“Trambusto”, ultima chiamata per il futuro

Silvia Notarangelo
ROMATrambusto è una particolare prigione, un luogo sospeso tra passato e futuro da cui si può uscire redenti o definitivamente dannati. È l’ultima chance, il bivio per decidere che cosa fare della propria vita. Peccato, però, che non bastino insegnanti, laboratori, regole e vigilanza per superare il vero trambusto, il più difficile da affrontare, quello che ognuno si porta dentro, frutto di scelte, di esperienze, di sofferenza. È un ritratto lucido e disincantato quello che Luca Gallo delinea nel suo secondo romanzo “Prossima fermata Trambusto”, pubblicato da Intermezzi. Una storia tormentata e, al tempo stesso, di speranza, perché se è vero che a dominare sono spesso prepotenza e arroganza, è altrettanto vero che il giorno in cui scegliere da che parte stare arriva per tutti. Paradiso o inferno: è il momento di decidere anche per i tre giovani protagonisti del libro.

Tarek, abbandonato dalla madre, vive con lo zio da quando il padre di origine tunisina non c’è più. Lavora in un’agenzia di servizi per cani e gatti anche se non ha mai abbandonato il suo sogno di studiare. Chioma proviene da una famiglia agiata, crescendo ha scelto di ribellarsi ad una vita ovattata e ora ha un chiodo fisso nella testa: battere Orso, il suo rivale nelle consegne, per diventare il più veloce tra i facchini. Lama ha deciso di dire addio ad un passato turbolento e tornare ad essere Christian, un lavoratore serio ed affidabile, segretamente appassionato di arte.
Apparentemente i tre ragazzi non hanno nulla in comune, fatta eccezione per quell’intento, non nascosto, di provare a raddrizzare un’esistenza che non sembra finora essere stata particolarmente generosa. Talvolta, però, le buone intenzioni non sono sufficienti. Si infrangono o, più semplicemente, devono fare i conti con i tanti imprevisti della vita. Ed ecco, allora, che basta davvero poco per essere risucchiati in situazioni che non forniscono vie d’uscita se non quella di rassegnarsi a pagare un prezzo non dovuto.
Trambusto”, è qui che i tre accidentalmente si ritrovano. Un carcere a cielo aperto, un progetto destinato ad accogliere, su tram trasformati in piccoli appartamenti, tutti coloro che si sono resi autori di reati non gravi.
Durante la sua breve esistenza, nonostante schegge impazzite e tentativi di affondarlo, Trambusto si rivelerà molto di più di una semplice e inconsueta prigione. Sarà un’occasione per riflettere, per mettersi a nudo, per ricordare ciò che a volte si dimentica o si finge di dimenticare ma, soprattutto, sarà il momento giusto per fermarsi e capire che direzione stia prendendo la propria vita, se proceda nel verso desiderato o occorra dare una sterzata e ripartire da zero.
Tarek, Chioma e Lama torneranno alla “normalità” con desideri e propositi diversi, ma uniti da una stessa consapevolezza: Trambusto è stato solo un punto di partenza, l’ultima fermata prima del futuro.

Per la prima volta in Italia Ştefan Agopian


Silvia Notarangelo

ROMA – Visionario, poetico, malinconico. Tre aggettivi che ben si addicono al romanzo di Ştefan Agopian. Lo scrittore romeno, tradotto per la prima volta in Italia da Paola Polito per Felici Editore, trasporta il lettore in un’atmosfera surreale, carica di risonanze esistenziali attraverso un racconto sospeso tra realtà ed immaginazione.
Ambientato in Romania nei primi anni dell’Ottocento, “Almanacco degli accidenti” narra la storia di due senzatetto che si tengono compagnia, in attesa che qualcuno o qualcosa scateni la loro fantasia. Sono Ioan Marin e Zadic l’Armeno. Il primo, maestro Geografo della scuola di Colzia, si perde spesso tra i suoi pensieri, vagheggiando “i tempi migliori” in cui poteva abbandonarsi alla lettura nonostante le guerre, la carestia, la peste. Il suo compagno, Zadic, è uno stravagante tuttofare, capace di cimentarsi con le più disparate professioni fino a giungere a un’amara conclusione: “nessuna di queste mi ha dato la ricchezza che vado cercando”.
Insieme, inebriati dall’alcol, si sostengono, si stuzzicano, talvolta mettono in scena delle vere e proprie competizioni a colpi di citazioni erudite: Plinio, Aristofane, Ippocrate sono solo alcuni degli autori classici che irrompono nei loro discorsi. Ricordi, pensieri, storie ed episodi paradossali scandiscono la monotonia delle loro giornate. “Stiamo, è questo che facciamo”. Così Zadic si rivolge all’amico con una considerazione che pare racchiudere l’essenza della loro vite.
Tra scene di guerra e sparatorie, molossi parlanti, diavoli accovacciati, angeli in parata, i due rimangono così, “come due santi senza preoccupazioni terrene, solamente contemplando e scambiandosi parole”, anche durante l’ultimo, incredibile viaggio con la fantasia.

Passione vintage: il Salone del Libro Usato

Silvia Notarangelo
MILANO 
– I tempi non sono dei migliori e anche i numeri dell’editoria, purtroppo, lo confermano. Quasi il 10% in meno di titoli pubblicati, una flessione del 7,5% del numero di editori, un mercato che continua a scendere anche nel terzo trimestre del 2012. Difendere il libro e, con lui, l’intero settore editoriale, sta diventando una priorità imprescindibile. Buone notizie arrivano, per fortuna, da una recente ricerca condotta dalla New York University e della Carnagie Mellon University: la vendita di libri usati non solo non danneggia i nuovi testi in commercio, ma determina, indirettamente, una maggiore propensione alla lettura.

Un (buon) motivo in più per curiosare tra le oltre 500 bancarelle che, anche quest’anno, saranno protagoniste del Salone del Libro Usato. Da venerdì 7 a domenica 9 dicembre, presso Fieramilanocity, sarà possibile riscoprire il valore di testi rari e antichi, volumi pregiati, opere fuori commercio. Determinante e preziosa la collaborazione degli editori, chiamati a riproporre i propri tesori da collezione o quei tanti libri semplicemente dimenticati in un magazzino. Prime edizioni dei grandi classici, volumi autografati, gialli e paperback, fumetti introvabili, e ancora libri fotografici, stampe antiche e locandine cinematografiche: tutti potranno soddisfare i propri interessi.
Giunto alla sua ottava edizione, il Salone introduce quest’anno anche un’importante novità. Per la prima volta l’evento si apre all’intera città di Milano con una particolare quanto gradita iniziativa. Si chiama Libromaggio e prevede la distribuzione gratuita, nei giorni precedenti la manifestazione, di oltre 5000 libri reperibili presso stazioni, piazze, università. Un modo diverso, un omaggio speciale per ricordare l’appuntamento in Fiera e coinvolgere, così, un numero sempre più vasto di lettori.

Un sogno ad occhi aperti: “Il paese del caos”

Silvia Notarangelo
ROMA – Alcuni lo sognano, altri lo temono. C’è chi lo considera un habitat ideale, chi inorridisce soltanto al pensiero. Il caos non mette tutti d’accordo, anzi. Ordine, norme, disciplina fanno parte della nostra vita, ma è innegabile quanto le imposizioni di qualunque genere, siano mal digerite. Cosa potrebbe succedere, allora, se ad essere imposti per legge fossero il caos, il disordine, l’illusoria assenza di regole? Sarebbe un mondo fantastico o, almeno, così deve averlo immaginato Flavia, la piccola protagonista de “Il paese del caos”, il nuovo libro di Marcella Russano pubblicato da Fanucci.

Niente cameretta da sistemare, niente giochi e barbie da mettere a posto, pena la tanto temuta e detestata punizione. Un “sottile ricatto” messo in atto da molti genitori a cui i bambini (non tutti) si piegano più o meno coscientemente. Niente e nessuno può, però, arginare la loro fervida immaginazione. Anche l’autrice si lascia guidare dalla fantasia in un viaggio magico ed entusiasmante, lungo il quale non mancheranno risposte a quei piccoli e grandi dubbi che già si insinuano nelle menti dei bambini.
È un sogno ad occhi aperti, un’avventura piena di insidie e di sorprese, quella in cui si ritrovano catapultate Flavia e Martina, la sua migliore amica.
La “Repubblica libera del caos” le accoglie rivelando tutta la sua stravagante normalità. È un mondo apparentemente alla rovescia, un mondo in cui tutti sono alla ricerca di qualcosa perché non si trova mai nulla e nessuno, per legge, ha il potere di mettere ordine. Per chiunque disobbedisce le porte del carcere sono pronte a spalancarsi.
Il “sottile ricatto”, insomma, si ripete, sotto diverse spoglie, ma con analoghe, odiose conseguenze. Venire a contatto con questa realtà, dominata da regole-non regole e caratterizzata dall’infelicità dei suoi abitanti, si trasformerà in una sfida avvincente per le due bambine, chiamate a superare le loro paure, a battersi per una giusta causa, scoprendo, non da ultimo, un’amara verità: talvolta, le regole, se giuste e condivise, possono servire a qualcosa.

Le professioni amiche dell’ambiente in “Guida ai green jobs”


Silvia Notarangelo

ROMA – Il monito lanciato poco tempo fa, “50 mesi per salvare il pianeta”, fa davvero paura. Perché non si tratta di uno dei tanti allarmi, purtroppo, sistematicamente ignorati (o quasi). È un vero e proprio ultimatum, un grido disperato per scongiurare un pericolo che si fa sempre più concreto e drammaticamente vicino. La terra è arrivata al limite. Mai come ora, occorre intervenire e farlo al più presto, perché il sistema si sta rapidamente avviando al collasso. La questione ci coinvolge tutti da vicino, ognuno con il proprio bagaglio di piccole o grandi responsabilità. L’attenzione e l’interesse per il tema devono essere alti. Per fortuna, opportunità concrete e progetti importanti non mancano, come emerge anche dall’interessante ed accurato saggio “Guida ai green jobs”, scritto da Tessa Gelisio e Marco Gisotti per Edizioni Ambiente.
Un testo prezioso, un’analisi ampia e articolata che si avvale dei numerosi contributi raccolti dai due autori e che abbraccia moltissimi comparti produttivi: dalle energie rinnovabili alla mobilità sostenibile, dall’ecofinanza alla green fashion. Attraverso le risposte di imprenditori ed esperti del settore, si delinea un profilo dettagliato della green economy italiana: che cosa significa oggi puntare sul verde, quali sono i profili professionali più ricercati, quali le sfide da affrontare e gli aspetti da migliorare. La parola d’ordine è efficientamento, ovvero “riduzione dei consumi energetici e più in generale di materie prime, ottimizzazione dei processi produttivi, creazione di modelli di consumo e risparmio”.
Una riflessione, però, è d’obbligo: se alcuni settori, come quello edilizio e chimico, fanno registrare incoraggianti segnali positivi, in tanti altri siamo appena all’inizio di un percorso lungo e certamente non facile, che necessita di scelte coraggiose e di nuove professionalità. E allora, di che cosa devono occuparsi e quale formazione è più indicata per quanti intendono intraprendere un lavoro green? Tra professioni ormai diffuse e consolidate, si inseriscono alcune interessanti novità. Per gli amanti del mare, si può contribuire attivamente alla salvaguardia del Pianeta in veste di bagnini sostenibili. Ma ci sono buone prospettive anche per amministratori di condominio con il pallino della sostenibilità, per ecovigili, disaster manager, wedding planner sensibili all’ambiente e al portafoglio.
Dunque, come dimostrano i due autori, le possibilità sono numerose. L’importante, ora, è prestare attenzione affinché “l’onda verde che sta spazzando il paese non si infranga contro interessi antichi e una politica cieca”.

L’Amantide: una donna e la sua missione


Silvia Notarangelo

ROMA – Dopo “Diecipercento e la Gran Signora dei tontiAntonella Di Martino presenta ai lettori di Chronicalibri il suo nuovo, intenso e spietato racconto, pubblicato nella collana Atlantis di Lite Editions.

“L’Amantide”, una storia dal titolo affascinante che racconta…

Racconta diverse storie, condensate in una.
C’è la storia di una donna che ha deciso di trasformare la sua rabbia e i traumi della sua infanzia in un lavoro, che è anche una missione.
C’è la storia di una famiglia infelice, arrivata a un punto di non ritorno.
C’é la storia di una moglie e madre che ha deciso di cambiare il suo destino con un mezzo insolito.
C’è la storia di un omuncolo, una creatura che vive in un piccolo senza speranza, un luogo triste in cui rinchiude le persone che gli vivono accanto.
C’è la storia di una breve vacanza, che inizia come un sogno e termina con una brusca caduta.
Infine, ultimo ma non meno importante, c’è il cuore di Nizza, la sua atmosfera, i suoi profumi, i suoi colori.

Suggestioni e fonti di ispirazione?

L’omuncolo letterario si ispira a un omuncolo conosciuto personalmente anni fa. Era il patrigno di una mia amica, la quale mi raccontava spesso le “fisime” che infliggeva alla famiglia. Lo ricordo come una delle persone più odiose che io abbia mai incontrato. Non è la prima volta che mi sono ispirata alla sua personalità, per arricchire le caratteristiche dei miei personaggi più grotteschi.
L’Amantide non l’ho mai conosciuta. L’ho costruita un pezzo alla volta: ho preso in prestito le parti più rabbiose, inquietanti e distruttive della mia immaginazione; ho aggiunto alcune caratteristiche raccolte qua e là dall’immaginario collettivo; sono stata attenta a conservare le contraddizioni; ho ritagliato le parti in eccesso e ora l’Amantide vive di vita propria.

Tre aggettivi per descrivere L’Amantide

Folle, razionale, tagliente (sorride ndr).
Dell’Amantide apprezzo soprattutto i contrasti. È una criminale, ma ha una scala di valori tutta sua, costruita con razionalità impeccabile e lucidissima follia. Il suo lavoro è vendetta, ma anche missione, rivincita, piacere. Si intuisce che il mondo le ha fatto molto male: un male che lei tenta di restituire con garbo, selezionando i bersagli giusti. Il suo sguardo, incisivo come i punteruoli da ghiaccio e tagliente come una lama, coglie gli aspetti migliori e peggiori della vita che incontra.
L’Amantide rispetta con scrupolo le sue regole, ma cerca anche uno spazio per conquistare pezzi di vita liberi dal dolore e dal lavoro: cerca di adeguarsi senza adattarsi, di strappare i fiori più profumati che sbucano in questa valle di lacrime.

La sua lettura è rivolta a…

A chi ha il gusto per l’insolito e le tinte forti, ma non per la volgarità; a chi ama le storie sensuali che vadano oltre i sensi; a chi non ha paura di sbirciare negli angoli più nascosti di quella che chiamano realtà.

Una blogger in cucina


Silvia Notarangelo

ROMA – “Una cucina alla portata di tutti, con ricette semplici e per lo più cucinate con ciò che mi trovavo a disposizione”. È così che Silvia Crucitti, apprezzata blogger palermitana, presenta la sua prima, gustosa, fatica letteraria.
al forno”, pubblicato da FOOD Editore, mantiene le premesse. Il volume, frutto dell’esperienza personale dell’autrice ma anche di una buona dose di suggerimenti provenienti dalla rete, è arricchito da aneddoti, consigli, curiosità e corredato da un invitante apparato fotografico.
Facilità, praticità e cottura al forno sono gli ingredienti base dei cento piatti proposti. Dall’antipasto al dolce, c’è davvero da sbizzarrirsi: stuzzichini, lasagne, arrosti di carne e di pesce, verdure, torte e biscotti. Nessuno resterà a stomaco vuoto.
Per desiderio dell’autrice, i piatti non sono suddivisi per “tipologia di alimenti” ma ordinati secondo le possibili “situazioni di consumo”.
Si parte da “tutti i giorni”, con ricette veloci destinate a saziare l’appetito anche quando il tempo a disposizione è troppo poco. Per iniziare bene la giornata o regalarsi una pausa diversa dal solito c’è “colazione & merenda”. Se, invece, si vogliono evitare brutte figure in occasioni un po’ speciali meglio consultare “il pranzo della domenica e delle feste” e seguire i giusti passi da fare per ottenere ottime lasagne “sicilian style”, involtini e torte insuperabili. Per gli amanti dell’aperitivo c’è anche l’alternativa: si chiama “fingerfood” e promette stuzzichini caldi e fragranti, possibilmente da abbinare al giusto vino.
Non resta altro che correre ai fornelli!

Emanuele Cioglia si racconta a ChronicaLibri

Silvia Notarangelo
ROMA“Asia non esiste”, l’ultimo lavoro di Emanuele Cioglia, pubblicato da Arkadia, è un romanzo che non dà respiro. Le scene si susseguono rapide, le vittime si presentano e poi scompaiono all’improvviso, portate via da un male oscuro, inarrestabile e letale. Su tutto e tutti vigila lo sguardo, solo apparentemente distratto, del commissario Libero Solinas. Sarà lui, ancora una volta, a risolvere il caso con qualche grattacapo di troppo. Una storia sconvolgente, che emerge a poco a poco, con tutta la sua forza, grazie all’abilità dello scrittore che non lascia nulla al caso, compreso quel pizzico di buon senso finale, inaspettato quanto ragionevolmente comprensibile. ChronicaLibri ha intervistato l’autore.

Emanuele Cioglia, di professione fotografo. Come nasce la sua passione per la scrittura?

Affonda le radici dai primi confronti con la mia immaginazione. Da quando, in età prescolare, prendevo i fumetti di Topolino e gli eroi Marvel (v) –già diffusissimi negli anni ’70 – e mi inventavo le storie basandomi sulle illustrazioni. Eccola forse già delineata la fonte, l’origine del mio narrare partendo dalle immagini. In effetti, come discorreva Calvino nelle Lezioni Americane, basta osservare una striscia di vignette, le espressioni di un Paperino, per inventarsi dei racconti, innumerevoli, con inizi e finali molteplici, tanto più assurdi e inverosimili quanto più divertenti agli occhi dei bambini. Questa sensibilità per immagini, paradossalmente, diminuisce proprio quando ti danno gli strumenti per esprimerla. Cioè con l’insegnamento, che, purtroppo, a volte, coincide con una scolarizzazione che tendenzialmente uccide la fantasia. La fotografia e le lettere io le respiravo sin da bambino, essendo mio padre insegnante di Italiano e fotoreporter appassionato.

Come si è accostato al romanzo giallo e che cosa, secondo lei, ha in più rispetto agli altri generi narrativi?

Sono sempre stato un lettore onnivoro. Però costantemente a caccia della qualità letteraria, che per me coincide nella capacità di emozionare, indurre al pensiero, alla riflessione, trasportarmi nel mondo dell’autore come se quel mondo di pagine avesse tre dimensioni, quattro sensi, e anche una quintessenza. La lettura è un momento di meditazione, di conoscenza e di evasione, l’approccio al giallo/noir credo sia nato in me nelle fasi evasive. Ma siccome non sono mai riuscito ad evadere totalmente, forse per un senso di responsabilità innato nel mio carattere, eccomi a scrivere romanzi in cui distrazione e impegno ballano insieme un tango un po’ folle. Le origini della mia cultura di genere giallo risalgono al padre di tutti gli scrittori di thriller: Edgar Allan Poe. Il quale davvero sapeva generare suspance, trascinando in atmosfere oniriche gemmate dalle paure ancestrali comuni ad ogni individuo. Forse lui mi ha insegnato cosa significhi inoltrarsi nel gorgo-ingorgo della mente umana, dandomi lo stimolo per lasciare fluttuare la mia penna nei voli irrazionali, e nevrastenici, della perdita di controllo, della pazzia momentanea o definitiva. Conan Doyle invece rappresenta il contrappeso, il mio padrino letterario razionalizzante. M’aiutò ad ordinare le trame e, soprattutto, insegnarmi che: “Una volta eliminato l’impossibile, quello che resta, per improbabile che sia, dev’essere la verità“.
Ma per delineare anime e personaggi, tra le mie letture giovanili, non potevano mancare Dostoevskij, Gogol, Ceckov, Kafka, Zola e Ugo. Accostandomi ad autori più moderni devo certamente qualche suggestione anche a Carlo Emilio Gadda, Manuel Vasquez Montalban, e mi ha divertito lo stile comico di Sepulveda in Diario di un killer sentimentale. Il Montalbano di Camilleri, che lanciando, o rilanciando, uno stile di detective antinomico rispetto agli stereotipi imperanti, portando alla ribalta europea un personaggio sulla carta molto regionalistico, m’ha dato davvero uno stimolo creativo, facendomi comprendere quanto fosse fattibile attingere da realtà, culture, e luoghi, diversi dalle solite “location”, per inventare gialli in realtà più forti e originali di quelli standardizzati. Sono contro l’inscatolamento dei romanzi in generi letterari. Tuttavia credo che il giallo possa contenerli un po’ tutti. Ha certamente un’arma importantissima: il potere-dovere di narrare fatti inconsueti, che rompono la monotonia, che distraggono dalla routine. Questo però non basta, credo che una cifra narrativa affascinante, un modo di esprimersi accattivante, sia indispensabile a generare interesse nel lettore.

Ha un modello di riferimento quando scrive?

Direi di no. L’unico mio obiettivo e raccontare storie mettendo insieme paragrafi e capitoli che mi intrighino, partendo dalla constatazione, di poter intrigare lettori affini ai miei gusti, quindi, naturalmente, non pretendo di piacere a tutti. Certamente, e scivoliamo anche nella domanda successiva, in parecchie descrizioni m’immagino Solinas come una specie di Chinaski di Charles Bukoswki, un personaggio in perenne conflitto con tutti e ovviamente anche con se stesso, uno che vive la vita sempre all’opposizione, ma al quale, suo malgrado, spesse volte tocca andare a governare, nonostante l’indole anarchica.

Il commissario Libero Solinas, protagonista dei suoi ultimi romanzi, è rude, scorbutico eppure suscita immediata simpatia proprio per quei suoi modi di fare un po’discutibili e per quelle sue debolezze cui non intende rinunciare. Si è ispirato a qualcuno per il suo personaggio?

Solinas è rude, scorbutico, cinico, indolente, irascibile, nevrastenico, pigro, e fa quasi tutto controvoglia. Naturalmente è la sua imperfezione a renderlo simpatico. A differenza del succitato Chinaski, l’alterego letterario di Bukowski, Libero è meno categorico, non si compiace del suo caratteraccio, qualche volta prova perfino a correggerlo, e la sua misoginia è solo apparente, infondo non detesta le donne, non riesce a vederle come prede, anzi quasi non le vede, però le invidia. Rispetto a Montalbano è molto più incasinato, insicuro, ma anche i suoi casi sono più ‘cosmici’, quasi metafisici, pur rimanendo fortissimamente terreni e carnali. La mia ispirazione a tratteggiare Libero non deriva solo dalle letture, ma anche dal vissuto; nei bar di Cagliari degli anni ’70 e dei primi anni ’80 -spesso delle autentiche mescite di birra Ichnusa- potevi spesso imbatterti in personaggi alla Solinas, solo che di sicuro non facevano i commissari di polizia …

Leggendo il suo ultimo lavoro, “Asia non esiste”, ho pensato: come si riescono a tenere insieme i fili di una storia tanto complessa, così ricca di personaggi e di situazioni, senza commettere l’errore di risultare ripetitivi e prolissi?

Non è semplice, il segreto è l’esercizio. Conoscere quello che si scrive in forma quasi maniacale. Ripercorrere e riscrivere il lavoro sino al limite del conato. Essenzialmente mi confronto con trame complesse perché a mio modo sono complesso, apprezzo la semplicità ma detesto la superficialità … purtroppo ne vedo tantissima intorno a me. Essere complicati ha ovviamente le sue controindicazioni, quasi mai, sia nella vita che nella scrittura, arrivo a soluzioni seguendo la strada maestra.

La scelta di ambientare le avventure di Solinas nella sua terra, la Sardegna, è solo una casualità, legata ad una inevitabile familiarità con i luoghi, o è una scelta dettata da altro?

La consuetudine a dei luoghi e a delle atmosfere mi ha aiutato ad avere in Sardegna un ‘glossario di idee’ più vasto che altrove. Però sono fermamente convinto che Cagliari abbia una connotazione letteraria. Né troppo piccola, né troppo grande. Fatta di ghirigori barocchi, di balconcini spagnoli, ma anche di squadrate torri pisane, di angoli perennemente umidi di urina, di palazzi scrostati e di ville liberty, di edilizia popolare e di villette a schiera. Antica e orrendamente moderna insieme. Capace di frastornarti a folate di maestrale ma anche di scioglierti in un riverbero d’afa insostenibile. Un posto dove le relazioni umane si diradano come in tutti i grandi centri, dove la disoccupazione e la povertà si affrontano tenendo tutto dentro, senza clamori, senza esternare, quasi con rassegnazione, amplificando angosce e nequizie, un luogo dove per ribellarsi, per far traboccare la fatidica goccia, bisogna esplodere sibilando come una pentola a pressione.

L’attenzione ai particolari, alle sfumature, alle descrizioni è, sicuramente, uno dei punti di forza del suo stile. Quanto l’amore per la fotografia influisce sulle sue scelte stilistiche?

Diciamo che io per natura sono un introspettivo, la fotografia può renderti ancora più chiuso e visionario ma darti anche lo sguardo sul mondo, l’estroversione; il vero fotografo sa che occorre ordine compositivo, bisogna sezionare, catturare rettangoli di realtà, essere capaci di riempirli d’aspetti interessanti, possibilmente artistici, quelli che costituiscono il modo descrittivo della narrazione. Quando scrivo cerco di mettermi nei panni del lettore, oggigiorno molti romanzi sono impostati come sceneggiature. Tralasciano gli aspetti descrittivi, le sfumature, sacrificandoli al cosiddetto ritmo. Io penso invece che occorra -pur mantenendo degli equilibri tra rapidità e descrizione- orientare il lettore, guidarlo, renderlo partecipe delle atmosfere, senza tempestarlo di effluvi di minuziosità petulante, ma neanche lasciandolo orfano di ogni mappatura letteraria, solo in una stanza spoglia fatta soltanto di azione, dimenticandosi che un romanzo non può essere un sottotitolo ad un film che nessuno sta proiettando.

Può rivelarci se è già al lavoro per una nuova avventura del commissario o ha in cantiere qualche nuovo progetto?

Posso rivelarvi che sto lavorando a un nuovo Solinas, ma questa volta, guarda caso, il suo antagonista è un fotografo, almeno lo è all’inizio. Il suo mondo fotografico lo porta ad un’accumulazione di pixel, ad una pletora di inquadrature che lo assalgono appropriandosi di lui, o forse è lui a metabolizzarle ed espellerle con violenza … Una storia basata sul concetto di doppio, che diventa triplo e proiezione geometrica, partendo da un comportamento bipolare che travalica in metamorfosi psichica e fisica, nonché in una proliferazione di personalità incontrollabile e incontrollata. Una storia un po’ pirandelliana, un Uno, nessuno e centomila romanzato e reinterpretato nell’era della tecnologia.

Le infinite possibilità della vita ne “Il latte versato”


Silvia Notarangelo

ROMA– “Nulla è più vero di una storia inventata”. Con queste parole, Cristiana Bullita si congeda dai lettori al termine del suo nuovo romanzo “Il latte versato” (DEd’A Edizioni). Ed ha ragione. Perché ci sarà anche una buona dose di immaginazione, ma le vicende che descrive non solo sono saldamente ancorate alla realtà, ma la rappresentano senza filtri, così com’è, nei suoi momenti più e meno piacevoli.
Con sensibilità, umorismo e, a tratti, una vena di malinconia, l’autrice delinea il ritratto accorto e delicato di quattro amiche non più giovanissime, consapevoli di un vissuto che non si può cambiare, ma decise a credere nella vita e nelle sue imprevedibili possibilità.
Chiara, Carla, Angela e Francesca sono quattro donne cinquantenni, legate da una profonda amicizia. Hanno personalità diverse, hanno affrontato esperienze diverse, rivelano un modo diverso di approcciarsi alla vita. Eppure, in loro, si avverte una profonda, comune inquietudine che le rende precarie, in bilico tra il desiderio di andare avanti, di proiettarsi nel futuro, e un passato, talvolta doloroso, che continua a farsi sentire sotto forma di ricordi e di rimpianti.
Ma c’è qualcosa, di ancora più forte, che le accomuna: l’amore, in tutte le sue sfaccettature. Per Chiara, insegnante di storia e filosofia, è un sentimento, mai sopito, per quel suo compagno delle elementari, tale Franco Ruscitelli, la cui ricerca forsennata continua a scandire le sue giornate. Per Francesca, scottata da una precoce relazione finita male, si trasforma in passione, una passione estraniante che la fa “vivere al di fuori del recinto angusto della ragione”. Nell’esistenza di Angela, all’amore inconsolabile per una vita stroncata si unisce un’inarrestabile voglia di riscatto, un desiderio disperato che, non soddisfatto, rischia di farla scivolare in un abisso sempre più profondo. È un sentimento platonico, ma vibrante e adrenalinico, quello di cui non riesce a fare a meno Carla, talmente stordita dal vortice delle emozioni da non rendersi conto che qualcosa non va.
Nell’arco di una giornata apparentemente come tante altre, le quattro protagoniste avranno modo di fare i conti con se stesse, con le proprie debolezze e i propri errori, con un passato che sembra offrire una nuova, inaspettata opportunità, ed un presente che riserva, invece, spiacevoli quanto prevedibili sorprese.

Consigli e gustose ricette in “Verdura e frutta esotica”


Silvia Notarangelo
ROMA – Cos’è il gombo? Il rocoto come si usa? La chutney con cosa la accompagno? Domande legittime in presenza di nomi, forse, ai più, sconosciuti. A questi interrogativi e a tante altre curiosità risponde, con dovizia di particolari, Roberta Ferraris, autrice di un’interessante ed insolita guida dal titolo “verdura e frutta esotica” (Terre di Mezzo). Non semplici schede in ordine alfabetico: di ogni ingrediente viene ricostruita la storia, la diffusione, le sue varietà e gli usi più comuni.
Una guida pratica, arricchita da sessanta gustose ricette, per conoscere e imparare a cucinare la verdura e la frutta esotica che sempre più affollano le bancarelle dei mercati.
Nelle minestre o nelle grigliate, nelle salse o nei dolci, tutti gli ingredienti citati sono preziosi per conferire alla nostra cucina un tocco in più.
La scelta è ampia. Dai palitos de yuca si passa al riso con pak choi o, per chi preferisce un piatto unico, si può optare per il gumbo di gamberetti, uno stufato di carni bianche con molluschi e crostacei. Come secondo, petto di pollo ai litchi o branzino al latte di cocco e, per finire, platano al miele e cannella. Le alternative, davvero, non mancano.
Difficoltà nel reperimento degli ingredienti? Nessun problema. Roberta Ferraris suggerisce anche una serie di utili indirizzi per una spesa esotica doc, senza dimenticare le opportunità offerte dal web.
Un libro originale e piacevole, per tutti i cuochi curiosi, per chi ha assaggiato un piatto insolito in vacanza e vorrebbe riprodurlo a casa, per chi ha voglia di rendere internazionale il suo orto, o semplicemente, per chi ama mangiare e vuole misurarsi con sapori inediti.