Intervista a Vincenzo Lerro – Lineadaria Editore: dalla provincia il libro come mezzo di confronto


Agnese Cerroni
Roma – Correva l’anno 2005 quando Vincenzo Lerro e Domenico Calvelli raccolsero il guanto di sfida; con l’obiettivo di creare un nuovo polo editoriale nello spazio culturale biellese, avviarono le attività della casa editrice Lineadaria. Agli amici di Chronica Libri, i soci fondatori si raccontano.



Perché la scelta di far nascere una casa ed. in provincia?

Perché sono convinto che la provincia sia sempre una grande fucina di idee, di esperienze e, in definitiva, di vissuto. Nel piccolo, c’è sempre, anche se in nuce, tutto ciò che avviene anche nelle grandi città e che, però, non ha la minima risonanza.
Perché nella mia provincia, Biella, non esisteva una casa editrice che avesse un settore ragazzi di livello, né tanto meno una distribuzione nazionale. Ma soprattutto perché, arrivando dal mondo del giornalismo ed essendo un lettore onnivoro, fondare una piccola casa editrice era il mio sogno nel cassetto.


Qual è la proprosta editoriale di Lineadaria?

La proposta di Lineadaria è compendiabile nella Qualità, del contenuto e del contenitore: testo, illustrazioni e prodotto complessivo. Per me il libro non è mai un fine, ma sempre un mezzo per creare nuove occasioni di confronto: dai nostri libri nascono incontri con gli autori, laboratori didattici, spettacoli teatrali e tutto ciò che da un libro possa prendere spunto.


Come mai la scelta di investire sugli autori emergenti?
Autori emergenti perché mi piace scommettere sulla novità: uomini e donne nuovi. l’Italia è piena di gente che scrive: tanti non meritano la pubblicazione, qualcuno sì, ma spesso quel qualcuno non riesce a trovare sbocchi possibili per emergere ed in questo senso l’editoria a pagamento non aiuta, anzi: dal mio punto di vista oltre ad inquinare il mercato, rischia di livellarlo verso il basso (oltre a risolversi, troppo spesso, in una becera forma di truffa).



Per Lineadaria come avviene la selezione del materiale presentato dagli scrittori? A quali tematiche si dà precedenza?Lineadaria sono io. Non ho un socio, né dipendenti: solo qualche collaboratore che mi aiuta a titolo di pura amicizia. Quindi la selezione avviene solo ed esclusivamente in base al mio gusto e alla mia sensibilità. Quanto alle tematiche, non ho preferenze particolari, ma occupandomi prevalentemente di letteratura per bambini e ragazzi, le tematiche principali sono quelle legate alla loro crescita e alla loro quotidianità.


Qualora ci fossero, quali sono quali sono i problemi di una piccola casa editrice (distribuzione,
individuazione del target, contributi economici statali) ?
Qualora ci fossero problemi? Ce ne sono una marea. Ci vorrebbero pagine e pagine: indubbiamente la distribuzione è il problema; ma non è solo quello. C’è una pletora di aporie non meno importanti e non meno invalidanti… In questo Paese, le piccole case editrici che investono sulla qualità e sulla continua ricerca non hanno un minimo di spazio. Dobbiamo accontentarci di qualcosa di meno delle briciole del mercato editoriale.



Sempre meno libri venduti, sempre più case editrici: come vive …. questa continua “lotta”?

Esatto è una lotta! E per me è anche una missione!

"L’omosessualità non è ancora metabolizzata dal nostro panorama letterario (e culturale)": ChrL intervista Giorgio Ghibaudo.

Giulio Gasperini
ROMA –
Ghibaudo, torinese d.o.c., ha una scrittura scevra di finzioni inutili, di orpelli grevi. Ha una scrittura pratica e maneggevole, semplice e non artificiosa. Esattamente come è lui; e lo capirete dalle risposte alle mie domande. Con Giorgio abbiamo provato ad armonizzare l’intervista. Lui si è scherzosamente lamentato che le mie domande eran complesse, e che sarebbero servite ore di telefono per rispondere. Io credo che abbia risposto in maniera molto intelligente, non trovate?!?

Scontata e prevedibile, la prima domanda riguarda il materiale autobiografico presente in questo romanzo. Quanto ce n’è? Quanto ce ne sarebbe stato di più?
Se la domanda era (per tua stessa ammissione) prevedibile, mi auguro di sconvolgerti ammettendo che, pur essendo un’opera prima, nella quale ci si aspetterebbero aneddoti raccattati qua e là dal mio passato, in Kiss Face l’unico elemento vagamente autobiografico è la festa di mezza estate alla quale i due protagonisti partecipano.
Poi, se vogliamo andare a fare una ricerca proprio approfondita, potrei aggiungere che poche settimane prima che io mi accingessi a scrivere questo romanzo fui brutalmente mollato da un certo Paolo. Ora, il fatto che il protagonista di Kiss Face si chiami proprio così e che nel corso della narrazione subisca una serie di abbandoni da parte dei suoi compagni… come potrebbe essere interpretato tutto ciò? Come una sorta di catarsi per interposta persona? Come un delirio di onnipotenza? Battute e strizzate d’occhio a parte, ritengo la mia esistenza non così ricca di eventi tali da meritare di essere inseriti in un romanzo. Preferisco lavorare di fantasia, su idee che mi sono venute e che approfondisco in fase di scrittura. La festa di mezza estate che cito più sopra è stata presa da una mia esperienza personale e cambiata al punto tale da non essere più riconoscibile. Avevo bisogno di un contesto che fosse un po’ “magico” per introdurre il personaggio di Flora.


La seconda domanda, anche questa poco emozionante perché inflazionata, riguarda l’importanza dell’omosessualità sulla scrittura. A lungo si è discusso e tutt’ora se ne discetta in maniera quasi ossessiva, oserei direi (ma tutta italiana è la mania delle etichette, esclusivamente per far lavorare tanti critici e professori universitari), sull’esistenza o meno della letteratura di genere e, in questo caso specifico, della letteratura “omosessuale”. Esiste? Non esiste? Sarebbe meglio non esistesse? Oppure è inutile persino porsele, queste domande?
A mio modestissimo parere una “letteratura LGBT” esiste, eccome! Esiste come esistono decine di altre letterature e generi, tutti degni di un proprio spazio. Il problema (soprattutto qui in Italia) è forse l’enfasi con la quale il discorso-omosessualità viene sempre trattato (vedi “stigmatizzato”). È spesso fonte e tema di dibattiti, di scontri in ogni ambito della vita sociale e politica. Tutto ciò, ovviamente, fa sì che un genere letterario (o cinematografico o teatrale che sia) o qualsiasi forma artistica (a tematica LGBT) diventi a sua volta oggetto/bersaglio degli stessi dibattiti. E mi pare che certe domande vengano poste solo ed esclusivamente in riferimento a quel tipo di letteratura. Ritengo comunque utile e doveroso porsi queste domande. È una spia di come l’omosessualità non sia ancora una cosa metabolizzata nel nostro panorama. Quando non sentiremo più la necessità di porci questa domanda (così come quando non ci chiederemo più se un gay possa sposarsi o una lesbica adottare un bambino), significherà che le cose saranno nettamente migliorate, per tutti, anche per gli eterosessuali.


Sicché deduco che per te la letteratura omosessuale, pur esistendo come genere, non possa esser confinata soltanto a lettori omosessuali. Ma perché, probabilmente vincendo un inevitabile e inestirpabile (almeno per adesso) machismo, un etero dovrebbe interessarsi di acquistare libri che parlano di tematiche omosessuali? (Il discorso è solo maschile perché, pur con le dovute eccezioni, le donne paiono più disposte ad accogliere, da lettrici, lo sconfinamento di genere).
Torniamo un attimo al discorso “generi”. Se equipariamo (cosa che mi sembra sana) il “genere LGBT” a tutti gli altri, allora ci troviamo a poter constatare che non a tutte le persone piacciono tutti i generi (cosa a mio parere altrettanto sana). Per esempio a me non piace il genere bellico, come altri potranno dire di non gradire la fantascienza perché si definiscono persone con i piedi piantati a terra o c’è chi non apprezza il fantasy e lo che liquida come “semplice” letteratura per ragazzi. Però nel caso della letteratura LGBT, ci troviamo di fronte a volte a un atteggiamento dai tratti vagamenti omofobi e dunque un eterosessuale maschio troverà un certo fastidio ad approcciarsi a un romanzo con gay come protagonisti (cosa che effettivamente, come suggerivi tu, non infastidisce minimamente le lettrici eterosessuali). È anche interessante constatare come noi della comunità LGBT, invece, non disdegniamo la lettura di romanzi in cui i protagonisti siano eterosessuali e non cerchiamo a tutti i costi la love story gay ogni volta che sfogliamo un libro.


Sarei curioso di sapere, però, proprio in concreto, quali sono i motivi per i quali, a tuo parere, un lettore eterosessuale dovrebbe interessarsi a leggere un libro dalle tematiche omo?
Se parlassimo di “generi in generale” si potrebbe dire che più si allarga il raggio delle proprie letture (e i temi trattati in esse) più aumentano le prospettive mentali personali, le proprie conoscenze e i propri interessi. Purtroppo questo tipo di letteratura di cui stiamo parlando è osteggiato da un muro culturale molto forte. Per un eterosessuale è imbarazzante la lettura di un libro a tematica LGBT perché gli verrebbe da porsi la seguente domanda: “Ma se io sono veramente etero, per quale motivo sto provando questa strana curiosità su argomenti così lontani da me? Cosa mi sta succedendo? Non è che anche io, forse…?” Sarebbe per lui una bella prova di coraggio, più che una semplice lettura! Nella realtà, invece, un eterosessuale che si interessasse a un romanzo a tematica LGBT darebbe intanto un esempio di come si possa spaziare con la letteratura in più universi narrativi e sarebbe un modo, per lui, per capire quanti di quegli stereotipi da barzelletta da caserma che circolano su di noi, non trovino fortunatamente alcun riscontro nella vita di tutti i giorni. Sarebbe un modo per capire e conoscere un mondo diverso dal proprio ma che ha la stessa dignità e diritto di esistere.


All’estero, per ampliare la discussione, la letteratura omosessuale è considerata uno dei capisaldi della crescita culturale. Basti pensare a Edmund White e David Leavitt negli States, o a Forster e Wilde in Inghilterra. In Italia i nomi di Tondelli, di Patroni Griffi, persino di Penna e Pasolini ancora si sussurrano, senza contare la freddezza con cui si glissa sull’omosessualità di tanti altri (Palazzeschi tra tutti); figurarsi poi se se ne discute nelle aule scolastiche! Quali sono, a tuo avviso, i ritardi che comporterà questo nostro blocco culturale?
Mi permetto di aggiungere, per quanto riguarda la letteratura statunitense, il nome di Armistead Maupin che è uno dei miei scrittori preferiti. Invece, per rispondere alla tua domanda, posso dire che i ritardi causati da questo “clima” sono quelli che possono esserci quando esiste una forma di censura più o meno voluta/velata. Ovvero apertura mentale alle differenze pari a zero, arretratezza culturale, altra omofobia (interiorizzata e non). Come se ne sentissimo poi il bisogno…


Il tuo romanzo è un coloratissimo mondo in cui si agitano personaggi diversi, tutti apportatori, a loro modo, di un brivido, una spinta emotiva, abitanti di un microcosmo che par diventare la migliore declinazione d’esistenza. Un po’, bisogna dirlo, come avviene in ogni film di Ferzan Ozpetek (come, ad esempio, nelle scene dei pranzi domenicali in terrazza al Testaccio, in Le fate ignoranti). Ecco, quanto i suoi film, da Saturno contro a Mine vaganti, hanno condizionato l’immagine che il pubblico (principalmente negli ultimi anni) ha degli omosessuali e quanto, invece, hanno condizionato la tua narrazione?
Ozpetek è un regista che mi piace moltissimo e di cui ho apprezzato quasi tutti i film (Un giorno perfetto, proprio no!) sia “a tema” che non “a tema” (Cuore sacro sublime!). Ama, e si vede, il cinema italiano del passato. È un autore coraggioso che “osa” sia da un punto di vista degli argomenti trattati che della messa in scena (in Italia ce ne sono pochi, ma va?!). È in grado di offrire una panoramica precisa su ciò che può essere la comunità LGBT nel nostro paese. Descrive le dinamiche e le tipologie senza finire negli stereotipi più triti. È sicuramente una benedizione nel nostro cinema in quanto ci ha finalmente liberati da tante idee preconcette che gli eterosessuali potevano avere di noi. Per quanto riguarda il mio libro posso dire che anche qui, come nei film che hai citato, c’è un’idea di appartenenza a un gruppo (nel caso di Kiss Face quello composto dal transgender Flora e dai suoi amici) che ti accoglie, ti tutela, ti coccola, ti protegge e ti prepara a “tutto quello che c’è fuori”. Ma non trascurerei l’influenza del già da me citato Armistead Maupin che, da quasi quarant’anni, nei suoi celebri Tales of the City descrive la vita dei suoi personaggi che popolano la comunità LGBT di San Francisco. Se già in questo mio primo libro l’idea della comunità è presente, nel prossimo, una sorta di “spin off” di Kiss Face, sarà ancora più forte e riunirà intorno a sé tantissimi personaggi.



Un piccolo vezzo di noi di ChrL, una domanda che rivolgiamo a tutti gli scrittori (proprio perché scrittori siete!): quali sono le tue tre parole preferite, e perché?
Ukulele, lo strumento musicale suonato dalla Monroe in A qualcuno piace caldo, una delle mie commedie preferite. Nota: non sono in grado di suonarlo.
Rabastè, verbo in dialetto piemontese che significa trascinare, strisciare… e che ha un che di onomatopeico che mi attira;
Entourage che riesce a darmi l’idea di gruppo, di comunità, di movimento, di varietà, di scambio.
Ora che ci penso, non ho mai usato queste parole nei miei scritti. Corro subito a provvedere…

Son sinceramente curioso di sapere quale frase comporrai che contenga tutt’e tre codeste parole…

"Kiss face" e l’importanza delle "streghe".

Giulio Gasperini
ROMA –
Nel gergo (cinematografico e da sit-com, come Will&Grace) si chiamano streghe; in romanesco vengono definite frociarole. Ma qualsiasi termini si usi (anche più neutro e dimesso) resta indiscutibile che per un giovane ragazzo gay siano imprescindibili e insostituibili. Giorgio Ghibaudo, fresco scrittore e caparbio volontario, esordisce alla narrativa con “Kiss face”, pubblicato da Lineadaria nel 2011, scegliendo proprio di presentarci una sorta di Éducation sentimentale dei nostrani Anni Zero.
La storia, in sé per sé, è un riproponimento – prevedibile, a dire il vero – di qualcosa di già sentito: un ragazzo, che non si accetta fino in fondo, dopo un’inevitabile enorme crisi sentimentale e affettiva, sventa la rovina conoscendo, in circostanze divertenti, una ragazza (la strega, appunto), che lo guiderà, con la sua mancanza d’inibizioni e il suo polso fermo, a capirsi e accettarsi.

È prevedibile, si diceva, che tali storie abbiano, ben o male, lo stesso canovaccio. E questo romanzo non sgarra dal previsto. Però Ghibaudo sa introdurre delle novità, a cominciare dal titolo: cos’è la kiss face, ve lo siete chiesto? Ebbene, ci pensa lo scrittore a rendercene edotti, fornendoci la definizione di un dizionario, sia nel suo significato letterale che in un significato esteso, traslato. (Però io ve lo taccio). La grande protagonista, in tutto ciò – che rischia persino di soffocare la voce narrante (quella del ragazzo gay) – è, appunto, Francesca, deliziosa e anticonformista ragazza dall’animo (all’apparenza) completamente disinibito e sapientemente duttile (e che ancora, beata lei, sa scrivere cartoline!).
“Kiss face” è un romanzo stuzzicante perché ha il coraggio di prendersi in giro, di smascherarsi per quello che in realtà è: una sorta di commedia degli errori (e delle maschere), nella quale tutti i protagonisti si ritrovano, all’arrivo, sciolti dai loro enigmi e declinati secondo nuove prospettive; proprio come succede nella realtà, quando si cresce, e si accumulano i giorni. “Kiss face” è un sogno di una notte di mezz’estate: attraversa la follia d’una confusione di ruoli e, dopo il disvelamento magico e giocoso, approda alla definizione; o meglio, se non proprio a una definizione, quanto meno a un “contornamento”.
Questa è la nuova declinazione del romanzo di formazione, negli Anni Zero: una lievità disarmante ma intelligente, una virata verso meccanismi lineari di causa-effetto e poco arzigogolati meandri mentali. Sicché niente più Le Rouge et le Noir né l’educazione sentimentale è più quella di Flaubert. Ma questa, nuova e più istantanea, che persegue anche Ghibaudo: fulminea, repentina, divorante nella sua irruente frenesia.

"Come rondini in volo" sul passato

Agnese Cerroni
ROMA Dopo un’adolescenza vissuta in giro per il mondo, Anna avverte la necessità di stabilirsi finalmente in un posto tutto suo, dove poter mettere radici. Il dolore causato dalla prematura perdita di entrambi i genitori l’ha resa schiva e apatica nei confronti della vita e solo una rassicurante alcova può restituirle la serenità di cui ha bisogno. Il luogo prescelto è la casa gialla, vera protagonista di “Come rondini in volo”, il romanzo di Mariapia De Conto edito da Lineadaria, dimora ora in rovina dell’antica famiglia dei Braidi. Anna ne rimane colpita a prima vista e decide di rilevarla e trasferirvisi immediatamente. La casa gialla – così è descritta e il luogo non è mai specificato – immersa nel sole tra i campi gialli di grano, trascina Anna in una dimensione senza tempo, in cui le stagioni si susseguono volubili e i giorni tutti uguali le consentono di lenire le proprie sofferenze. Qui Anna si sente finalmente al sicuro e può tornare lentamente alla routine quotidiana, coltivando la propria passione: dipingere stoffe. Ad accompagnare il viaggio della giovane Anna c’è Geltrude, la vecchia operosa governante che abitava la casa gialla anni prima prestando servizio presso i Braidi. Attraverso i racconti di Geltrude le voci delle donne della famiglia Braidi tornano a sussurrare piano piano, con discrezione. Poi sempre più con decisione rivivono i ricordi di Brigida, Emma, Donna Adele e Beatrice, le donne Braidi. Sottomesse alla tirannia degli uomini che le hanno considerate delle incubatrici, incapaci di sottrarsi efficacemente al proprio destino, sono quelle stesse donne, generazione dopo generazione a sfaldare la gerarchia maschilista e fa arrivare con prepotenza il proprio urlo fino alle nostre orecchie.