa Conti è una di queste voci: sua è una lettera, di spietato autobiografismo, datata 25 marzo 1914, e pubblicata nel 1978 da Gabriele Mazzotta Editore, che si apre con queste limpide parole: “Gentilissimo sig. Dottore, questa è la mia vita”.


Quasi sempre, infatti, i documenti che han riportato in vita quest’umanità dolente, questi uomini e donne di dolore, sono lettere, ritrovate un po’ per caso un po’ per sbaglio nei mucchi di materiale e di documentazione studiato, con coraggio e passione, spesso solamente da associazioni interessate a un recupero memoriale che non fosse solamente pura curiosità morbosa, ma consapevole resurrezione e redenzione di coscienze (le nostre, prima che le loro). Lettere che testimoniano quanto la scrittura fosse sentita dai “pazienti” come mezzo per preservare intatta la propria vita.
Un privilegio, quello di essere “alfabeta”, che pure Adalgisa scontò come una punizione, cercando di trovare nelle parole il suo affrancamento: dalla stesura della lettera, infatti, appena internata, trascorsero più di sessant’anni, nei quali Adalgisa tornò a essere di nuovo una lunga lista di appunti su una cartella clinica (e quasi tutti che la indicavano come “invariata”).
La vicenda di Adalgisa Conti è simile a quella di molti altri uomini e donne, i quali, come è scritto nell’Ecclesiastico, “svanirono come se non fossero esistiti; furono come se non fossero mai stati”. Molti, nelle loro lettere, chiedevano ai familiari di andare a trovarli, perché non riuscivano a capire la ragione della loro segregazione, della loro esclusione dal mondo.
Simone Cristicchi ci ha presentato, nel suo album “Dall’altra parte del cancello”, un certo Gottardo, che scrisse alla moglie, dal manicomio di Volterra: “È già diverso tempo che io mi trovo in questo manicomio ricoverato […] Non potete immaginare quanto brami di tornare a Cecina, che qui mi par d’essere in esilio”. La giovane Adalgisa, invece, chiese alla madre: “Devo aver fatto dei gran mali al mondo non è vero mamma?”; con uno sbigottimento che spezza il cuore.

"Sostiene Pereira" e l’importanza di essere liberi

Stefano Billi

ROMA – Immaginatevi un’aula di tribunale.
Oppure immedesimatevi in una sala atta agli interrogatori di polizia. O ancora, pensate ad una situazione in cui si è costretti a riferire qualcosa, con un dialogo impostato a mo’ di resoconto in terza persona.
Non appena inquadrata questa situazione strana e a dir poco spersonalizzante, dove ogni cosa è forma e burocrazia, avrete l’idea dello straordinario e originalissimo strumento letterario usato da Antonio Tabucchi per il suo romanzo – forse, il più bello – intitolato “Sostiene Pereira”, edito da Feltrinelli.
Caratteristica fondamentale del testo è un periodare svelto, asciutto, dove la compostezza però non ingrigisce le descrizioni dei luoghi e delle atmosfere.
Insomma, un modus scrivendi innovativo, che per certi aspetti sembra consono più ad una pagina di cronaca nera, che alle pagine di un best-seller.
Ma di “Sostiene Pereira” va apprezzata soprattutto la commovente vicenda narrata al suo interno: un esperto giornalista e un giovane neolaureato a confronto, entrambi travolti dagli accadimenti storico-politici di fine anni trenta, in un Portogallo diviso tra chi condivide e supporta l’ideologia salazarista, e chi invece si ribella ad ogni forma di totalitarismo di matrice fascista.
Pereira, giornalista di lungo corso e protagonista della storia, fatica a scegliere da che parte stare.
Poi, di fronte ai soprusi legittimati dalla vicinanza nazionale portoghese al franchismo, assumere una posizione netta di denuncia politica diventa indispensabile, per poter ancora convivere con la propria coscienza.
Nel libro domina una straordinaria umanità, innalzata dalla convinzione che un’ideologia non può mai sopraffare la persona, così come la libertà di essere e di pensare ciò che si vuole non può essere calpestata.
Questo romanzo mette in risalto l’assoluta dignità dell’individuo, al di fuori di una sterile dialettica tra destra e sinistra.
Perché ciò che conta è l’essere umano, non la tessera di un partito.
In fin dei conti, è proprio questa convinzione che sta alla base dello stato di diritto.
Al di fuori di essa, può soltanto valere il brocardo latino homo homini lupus, tanto temuto da quel grande pensatore che va sotto il nome di Thomas Hobbes.
E comunque, “Sostiene Pereira” è soprattutto una storia piacevolissima da leggere, dove con estrema facilità ci si lascia emozionare dai personaggi e dalle vicende.
Per lo meno, così sostiene questo umile redattore.

“Un mondo al bivio”, perché la Terra può e deve essere salvata

Silvia Notarangelo
ROMA – Il tempo sta per scadere, non si può più aspettare. È questa, in estrema sintesi, la conclusione a cui giunge il presidente dell’Earth Policy Institute, Lester R. Brown, nel suo nuovo, coraggioso volume dal titolo “Un mondo al bivio”, curato, per Edizioni Ambiente, da Gianfranco Bologna.
L’analisi è lucida e schietta. Non si tratta di diffondere vaghi allarmismi, la situazione della Terra è grave, necessita di attente riflessioni ma, soprattutto, di interventi immediati.
Rapido esaurimento delle risorse idriche, erosione del suolo con conseguente aumento della desertificazione, innalzamento delle temperature. Sono questi i principali problemi da affrontare.

Ed è, infatti, proprio l’imprevedibilità del clima, unita alla violenza con la quale si scatenano oggi alcuni devastanti fenomeni climatici, a determinare una seria emergenza alimentare, tale da prospettare preoccupanti scenari futuri. Non solo, è in costante aumento anche il numero di rifugiati ambientali, persone costrette ad abbandonare le proprie case perché colpite da lente o repentine catastrofi, e ciò non fa che aggravare la situazione, di per sé già precaria, di tutti quegli Stati prossimi al fallimento o in preda a pericolosi conflitti interni.
La proposta avanzata da Brown è chiara e si concretizza in un Piano B, una trasformazione radicale, da mettere subito in atto, nella consapevolezza che la domanda da porsi non è più “se” il nostro pianeta “andrà incontro ad un collasso” ma “quando” questo avverrà. Le misure da adottare sono diverse. Una netta riduzione delle emissioni di anidride carbonica, il ripristino dei sistemi naturali della Terra, la stabilizzazione della popolazione mondiale, l’eliminazione della povertà. Obiettivi importanti e ambiziosi, da raggiungere anche attraverso una revisione del sistema di tassazione e una ridefinizione del concetto di sicurezza. Non più guerre o rivolte armate, le nuove, incombenti minacce per la sicurezza del Pianeta si chiamano “cambiamenti climatici, scarsità d’acqua, fame e povertà”. Ed è alla risoluzione di questi problemi che occorre far fronte con un’adeguata ridistribuzione delle priorità fiscali.
Cambiare strada è possibile, la direzione indicata da Brown è quella di un progresso sostenibile. Bisogna, però, darsi subito da fare, perché la Terra può e deve essere salvata.

"La mia prima storia dell’Arte"… e le grandi opere diventano semplici

ROMA – Un libro che spieghi tutta la storia dell’arte con termini semplici e renda le grandi opere comprensibili anche agli occhi dei più piccoli? Ora è possibile grazie a “La mia prima storia dell’Arte”, il libro di Béatrice Fontanel pubblicato dalle Edizioni Sonda. Un grande albo illustrato che già dalla prima pagina ti “trascina” nell’arte degli antichi Egizi, ti spiega le forme, i colori e le credenze legate a espressioni artistiche nate per celebrare il potere. Poi il percorso continua: arriva l’arte medievale cioè il periodo nel quale gli artisti erano quasi del tutto anonimi, si impara a conoscere il genio di Giotto, le botteghe degli artisti, gli affreschi, i quadri e, con il passare dei secoli, molti altri artisti e diversi modi di fare arte.
“La mia prima storia dell’Arte” è un libro completo, un valido aiuto nell’insegnamento di questa materia, un passatempo interessante per approfondire la conoscenza di artisti e opere, un modo divertente e vivido per riconoscere e distinguere tecniche e movimenti artistici dall’antichità fino ai giorni nostri. Inoltre, le tantissime tavole riescono a mostrare perfettamente la perfezione di opere disseminate nei maggiori musei del mondo.

Salone dell’Editoria Sociale, quattro giorni di etica e responsabilità

ROMA – Dal 28 ottobre al 1 novembre torna a Roma la la terza edizione del Salone dell’Editoria Sociale. Quest’anno a ospitare la manifestazione sarà Porta Futuro (Testaccio), il nuovo spazio voluto dalla Provincia di Roma e dedicato alla formazione e all’orientamento. Nell’edizione 2011 il Salone metterà in contatto il mondo dell’editoria, quello del lavoro sociale, le istituzioni pubbliche, per fare del “sociale” una chiave di lettura con cui capire dove stiamo andando, la crisi delle nostre società e le strade del cambiamento. Infatti, è Etica e responsabilità pubblica” il tema dell’ultimo Salone dell’editoria Sociale. 
La crisi economica, la responsabilità sociale ed il ruolo della politica, la legalità e la lotta alle mafie, la chiesa e le istituzioni formative di fronte al disagio dei giovani, la comunicazione ed il giornalismo sociale, la lotta al razzismo e l’integrazione dei migranti, il contrasto alle nuove povertà ed emarginazioni, il ruolo dell’arte nella formazione della coscienza pubblica.
Nei cinque giorni del Salone sono previste oltre 40 conferenze, tavole rotonde, incontri con gli autori, dibattiti, proiezioni, presentazioni di libri e novità editoriali, mostre, una rassegna di cortometraggi.

“Gli occhi dell’amore”: storie drammaticamente vere

Alessia Sità
ROMA Si intitolaGli occhi dell’amore” l’ultimo libro di Nadia Turriziani pubblicato qualche mese fa da Sangel Edizioni.
Diciotto racconti drammaticamente veri incentrati sull’amore e sulle sue diverse sfaccettature: dall’amore familiare a quello per gli amici; dall’amore romantico a quello sessuale e talvolta anche platonico.
Tante storie per parlare di un unico sentimento che non solo nutre e scalda il cuore, ma spesso tormenta e logora l’anima, trascinandola talora in bilico fra la vita e la morte.
Con uno stile schietto e diretto e con una nota di comicità opportuna, Nadia Turriziani affronta delicate questioni sociali che quotidianamente campeggiano su giornali e in televisione: dall’anoressia all’omosessualità, dal pregiudizio alla violenza, dalla vita alla morte.

L’autrice ci regala pagine di vera intimità affrontando tematiche che molto spesso nascondono dei veri tabù.

Ne “Gli occhi dell’amore” il quotidiano prende sempre più forma, fra turbamenti e sensazioni totalizzanti, il lettore è travolto in una costante riflessione con se stesso e con tutto ciò che lo circonda; inevitabilmente ci si ritrova ad immedesimarsi sempre di più nelle complicate vicende di ogni protagonista.
Nei suoi racconti, alcuni dei quali arrivati finalisti in vari concorsi letterari nazionali, Nadia Turriziani dà soprattutto voce alle donne: a quelle violentate e mortificate nella propria femminilità, a quelle trascurate e ignorate.