Complicità e omertà in “Boschi & Bossoli”


Silvia Notarangelo

ROMA – Un generale affermato ma ancora in cerca di successo, un sindaco incapace di opporsi ai ricatti di presunti investitori, la mafia che, silenziosamente, riesce ad insediarsi in una regione del centro Italia, conosciuta “per la sua bellezza e tranquillità”.
Leggendo “Boschi & Bossoli”, il romanzo di Michael Gregorio, alias Michael Jacob e Daniela De Gregiorio (Edizioni Ambiente), non si può fare a meno di riflettere su come si attivino certi strani meccanismi e su cosa, in realtà, si nasconda dietro.
Voluta e architettata dal Generale Corsini, l’operazione Boschi & Bossoli scatta alle 5.15 dell’11 settembre, coinvolge intere formazioni di uomini e si conclude con l’arresto di una probabile cella terroristica. Tutti contenti dunque. I titoli di giornale si sprecano, la soddisfazione è alle stelle e, a trionfare, è ancora una volta lui, la “Leggenda”, il Generale Corsini. Anche in questo caso il suo intervento è stato determinante. Soprattutto dopo quei due proiettili che, indirizzati alla Presidentessa della Regione, avevano destato non poco scalpore.
Peccato solo che a finire in carcere siano quattro ragazzi innocenti, individuati tra i tanti che si schierano contro l’abusivismo edilizio e, accusati, per l’occasione, di essere pericolosi ecoterroristi che celano la propria vera identità dietro un apparente amore per la natura.
Nessuno potrà mai sospettare che i veri responsabili siano politici, professionisti, forze dell’ordine che si rendono complici del dilagare delle mafie, a volte per paura, spesso per puro interesse personale. E se anche chi si accorge che c’è qualcosa che non va preferisce tacere o viene volutamente messo in disparte, allora davvero certi meccanismi sono destinati a perpetuarsi, indisturbati, nel tempo.

 

"Sulla strada per Corleone", in viaggio verso il profondo sud del Nord Europa

Agnese Cerroni
Roma “Chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola”. Diciannove anni dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone e il collega e amico Paolo Borsellino con i rispettivi agenti di scorta, dopo le inchieste, la stage di Duisburg e l’epitaffio televisivo di Roberto Saviano, è una giornalista tedesca, Petra Reski, a parlare di mafia. In “Sulla strada per Corleone. Storie di mafia tra Italia e Germania” (edito da Edizioni Ambiente) la Reski ci racconta il suo viaggio in macchina da Kamen – la città dove è cresciuta – a Corleone (per un totale di 2448 km), fatto a vent’anni di distanza dal primo Grand Tour contemporaneo a bordo di una Renault 4 “solo perché avevo letto il Padrino”.

Dando gas alla sua Spider bianca, l’autrice affronta la lunga discesa verso il Sud Italia, dalle fitte ramificazioni fino alla base della struttura mafiosa, per rivelare, attraverso la sua via crucis, che non è necessario arrivare fino alla Sicilia rurale per imbattersi in quell’organizzazione nota come Cosa Nostra, ma che essa prospera ovunque, persino nella ben più florida economia tedesca. Droga che fa impresa, smaltimento di rifiuti, riciclaggio di denaro proveniente da illeciti e contrabbando di merci. Interviste a magistrati, imprenditori, preti e collusi. Il tutto per tinteggiare un affresco affascinante e cupo, arcaico e post moderno di una piaga pan-europea.

"Casa nostra": sintomatologia d’un paese sofferto.

Giulio Gasperini

ROMA – Sottotitolo: Viaggio nei misteri d’Italia. Niente più Italienische Reise, niente più Grand Tour. Adesso il viaggio, in Italia, non si compie più da una meraviglia all’altra, da uno splendore all’altro, da un gioiello all’altro; l’Italia si percorre da un mistero all’altro: che poi di mistero non ci rimane più niente, perché anche del sommerso tutti sospettano tutto. Camilla Cederna ci fa consapevoli, con la sua raffinata ironia, che tutto ci riguarda, perché tutto è “Casa nostra” (Mondadori, 1983), in quest’Italietta che si dibatte, a poco più d’un secolo dalla proclamazione della sua Unità, tra il secondo boom economico (quello illusorio, dei primi anni ’80) e le strategie (e le tattiche) di quotidiana sopravvivenza. In realtà, mano a mano che l’indagine della grande giornalista si sposta verso il meridione d’Italia, capiamo che si tratta di un libro sulle mafie, una sorta di prodromo del più attuale Gomorra.

Perché la mafia, in ogni sua forma, è storia antica, per l’Italia: una storia anche di folklore, di calore (e colore) umano, persino con qualche risvolto grottesco (perché comico, ahimé, non si può dire).
Quanto costò farne l’Unità, dell’Italia? Quali conseguenze comportò? Quali furono le soluzioni adottate per superare gli ostacoli? La Cederna, con la sua scrittura incalzante di ragionamenti serrati e disarmanti, considera la delicata situazione del sommerso, del parastatale, dello statale che si infetta, dei legami oscuri che si instaurano tra chi approfitta e chi viene sfruttato, tra chi ha i soldi e chi ne ha bisogno, tra chi comanda e chi esegue.
Quello della Cederna diventa un vero e proprio catalogo di morti, di crimini, di cadaveri: un flusso inarrestabile di sangue che non conosce dighe né argini, che si infiltra distruggendo ogni parvenza di legalità, di norma, di sicurezza. La Cederna indaga, creando un giornalismo d’inchiesta che è anche elegante prosa, raffinata costruzione verbale e periodica. Ma l’argomento, per gli italiani, è vecchio come il mondo, la questione dibattuta infinite volte e mai giunta a una conclusione. Perché l’omertà, la reticenza, la diserzione, la latitanza (di uomini e istituzioni) sono atteggiamenti che ci han sempre caratterizzato, anche oltre quel lontano 1848, anno così cruciale e determinante per le vite di coloro che saranno chiamati, a tutti gli effetti, in ogni documento e ogni legge, “italiani”.