“I ragazzi non piangono”: un tuffo nel passato a suon di rock nell’ultimo romanzo di Steve Tonna

Giorgia Sbuelz
ROMA
I ragazzi non piangono è il titolo dell’ultimo lavoro dell’autore Steve Tonna, pubblicato da Edizioni Progetto Cultura. I ragazzi in questione sono quelli che abitano la periferia romana al principio degli anni ’90, epoca intrisa di hit memorabili e pellicole entrate nella leggenda. Ci troviamo nel momento in cui le comunicazioni erano appese al filo di un telefono, i messaggi erano dei post-it sulla porta e ci si riuniva in comitive al bar di zona.

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“Io sono Bellaq”, un bambino contro la cecità del pregiudizio

Giulia Siena
PARMA
– Bellaq Mostaganem ha nove anni, vive in Francia e ha un solo problema: il suo nome. Bellaq è un nome come un altro, non ha nulla in particolare – penserete – e non ha famosi esponenti che portano a spasso orgogliosi questo nome. E’ vero, avete ragione, è un nome poco conosciuto e poco diffuso; alla sua nascita, i genitori del ragazzo, avevano optato per Bilal, poi, lì all’anagrafe, c’è stato un errore e il nome che ne è venuto fuori è proprio questo: Bellaq. Nessuno ha più fatto caso a questo nome fino ad oggi, quando degli uomini incappucciati scesi da un elicottero hanno fatto irruzione nella scuola Jean-Moulin.

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Arkadia: Valentina Di Cesare, il suo secondo romanzo è un’ottima prova narrativa

Giulia Siena
PARMA
“Solo un po’ di stanchezza negli occhi, lo sguardo inargentato di luna calante, il sorriso un battito in ritardo rispetto agli altri, e poi un’inquietudine lenta, serpentina, trasmessa dagli occhi alle ossa e al respiro, un’ondulazione iterata del pensiero, una specie di aritmia esistenziale”. Bartolo ascolta tutti. Lui c’è sempre, ma in quest’ultimo anno, in questi mesi, è successo qualcosa: i suoi occhi sono distanti, le sue spalle si chiudono arrese, il suo corpo si trascina stanco. Bartolo però non ne parla, lui è un ottimo ascoltatore ma è discreto, anche con i suoi amici. Non vuole dare preoccupazioni, non vuole esternare la sua decisione.

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Biancoenero: “Sibilla nel cappello”, l’avventura di un pesce-gatto

sibilla nel cappello_chronicalibriGiulia Siena
PARMA – “Un gatto d’acqua che si chiama Sibilla…?! Sì, è un paese di matti”. Sì, ora la giovane protagonista di Sibilla nel cappello, il nuovo libro di Luisa Mattia – illustrato da Andrea Mongia e pubblicato da biancoeneroedizioni – ne è certa; quello della nonna è un vero paese di matti e lei è imprigionata in quelle noiosissime stranezze. Lei, la ragazzina appena dodicenne è stata spedita dalla nonna, ex insegnante, per troscorrere le vacanze. Ma quali vacanze se non c’è mare, la tv, i ragazzi, il succo di fragola, internet, i social e tutte quelle cose che farebbero di questo soggiorno obbligato una vera vacanza? Continua

Anteprima esclusiva: leggi con Chronicalibri le prime pagine di “Nati sotto il segno del cavolo”

natisottoilsegnodelcavolo_anteprima_chronicalibriROMANati sotto il segno del cavolo. Manuale di sopravvivenza per mamme che si sentono sbagliate (Novecento Editore) sarà in libreria da martedì 14 ottobre. In attesa di leggere le spassose avventure di Gnomo e Biscotto, i fantastici ed esilaranti “bimbi-merda” figli, rispettivamente, di Irene Vella e Roberta Giovinazzo, un po’ di quella energia, di quel divertimento e di quell’affetto che le autrici narrano lo potrete leggere nelle prime pagine del libro; oggi, qui, in esclusiva per i lettori di ChronicaLibri. 

 

 

Gnomo e Biscotto
The Terrible Two // Attenti a quei due
Intro

A volte il destino scrive la storia per te. E così capita che mentre pensi di avere sottomano quello che sarà il bestseller degli anni a venire, quello da cui sarà tratta una trilogia che manco Twilight e Harry Potter, facebook ti fa un regalo inaspettato.
Tramite amici ti viene segnalata (tipo soffiata alla polizia) una mamma “ganza” con bimbo cinico al seguito, soprannominato il Biscotto, che sembra lo Gnomo con solo un anno in meno, ma che è tutt’altro che discepolo o follower: certe caratteristiche sono innate. Bimbi merda si nasce e loro lo nacquero.
E così, dopo aver letto la sua bacheca, aver lurkato i suoi status e le uscite di suo figlio, mi sono convinta che sì, esisteva un altro gnomo, appartenente a mamma separata, e che aveva tutte le caratteristiche necessarie per entrare a far parte di questo libro.
La convinzione maxima mi è arrivata quando, dopo aver esposto l’idea a Roberta (la mia coautrice) e averle chiesto in poche parole di descrivere il suo rapporto con il figlio, mi ha mandato queste righe: “Lui mi ha insegnato che non devo mai abbassare la guardia, perché col suo delizioso cinismo infantile mi riporta sempre alla realtà. Come quando, tempo fa, partecipando a una manifestazione con la scuola, non vedeva l’ora di venir via per guardare una partita in tv.
Allora mamma, chiamami tra poco davanti a tutti dicendo che dobbiamo andare via in fretta, ok?
Sì amore, dico che c’è mio marito fuori ad aspettarci e dobbiamo far presto.
Silenzio.
Ehm… mamma… è meglio se dici che è morto qualcuno, perché in quell’altro modo pensano subito che è una balla.
Che carini i bambini, carini, carini, carini”.
Il mio, invece, guardando le mie tette una sera con invitati a cena ha detto: “Mamma ho scoperto che alle donne si ingrossano le tette quando devono avere dei bambini: forse non sei ingrassata, magari ne devi deporre qualcun’altro?”
E allora mi sono convinta che là fuori c’è un esercito di terrible child che aspetta solo di essere scoperto e, soprattutto, che la coppia (Gnomo e Biscotto, mi sembra non ci sia altro da aggiungere) rappresentava perfettamente la realtà.
Lo Gnomo, secondogenito infilato in una famiglia in cui la mamma ha ceduto in comodato d’uso un rene al babbo (solo per fare le vacanze in camper, sia chiaro), con sorella al seguito con cui si mena e si ama ogni tre per due. Biscotto, nato da una coppia (la cicogna non esiste bambini, sapevatelo tutti) che poi però è scoppiata; così Alessandro si è trovato a vivere un rapporto simbiotico con la mamma, ma ad alternare weekend e vacanze anche con il padre, e a stare talmente bene in questo ruolo da consigliare ai suoi compagni di scuola: “Datemi retta, fate separare anche i vostri genitori. È una figata: tutto doppio, non so se mi spiego”.
Insomma, per farla breve, Gabriele e Alessandro rappresentano le due facce della stessa medaglia (quella fatta come la pizza di fango del Camerum, citando la cara Cinzia Leone); così ogni bambino incompreso che leggerà il nostro libro, che di sicuro non verrà vietato ai minori, potrà identificarsi nello Gnomo o nel Biscotto, a seconda della famiglia di appartenenza. E scusate se è poco. Di questi tempi la par condicio in un libro ti assicura quanto meno un’ospitata sia nel salotto di Cristina Parodi (io la amo, guai a chi me la tocca), che in qualche plastico del dottor Vespa, magari rappresentante una delle scuole distrutte dai succitati. E così anche i media ce li siamo assicurati.
Poi a me e a Roberta ci manderanno gli assistenti sociali, ma questa è un’altra storia. Perché noi nel frattempo saremo emigrate a Bora Bora, dove finalmente potremo vivere una vita felice e ricca, dopo aver sputtanato i nostri figli (con il loro consenso però).
Ma questo sarà il seguito che scriveremo dopo: I Terrible Two. Gnomo e Biscotto, attenti a quei due, vanno a Bora Bora. E altro che Vacanze di Natale dei Vanzina; il botteghino straborderà. E il bottino sarà nostro. Dopotutto ogni bimbo merda ha la madre che si merita.

Un’amicizia per sempre


Silvia Notarangelo

ROMA – Ross ha diciassette anni, scrive racconti di avventura e quando, in uno stupido incidente, perde la vita, i suoi tre amici, Sim, Kenny e Blake decidono che non possono lasciarlo andare così, che merita qualcosa di più di uno squallido funerale. Cercare vendetta verso quanti, negli ultimi tempi, gli hanno reso la vita difficile non basta. Per il loro amico occorre pensare a qualcosa di veramente speciale.
È un’avventura intensa e, a poco a poco, sempre più coinvolgente quella regalata da Keith Gray nel suo nuovo romanzo “Quel che resta di te”, pubblicato da Piemme (collana Freeway).
A raccontare, in prima persona, è Blake, apparentemente il più impacciato e complessato dei tre, in realtà terribilmente determinato e combattivo. Il piano messo a punto dai ragazzi, dopo qualche esitazione, è relativamente semplice: portare il loro amico, o meglio la sua urna, a Ross, l’omonimo paesino della Scozia dove da sempre sarebbe voluto andare. Tutto facile sulla carta, un po’ meno nella pratica. Il furto dell’urna, la preoccupazione dei genitori, la polizia che si mette sulle loro tracce e un inconfessabile segreto che stenta a venire a galla. Saranno due giorni intensi per i tre ragazzi, e non solo per i vari imprevisti con i quali dovranno fare i conti.
Il viaggio sarà un’occasione di riflessione, un momento per guardarsi dentro e ammettere che forse le cose sono un po’ diverse da come si sono immaginate per tanto tempo. I sensi di colpa iniziano ad affiorare, ognuno sente di avere la sua parte di responsabilità ma, come spesso accade, riversa sugli altri le proprie mancanze.
Alla rabbia si unisce un tremendo senso di impotenza. Lo scontro è dietro l’angolo e i tre si dividono. Alla fine del viaggio solo Blake e Kenny si ritroveranno a Ross, su un bordo roccioso, per dire finalmente addio al loro amico.

"La scatola di Penelope", dove nascondere qualcosa di speciale

Giulia Siena
ROMA – “Il giorno seguente, Penelope non mise nulla nella sua scatola. Avrebbe voluto solamente scomparire”. Questa è Penelope in uno dei tanti tentativi per avvicinare i suoi compagni di scuola. Penelope porta sempre con sé una scatola nella quale nasconde ogni giorno qualcosa. Lo fa perché vuole fare amicizia: in questo modo, secondo lei, può attirare l’attenzione degli atri bambini e può giocare con loro. Peter Carnavas racconta “La scatola di Penelope” per parole e immagini. Il libro, pubblicato da Valentina Edizioni (una vera e propria sorpresa nel panorama editoriale per ragazzi), è una storia dall’immensa semplicità e sensibilità.
Penelope per affrontare il primo giorno di scuola decide di farsi accompagnare da una scatola ; dapprima ci nasconderà il suo orsacchiotto, poi dei dolcetti, poi Frida – il suo magnifico cagnolino – ma nulla riuscirà a incuriosire gli altri bambini. Pensa, Penelope pensa a come fare per essere notata, fino a quando vorrà sparire ed entrerà nella sua scatola.



"Kiss face" e l’importanza delle "streghe".

Giulio Gasperini
ROMA –
Nel gergo (cinematografico e da sit-com, come Will&Grace) si chiamano streghe; in romanesco vengono definite frociarole. Ma qualsiasi termini si usi (anche più neutro e dimesso) resta indiscutibile che per un giovane ragazzo gay siano imprescindibili e insostituibili. Giorgio Ghibaudo, fresco scrittore e caparbio volontario, esordisce alla narrativa con “Kiss face”, pubblicato da Lineadaria nel 2011, scegliendo proprio di presentarci una sorta di Éducation sentimentale dei nostrani Anni Zero.
La storia, in sé per sé, è un riproponimento – prevedibile, a dire il vero – di qualcosa di già sentito: un ragazzo, che non si accetta fino in fondo, dopo un’inevitabile enorme crisi sentimentale e affettiva, sventa la rovina conoscendo, in circostanze divertenti, una ragazza (la strega, appunto), che lo guiderà, con la sua mancanza d’inibizioni e il suo polso fermo, a capirsi e accettarsi.

È prevedibile, si diceva, che tali storie abbiano, ben o male, lo stesso canovaccio. E questo romanzo non sgarra dal previsto. Però Ghibaudo sa introdurre delle novità, a cominciare dal titolo: cos’è la kiss face, ve lo siete chiesto? Ebbene, ci pensa lo scrittore a rendercene edotti, fornendoci la definizione di un dizionario, sia nel suo significato letterale che in un significato esteso, traslato. (Però io ve lo taccio). La grande protagonista, in tutto ciò – che rischia persino di soffocare la voce narrante (quella del ragazzo gay) – è, appunto, Francesca, deliziosa e anticonformista ragazza dall’animo (all’apparenza) completamente disinibito e sapientemente duttile (e che ancora, beata lei, sa scrivere cartoline!).
“Kiss face” è un romanzo stuzzicante perché ha il coraggio di prendersi in giro, di smascherarsi per quello che in realtà è: una sorta di commedia degli errori (e delle maschere), nella quale tutti i protagonisti si ritrovano, all’arrivo, sciolti dai loro enigmi e declinati secondo nuove prospettive; proprio come succede nella realtà, quando si cresce, e si accumulano i giorni. “Kiss face” è un sogno di una notte di mezz’estate: attraversa la follia d’una confusione di ruoli e, dopo il disvelamento magico e giocoso, approda alla definizione; o meglio, se non proprio a una definizione, quanto meno a un “contornamento”.
Questa è la nuova declinazione del romanzo di formazione, negli Anni Zero: una lievità disarmante ma intelligente, una virata verso meccanismi lineari di causa-effetto e poco arzigogolati meandri mentali. Sicché niente più Le Rouge et le Noir né l’educazione sentimentale è più quella di Flaubert. Ma questa, nuova e più istantanea, che persegue anche Ghibaudo: fulminea, repentina, divorante nella sua irruente frenesia.

8 giugno di ricordi

ROMA – Sicuramente avrebbe sorriso nel vederci ogni giorno alle prese con le interviste e la programmazione degli articoli della settimana. Sicuramente sarebbe stato parte di noi, del gruppo che ogni giorno dà vita a ChronicaLibri. Lui era parte di quel gruppo; eravamo un manipolo di studenti con la smodata passione per i libri, il giornalismo e la “ricerca della verità” e, insieme, cominciammo a chiacchierare di editoria mentre impaginavamo Aiko, il nostro primo giornale e organizzavamo le letture di gruppo. Eravamo tutti là, ogni giorno e ogni giorno avevamo aspirazioni da coltivare. Oggi, nel giorno del suo ventisettesimo compleanno, qualcuno manca. Manca ormai da tre anni Carmine, ma ogni giorno noi leggiamo, osserviamo, discutiamo e scriviamo anche per lui. Incrociare la sua vita ci ha cambiato, per questo oggi ChronicaLibri lascia spazio ai suoi versi.

L’IMMORTALE
Vivere pensandoti morto,
ma qui non si vive si soffre…..
E allora soffrire
sapendoti morto.
ma qui non si muore
ci si libera.
E allora soffrire
vedendoti libero?
E’ già pronta la cena,
cedro per primo
per secondo ottone
e contorno di terra.
Carmine Speranza
Torre Orsaia(SA)
Pasqua 2006
  

"Senza passare per Baghdad", quando è la strada a guidare il Caso.

Giulio Gasperini
ROMA –
Forse è vero che è tutto scritto nel destino; che tutti noi abbiamo, nei palmi delle nostre mani, la mappa della nostra vita. Ma è altrettanto vero (e forse più affascinante) pensare che le uniche mappe che ci potrebbero riguardare sono quelle dell’atlante, quelle del mappamondo che s’accende e brilla come lampada, quelle del planisfero appeso alla parete della nostra camera. Ed è altrettanto affascinante che per quelle strade del mondo sia il Caso a calarci, a guidarci divertendosi dei nostri imbarazzi, e delle nostre perplessità.
Luigi Farrauto di cartine se ne intende: ed è lodevole il suo tentativo di nobilitare la geografia come scienza della concreta vita, una specie di dimensione perfetta nella quale non possiamo non stare a nostro agio, addirittura sentirci più forti e vivi.
“Senza passare per Baghdad”, pubblicato nel 2011 dalla casa editrice romana Voland, è il romanzo di un’affermazione e di una crescita, di due deviazioni che portano a una tangenza in un luogo dove nessuno avrebbe mai pensato.

Alex e Jari sono due amici, due opposti che proprio per questo si armonizzano alla perfezione, in un gioco a rincorrersi che si definisce anche dal continuo palleggiarsi i punti di vista: prima l’uno e dopo l’altro giocano a dare ognuno la propria versione dei fatti, confermando a noi (e a loro stessi) che chi si conosce realmente non ha bisogno di parole per comunicare. A loro, per esempio, son sufficienti le fotografie: entrambi, infatti, scattano foto da ogni angolo di mondo. Per esigenze diverse, è ovvio. Ma, a loro, le sillabe non appartengono, non servono più di tanto. Loro comunicano tramite le immagini; tramite i risultati dei loro scatti si descrivono le emozioni, si indagano a vicenda, si completano quei luoghi bui, inesplorati, che ognuno di noi ha, inevitabile, in un angolo del sé.
I chilometri li dividono, coinvolgendoli in esperienze diverse e fors’anche distanti. Però poi, complici incidenti e inevitabili sconfitte, il loro avvicinamento sarà determinante: l’autore non ci dice dove la strada condurrà queste due anime di ragazzi, ma ci fa intendere che Damasco è soltanto l’inizio. Che tutto il prima è stato soltanto un’anticipazione. E che non bisogna per forza passare per Baghdad per rendere il cammino più agevole.