I 10 Libri più venduti della settimana e i 10 Libri del 2014

10LIBRI chronicalibriROMA – Parlare di classifiche non ci entusiasma; guardare alle classifiche dei libri più venduti per scegliere un libro non è mai stato nella nostra natura. Ma le classifiche, si sa, dettano il mercato, e allora noi vi aggiorniamo. Nell’aggiornavi, oltre alla classifica dei 10 Libri più Venduti nella seconda settimana del 2014, vi segnaliamo 10 Libri che saranno in libreria nei prossimi mesi e che potrebbero cambiare, rinnovare e sconvolgere il panorama letterario di questo intero anno.

 

Nella classifica dei 10 Libri più Venduti di questa settimana (dal 6 al 13 gennaio 2014) troviamo libri di diverso genere e scrittori di diverso tipo: ottime voci della letteratura internazionale e personaggi della tv, scribacchini italiani e scrittori italiani, classici della letteratura per ragazzi e fantasy dal sapore cinematografico. Scegliete voi, scegliete anche – e soprattutto – fuori dalle classifiche.

1. “Gli sdraiati” di Michele Serra, Feltrinelli
2. “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” di Luis Sepùlveda, Guanda
2. “Splendore” di Margaret Mazzantini, Mondadori
4. “Diario di una schiappa. Guai in arrivo!” di Jeffrey Patrick Kinney, Il Castoro
5. “La strada verso casa” di Fabio Volo, Mondadori
6. “Il gioco di Ripper” di Isabel Allende, Feltrinelli
7. “E l’eco rispose” di Kaled Hosseini, Piemme
8. “Hunger Games” di Suzanne Collins, Mondadori
9. “L’oroscopo 2014” di Paolo Fox, Cairo Editore
10. “Hunger Games. Il canto della rivolta” di Sazanne Collins, Mondadori

 

I 10 Libri del 2014

1. “L’uomo di fiducia” di Herman Melville, tra pochi giorni in libreria pubblicato dalle Edizioni e/o
L’uomo di fiducia è il romanzo più oscuro, satirico e divertente di Melville: una critica feroce dell’ottimismo del sogno americano, una visione del mondo moderna e disincantata, e una commedia del travestimento dal profondo significato simbolico in cui niente è davvero come sembra. Pubblicato nel 1857, L’uomo di fiducia è l’ultima opera che Herman Melville diede alle stampe nella sua vita.

2.”Il cardellino” di Donna Tartt, in primavera per Rizzoli.
Il cardellino è l’animale raffigurato nel piccolo dipinto che viene affidato a Theo da uno dei prigionieri prima di morire. Questo tesoro sarà l’unica costante, il centro di gravità permanente nella vita deragliata di Theo, simbolo di un’innocenza impossibile da riscattare. E insieme miccia di una pulsione autodistruttiva destinata a tormentarlo per sempre. Tra i salotti dell’Upper East Side e la desolazione della periferia Las Vegas, tra amori impossibili e vizi inconfessabili, capolavori rubati e vertiginose fughe lungo i canali di Amsterdam.

3. “Il giardino dei dissidenti” di Jonathan Lethem, tra qualche mese in libreria per Bompiani
Il romanzo parla di due donne, Rose Zimmer, una comunista irriducibile e volubile che terrorizza il suo quartiere e la sua famiglia con la forza della sua personalità e l’assolutismo delle sue convinzioni; e sua figlia Miriam, americana anti-americana, ugualmente appassionata, impegnata a sfuggire alla soffocante influenza di Rose. All’inseguimento dei propri ideali, tutti lottano per rincorrere le proprie passioni e i propri sogni utopici in un’America in cui ogni forma di radicalismo è vista con perplessità, ostilità o indifferenza.

4. “Exit Strategy” di Walter Siti, in libreria da aprile per Rizzoli
Il protagonista del romanzo è Walter Siti, un uomo che ha deciso di abbandonare quella illusione di onnipotenza in cui si è cullato per trent’anni, e che dopo tante storie effimere si è adattato alla relazione “umana troppo umana” con un nuovo compagno. Per lui e per assumersi nuove responsabilità si è trasferito da Roma a Milano. A questo percorso personale fa da sfondo un contesto sociale che dimentica e perdona, impazzisce e rinsavisce.
5. “Racconti di una vita” di Nadine Gordimer, in libreria da marzo per Feltrinelli
Cinque decadi di racconti inediti in Italia, dal 1952 al 2007. Questo è “Racconti di una vita”, il nuovo libro attraverso il quale Gordimer disegna la geografia delle relazioni umane con un acume psicologico affilatissimo e una sorprendente mancanza di sentimentalismo. Il suo essere radicata a un momento politico, un luogo e una fede, non ha mai diminuito i suoi talenti come artista. La sua scrittura si mette così al servizio dell’umanità e diventa un memento potentissimo dell’agonia vissuta in Sudafrica e un estremo tentativo d’intervento umano fra due fazioni di una società che sembra disperatamente divisa.

6. “Voyeur. Romanzo per immagini” di Flavio Caroli, in libreria tra qualche giorno per Mondadori.
Per un fotografo lo sguardo è lo “strumento filosofico” per comprendere il mondo. L’eros e la bellezza, o viceversa l’orrore delle guerre (vissute in prima persona) dell’ultimo mezzo secolo, sembrano raccogliere il loro senso nella vita sempre essenziale delle forme in cui si manifestano le cose. Ma l’ultima verità , sul limite estremo dell’esistenza, porta bellezze e consapevolezze che lo sguardo non aveva saputo cogliere, interpretare e utilizzare.

7. “Nulla, solo la notte” di  John Williams, in libreria da febbraio per Fazi.
Questa è la storia di Arthur Maxley, giovane studente americano di San Francisco che si definisce un parassita. Siamo alla fine degli anni Quaranta e la vicenda si concentra in un’unica giornata del ragazzo, scandita da alcuni piccoli e grandi eventi. L’appuntamento con il padre, assente da anni per via di un lavoro che lo conduce in giro per il mondo e in quei giorni tornato in città, è un momento a cui Arthur si avvicina con grande emozione, incerto sul suo esito, ma d’altra parte carico di aspettative.

 8. “Nostalgia” di Eshkol Nevo, da febbraio in libreria per Neri Pozza
“Nostalgia” è il romanzo d’esordio con cui Eshkol Nevo si è fatto conoscere in tutto il mondo. Una storia profonda e poetica, e dal montaggio narrativo sorprendente, che dimostra come nessuno sia in grado di scandagliare l’animo umano e riflettere sul desiderio, sul passato e la ricerca del proprio posto nel mondo, come lo scrittore israeliano. La storia è quella di Noa e Amir, due studenti ebrei: lei studia fotografia a Gerusalemme, lui frequenta psicologia a Tel Aviv. Giovani e innamorati, decidono di andare a vivere insieme in un villaggio di nome Castel, situato a metà strada tra le due città, dove dal 1948 si è stabilita una comunità ebraica proveniente dal Kurdistan. Qui la coppia si lascia contagiare dal clima drammatico del luogo e solo quando ognuno di loro riuscirà a superare la nostalgia per un passato mai dimenticato, le loro vite torneranno ad avere un senso, e riprenderanno a muoversi, seppur in direzioni diverse.
9. “I fratelli Rico” di Georges Simenon, in libreria tra qualche giorno per Adelphi
Sono cresciuti nelle strade di Brooklyn, i tre fratelli Rico; e lì hanno cominciato, ciascuno a modo suo, a lavorare per l'” organizzazione “: Tony, il minore, si limita a guidare le macchine, Gino è diventato un killer e Eddie, il maggiore, un piccolo boss di provincia. Tutto procede come al solito ma il destino di Tony è segnato.

 

10. “Viole nere” di Tess Gallagher, in libreria da marzo per Einaudi
“Viole nere” è una raccolta che riunisce il meglio della produzione letteraria di Tess Gallagher e mostra il mondo da cui l’autrice trae ispirazione: la provincia del sud e del nord ovest degli Stati Uniti, quello in cui rappresentanti di cosmetici, redattori di giornali locali, insegnanti in pensione vedono stravolgersi le proprie esistenze per l’irrompere di una violenza o di una crisi. La Gallagher, moglie dello scrittore Raymond Carver, raggiunse la notorietà con “Spontaneamente”, una raccolta di poesie scritte per Carver.

 

 

 

 

 

La pace nel fiume

sidStefano Billi

ROMA – Alcuni sono convinti che esistano libri belli e libri brutti. O meglio, che alcuni libri siano più belli di altri. Come dar loro torto?

E’ innegabile che ci siano dei testi che sanno emozionare ogni uomo nel suo io più profondo, e che inoltre sappiano far aprire gli occhi al lettore. Perché l’individuo del nostro tempo spesso non vede, o vede male. E anche se osserva il mondo, spesso non lo capisce.

Ecco che allora la letteratura – quella che eleva lo spirito – diviene il faro che rischiarai giorni bui, il grimaldello che scardina la volgarità culturale che accompagna questo tempo di crisi di valori.

All’interno di quella letteratura, fulgido esempio è “Siddharta”, insostituibile romanzo di Herman Hesse, edito in Italia da Adelphi.

A voler dare una descrizione sommaria del libro, si potrebbe riassumerlo nella storia di un giovane indiano che fatica a trovare il senso della propria esistenza. Ma questa sarebbe davvero una descrizione sommaria, e sicuramente riduttiva.

“Siddharta” è qualcosa di più: è la narrazione dei profondi travagli interiori di un uomo, che scopre la fragilità della sua purezza giovanile, che sperimenta il dolore provocato dalla perdizione morale.

Adolescente in cerca del sapere profondo, il protagonista della vicenda – il cui nome rispecchia il titolo del racconto – lascia la casa del padre per diventare adulto, ma al passare degli anni non corrisponde una simultanea crescita della coscienza, e così Siddharta assaggia il sapore amarissimo del fallimento, della mancata realizzazione di quello che si sarebbe voluti essere.

Ma proprio sull’orlo del declino, il protagonista ritroverà se stesso, segno che il cammino verso la saggezza è lungo ma raggiungibile, al volenteroso che lo intraprende.

Herman Hesse crea così un romanzo indimenticabile, la cui lettura riesce a forgiare soprattutto gli animi dei giovani. Difatti, attraverso le pagine immortali di “Siddharta”, proprio i ragazzi possono capire tutto il disagio di chi ha smarrito se stesso, in cerca di un’emancipazione che poi si è rivelata soltanto un abbandono della propria purezza. E così “Siddharta” può educare il lettore a comprendere se stesso, ascoltando il rumore del fiume e del mondo, che poi è il senso della rinnovata meditazione del protagonista della storia. Allora davvero si fa chiaro come anche un barcaiolo, un umile personaggio fluviale, possa diventare un maestro che spinge alla profonda meditazione sul senso della vita.

Asciutto nei dettagli, ma chiarissimo nella sua scrittura, questo libro merita comunque di essere letto, a qualunque età, perché ha il grande merito di lasciare una sensazione di appagante serenità. Quella stessa letizia che è cardine delle filosofie orientali e in particolar modo della religione buddista, sottofondo di tutta la vita del protagonista.

“Siddharta” è uno di quei bei libri che andrebbero assolutamente letti, ed auspicabilmente riletti, come una tappa fondamentale nella vita di ogni uomo. Perché non ci si improvvisa adulti, né tantomeno si cresce solo dal punto di vista anagrafico. Proprio per questo Herman Hesse ha regalato all’umanità una storia di crescita interiore. Proprio per questo, tra le tante cianfrusaglie che circondano i vasi degli alberi di Natale, “Siddharta” può rappresentare il dono più straordinario che si possa ricevere.

"Lettere dall’Africa. 1914-1931": se l’Africa ti sceglie come suo figlio prediletto.

Giulio Gasperini
ROMA –
La sua è una delle grandi fiabe del ‘900; una delle più grandi storie di avventura e determinazione, di caparbietà e lungimiranza, resa ancor più celebre dalla trasposizione cinematografica e da una superba interpretazione, con Meryl Streep nei suoi “ingombranti” panni.

Tutti noi sappiamo che Karen Blixen scrisse della sua attività imprenditoriale in Kenya nel suo spietatamente autobiografico Out of Africa, con quel magnifico e folgorante inizio: I had a farm in Africa, at the foot of the Ngong Hills. Avevo una fattoria in Africa, ai piedi delle colline Ngong. Forse pochi altri sanno, però, che il materiale più genuinamente autobiografico e crudelmente intimo e personale si trova in abbondanza nel corpus delle “Lettere dall’Africa”, che in Danimarca, molti anni dopo la morte della scrittrice, fu riorganizzato e editato. In Italia è stata una grande casa editrice, dalla solida tradizione intellettuale, la Adelphi, a farsi carico della pubblicazione di questo materiale di non facile accesso; ma di una bellezza struggente, e di un’eccellente profondità intellettuale.

Karen arrivò in Africa nel 1914; ne ripartì, definitivamente, nel 1931, senza più tornarci: queste lettere, scritte soprattutto alla madre, Ingeborg, ma anche al fratello Thomas e alla zia Bessie, edificano un cammino di profonda indagine personale e, insieme, tessono il più intenso (e fors’anche inatteso, per una bianca del profondo nord d’Europa) canto d’amore per una terra, quella africana, non certo accogliente e premurosa coi suoi conquistatori e colonizzatori.
Le lettere che accompagnarono questo suo viaggio africano sono frementi di passione, di orgoglio del proprio vivere, anche quando trasudano il dolore e la sofferenza prodotti sia dalla gestione fallimentare dell’attività, sia dai tanti problemi fisici che straziarono la sua esistenza (prima fra tutti: la sifilide). C’è anche una motivata e solida critica al fenomeno del colonialismo: Karen accusa, senza maschere né timori reverenziali, l’uomo bianco di star estinguendo la vera Africa, appropriandosi delle terre degli “indigeni” e cancellando, con una presunzione immotivata e sregolata, le loro tradizioni nel nome di una, chissà perché, presunta superiorità culturale (come non trovare delle tangenze con le amare considerazioni della Cialente sul fenomeno del levantinismo, nell’Africa mediterranea?).
Karen Blixen s’è salvata, con la scrittura: si è riscattata da un destino contrario e incattivito. Il peso della disfatta non l’ha gravata: perché non di disfatta si trattò. Ma di una lunga pagina di vita, approdata alla consapevolezza d’esser stata, per l’Africa, uno dei suoi figli prediletti. Tanto che (ancora oggi) un intero quartiere di Nairobi è stato battezzato Karen, col suo indimenticato nome.

"La versione di Barney", dove l’affermazione della propria verità diviene biografia

Stefano Billi

Roma E’ difficile trascorrere buona parte della vita sentendosi definire un omicida, o per lo meno, trascinandosi dietro il sospetto altrui circa un’ignobile azione che non si è mai commesso. Emerge così quel bisogno, del tutto naturale, di raccontare la propria versione dei fatti, di dimostrare che, in fin dei conti, quei pregiudizi accumulatisi negli anni altro non erano che meschine illazioni. Magari, un siffatto tentativo di discolparsi può condurre al racconto della propria vita, per far conoscere che si è profondamente brave persone, e che pur con tutti i difetti immaginabili, mai si arriverebbe a privare un altro uomo della vita, per di più se quest’ultimo è un amico. Questa prolusione è l’essenza del libro “La versione di Barney”, creato dallo scrittore Mordecai Richler e pubblicato in Italia dall’editore Adelphi.
La storia di questo testo è tutta imperniata sulla biografia di Barney Panofsky, produttore televisivo ebreo che vive in Canada, il quale sente il bisogno di narrare la verità sulle vicende che lo hanno portato ad essere incriminato per l’omicidio del suo amico Boogey (accusa che poi sarà ritenuta infondata) poiché pur nonostante l’esito giudiziale del caso, c’è ancora chi lo ritiene colpevole.
L’autore ha costruito il testo come un racconto in prima persona da parte di Barney Panofsky, dove appunto il protagonista, pur intento a discolparsi per ciò che non ha mai commesso, si ritrova poi a mettere per iscritto tutti gli episodi più importanti della propria vita.
Mordecai Richler, nell’elaborare questo libro, utilizza una tecnica assolutamente straordinaria: tutta la narrazione avviene attraverso la tecnica del flashback, che però non è adoperata in maniera continua, ma piuttosto si struttura come un continuo salto tra il passato e il presente.
Per di più, l’intero romanzo è diviso in base ad una categorizzazione a dir poco geniale, quella cioè di scandire i periodi dell’esistenza del Panofsky a seconda delle sue frequentazioni sentimentali.
E così l’elemento femminile diventa la lancetta cronologica della storia; sono le donne che plasmano la vita di Barney e che la rendono curiosa e inaspettata.
Il tono utilizzato per animare la storia si contraddistingue per la sua costante leggerezza, e ciò è testimoniato dal fatto che ogni episodio raccontato dal protagonista viene esposto in maniera divertente e spensierata, senza mai lasciare che la tristezza o l’angoscia prendano il sopravvento. Come un sopraffino droghiere, il Richler mescola abilmente romanticismo e ilarità, spesso accompagnando le pagine con espressioni colorite e veraci, le quali d’altronde, se in prima battuta potrebbero urtare le coscienze più raffinate, in realtà si rivelano, con il trascorrere della lettura, quali semplici cadenze verbali di un personaggio, il Panofsky, certamente “politically uncorrect”.
Ma è proprio questa schiettezza di Barney a renderlo immediatamente vicino al lettore: infatti non si può non sorridere sui bizzarri dialoghi tra il protagonista e Clara Chernofsky (la prima moglie del produttore televisivo), così come non si può non lasciarsi andare alla commozione quando si scopre, riga dopo riga, l’epilogo della vicenda e la drammaticità della fine di un uomo dalla vita realmente imprevedibile.
“La versione di Barney” è un libro da leggere tutto d’un fiato, calandosi senza riserve in una storia che saprà sconvolgere ed emozionare: pagine preziose, quelle di Mordecai Richler, che strappano risate e lacrime anche nei lettori dalla “corteccia” dura.

Solcate l’avventura tra le pagine straordinarie di "Moby Dick"

Stefano Billi

Roma – La terraferma per l’uomo è essenziale, quasi quanto l’aria: tuttavia, anche l’acqua è un elemento indispensabile per l’essere umano, così come è indispensabile leggere, rileggere e leggere ancora “Moby Dick”, il più bel romanzo di Herman Melville.
Di sicuro, questo è uno dei libri più affascinanti che l’umanità abbia mai conosciuto; la sua bellezza si dipana anche attraverso la preziosa, attenta e poetica traduzione del testo realizzata da Cesare Pavese e pubblicata da Adelphi nel 1941.
Tra le pagine di quest’opera non si scandagliano solo le acque più profonde degli oceani, ma anche le emozioni più recondite dell’animo umano; ecco, nella navigazione ardua della vita serve proprio una “carta” per orientarsi tra tutte quelle sensazioni che scuotono l’Io di ogni individuo e così “Moby Dick” rappresenta – in maniera sublime – una stella polare per quel lettore intento a scoprire (come canta un eccentrico artista italiano) “come è profondo il mare”.
Ciò che tuttavia rende questo romanzo una pietra miliare della letteratura mondiale è la mirabile caratterizzazione dei personaggi.
Ad esempio, “Peep”, descritto come un pazzo tra i pazzi, si rivela piuttosto in talune occasioni un profeta tra gli stolti, perché quel suo distacco dalla realtà gli rende forse più nitida, rispetto agli altri, la trama oscura e terribile del destino che attende i marinai del Pecoq (ovvero il vascello adibito alla caccia della balena).
Poi c’è “Acab”, il capitano maledetto di questa storia, che cerca di riprendersi un orgoglio inghiottito da un cetaceo quasi sovrannaturale dotato di un perfido raziocinio che lo porterebbe, a detta dello stesso capitano, a pianificare meticolosamente gli attacchi all’equipaggio, quasi si trattasse di un’entità demoniaca.
Infine, tra tutte le figure generate dal genio di Melville, c’è Ismaele: avventuriero al contempo in cerca e in fuga da se stesso, imbarcato in un bastimento che, ahimè, è guidato da uno scellerato ed iracondo capitano la cui unica ragione di vita è la sete di vendetta, non solo verso la balena, ma anche nei confronti della natura.
In sottofondo all’opera, l’autore lascia lo spazio necessario a interessanti descrizioni sull’ambiente marinaresco dell’epoca o sui luoghi solcati dal Pecoq, ma soprattutto egli intesse profonde e sensibili considerazioni sulla condizione umana di fronte alla sconfitta, al dolore e alla perdita.
Tutto questo è poi certamente impreziosito dall’aura mistica di cui sono pervase le pagine, quasi non si stesse leggendo un romanzo d’avventura bensì un trattato religioso.
Naufragate nel dolce mare di questa lettura: sentirete soffiare un’indimenticabile brezza di passione tra le pieghe dell’anima.