Lupo Editore per i più i piccoli: arriva “Kora. Una storia a colori”

KORA__ROMA – Kora ama disegnare ma ai suoi disegni manca sempre qualcosa: il tavolo non ha una gamba, il coniglio non ha un orecchio, la casa non ha le finestre e i colori che conosce sono solo quelli che vede nell’istituto e a scuola. Oltre al rosa del suo lettino, al giallo della lampada per  i compiti e pochi altri colori, Kora non ne conosce. La sua memoria è recente. Il suo ricordo si ferma all’attuale vita di ogni giorno.

La protagonista di “Kora. Una storia a colori” , il libro di Elisabetta Liguori  pubblicato da Lupo Editore, è una bambina di colore a cui manca qualcosa. Sua madre, lascia la Nigeria per approdare in Italia e dopo appena un anno nella Penisola dà alla luce Kora. La sua vita e questo bellissimo nome sono le uniche cose che Kora ha della madre. La bambina, infatti,  è stata abbandonata appena nata e della madre si sono perse le tracce. Ora Kora vive in un istituto e va a scuola. Ogni giorno deve affrontare le vessazioni di Matteo per il colore della sua pelle o per le addizioni che non riesce a fare alla lavagna.
Lei, per la sua storia e il suo passato, preferirebbe le sottrazioni. La sua giovane vita è stata un sottrarre: senza genitori, senza fratelli, senza amici e senza colori. Ma come si scoprono i colori? Come farà Kora ad aggiungere colori alla sua vita e a conoscere le sfumature del futuro? Attraverso il disegno e l’aiuto del pittore Saverio e della sua numerosa famiglia, Kora  può “affidarsi” e comincia a capire la condivisione, la completezza e l’appagamento che può dare l’affetto.

 

Le immagini di Carlos Arrojo danno vita alle parole di Elisabetta Liguori ed esaltano questo racconto che è fatto di vita e di favole.

“La donna lumaca” di Rosaria Iodice

La-donna-lumaca-Lupo-editoreAlessia Sità

ROMA – “Solo quando ti rendi conto che vivi in compagnia dei tuoi ricordi capisci che è finita. Ma il cuore ti cade a pezzi se hai troppi rimpianti con cui fare i conti.”

E’ con questa profonda riflessione che ha inizio il romanzo di Rosaria Iodice, “La donna Lumaca”, pubblicato da Lupo Editore. Angela ha trascorso un’intera esistenza cercando di assecondare le convenzioni di un’epoca, trascurando e dimenticando se stessa. Ha sempre sacrificato la sua felicità nella morsa dei sensi di colpa e dell’autocensura, che solo a tratti è riuscita ad addolcire in un momento estremamente delicato nella sua vita: la maternità. A fare da sfondo alle vicende della protagonista è l’Italia del secondo Novecento, con tutti i suoi conflitti e le sue rivoluzioni, che ne hanno segnato indelebilmente il corso della storia. Angela ha visto la guerra, ha conosciuto la sofferenza, è figlia delle turbolenze di una società in cui l’aborto oltre ad essere “una tragedia intima” è illegale e perseguibile dal codice penale. E sarà proprio l’Amore a cambiare totalmente la sua vita. L’incontro con uomini sbagliati, le scelte difficili e dolorose, plasmeranno il cuore e la mente della futura Nanda, la quale sentirà per sempre la necessità di espiare un passato infelice. In un periodo storico in cui le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, solo il coraggio di Teresa – la caporeparto della sartoria in cui Angela lavora durante gli anni della sua gioventù – le svelerà l’esistenza di un universo femminile, fatto di diritti e di reciproco aiuto. Nonostante tutto, però, l’inguaribile insicurezza e i pregiudizi del tempo, rappresenteranno continuamente un ostacolo nella sua vita. Dietro al timore di perdere la sua unica vera felicità- rappresentata dalla figlia Roberta – la protagonista cela un’altra grande paura: quella di ritornare ad amare o forse imparare ad amare ed essere amata per la prima volta. A segnare la vita di Angela-Nanda non saranno solo le proprie vicissitudini, ma anche tragici eventi, come il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980. Da allora, l’aria di precarietà inizia a farsi sempre più pressante. “I terremoti nella vita non sono soltanto quelli provocati dalle placche della terra e dal Vesuvio che mugugna in sordina. Ci sono terremoti che ci cambiano dentro e che fondamentalmente segnano il passaggio tra un prima e un dopo nelle nostre vite”.

Il romanzo di Rosaria Iodice diventa metafora dell’incapacità di vivere liberandosi dalle proprie paure, insicurezze e dai demoni che abitano la mente e il cuore. Il guscio di lumaca dentro cui Angela si nasconde, per fuggire la cattiveria del mondo, diventa impenetrabile nel momento in cui decide di cambiare la sua identità in Nanda. “La donna lumaca” è un romanzo fatto di attimi di vita quotidiana, immersa in un contesto socio-politico-culturale difficile, che inevitabilmente condanna la protagonista a un’esistenza di menzogna e spaesamento. Nonostante tutto, però, Rosaria Iodice riesce a creare quel lume di speranza che prelude a un futuro di riscatto.

Carmelo Bene. “Io non vendo fumo. Io sono il fumo”


Silvia Notarangelo

ROMA – Poliedrico, ironico, provocatorio, Carmelo Bene è sempre stato una voce fuori dal coro. Probabilmente, non tutti lo avranno amato. Ma, certamente, di fronte alle sue “sconvolgenti esperienze intellettuali” non si può restare indifferenti.
A dieci anni dalla sua scomparsa, Antonio Zoretti ne ha curato, per Lupo Editore, un articolato saggio dal titolo “Carmelo Bene. Il fenomeno e la voce”. Un lavoro meticoloso e suggestivo, ricco di citazioni e di commenti, per lasciarsi trasportare dalle parole e dalle riflessioni, mai scontate, dell’artista. Il nucleo principale è rappresentato da un insieme di testi, “Quattro conversazioni sul nulla”, giustamente considerati una summa theologica del pensiero di Bene. Linguaggio, conoscenza e coscienza, eros, arte: quattro momenti per approfondire quell’orizzonte così particolare in cui si è sviluppata la sua opera.
Il rapporto tra il senso e il suono, la ricerca sempre più approfondita delle possibilità vocali, l’inestimabile valore della musica. È la voce, secondo Carmelo Bene, il solo strumento in grado di “vincere la rappresentazione” così come la musica è l’unico linguaggio “capace di suggerire ciò che la parola non è in grado di esprimere”. Vocaboli e pensieri sono, infatti, solo delle illustrazioni, delle immagini da cui occorre liberarsi. Perché la verità non esiste, se non all’interno della convenzionalità di un linguaggio in cui si nominano le cose pur senza conoscerle.
L’obiettivo di Carmelo Bene, apertamente dichiarato, è quello di mandare tutto in frantumi, compreso il soggetto, quell’io “così ingannevole”, che può e deve essere cancellato.
E forse non è un caso che l’artista non abbia mai nascosto la sua noia, la sua profonda insofferenza verso quel teatro ancora così fortemente legato ad una verosimile rappresentazione della realtà. La rottura, violenta, con la tradizione si traduce in un recupero della creatività e del valore assoluto del teatro, nella convinzione che sia necessario “uscire da tutto quello che è la convenzione dell’arte (…) perché l’unico, auspicabile riconoscimento di un prodotto estetico è la sensazione, capace di incorporare tutti i sensi”.

“Scongela l’arrosto” ovvero storie di ordinaria follia familiare

Luigi Scarcelli
PARMA – Una coppia si guarda alle spalle e vede due persone che si vogliono, si rincorrono, si amano, si odiano, si sposano, fanno una figlia. Dopo anni non vedono nessuna somiglianza tra quello che erano e ciò che sono diventati; una distanza quasi siderale spunta tra i primi momenti d’amore e la quotidianità della famiglia di oggi. Un esempio di dramma familiare e di coppia, affrontato nel  libro “Scongela l’arrosto” edito da Lupo Editore e scritto da G. Battista Odone, un giovane istruttore di nuoto con la passione (e la stoffa) per la scrittura.

 

La storia è concentrata in un fine settimana, in cui la protagonista Sara vivrà una delle esperienze familiari più traumatiche e significative della sua vita. In quel fine settimana infatti la ragazza sedicenne sarà spettatrice di una delle peggiori fasi del problematico rapporto tra i due suoi genitori, l’ironico e nostalgico Giulio e Lara, donna tanto bella quanto algida e distante nei rapporti umani. Il racconto scorre tra ricordi romantici e cruda quotidianità, incentrato su un rapporto a tre (padre, madre e figlia) fatto di apparentemente fragili equilibri: Giulio e Lara sembrano due persone completamente diverse, uno emblema dell’emotività, l’altra incarnazione di freddezza e precisione; Sara si divide tra una madre troppo distante e un padre forse troppo amico e confidente con lei.

Il libro  si conclude con un finale molto toccante che lascia intendere, ma non svela del tutto, i veri vincoli sentimentali dei personaggi.

L’autore riesce a trasmettere tramite la sua scrittura, in un racconto serrato, la ricca emotività dei personaggi e a descrivere il delicato e complesso mondo della vita di coppia, di una coppia vicina fisicamente ma distante negli animi, una coppia che nel tempo ha visto raffreddarsi la viva passione dei primi momenti, quelli della scoperta e della conquista.

Un libro breve ma molto avvincente, una storia che “prende” pagina dopo pagina e lascia riflettere sui mille volti e i mille equilibri di una apparentemente normale vita familiare.

 

 

“Immagina la gioia” di ritrovarsi fratelli

ROMA“Tutto era appartenuto all’esistenza e niente di più doveva essere scritto”. Eva, all’inizio di questo romanzo,voleva scrivere: voleva mettere su carta la vita, trovare una trama avvincente che convincesse un grande editore a pubblicarla. Eva aveva già una storia e per ascoltarla, seguirla e scriverla si trasferì a Sciacca dal Veneto. Questa era la terra di suo padre e di sua nonna Annina, era la terra in cui il suo estro poteva rinascere.

Eva è la protagonista di “Immagina la gioia”, il secondo libro di Vittoria Coppola. Pubblicato da Lupo Editore, il nuovo lavoro della scrittrice salentina è un romanzo familiare ambientato negli anni Novanta.
Eva ha degli occhi profondi, le mani dipinte di rosso e vestiti colorati. Eva ha un rapporto difficile con suo fratello Pietro, ma più che difficile il loro è un affetto mai espresso; sarà perché dieci anni di differenza tra i due che durante l’adolescenza di Pietro e la giovinezza di Eva diventano un limite insormontabile. Sarà che Eva sta inseguendo il suo romanzo e Pietro il pallone; sarà che Eva è troppo presa dalla scrittura e dalla sua vita tra Sciacca e Mira. Ma la vita, improvvisamente, stravolge tutto.

A Sciacca Eva raccoglie i suoi fogli e cerca di portare avanti il suo romanzo, nel frattempo fa la cameriera nel bistrot di Oliver. A Mira, dove dalla Sicilia suo padre Raffaele si trasferì anni prima per lavoro insieme a tutta la famiglia, Pietro arranca dietro al suo pallone. Il ragazzo ha qualcosa che non va, è il suo ginocchio.

 

La scrittura dell’autrice ci accompagna in questa storia ma vorremmo sapere più su quei luoghi: vorremmo poterci aggirare con Eva tra le strade di Sciacca, lasciarci trasportare nella tranquillità delle villette di Mira. Vorremmo, da lettori, che la forte capacità della Coppola di descrivere le emozioni si impossessasse anche dei luoghi.

ChronicaLibri ha intervistato Pietro De Bonis, autore di “Brezze Moderne”

Alessia Sità
ROMA –  Baciami alle sei del mattino/capirai che t’amo dall’odore dei cuscini/dai miei occhi chiusi/sempre pronti a fissarti.”
Qualche mese fa ho recensito “Brezze Moderne”, il nuovo lavoro di Pietro De Bonis edito da Lupo Editore. I suoi versi mi hanno letteralmente conquistata e affascinata. ChronicaLibri ha intervistato il giovane autore, che racconta il dietro le quinte della sua ultima ‘fatica’ letteraria. Quella di De Bonis è una scrittura chiara e limpida, che arriva dritta al cuore.
Come è nata la tua raccolta“Brezze Moderne”?
Che brutto il termine raccolta… chiamiamolo libro dai! “Brezze Moderne” è nato da sé  mi sono fatto solo trovare pronto a pigiare i tasti della tastiera, ai suoi richiami.
Perché hai scelto questo titolo per il tuo libro?

Anche qui non saprei risponderti, devi sapere che il primo lettore della mia scrittura sono io stesso. Credo che le opere belle si formino da sè, che l’essere umano serva solo da filo conduttore, da mediatore, per consegnarle agli altri esseri umani. La bellezza della creazione che continua attraverso noi, è una cosa stupenda.
In quale dei tuoi versi ti riconosci di più?

In tutti.
Manifestare un disagio esistenziale scrivendo le proprie sensazioni ha una funzione terapeutica per te? Qual è il ruolo della scrittura nella tua vita?
Ma cosa serve pubblicare i propri disagi? Non bastano già i pensieri quotidiani? Li dobbiamo anche far pesare ad altri? No… alle persone cosa interessa venire a sapere di te, di chi sei e cosa provi? Credo che se si voglia scrivere, lo si debba fare principalmente per gli altri, qui sta il darsi, il donarsi. Un lettore vuole leggere cose che lo riguardano, è chiaro prenda spunto sempre dalle vicende personali, ma attribuisco loro un’ottica più ampia, meno egoista, meno morbosa. La scrittura nella mia vita aumenta ancora di più la bellezza della vita stessa.
Come ti sei approcciato alla poesia?

La scrittura si è approcciata a me, mi ha scelto lei, non io.
Cosa ispira i tuoi versi?

L’amore, i giorni.
Hai un poeta o una poesia a cui sei particolarmente affezionato?

Alda Merini, in “Brezze Moderne” (edito da Lupo) apro con una dedica proprio rivolta a lei.
Tre aggettivi per definire “Brezze Moderne”

Vasto, semplice, attento.

Se siete curiosi di assaporare la bellezza di “Brezze Moderne” vi invito a leggerlo e, a tal proposito, vi segnalo che il libro può essere ordinato in tutte le librerie o acquistato su IBS.

“Brezze moderne”: la raccolta poetica di Pietro De Bonis

Alessia Sità
ROMA –Esiste la poesia/allora esiste Dio!/Come quando non conosci i dolori/Ma vedi lo stesso gente piangere.”

Sono questi i versi che compongono “Continuerò a non morire se Dio vorrà” una delle poesie contenute in “Brezze moderne”, la raccolta poetica di Pietro De Bonis pubblicata da Lupo Editore.
Il volume è suddiviso in tre parti: Poesie, Intermezzi e Aforismi. La prima parte è costituita da liriche dall’estensione e dalle tematiche variabili; mentre nelle ultime due parti, l’Io poetico è continuamente impegnato a indagare non solo su se stesso, ma anche sull’uomo e sulla società attuale. Leggendo “Brezze moderne” non ho potuto fare a meno di ricordare la bellissima “Commiato” di Giuseppe Ungaretti, nella quale il poeta spiegava all’amico Ettore Serra cosa fosse per lui la poesia.  “Gentile/Ettore Serra/poesia/è il mondo l’umanità/la propria vita/fioriti dalla parola/la limpida meraviglia/di un delirante fermento/Quando trovo/in questo mio silenzio/una parola/scavata è nella mia vita/come un abisso.” Come per il grande Giuseppe Ungaretti, la poesia del giovanissimo Pietro De Bonis sembra essere il risultato di una sofferta e profonda operazione di ‘scavo’ nell’’abisso’ della propria anima e del proprio solipsismo esistenziale. Liriche come “Più cresco”, “Invaso”, “Libertà” e molte altre ancora, testimoniano la necessità di far conoscere al mondo le proprie personali emozioni, oltre che la propria percezione della vita quotidiana. L’autore sonda costantemente l’animo umano, scendendo nei meandri più oscuri dell’uomo, per meditare sul vero senso della vita. “Pensavo al cielo, lo vediamo celeste ma in realtà dall’universo è nero. E lo stesso il mare, in riva è azzurrino chiaro e lontano si scurisce. Tutte le cose da vicino sono più chiare e belle, più le avviciniamo e più si fanno vedere. Forse occorre più vicinanza tra gli uomini del mondo”. Proprio in questo bellissimo monito, contenuto nella parte dedicata agli Intermezzi, sembra essere riposto il messaggio della raccolta “Brezze moderne”. Mai fermarsi alle semplici apparenze, soltanto continuando a scandagliare le mille sfaccettature dell’animo umano potremo raggiungere la verità delle cose. Del resto, “I colori veri della vita non sono quelli che si vedono, ma sono quelli che si acquistano amando.” Con grande sensibilità, Pietro De Bonis ci regala una raccolta poetica che ci esorta a meditare attentamente sui nostri attuali tempi e sulle nostre piccole e grandi emozioni che, spesso, mettiamo a tacere per paura di svelarci troppo fragili.

“Gli occhi di mia figlia”, il romanzo d’esordio di Vittoria Coppola

recensione ChronicaLibri Gli occhi di mia figliaGiulia Siena
ROMA “Lasciala guardare il mondo con i suoi occhi, anche nei colori più bui, solo così non scapperà quando non si sentirà all’altezza della vita…”. Dana deve guardare il mondo con i suoi occhi, deve amare e provarsi nonostante le costrizioni della sua rigida famiglia e l’organizzazione maniacale di sua madre. Infatti quest’ultima, Amanda, ha già deciso ogni minimo dettaglio dell’esistenza della sua bambina.

Il romanzo di Vittoria Coppola, “Gli occhi di mia figlia” pubblicato dalla Lupo Editore si apre con sfumature di poesia e una finestra dischiusa sul racconto dalla stessa autrice. Siamo in Toscana, a Siena nei primi anni Settanta e Dana ha quasi diciotto anni. “Dana è la protagonista di un amore che le occupa il cuore per anni, tutti i giorni e tutte le notti”. Vive la bellezza di un amore intenso e inaspettato, Dana scopre la passione per “il pittore di sguardi tristi” lontana dagli occhi bulimici della società borghese. Dana rincorre il suo sogno celandosi dietro lettere e piccole fughe, Dana è talmente giovane da commettere errori che la porteranno lontano da chi ama. Ma non è lei che lo ha deciso. La vita di questa delicata adolescente sarà segnata dalle decisioni di sua madre: Dana è solo un’attrice nella sceneggiatura già scritta da Amanda.
La protagonista si muove inconsapevole, ignara della piega che sta prendendo la sua vita tra Parigi e Siena. Ma il destino non segue dettami prestabiliti; il destino – così come l’amore – riuscirà a rendere Dana una donna consapevole del suo passato, a svegliarla dal torpore degli anni e farle riconoscere nelle tele lo sguardo che fin a quel momento non aveva occhi. Perché “l’amore è unico: a volte nasce dal niente, cresce con niente, si spezza per niente”.


Creatrice di tanto amore e di un destino beffardo ma giusto è Vittoria Coppola, scrittrice salentina al suo esordio letterario. L’autrice, con “Gli occhi di mia figlia” raggiunge il suo obiettivo: “Lo scopo che mi prefiggo nel momento in cui inizio a riempire pagine di parole e sentimenti, è quello di emozionare, regalando a chi mi privilegia leggendomi, attimi personalissimi di evasione dalla realtà […]”
La sua scrittura, già matura nell’intreccio narrativo, fa viaggiare i personaggi con le proprie gambe. Il romanzo prosegue a ritmo spedito, incalzante e concitato, ma qualche dettaglio andrebbe sottolineato – la vita in Italia negli anni Settanta e le strade di Parigi? – frutto solo di un po’ di inesperienza. A quest’ultima si può sempre rimediare… noi siamo pronti a leggere ancora questa promessa della narrativa pugliese.

"La leggenda dell’Olivo", l’amore si intreccia alla storia della terra

Giulia Siena
ROMA – Una lettera dal sud per non dimenticare i colori, il calore e le storie del paesaggio pugliese. Tema della lettera, destinata a un amico lontano, è l’ultima leggenda narrata dal nonno prima che partisse per un lungo viaggio. Così comincia “La leggenda dell’Olivo”, un racconto di Vito De Benedetto, illustrato da Liliana Carone e pubblicata da Lupo Editore. Il protagonista, Eulus, è un musico che vaga per valli e pianure regalando piante e prosperità attraverso la magia del suo flauto melodioso. In una notte di plenilunio incontra la bella fanciulla Oliva della quale si innamorerà perdutamente, ma entrambi cadranno vittima di un malefico tranello.  

"E’ tutto normale"

Marianna Abbate
ROMA – Ho avuto un approccio distratto a questo libro. La sua copertina era tranquillizzante nei suoi colori pastello e nella sua fluttuante plasticità. Il titolo poi, mi ha del tutto rilassata “E’ tutto normale” mi ha detto di celeste Luciano Pagano, pubblicato da Lupo Editore
Eppure avrei dovuto insospettirmi: se tutto è normale perché ricordarmelo? Perché sottolinearlo in prima pagina? E cosa c’è di normale in una bambina che cammina sott’acqua tenendo all’amo un pesce?
Invece niente: non mi ha sfiorata il minimo sospetto.
Poi ho scoperto il segreto, poi un altro e un altro ancora. Finché il quadro non si è fatto completo, ma solo intorno a pagina 200.

Una coppia gay attende il ritorno del loro figlio Marco dalla seduta di laurea. E fino a qui tutto abbastanza normale, o perlomeno niente a cui non abbiamo mai pensato o immaginato potesse accadere. Deve portare a casa la sua anima gemella, maschio o femmina che sia. Kris.
Un nome che potrebbe significare tutto e niente. E’ tutto normale.
Riceverà in regalo una Porche. E’ tutto normale. Kris è una femmina. E’ tutto normale. La madre è morta poco dopo la nascita di Marco. La madre ha avuto una relazione con entrambi i suoi padri. La madre ha scelto di avere il figlio nonostante la malattia terminale che l’avrebbe portata alla morte. E’ tutto normale. 
Marco non è il figlio naturale di quello che crede essere suo padre ma del suo compagno.
Continua a convincerti che è tutto normale.
Se poi aggiungi che Kris proviene da una famiglia omofoba, tutto il tuo castello di carta della normalità potrà finalmente frantumarsi tirando un sospiro di sollievo. 
Perché se è vero che ogni famiglia ha i suoi segreti, il sottotitolo di questo libro potrebbe tranquillamente ispirarsi a un link di facebook: “E’ tutto normale. S’o dici te…”
E se qualcuno teme che gli abbia rovinato il libro non si preoccupi, ho lasciato intatto il colpo di scena finale.