Terre di Mezzo: Mari Accardi e “Il posto più strano dove mi sono innamorata”

il posto piu strano dove mi sono innamorata_chronicalibriGiulia Siena
ROMA
– All’inizio erano Tanya e Big Jim contro Barbie e Ken; poi la goffaggine di Irma contro l’eleganza delle Billeci. Con il tempo arrivarono gli amori sbagliati, le fughe, gli studi e i tanti lavori impossibili. Tutto, nella vita di Irma – la protagonista de Il posto più strano dove mi sono innamorata, il primo libro di Mari Accardi pubblicato da Terre di Mezzo Editore – era un contrasto, un continuo fuggire altrove per avere di più o avere cose diverse. Forse perché Irma, sin dall’inizio, aveva ascoltato suo padre ripetere “Cu niesci arriniesci”: se dalla vita vuoi qualcosa, devi andare via dal posto in cui sei nato. Così Irma si lasciò convincere e dopo aver sancito la sua inadeguatezza per Palermo arrivò a Torino. Da studentessa fuori sede alle prese con la solitudine e la paure Irma – ormai donna – inciampa in amori sbagliati e lavori impossibili. La nostra eroina siciliana viene licenziata da ogni posto di lavoro perché “troppo lenta”; passa, così, da cucinare per una mensa a cancellare foto pornografiche in un sito di annunci. Ed è in questo periodo che conosce Paolo, il decoratore di interni che non ricorda di aver mai baciato, ma con il quale vive ed è fidanzata da mesi. Forse la loro non è una vera storia d’amore, forse perché il loro è stato un incontro troppo normale, mentre, “A quanto pare, secondo un sondaggio di non so quale agenzia, gli amori più importanti nascono in circostanze o in luoghi anomali. E sono quelli che in percentuale durano di più”. Allora Irma è pronta a cambiare di nuovo, per l’ennesima volta, lei cambia rotta: viene licenziata, sale su una mongolfiera e poi vola a Praga con la convinzione di poter prendere in giro il tempo, fermarlo per giocarci e poi rientrare nella sua normalità anonima e viverlo. Perché il tempo, anche se scorre, rimane lì, attaccato a quella linea del telefono che lega Irma ai suoi genitori, alla sua isola, alla sua Palermo… richiamo perenne (quasi un rimpianto) che si accompagna e scontra con la sua certezza di sempre: fuggire.

 

Il posto più strano dove mi sono innamorata è un romanzo breve, intenso e immediato che raccoglie l’essenza di questo periodo incerto. La sua Irma è la giovane donna che vedi allo specchio o che incontri per strada, sul bus o in fila dal medico: tanto forte e determinata quanto nostalgica e indecisa; una donna che rincorre i sogni lontani convinta di cercare un posto nel mondo, un posto che forse non ha pensato di avere già. Una donna, Irma, che attraversa le situazioni e risorge dalle sue sconfitte.

“Come fossi solo”: Srebrenica a tre voci, vent’anni dopo

come-fossi-soloGiulia Siena
ROMA
“Quante volte hanno già vissuto questo momento nei loro incubi? Anni trascorsi sotto le granate, consapevoli che prima o poi sarebbe successo. Adesso che i loro peggiori presagi si sono realizzati, adesso che non possono più sperare in un colpo di scena, in una qualsivoglia via d’uscita, sembrano persi, svuotati dalla loro unica ragione d’essere”. Questa è la guerra in Bosnia. Srebrenica, 1995. Qui l’esercito serbo-bosniaco uccise 8372 persone, un massacro ritenuto genocidio dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia il 19 aprile 2004. Ma partiamo dall’inizio.

 

Dopo quasi vent’anni dalle atrocità avvenute, un giovane scrittore aretino, Marco Magini, decide di tornare ai fatti di Srebrenica e usarli, ricordarli, impastarli nella trama di un romanzo, per entrare, così, nel panorama letterario italiano con un libro di grande impatto. “Come fossi solo”, pubblicato da Giunti – finalista al Premio Calvino 2013 e con buone chance per lo Strega 2014 – è una storia che ripercorre la storia. Tre voci: quella di Drik, casco blu olandese, rappresentante del contingente Onu colpevole di non aver impedito la strage che cerca ogni giorno un motivo per riscattare la sua sensazione di impotenza; quella di Dražen, il soldato “mezzosangue” che non voleva essere un soldato, nato in questa stessa terra, nella parte a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina da genitori croati. E, infine, quella di Romeo Gonzales, magistrato spagnolo di lungo corso che vede questa convocazione da parte del tribunale internazionale per giudicare Dražen come l’occasione per ampliare il suo prestigio personale. Tre voci coinvolte, diverse e distinte che portano avanti il proprio punto di vista per costruire la Storia.

Ognuno di loro è un piccolo tassello nella grande vicenda che prende forma, spettatori inconsapevoli di come le dinamiche della guerra siano ogni volta simili e ogni volta spietatamente sorprendenti. I protagonisti sono attori e marionette, colpevoli e vittime di crimini e ingiustizie, sono coloro che provocano dolore e che ricevono dolore. Sono al fronte. Sono in una guerra. Fino a quando la morte non metterà fine alla guerra.

 

 

Marco Magini era un ragazzo durante la guerra in Jugoslavia. Sapeva di quella guerra come ne sapevamo noi italiani in quel periodo – forse un po’ meno: notizie allarmanti, confuse. Dopo vent’anni Magini ha voluto approfondire quel periodo storico e ripercorrere con una scrittura lineare e asciutta – forse alle volte dando per scontato un po’ troppe cose – il genocidio di Srebrenica. Ma “Come fossi solo” non è un libro storico – devi già conoscere i fatti storici per leggere con consapevolezza il libro – è un romanzo in cui viene data voce ai personaggi e alle loro emozioni; alle difficoltà, le paure, le ansie e le oppressioni di chi sta dalla parte del più forte temendo, comunque, gli eventi.

 

 

“Una buona stella”: il romanzo di Francesco De Giorgi

downloadAlessia Sità
ROMA“Se il mondo fosse più giusto, le parole ritroverebbero il loro significato. La parola libertà non sarebbe usata al posto della virgola dai politicanti che la limitano; la parola vita non sarebbe usata impropriamente rispetto a chi da anni soffre in un letto di ospedale; la parola amore non sarebbe usata come contrario della parola solitudine; e amicizia non sarebbe da pronunciare sempre e comunque, ma in alcuni casi esclusivamente particolari.”

In un mondo fatto di ingiustizie, di archetipi sociali e di pregiudizi radicati in mentalità provinciali, non sempre vi è la possibilità di riscattarsi. Una buona stella, il romanzo scritto da Francesco De Giorgi e pubblicato da Lupo Editore, è una riflessione costante sull’esistenza umana, qualunque essa sia.
Franco Quadriglia è un cinquantenne di Gallipoli insoddisfatto e infelice. La sua è una vita fatta di routine e sufficienza. Gli unici attimi di felicità nel torpore dei suoi giorni sembrano essere offerti dalla presenza di Carmela, la donna che ha sempre amato e che non ha mai avuto. E proprio quando il grigiore della sua esistenza sembra ormai destinato a sommergerlo e a soffocarlo definitivamente, arriva Stella. Una bellissima ragazza albanese, dall’aspetto etereo ma dal passato infernale. La giovane è vittima del racket della prostituzione, i cui segni non sono solo scolpiti nella sua anima, ma sono tangibili soprattutto sul suo corpo. Fra solitudini, malvagità e incomprensioni, fra i due si instaura un rapporto speciale, forse preludio di salvezza. Purtroppo, però, non sempre l’incontro ‘con una buona stella’ porta a un ‘lieto fine’. Spesso si vive solo elemosinando attimi di fugace felicità.

 

Francesco De Giorgi racconta la storia di due anime perdute che, nonostante tutto, tentano faticosamente di rialzarsi dopo i violenti colpi assestati dalla vita. Con uno stile asciutto e lineare, le sue pagine guidano il lettore alla scoperta di un mondo sommerso dall’indifferenza e lo travolgono – fino alla fine – nel desolato turbinio degli eventi dei protagonisti, sempre in attesa di qualcosa o forse di qualcuno.

“I tre giorni della famiglia Cardillo”, il nuovo libro di Flavio Pagano in anteprima esclusiva

I tre giorni della famiglia Cardillo_chronicalibri_anteprimaGiulia Siena
ROMA
– Sarà in libreria la prossima estate per Piemme ma qui, in anteprima esclusiva per coloro che amano l’ottima letteratura, si svela un po’. È “I tre giorni della famiglia Cardillo”, il nuovo libro di Flavio Pagano (nella foto in basso), l’autore che, dopo il successo di “Perdutamente” (Giunti, 2013), cambia completamente genere. Nasce, così, un libro che è una commedia nera, pulp ed esilarante, che promette di fare scalpore per il ritratto graffiante che fa della società italiana e del suo rapporto con i media, e per l’originalità della vicenda, che tocca senza pudori il tema del rapporto tra mafia e potere.

 

I Cardillos, una famiglia italoamericana che vive a Detroit, tornano in Italia per partecipare al faraonico matrimonio della figlia di un grande boss. Nonostante siano nostalgici del Belpaese, i Cardillos sono pieni di stereotipi: pensano che le musiche di Gigi d’Alessio le abbia scritte Giuseppe Verdi, pensano che Michelangelo siano due persone Michele e Angelo e credono che in Italia tutto sia piccolo, comprese le montagne e i criminali; ma su questo punto si sbagliano di grosso, mentre attraversano il Cilento, luogo di fascino e mistero, si perdono e finiscono nelle mani di un serial killer, uno che fa sul serio. Quella che dovrebbe essere la vittima predestinata non è affatto inerme: al contrario è un killer di professione, un uomo abituato a lottare e a uccidere, e la situazione darà luogo a un travolgente susseguirsi di colpi di scena. Intanto, simultaneamente, sia i Carabinieri che la mafia stessa indagano sull’accaduto.

Flavio Pagano_chronicalibri_anteprimaLa storia si arricchisce, così, di una sfumatura thriller che aggiunge ritmo alla magistrale scrittura di Flavio Pagano. Una scrittura ironica – come sempre nei libri di Pagano, l’attenzione allo stile di scrittura e ai registri letterari è grande – (da non confondersi con la banale e sorpassata satira sul mondo mafioso)  che rende «I tre giorni della famiglia Cardillo» un romanzo vivido e che non fa sconti: il suo realismo è per certi versi agghiacciante. I mafiosi di questa commedia nera sono divertenti, ma non c’è buonismo. La loro convinzione che la violenza possa risolvere tutto, trova sconcertanti conferme; i suoi protagonisti, poi, sono mafiosi veri, spietati e pronti a tutto. E, soprattutto, sono efficienti.

 

Thriller d’azione e giallo all’italiana si fondono in questa storia ad alto ritmo, calata profondamente nella realtà della provincia italiana. Emblematico, quasi, lo scalpore che viene raccontato nel libro  – come in tanti amari casi della cronaca vera – quando giornalisti da tutta Italia accorrono nel paesino cilentano di Petina (un luogo incantevole nel cuore del Parco nazionale del Cilento) a caccia di scoop. Ma questa è solo un’anteprima; per assaporare “I tre giorni della famiglia Cardillo”, le sue citazioni tratte da “Il padrino” o “Pulp fiction” (in cui Tony Cardillo crede che Ezechiele Ventisette non sia un nome biblico seguito dall’incarnazione dei versetti, ma semplicemente il nome e cognome dell’autore) e l’esplosiva vitalità dei personaggi, non vi resta che aspettare l’uscita di questa bellissima «mafiàba». Cos’è la «mafiàba»? La «Mafiàba», azzeccatissimo neologismo di Pagano, è una favola mafiosa, dove tutto è alla rovescia. Soprattutto la morale….

“Perdutamente”: Alzheimer, romanzo quotidiano

perdutamente-flavio-pagano-chronicalibriGiulia Siena
ROMA
– Napoli Centrale. Binario 16. Novembre. Una lettera spiegazzata infilata di fretta nella tasca di un cappotto consumato dal tempo. Il cappotto, però, non riuscirà mai a partire da quella pensilina che àncora la madre al figlio, due generazioni al cospetto del mutamento, la pensilina sotto la quale si incontrano il passato al presente, la normalità e l’imminente cambiamento. Il cambiamento si chiama Alzheimer, una malattia che danneggia i centri del cervello responsabili dell’apprendimento, della memoria, del linguaggio e del ragionamento. Una malattia neurodegenerativa che va a sovvertire i ruoli familiari prestabiliti, che rende i genitori figli di quegli stessi figli che si ritrovano quotidianamente ideatori e attori di una specie di farsa. La stessa che viene messa in scena dai protagonisti di “Perdutamente”, il romanzo di Flavio Pagano pubblicato da Giunti, per sopravvivere all’Alzheimer che colpisce la capostipite.

Il tentato viaggio dal binario 16, infatti, non era che la prima avvisaglia di una malattia che cancella il passato e annulla le inibizioni. Allora cosa fare? Con un sorriso amaro – perché “ridere è quasi una panacea di tutti i mali” – si guarda in faccia la realtà e si prende consapevolezza che i malati di Alzheimer vivono un presente parallelo che bisogna alimentare e al quale bisogna partecipare. Così tutti i personaggi di Flavio Pagano prendono parte a un teatrino casalingo innescato quasi naturalmente per sopravvivere al dolore quotidiano di sentirsi privi del punto di riferimento di una intera vita, della propria madre.

Ogni giorno, perciò, nel grande appartamento del centro di Napoli – mentre Napoli è li, affascinante e accogliente, illusoria e carnale, viva e rumorosa – i figli, i nipoti e gli amori di questo lessico familiare indossano i panni di attori e di infermieri, di giocolieri e di santi, di poeti e di locandieri, pur di alleviare quella sofferenza che con la vita toglie la vita.

Perdutamente è completamente, appassionatamente, senza via di scampo: come l’amore tra una madre e un figlio, come il tentativo ostinato di salvare i ricordi, di accompagnare la vita al suo declino.

“Quando uno si ammala di Alzheimer, l’esistenza di coloro che gli sono intorno non viene spinta verso gli interrogativi della morte, ma della vita. Perché l’Alzheimer è la malattia che più di ogni altra appartiene alla vita. Ne possiede tutta la follia, l’energia brutale e misteriosa, l’imprevedibilità. Rende concreta l’immaginazione, e dissolve la realtà. Rimescola il tempo”.

Ricatti e debolezze in “La giustizia di Icaro”

la giustizia di icaro
Silvia Notarangelo

PARMA – Il neo Presidente della televisione di Stato entra nella sua stanza, si siede alla scrivania e si lascia andare, soddisfatto, al torbido flusso dei suoi pensieri.
È lui il protagonista de “La giustizia di Icaro”, romanzo d’esordio di Fabio Piacenti (Vertigo Edizioni). Una storia complessa, cupa, imprevedibile, che riesce a svelare come ipocrisie e debolezze, ricatti e astuzie, possano diventare un’arma micidiale, incontrollabile e molto difficile da disinnescare.
Quando si intraprende una determinata strada, tornare indietro è quasi impossibile. Dall’alto di quella poltrona di pelle nera, la prospettiva cambia e il Presidente sa bene di avere nelle sue mani “uno strumento potente e distruttivo con cui combattere una battaglia permanente contro la realtà”.
Come per ogni capo che si rispetti, al suo fianco non può mancare lei, la segretaria. Bella e impeccabile, Caterina ha quel qualcosa in più che nessuno, neppure l’egregio Presidente, riesce a cogliere: sa scrutare e interpretare i gesti, le parole, le espressioni, riuscendo ad andare oltre le apparenze. La sua dote migliore è probabilmente la pazienza, quella pazienza necessaria per colpire al momento giusto e soddisfare un inappagabile senso della giustizia.
Per il Presidente la strada sembra in discesa, eppure appena qualcosa inizia a incrinarsi, ecco dietro l’angolo, il precipizio. Una caduta lenta e inarrestabile, frutto della propria arroganza, di quel suo sentirsi sempre e comunque protetto da un invisibile paracadute.
Per una volta, però, i conti non tornano. Ed è paradossale che sia proprio l’ultima, insignificante ruota del carro a segnare la sua fine, insieme a quel silenzioso braccio destro incapace di sopportare l’ennesima, gratuita prepotenza.
Ma si sa, la giustizia purtroppo è solo un’utopia e per tanti, troppi personaggi la riabilitazione non è certo una remota possibilità.

“…Ed era colma di felicità”, la storia di Rosalba è una storia di non solo amore

copertina paola liotta_copertina aurora.qxdGiulia Siena
ROMA
“La scrittura, innanzitutto, perché è un’ancora di salvezza. Non sarà forse vero che negli occhi di chi scrive passa tutto il dolore del mondo? Perché scrivere è un atto di coraggio, testimonianza di cuore e di amore per la vita, una scelta che può liberarci dalle contingenze, elevandoci al di là delle sofferenze e dei dispiaceri più o meno immediati che siano”. La scrittura è una delle passioni di Rosalba Guerrera; la scrittura riesce ad appagarla, la spinge a dimenticare le sofferenze passate, la stimola a cercare il meglio e a dare il meglio di se stessa, in tutto quello che fa. Rosalba è giovane, è siciliana, è appassionata ed è la protagonista di “…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta pubblicato da Armando Siciliano Editore.

 

 

La passione di Rosalba è la vita e tutto quello che comporta: amore, arte, affetti, competizione e sfide, ma spesso Rosalba si trova quasi impigliata nella sua rigidità caratteriale, anche quando le situazioni andrebbero prese di petto, come quella con Ruggero. Il fascino di questo uomo a tratti arrogante, rappresenta per Rosalba l’amore. Un amore fatto di dedizione e donazione, un sentimento avvolgente e quasi cieco, anche quando gli avvenimenti porteranno Rosalba a scegliere, perché, dall’altra parte, c’è un altro amore: quello per il suo lavoro all’Università, fatto di studio e ricerca. Il suo senso di responsabilità, infatti, insieme a una sensibilità innata, fanno spesso soffrire la protagonista della Liotta, rendono questa creatura fragile e quasi ingenua. A soccorrerla, però, arriva la Due. Rosalba Due è  una figura che è una trovata narrativa semplice e sagace per dare verve a questa storia fatta di realismo e sogni. Il realismo è rappresentato da una perdita troppo grande da dimenticare, perché quando Isabella è venuta a mancare Rosalba era troppo piccola per immagazzinare tutto l’amore per affrontare il futuro; un amore sbagliato – quello per Ruggero – perché l’uomo la deluderà spesso e poi un neo sconnesso cresciuto sulla sua pelle come una minaccia. Dall’altra parte, però, ci sono i sogni: le sue ricerche su Jean Giono, il suo lavoro pieno di stimoli e Dario.

 

 “…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta, intreccia vari aspetti della quotidianità, affermandosi come un inno alla vita attraverso la scrittura.

 

“Interrogato il morto”, un omicidio inaspettato nelle colline brianzole

interrogatoilmorto_Lupo_chronicalibriSilvia Notarangelo
ROMA – Direttamente mutuata dalle perizie necroscopiche, “Interrogato il morto” è la singolare formula che dà il titolo all’ultimo e piacevole romanzo di Renato Cogliati, pubblicato da Lupo Editore. Con uno stile personale e ironico, capace di alternare più registri linguistici, l’autore si immerge nella realtà di fine anni Cinquanta, riuscendo a ricreare un’atmosfera suggestiva e a tratti paradossale, animata da caratteristici personaggi.

 

Siamo a Brivio, un paesino di confine tra le provincie di Como e Bergamo. Come è facile immaginare, chiacchiere e pettegolezzi sono all’ordine del giorno, ma tutti sanno bene come funzionano le cose: qui non accade nulla “senza il consenso del sindaco, del parroco, del medico condotto e del maresciallo dei carabinieri”.
Ed è proprio all’interno di una delle istituzioni, la caserma, che si muovono i protagonisti della storia. Dall’alto del suo “metro e cinquantacinque centimetri”, il comandante Salvatore Inverso è ormai prossimo alla pensione. Nel tempo, ha saputo farsi apprezzare da superiori e magistrati, grazie anche ad alcuni successi ottenuti forse per bravura, più verosimilmente per pura fatalità. In ogni caso, la sua fama non è in discussione e ciò gli consente piccole quanto gradite distrazioni a bordo del suo Galletto Moto Guzzi o seduto in qualche osteria della zona ad assaporare cassöeula, verze e busecca.
Una vita, nel complesso, tranquilla e appagante in cui, all’improvviso, irrompe il maresciallo Antonio Veleno. Sarà lui a sostituirlo, un giorno, alla guida della caserma. Tra i due non è certo amore a prima vista, anzi. Arrogante e sicuro di sé, il nuovo arrivato non fa nulla per guadagnarsi la stima del suo superiore. Ma se nel lavoro Salvatore sembra riuscire a tenere a bada le aspirazioni del giovane collega, più difficile sarà per lui arginare un altro “interesse” prettamente personale. Un uragano si abbatte nell’esistenza del comandante. E visto che i guai non arrivano mai dai soli, ecco qualcosa di totalmente imprevisto: un omicidio. Un cadavere viene ritrovato nei boschi impenetrabili del Monastirolo.
Le indagini, prontamente avviate, si svolgono in un clima surreale, quasi ai limiti del grottesco. Inverso non è abituato a gestire casi simili, nessuno prima d’ora aveva mai osato commettere un delitto nei territori di sua competenza. Gli acciacchi dell’età, poi, uniti al solito, inesauribile appetito, di certo non aiutano. Eppure, tra affanni, improbabili collaboratori e l’immancabile autopsia, anche questa volta il comandante riuscirà a cavarsela.
Tirato un sospiro di sollievo, Inverso può forse riconoscere quanto sia inutile tentare di avere sempre tutto sotto controllo, nella vita come nel lavoro. Ci sono cose che accadono e basta, a prescindere dalla volontà o dai desideri di ognuno, e che poco hanno a che fare con la razionalità. L’importante è capire quando è il momento di deporre l’ascia di guerra e abbandonarsi, serenamente, al corso degli eventi.

“Il ragazzo selvatico” e la montagna come specchio dell’anima

Il ragazzo selvaticoMichael Dialley
AOSTA – “Il ragazzo selvatico” è il nuovo romanzo di Paolo Cognetti, pubblicato da Terre di mezzo editore: racconta di un ragazzo che dalla città è partito per andare a ritrovare se stesso, ritrovare le sensazioni vissute da bambino, in montagna. È un viaggio reale quello che il ragazzo ha intrapreso, ma dalla lettura emerge il potere straordinario della montagna, delle sue difficoltà e delle sue bellezze, che rispecchiano appieno l’interiorità dell’uomo alla ricerca di qualcosa, nella speranza di raggiungerla.
La vita cittadina è frenetica, caotica, mentre nel romanzo si dice che la montagna rappresenta “l’idea più assoluta di libertà”. Si cerca, quindi, un ritorno a ciò che è semplice ed essenziale; tra le molte citazioni, potenti e belle, di cui è disseminato il romanzo, c’è anche il manifesto di Thoreau, filosofo e scrittore statunitense del XIX secolo, in cui si racconta: “Andai nei boschi perché volevo vivere secondo i miei princìpi, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, per vedere se fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, di non aver vissuto”.
Una montagna che è sia immagine da cartolina, fatta di scorci stupendi, paesaggi e panorami incontaminati che si possono solamente trovare nei sogni, ma anche una montagna sempre più urbanizzata: purtroppo è il destino delle Alpi in questi anni, andare incontro a una sempre maggiore urbanizzazione per creare un terreno di gioco per i cittadini che vanno in vacanza.
Sempre più spesso si dimentica il valore della montagna, valore che i montanari sentivano nel profondo del loro animo e che nel romanzo emerge grazie a questa fuga dalla città in cerca degli antichi valori e delle emozioni infantili vissute; ma anche una presa di consapevolezza dell’importantissimo lavoro che nei secoli è stato fatto: “Il paesaggio intorno a me, dall’aspetto così autentico e selvaggio, fatto di alberi, prati, torrenti e sassi, era in realtà il prodotto di molti secoli di lavoro umano, era un paesaggio artificiale tanto quanto quello della città”.
Nei secoli questo lavoro è stato graduale, ma ha cercato sempre di non stravolgere l’aspetto della montagna. Oggi, però, c’è l’amara consapevolezza della realtà e la modernità viene raccontata così: “Con la fine del ‘900 arrivò anche quella del vecchio albergo: venduto, demolito e ricostruito per farne un condominio”. Ciò che rattrista, però, è che “di quel luogo, come scriveva Stern, sono rimaste ora solamente queste mie parole”.
Questo romanzo breve, ma intenso e denso di significati, è un’analisi della realtà delle Alpi, di ciò cui vanno incontro e di come la visione della montagna sia diversa, tra un montanaro e un cittadino e turista.

Questione di scelte: “L’amicizia in guerra”

Silvia Notarangelo
ROMA – Una piccola cittadina degli Stati Uniti dove vivono sei amici. Il giorno del diploma si avvicina. Hanno sogni diversi, pensano e agiscono diversamente, eppure qualcosa di profondo li unisce: un’amicizia che niente sembra poter scalfire. Nessuno può immaginare che qualcosa di sconvolgente cambierà radicalmente il corso delle loro vite.

Si apre delineando una realtà tranquilla e spensierata “L’amicizia in guerra”, il romanzo d’esordio di Marco Narcisi (Nulla die Edizioni). Una storia che inizia lentamente per poi divenire sempre più coinvolgente, capace di mantenere alta la tensione fino alla fine, in un crescendo entusiasmante in cui non mancano colpi di scena e decisioni inattese.
La quiete del gruppo si spezza una prima volta quando Owen, uno dei sei ragazzi, sparisce all’improvviso, senza dare più alcuna notizia di sé. Poi, a distanza di un anno, recuperato un apparente equilibrio, ecco la telefonata che preannuncia la tragedia.
Da questo momento, l’imperativo che attraversa l’intera vicenda è “scegliere”. Niente accade per caso. Alcune scelte sono prese sulla scia di un’emozione, altre appaiono inevitabili, altre ancora possono essere valutate e ponderate. Come intuisce Antony “ogni nostra scelta, anche la più semplice, determina con incredibile forza la differenza tra ciò che accade e ciò che sarebbe potuto accadere”.
Tra i sei amici c’è chi sceglie di lasciare tutto per inseguire un sogno, chi prova a buttarsi il passato alle spalle per ricominciare, chi non sopporta l’indifferenza e decide di rischiare in prima persona. Ognuno, però, magari senza accorgersene, si ritrova a fare i conti con il proprio stato d’animo e con un alternarsi di sentimenti spesso contrapposti: disperazione, sconforto, rassegnazione, ma anche lucidità, determinazione, euforia.
A volte le conseguenze delle nostre scelte sono limitate, altre possono essere devastanti. Soprattutto quando si gioca con un fuoco che, nel caso specifico, si chiama guerra. Un conflitto che appare sempre più inarrestabile, architettato da un nemico silenzioso, disposto a tutto pur di appagare le sue ambizioni e la sua sete di potere.
I ragazzi saranno travolti dalla Storia con la S maiuscola, in un’avventura che li porterà a guardare la propria vita con occhi diversi, fino a compiere scelte decisive e non prive di risvolti inaspettati.