"Italia Buon Paese", Clara e Gigi Padovani fanno un regalo all’Italia: ne raccontano la storia culinaria

Giulia Siena 

ROMA “Non solo una storia sociale della gastronomia nell’Italia unita, ma anche uno sguardo curioso e documentato sulla nostra memoria culinaria.” È questo lo scopo di Clara e Gigi Padovani in “Italia Buon Paese. Gusti, cibi e bevande in 150 anni di storia”. Il libro, pubblicato da Blu Edizioni, è un vero e proprio prontuario che percorre la storia d’Italia attraverso le tradizioni agroalimentari, le innovazioni culinarie e le ricette simbolo di ogni decenni trascorso. Mentre si cercava di dare unitarietà a una Nazione spossata dalle forti diversità linguistiche, culturali e sociali, l’Italia si è costruita a tavola. Sicuramente sono state e sono tante le differenze alimentari di ogni regione, ma la pasta, le conserve, i ristoranti e i grandi marchi sono quelli che poco a poco hanno creato la grande cucina degli ultimi tempi. Infatti, “negli anni Duemila, il crescente successo della cucina ha affiancato il primato della moda e del design di fine Novecento.” Ed è in quest’ultimo periodo – dalla fine degli anni Novanta –  che l’Italia, da Paese della buona cucina, è diventata la Nazione delle certificazioni alimentari di qualità: DOC, DOCG, IGP, DOP sono oggi sinonimo di innovazione, cultura e qualità. Ma il lavoro di “unificazione” alimentare è stato costruito sinergicamente sia negli anni di stenti che in quelli di crescita economica. Sicuramente, i primi anni della neonata Nazione furono i più difficili, ma con il tempo e con la diffusione dei mezzi di comunicazione, l’unificazione a tavola è stata quella più efficace. Infatti, con il boom economico negli anni Sessanta del Novecento arrivarono le pubblicità e i grandi marchi alimentari poterono puntare su una larga diffusione dei propri prodotti: Cinzano, Barilla, Cirio, Lavazza, San Pellegrino e molti altri divennero la prova della piccola “globalizzazione” all’italiana. Inoltre, i professionisti dell’arte culinaria furono  importanti per la diffusione e la crescita della cucina come “arte”; tra questi gli autori fanno un excursus ricordando Amedeo Pettini (capocuoco del Re e definito dagli autori chefstar ante litteram), Giovanni Vialardi (pasticciere della casa reale), Pellegrino Artusi, Nino Bergese, Peppino Cantarelli, Guido Alciati, Angelo Paracucchi, Gianluigi Morini, Gualtiero Marchesi, Ezio Santin, Alfonso Iaccarino e Mauro Uliassi. 
Così l'”Italia Buon Paese” festeggia i 150 di Unità nazionale partendo dalle tavole grazie alle quali la storia si è costruita e tramandata.

"Alias MM" Cent’anni d’Italia

Marianna Abbate
ROMA In questo periodo di festeggiamenti per l’Anniversario italiano è un piacere trovare tra le novità editoriali piccoli gioielli di letteratura sul nostro Paese. Il libro di Pino Sassano “Alias MM” edito da L’infinito è sicuramente tra questi. Racconta le complesse vicende generazionali di una famiglia del Sud tra il 1860 e il 1966, mostrando con maestria i cambiamenti sociali e politici di un paese in fieri. 
Se Gabriel Garcia Marquez ci ha presentato “Cent’anni di solitudine”, quelli di Sassano sono cent’anni in compagnia, dove anche le peggiori difficoltà vengono affrontate con spirito e desiderio di rivincita.
Il capostipite della famiglia si trova alle prese con gli intrighi politici di uno stato ancora da formare, con tutte le sue lacune di potere e una malavita da sempre organizzata. Suo figlio Giovanni si vedrà affrontare una realtà diversa ma altrettanto complessa: cercherà di cavalcare l’onda dello sviluppo industriale in un’inedita Bell’Epoque napoletana. La nipote Milly, a sua volta, calcherà i palcoscenici del varietà, fino a che, travolta da inaspettati rivolgimenti politici del Ventennio, non sarà costretta ad emigrare in America.
Fino ad arrivare ad Alias MM il nipote omonimo del capostipite, Mario Mignone, al quale il nonno stesso, in punto di morte, racconterà la sua storia.
Un libro piacevole, appassionante. Per ricordarci chi siamo e da dove veniamo- senza dimenticare dove stiamo andando.

"Casa nostra": sintomatologia d’un paese sofferto.

Giulio Gasperini

ROMA – Sottotitolo: Viaggio nei misteri d’Italia. Niente più Italienische Reise, niente più Grand Tour. Adesso il viaggio, in Italia, non si compie più da una meraviglia all’altra, da uno splendore all’altro, da un gioiello all’altro; l’Italia si percorre da un mistero all’altro: che poi di mistero non ci rimane più niente, perché anche del sommerso tutti sospettano tutto. Camilla Cederna ci fa consapevoli, con la sua raffinata ironia, che tutto ci riguarda, perché tutto è “Casa nostra” (Mondadori, 1983), in quest’Italietta che si dibatte, a poco più d’un secolo dalla proclamazione della sua Unità, tra il secondo boom economico (quello illusorio, dei primi anni ’80) e le strategie (e le tattiche) di quotidiana sopravvivenza. In realtà, mano a mano che l’indagine della grande giornalista si sposta verso il meridione d’Italia, capiamo che si tratta di un libro sulle mafie, una sorta di prodromo del più attuale Gomorra.

Perché la mafia, in ogni sua forma, è storia antica, per l’Italia: una storia anche di folklore, di calore (e colore) umano, persino con qualche risvolto grottesco (perché comico, ahimé, non si può dire).
Quanto costò farne l’Unità, dell’Italia? Quali conseguenze comportò? Quali furono le soluzioni adottate per superare gli ostacoli? La Cederna, con la sua scrittura incalzante di ragionamenti serrati e disarmanti, considera la delicata situazione del sommerso, del parastatale, dello statale che si infetta, dei legami oscuri che si instaurano tra chi approfitta e chi viene sfruttato, tra chi ha i soldi e chi ne ha bisogno, tra chi comanda e chi esegue.
Quello della Cederna diventa un vero e proprio catalogo di morti, di crimini, di cadaveri: un flusso inarrestabile di sangue che non conosce dighe né argini, che si infiltra distruggendo ogni parvenza di legalità, di norma, di sicurezza. La Cederna indaga, creando un giornalismo d’inchiesta che è anche elegante prosa, raffinata costruzione verbale e periodica. Ma l’argomento, per gli italiani, è vecchio come il mondo, la questione dibattuta infinite volte e mai giunta a una conclusione. Perché l’omertà, la reticenza, la diserzione, la latitanza (di uomini e istituzioni) sono atteggiamenti che ci han sempre caratterizzato, anche oltre quel lontano 1848, anno così cruciale e determinante per le vite di coloro che saranno chiamati, a tutti gli effetti, in ogni documento e ogni legge, “italiani”.

"Garibaldi fu sfruttato": dove sta il vero personaggio?

Giulio Gasperini

ROMA – Garibaldi è stato sulla bocca di tutti: ciascuno di noi avrà pronunciato il suo nome milioni di volte, nelle più disparate occasioni, persino modulato in un canto popolare (onestamente, un po’ irriverente e bruttino), quello che fa “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…” Garibaldi è ovunque, intorno a noi: teatri, cinema, vie, larghi, piazze, busti e controbusti, targhe commemorative, lungomari e lungolaghi. Tutti, confusamente, ne conosciamo finanche la vita: la sua voglia di combattere, il suo essere sempre in terre di scontri, il suo aver persino guerreggiato in una guerra nell’altro emisfero terrestre. Ma quanti, in realtà, lo conoscono sul serio? Quanti conoscono lui e il suo pensiero?
L’agevole “saggio pop” pubblicato dalle effequ, “Garibaldi fu sfruttato” è un interessante chiave – direi propedeutica – per avvicinarsi a capire chi fu, veramente, l’eroe-dei-due-mondi, nato in una terra che da italiana diventò francese (e da qui, si narra, la sua avversione per Cavour).

, dottore di ricerca in Pensiero politico e comunicazione nella storia, già autrice di interessanti saggi, ha schematizzato, in chiave appunto “pop”, non tanto la figura del condottiero stesso, presentandocelo (grazie anche a un attento e puntale apparato di note) attraverso la sua vita e le sue imprese leggendarie, ma calibrandolo nelle vari riletture (e nell’abuso) che della sua figura furono fornite da qualsiasi partito o corrente politica, da qualsiasi teorico o politico della storia dell’Italia contemporanea. Garibaldi fu il condottiero amante della guerra che si cercò di presentare per giustificare la politica d’inverventismo nel 1914 o fu il Garibaldi delle Brigate che parteciparono alla Guerra di Spagna contro Franco e gli eserciti fascisti? Fu il Garibaldi amante della terra che, con le proprie mani, fece dar frutto alla pietraia solitaria di Caprera o fu il Garibaldi latin lover, anzitempo vitellone, che faceva cadere ai suoi piedi, come pere cotte, tutte le donne che incontrava (qualcuna finanche spingendola ad abbracciare la sua causa guerriera e a partecipare attivamente alle sue azioni)? L’argomento è stato sviscerato in pagine e pagine rilegate e pressate, in fiumi d’inchiostro e di ipotesi, in stravaganze di teorie.
Ma un dubbio permane, al di là di tutto. Ovvero che Garibaldi fosse, in definitiva, soltanto un uomo; un uomo con le sue idee (travisate) e coi suoi caratteri (ignorati). Un uomo che, con assoluta certezza, credé in qualcosa: e par essere questo un sufficiente merito.

Patrizia Laurano 

"Il Grande libro della Costituzione Italiana", dodici lingue per una legge uguale per tutti

Giulia Siena
Roma“Democrazia. Casa di tutti: una grande casa, la nostra casa, non soltanto la mia, dove ciascuno sta, ma non da solo, dove si vive in buona compagnia. Non una reggia dove il re comanda, o una caverna senza una ragione: ma una casa di gente che sceglie tra le cose cattive e quelle buone. Una gran casa dove ci si parla, aperta a nuove idee e a nuovi amici, dove si impara a diventare liberi, dove si prova a essere felici.” I valori della Costutizione italiana vengono raccontati ai bambini della penisola e non attraverso le parole di Roberto Piumini e le illustrazioni di Emanuele Luzzati ne “Il Grande libro della Costituzione Italiana” pubblicato da Sonda.

Con l’introduzione di Carlo Azeglio Ciampi, il patrocinio della Presidenza della Corte costituzionale e quello della Presidenza del Consiglio dei Ministri, questo libro individua delle parole chiave – dalla democrazia alla pace, dal lavoro all’ambiente, uguaglianza, diritti umani, accoglienza dello straniero fino al dialogo tra le religioni – per spiegare ai bambini come la Costituzione può essere vicina ai cittadini di qualsiasi provenienza. Perché, come scrive Carlo Azeglio Ciampi nell’introduzione all’opera, “Ogni giorno di più impariamo quanto i principi di concordia e fratellanza, posti a fondamento della nostra Costituzione, siano essenziali per poter garantire convivenza e pace duratura fra i popoli.”
La prima parte del libro è dedicata alla spiegazione degli articoli della carta costituzionale in dodici lingue (italiano, albanese, arabo, cinese, ebraico, francese, inglese, portoghese, rumeno, russo, spagnolo e tedesco) con immagini che richiamano le tematiche e rendono colorato il modo di apprendere. Oltre che da tavole illustrate, le tematiche del libro sono divise da “citazioni” che ripropongono i temi basilari sui quali si fonda la nostra Nazione. Un modo divertente, intelligente e coinvolgente per sdoganare la Costituzione dai palazzi del potere e renderla interattiva (nell’ultima parte del libro viene dato ampio spazio a giochi, approfondimenti e suggerimenti didattici).

"Il prato in fondo al mare": il ‘cold case’ della morte di Ippolito Nievo

Giulio Gasperini
ROMA – Giorni famosi, eran quelli. Giorni di febbricitante esaltazione, di tremori, di rischi corsi ma affrontati col coraggio di chi sa che, per suo merito, i suoi figli avranno qualcosa di cui esser grati. Un giovane, dal destino furioso, dal carattere ombroso e schivo, scelse la letteratura come arma di riscatto e di educazione, di coinvolgimento e di speranza: si chiamava Ippolito Nievo. Scrisse molto, nella sua vita: poesie, drammi, novelle. Ma il suo nome splenderà solo con la pubblicazione, postuma ben s’intende, delle Confessioni di un italiano, colossale romanzo scritto in breve tempo, quasi di getto, e così sfacciatamente patriottico fin già dal titolo.
Il pronipote Stanislao, in “Un prato in fondo al mare” (Mondadori, 1974), dopo più di un secolo, provocatoriamente, torna a discutere e a parlare della fine, misteriosa quanto crudele, del suo antenato. La morte d’Ippolito sarebbe, nella nostra epoca di serial televisivi, un cold case, un caso mai chiuso perché mai affrontato concretamente. Quanto mistero, quale potente ombra d’omertà si allunga sulla morte di quest’uomo – giovane uomo – che si era unito alle truppe garibaldine: perché, come tutti i grandi uomini, capì che la letteratura non poteva essere disgiunta dall’azione, dalla responsabilità del fare attivo, del fare pratico.

Il 5 maggio 1860 salpò da Quarto, a bordo del Lombardo, e addirittura Garibaldi, tempo dopo, gli affidò la viceintendenza generale della spedizione.
Difese a tal punto l’amministrazione garibaldina che si recò a Palermo, nel 1861, per raccogliere la documentazione necessaria per smentire una campagna diffamatoria. Il 4 marzo si imbarcò a Palermo, lui che non amava il mare, a bordo del vapore Ercole. Ed è da qui che comincia il mistero: un mistero su cui Stanislao cercò di portare un po’ di luce, un minimo di chiarezza. Cosa accadde alla nave? Perché non venne soccorsa durante un’improvvisa tempesta? Cosa videro effettivamente due navi che si trovavano a navigare sulle stesse rotte dell’Ercole? Chi fu la misteriosa figura del marinaio sopravvissuto a un naufragio, trovato su una spiaggia, ricoverato in un ospedale di Napoli e poi misteriosamente scomparso? Fu una bomba a distruggere la nave (gli attentati “statalmente” e “istituzionalmente” riconosciuti e approvati esistevan già a quel tempo) o fu solo colpa d’un caso avverso? C’era chi non desiderava che Ippolito arrivasse coi suoi documenti e con la sua verità o fu effettivamente solo una triste coincidenza di fattori naturali?
Era partito da Palermo, Ippolito, con destinazione Napoli; del mare aveva paura, ma era pieno d’ardore giovanile, di ideali e di utopie: di tutti quei particolari di cui si nutron i giovani. A Napoli, però, non arrivò mai. Né il relitto fu mai trovato, sepolto per sempre sotto metri di mare e presunti silenzi di omertà.

"Risorgimento… Da tante italie a una Italia", 150 anni di storia per bambini

ROMA “Risorgimento… Da tante italie a una Italia” pubblicato da Talmus-Art, è il libro di Vincenza Musardo Talò rivolto a tutti i ragazzi. Abbiamo scelto questa lettura per ricordare i 150 anni dell’Unità d’Italia nella nostra rubrica Leggendo Crescendo. Questo agile volume – che si impianta su quaranta minitemi di storia dell’Unità – offre un panorama ampio e diversificato di quel che è stato il Risorgimento, senza dover seguire un percorso obbligato di lettura. Ogni pagina può essere la prima o l’ultima da leggere, ogni pagina è un pezzo accattivante di Storia che si apre e si chiude, con una raffigurazione a colori, opera unica di artisti contemporanei, che hanno ideato quasi una storia per immagini.


È così che gli ideali e i valori, i protagonisti e gli eventi dell’Unità, accompagnano il lettore nel fascinoso e suggestivo viaggio nel tempo, partendo dal Congresso di Vienna, per giungere alla proclamazione di Roma, capitale d’Italia. Questo lavoro è un dono a ogni italiano, per accostarsi alla conoscenza delle più belle testimonianze del Risorgimento, il cui fine ultimo fu quello di far nascere, in noi italiani, la coscienza nazionale e il nobile sentimento della italianità.

"Sincopato tricolore": come i ritmi afroamericani riuscirono a conquistare il paese del melodramma.

Alessia Sità

ROMA – Anche questa settimana ChronicaLibri dedica una lettura per ricordare i ‘150 anni dell’Unità d’Italia’ e lo fa con Sincopato tricolore. C’era una volta il jazz italiano 1900-1960’ di Guido Michelone, edito da Effequ, nella collana Saggi pop.
In poco più di cento pagine è condensata la storia della musica e del costume italiano; in modo particolare, ci si sofferma sull’arrivo del Jazz, che da New Orleans giunge anche in Italia, e sulle novità da esso portate gradualmente in tutta Europa.
L’autore sonda gli anni pionieristici del cosiddetto ‘ritmo sincopato’, quando inizialmente venne accolto con molto stupore dal pubblico borghese, poi esaltato dalle avanguardie futuriste, in seguito censurato e additato come ‘selvaggio e negroide’ dal regime fascista e, infine, portato alle stelle con la Liberazione. Il tutto arricchito dalle interviste inedite a tre musicisti, che hanno lasciato un segno indelebile sulla scena jazzistica: Lino Patruno, Franco Cerri e Giorgio Gaslini.

‘Insomma, ciò che potrebbe definirsi sincopato tricolore simboleggia via via la pruriginosa curiosità della belle époque verso i suoni esotici (…)’.
Guido Michelone ci regala un piacevole documento che racconta gli anni del miracolo economico, attraverso la storia della musica, dei gruppi, delle orchestre, dei solisti e dei locali più chic dell’epoca.
Sincopato tricolore’ è un manuale essenziale che ci racconta, attraverso una bibliografia e una discografia dettagliata, come i ritmi afroamericani riuscirono a conquistare anche il paese dei melodrammi.

150 anni di Libri d’Italia: Chi non ha amato "Cuore"?

Marianna Abbate
ROMALa recensione di oggi di “Cuore”, un classico della letteratura, non rientra solamente nella rubrica Vintage delle nostre letture, ma apre la sezione dei Libri per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Infatti, ogni settimana, ChronicaLibri vi parlerà di testi e personaggi che attraverso la letteratura hanno “costruito” il Risorgimento italiano. 

Chi non è stato in classe con un Nobis figlio di papà arrogante, un Derossi bello, bravo e studioso, un Garrone tanto grande quanto buono e generoso? Chi, infine, non si è sentito un po’ come Enrico Bottini – la voce narrante di “Cuore. Libro per ragazzi” (Treves 1886 – Mondadori 2001) – preso dai mille dilemmi quotidiani che ogni bambino deve affrontare, sconfiggendo le proprie debolezze? 

Ho letto questo libro da bambina e l’ho amato. Ho amato la Maestrina dalla Penna Rossa e quella Piccola Vedetta Lombarda che ha dato la vita per la Patria. Li ho ammirati, nella mia ingenuità, per la loro purezza e per il loro coraggio. Ho sognato di diventare come loro. Di lasciare una traccia nel cuore di chi resta. 
Recentemente ho scoperto, invece che Edmundo de Amicis, autore nel 1886 del libro “Cuore”, era un manipolatore. Che il suo romanzo doveva educare i nuovi bambini italiani, inculcando loro subdolamente le virtù civili. Ho letto commenti severi, come le parole di Benedetto Croce, che bollavano l’autore Non artista puro, ma scrittore moralista.
E poi ho riletto il libro.
Ho pianto di nuovo per il Nelli e per il Crossi, per il tamburino sardo e durante tutto l’interminabile viaggio dagli Appennini alle Ande. E ho pensato che le intenzioni dell’autore potevano pur essere sbagliate, ma non per questo il suo è un brutto libro. Che, in fin dei conti, non c’è nulla di male nelle virtù civili: l’amore per la patria, il rispetto per le autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio, l’eroismo, la carità, la pietà, l’obbedienza e la sopportazione delle difficoltà che si presentano nella vita di ogni giorno. Valori fin troppo attuali, che ormai sono sconosciuti a bambini e adulti, che andrebbero riesumati per riuscire a ricordare cosa significa la parola “Italia”.
E quindi armatevi di fazzoletti e andate a cercare nella Vostra biblioteca: c’è un libro che Vi aspetta con il Cuore.