La primitiva parola poetica di “Foresta tacita”

Foresta tacita_libriperduti_chronicalibriGiulia Siena
PARMA – La parola di Pino D’Alfonso in Foresta tacita è una parola poetica primitiva, pura, asciutta e sincera che emerge scavando lo spazio attorno a sé. Il bianco, tutt’attorno, indica il nuovo orientamento, uno spazio di manovra che è di nuovo libero e aperto, senza ostacoli né impedimenti ma con soltanto nuove direzioni e significati da esplorare. La disposizione sulla carta è infatti la prima evidenza che stupisce nella silloge poetica edita da qualche settimana da La Biblioteca dei Libri Perduti come coronamento di una ricerca artistica che Pino D’Alfonso aveva già cominciato e predisposto nella sua globalità.

 

Artista eclettico e sperimentatore anche di opere sinergiche tra arte e poesia, con la serie di “Poem for ambients” esposte alla Stazione Centrale di Milano nel 1980, Pino D’Alfonso fa calare in un mondo in cui veramente la poesia attinge alla sua fonte primordiale, a quella passione inarrestabile per il significante, per il gioco di suoni lettere e sillabe, per il rincorrersi di immagini legate dalla metrica e dalle figure retoriche spavalde e sfrontate: “Vetrate / infrante / infreddolito / pontile”. Audaci architetture, costruzioni che rompono il limes della pagina e si rincorrono in altri campi, sotto altri cieli.
Gli argomenti sono vari, nella poesia di D’Alfonso, ma tutte vertono su un argomento centrale, l’amore. Ma anche una natura che si scontorna in fenomeni, effetti, cause e conseguenze di accidenti inevitabili. E anche l’umanità, in ogni sua declinazione. Proprio perché la poesia ha respiro lungo e ampio, mai arginato in nessun limite, conteso da nessun confine: “Talvolta / ti rintraccio / rincorrendoti / dentro / l’oroscopo / che un tempo / in fiore fu / anche tuo”. C’è il tempo, nella poesia di D’Alfonso: c’è il suo scorrere, il suo trasmutarsi e convertirsi in qualcosa di altro, pur non perdendo l’essenza propria, le peculiarità profonde, come nello splendido componimento che apre la sezione “Foglie in Rua dos Douradores”, dove la via abitata da Fernando Pessoa – nella persona di Bernardo Soares – posta anche in epigrafe all’intero volume, significa proprio questo spazio che contiene ma che trattiene anche nell’ansia di una fuga, di una (quanto impossibile non si sa).

 “Freddolosi / stendardi / autunnale / colore / ai tramonti… / vivacità / appassite… / assedio / di bandiere / ai sogni… / mediterranee / adolescenze / Foglie / in Rua dos Douradores”.