Via col vento. Domani è un altro giorno!

Marianna Abbate
ROMA – Tara, il caldo, la polvere e la guerra. Un amore enorme, infinito. Un’illusione.

Chi non ha sognato di essere Scarlet O’Hara- Rossella? E soprattutto, chi non ha visto il film con Vivien Leight e il Clooney degli anni ’50: Clark Gable? (Sono d’accordo con voi: era meglio Gable, non vi agitate).

Film indimenticabile, campione d’incassi e di Oscar,  che io ho visto per la prima volta solo qualche mese fa. E ora vi spiego perché.

Ero sempre la teenager brufolosa e nasona che tutti sfottevano, e amavo i libri. Li amavo tanto da disperarmi ogni volta che ne finivo uno. Per questo ho cercato assiduamente libri lunghi, libri oltre le 500 pagine, per rimanere più a lungo possibile in contatto con quei protagonisti che avevo appena conosciuto, e che spesso sparivano dalla mia vita dopo sole 150 pagine di lettura vorace. Che tradotto in tempo spesso era quantificabile in una singola nottata insonne.

Io invece avrei voluto rincontrarli la notte successiva, discutere di quelle cavolate dette a pagina 75, di quel pugno tirato a pagina 120 e di quei tradimenti a pagina 132. Così mia madre, dopo avermi proposto di leggere l’elenco telefonico della città di Roma, che sicuramente sarebbe durato qualche giorno, tirò fuori da una valigia in soffitta cinque libri, che si rivelarono tomi di un’opera unica: Via col vento di Margaret Mitchell.

Sono state le due settimane più belle della mia vita. Ne sono uscita ancor più brufolosa, con un aspetto cadaverico e due occhiaie nere, ma ne è valsa la pena. Ma questo libro mi ha segnato. Mia madre e le amiche spingevano affinché vedessi il film, e io rifiutavo categoricamente.

Non avrei potuto assolutamente rivivere quei momenti di guerra, l’uccisione dello yankee, la morte della mamma, la perdita di casa, la perdita dell’amore. Quell’amicizia falsa con la santa e buona Melania. Quel riconoscere piano piano di aver avuto sempre torto in tutto, che Ashley non era l’Amore e che Rhett se ne era andato. Quella falsa speranza del giorno dopo all’ultima riga. La disillusione.

Ci sono voluti quindici anni perché quelle sensazioni si placassero e io potessi desiderare di riviverle guardando il film. Se non l’avete visto, fatelo subito.

Libro e film sono bellissimi, banalmente bellissimi. Stupendi, meravigliosi, fantastici: suggeritemi altri sinonimi nei commenti perché ho finito i superlativi, ma non ho finito l’entusiasmo. Andate, smettete di guardare sottecchi quel macaco che avete accanto e innamoratevi di un uomo vero: Rhett Butler.

E’ finto, dite? Beh, nessuno è perfetto.


 

 

Non lasciarti ingannare dal "Panico!"

Marianna Abbate
ROMA Se di notte sentiamo dei rumori in salotto, se c’è un temporale fortissimo, se un ladro ci punta contro una pistola abbiamo paura. E’ lecito avere paura durante un terremoto, un incendio o una tempesta in mare. Ma quando siamo al sicuro – mentre guidiamo una macchina o leggiamo un libro, quando prendiamo un caffè al bar o saliamo sull’autobus o siamo in spiaggia a prendere il sole –  e un improvviso terrore ci attanaglia lo stomaco, ci paralizza le gambe ci cattura e ci governa, quel terrore non è giustificabile da nessuna logica. E’ panico.
“Panico! Una ‘bugia’ del cervello che può rovinarci la vita”, questo il titolo del libro-intervista di Cinzia Tani al famoso neurologo Rosario Sorrentino, edito da Mondadori nella collana Bestsellers. Il professore spiega in un linguaggio accessibile a tutti, cosa accade nel cervello di una persona quando ha un attacco di panico. 

Di certo la zona interessata è l’Amigdala- il punto di partenza delle nostre emozioni, che è situata molto vicino all’Ippocampo, il cassetto della memoria. Per questo quando avviene l’attacco di panico, paragonabile quindi ad un corto circuito che ha il suo epicentro nell’Amigdala, il ricordo dell’attacco rimane nitido per tantissimo tempo, e nel paziente si sviluppa una paura della paura, che lo priva della libertà di vivere, costringendolo in un recinto.
Secondo gli studi di Sorrentino – che attraverso l’uso di una risonanza magnetica funzionale è riuscito a fotografare l’attacco di panico – questo fenomeno è dovuto alla mancanza o alla cattiva amministrazione di una sostanza fondamentale per il funzionamento del cervello: la serotonina. Per questo l’unica via di cura per questa malattia, che affligge moltissime persone, sono i farmaci.
Inutile quindi, perdere tempo a parlare dei disagi familiari con uno psicanalista, quando la motivazione del fenomeno è da ricercarsi in una predisposizione genetica coniugata all’utilizzo di sostanze scatenanti quali droghe o caffeina. 
Sorrentino enuncia due fattori fondamentali che rendono molto difficile la cura di questa malattia: il mancato riconoscimento sociale dell’esistenza di questo disturbo d’ansia, e la paura mista alla vergogna di prendere psicofarmaci.
Il professore si batte da anni contro la psicanalisi e a favore di una cura farmacologica, che dimostra sempre più di avere degli ottimi risultati, tanto che presso il suo studio si possono incontrare pazienti da tutto il mondo.
Il libro è un aiuto valido per chi soffre di questo disturbo, ma è anche un’interessante fonte d’informazioni per chi desidera conoscere al meglio una malattia che ha sempre maggiore diffusione.