“Causa di forza maggiore” di Chiara Giacobelli vince il Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2014

chiara_giacobelli_intervista-chronicalibriROMAChiara Giacobelli, con il racconto Causa di forza maggiore si aggiudica il Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar (sezione Narrativa) edizione 2014; il Premio che vede ogni anno la partecipazione di centinaia di autori da tutta Italia e non solo, nelle due sezioni Narrativa e Poesia. La giuria, composta da esperti del settore, ha selezionato in un primo momento una rosa di dieci finalisti e successivamente sono stati i finalisti stessi a scegliere il racconto giudicato migliore. La cerimonia di premiazione della XXII edizione del Premio avverrà sabato 31 gennaio presso l’Auditorium «Recagni» della Scuola Sociale Accademia delle Arti a Melegnano, in provincia di Milano.

 

Il racconto di Chiara Giacobelli – giornalista e scrittrice, autrice di “101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita” e “1001 monasteri e santuari in Italia da visitare almeno una volta nella vita” (Newton Compton) ; “Furio Scarpelli. Il cinema viene dopo” (Le Mani); “Emilia Romagna. Una visione artistica” (Round Table Bologna) – sarà pubblicato all’interno dell’Antologia ufficiale del Premio (contenente anche gli altri nove racconti finalisti) che verrà consegnata agli autori nel corso della cerimonia di premiazione e sarà poi acquistabile sia in libreria che online. Inoltre, come vincitrice della sezione Narrativa, Chiara Giacobelli avrà la possibilità di pubblicare gratuitamente un libro di una trentina di pagine, stampabile in 100 copie. Il racconto vincitore “Causa di forza maggiore” sarà inoltre pubblicato dalla rivista “Il Club degli Autori” – ente promotore del Premio insieme alla casa editrice Montedit – ed anche in internet sul sito www.club.it.

 

Questa la motivazione per l’assegnazione del premio:
“Il racconto è pervaso da profonda umanità, resa perfettamente dalla scrittura di Chiara Giacobelli, che propone la storia di due figure narrative estreme: da un lato, una donna che “gioca a fare la scrittrice” e, dall’altro lato, un barbone che vive di stenti, come ad enfatizzare la presenza di due mondi agli antipodi. Eppure hanno una cosa in comune: l’inerzia. Seguendo un costante scandaglio dell’animo umano, si giunge al simbolico dono di un libro, con la convinzione che l’uomo ne farà carta straccia, ma non sarà così. Chiara Giacobelli dimostra la sua bravura nel rendere pienamente percepibile la sua intenzione narrativa”.

 

 ChronicaLibri ha voluto fare qualche domanda a Chiara Giacobelli

Complimenti per il risultato ottenuto! Causa di forza maggiore, infatti, vince il prestigioso Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar (sezione Narrativa), come nasce questo racconto?
Nasce dall’incontro quasi quotidiano con il barbone descritto nel testo, di cui non so nulla, ma che sin dall’inizio mi ha molto incuriosita. Ho cercato di immaginare la sua storia, mentre ero nel bel mezzo di una brutta malattia dalla quale temevo che non sarei mai riuscita a guarire. Di fatto, mi sembrava fossimo due personaggi agli antipodi eppure assai simili nella disperazione, che con il tempo si era trasformata in inerzia. Il racconto, infatti, verte principalmente sul concetto dell’inerzia umana, lo analizza, lo scandaglia da varie angolature, prova ad andare a fondo per capire come nasce e anche fino a dove può arrivare.

Il racconto sarà pubblicato all’interno dell’Antologia ufficiale del Premio e, da vincitrice, potrai pubblicare un nuovo libro. Tante occasioni, quindi, ma secondo te qual è lo stato dei premi letterari in Italia?
A me sembra ottimo, ce ne sono tantissimi organizzati da regioni, enti e associazioni, ovviamente non tutti con la stessa importanza e non tutti in grado di mettere a disposizione premi in denaro o in pubblicazioni. Ma sappiamo bene quanto difficile sia la situazione culturale italiana in questo momento, perciò vedere un simile fervore, una così grande voglia di fare che nasce direttamente dalle persone e dal loro amore per la letteratura è secondo me molto commovente. E’ naturale che poi di tutti coloro che partecipano – e magari vincono – ai premi, solo una piccolissima percentuale riuscirà a farsi notare e magari un giorno ad arrivare a vivere di scrittura, ma ciò non toglie il valore e l’importanza di simili iniziative.

Ti abbiamo conosciuto in veste di scrittrice e giornalista, alle prese con libri di viaggio, saggi sul cinema e dedita a raccontare l’Italia, le sue ricchezze e i suoi paesaggi. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto ultimando il mio romanzo d’esordio rappresentata dalla Walkabout Literary Agency di Fiammetta Biancatelli, Ombretta Borgia e Paolo Valentini, che hanno creduto in me e per questo ringrazio di cuore. Ho anche altri libri di varia da scrivere nei prossimi mesi e alcuni progetti giornalistici, ma per il momento il romanzo è la mia priorità. Parzialmente autobiografico, prende spunto dalle mille figuracce che ho fatto nel corso della vita per raccontare un personaggio femminile che da Giacomo Scarpelli, sceneggiatore de “Il Postino”, è stato definito “una buffa Woody Allen in gonnella finalmente non apologetica”. Un viaggio inaspettato in Italia la porterà a vivere una dolce storia d’amore ambientata nel Golfo dei Poeti (e in buona parte all’interno dei Pronto Soccorsi in cui inevitabilmente finirà, per un motivo o per l’altro).

 

Antonio L. Falbo: “Finché brucia la neve” si può entrare nel buio del dolore

finchèbrucialaneve_falbo_chronicalibriGiulia Siena
PARMA“Loro, come tutti gli altri ventidue utenti, ai miei occhi è come se non fossero più esseri umani, speciali nel loro essere affetti da una grave patologia psichica, ma insieme a me e ai colleghi, a pari livello, i nervi, le arterie, il midollo, i globuli bianchi e rossi che compongono e regolano l’organismo di una sola gigantesca creatura. E come tali, continuiamo a svolgere il nostro compito senza conoscere lo scopo”. Una comunità, la neve, il dolore intenso della sofferenza, il dolore inflitto e i problemi di ogni giorno visti e vissuti da Desy e Alex. Questi ultimi sono i protagonisti di Finché brucia la neve, il nuovo romanzo di Antonio L. Falbo pubblicato da Armando Curcio Editore.

 

Desy è una giovane educatrice della comunità che da qualche tempo, anche a causa della misteriosa morte di Max, il suo collega e compagno, vive una sorta di burn-out. Si sente persa nella sua solitudine, attraversata da quelle stesse sofferenze che vivono i suoi pazienti e caricata di quegli stessi problemi che ogni giorno cerca di alleviare. Forse la soluzione alla sua devastazione potrebbe essere il farmaco, lo stesso che viene somministrato agli utenti della comunità. Una dose, anche piccola, per alleviare la morsa di quel senso di colpa per la scomparsa di Max, per quella condanna che pende sulla sua testa per l’incapacità di avvicinarsi ai “suoi ragazzi” con la semplicità e la gioia di prima. Solo un po’ di cura, qualche pasticca, nulla più. Il nulla poi arriva, veloce come un turbinìo e doloroso come un calcio nello stomaco per farla svegliare. A svegliarla è Nikolas che la mette di fronte a una verità scomoda e dolorosa. Verità, e poi, verità per chi?

Dall’altra parte c’è Alex che lotta con tutte le sue forze per non cadere in quello stesso baratro che ha travolto, anni prima, anche sua sorella Clare. Ora lei non c’è più, ma c’è la sua voce che cerca, in ogni istante, di coinvolgere Alex in quella malattia disarmante che è la schizofrenia.

 

Desy e Alex si sfiorano per tutto il romanzo; le loro storie camminano accanto per tutte le pagine del racconto per poi avvicinarsi, incontrarsi e scontrarsi sul finire del romanzo. Falbo li delinea come due mondi paralleli estremamente diversi eppure simili: due mondi assordati dalla propria lotta personale e lacerati dalle sofferenze che incontrano. Il mondo di Desy e quello di Alex si intrecciano a causa del dolore mentre fuori nevica e il tepore invernale sembra non avere mai fine una volta arrivato. Qui, mentre la neve attutisce la rabbia e i rumori, e proteggi i protagonisti dai propri demoni, la mano dell’uomo infligge nuova sofferenza e nuovo rammarico a un equilibrio già instabile.

 

Antonio L. Falbo con Finché brucia la neve ha il merito di raccontare – come già fece nel 2010 con Bonding (Pendragon, 2010) – il dramma interiore dei personaggi e di descrivere – alle volte in modo un po’ troppo prolisso (questa l’unica pecca) – i sentimenti e il sentire con molta arguzia e precisione.

 

Vedi QUI il booktrailer di Finché brucia la neve.

“Il giorno più crudele”, il Natale raccontato da dodici grandi scrittori.

FullSizeRenderGiulia Siena
ROMA – Quello che sta per arrivare è per molti un giorno speciale, nel bene e nel male. Un giorno fatto di ricordi malinconici, sentimenti contrastanti e piccoli dispiaceri; un giorno in cui la memoria diventa nostalgica e ci riporta agli anni passati, al fasto di un tempo felice, alla compagnia, alle risate e agli abbracci; un tempo che vorremmo fermare o che ci ha fatto solamente soffrire; un tempo che comunque si lascia ricordare. Stiamo parlando del Natale, e oggi, nel giorno della vigilia vogliamo proporvi una visione diversa da quella solita fatta di luci, sorrisi, regali e abbuffate; vogliamo proporvi una lettura stridente e piacevolissima: Il giorno più crudele, il Natale raccontato da dodici grandi scrittori. Pubblicato da ISBN Edizioni, questo libro contiene i racconti di H. C. Andersen, Anton Čechov, Carlo Collodi, Guy de Maupassant, Charles Dickens, Fëdor Dostoevskij, Nikolaj Gogol’, o. Henry, Luigi Pirandello, Dylan Thomas, Lev Tolstoj, Mark Twain che, ognuno secondo la propria inclinazione, si confrontano con il tema del Natale. Nascono così – e vengono raccolti sapientemente dalla giovane casa editrice milanese – storie di epoche e terre lontane, sentimenti, emozioni e suggestioni, famiglie, scrittori e bambini, ricchi, miserabili e viandanti, malati, nascituri e moribondi; storie che trattengono, da secoli, la magia del Natale e quel gusto classico, prerogativa di una letteratura che accomuna epoche e luoghi.

 

 

“L’azzurro squarciato di Ester”: Nicola Vulcano e il suo racconto di violenza, rabbia e perdono

Natalevulcano PARMA“Come se fosse facile perdonare! Se si provasse a essere umiliati e a sentirsi schiantati dentro come un albero colpito da un fulmine, non si userebbe  facilmente la parola perdono. Contro la cattiveria serve la vendetta più atroce”. Ester vorrebbe vendetta per l’orrore subito, vorrebbe trascinarsi in un deserto e lì, finalmente, poter urlare tutto il suo dolore e il disgusto per quella sua vita rovinato. Ora “la sua vita è in bilico tra la dannazione di vivere e il desiderio di farla finita”. Comincia così L’azzurro squarciato di Ester, il libro di Natale Vulcano pubblicato da Falco Editore. Ester era un’adolescente come tante, di quelle che sognano l’amore e di diventare, un giorno, un buon medico. Ma qualcosa ha arrestato la sua corsa. In una notte di violenza tutto è cambiato. Ora con lei c’è Tamara, quasi una ulteriore condanna, ricordo  di quella notte.

Tamara che vorrebbe morire anche se non sa cosa è la morte, Tamara che batte le mani, dondola e urla. Tamara che cerca un legame con la madre che non la ama, anzi, a casa la picchia. Tamara, infatti, “è piccola, ma è il parafulmine su cui si scarica ciò che accade in casa”. Perché Tamara è figlia di quello stupro che Ester ha subito e ogni volta, nei suoi occhi in cui si specchiano gli occhi della figlia, torna il ricordo di quella violenza.

 

La violenza di Ester è la violenza che alcune donne subiscono, nel corpo e nell’anima, nel presente, nel quotidiano e nel futuro. E questa violenza viene narrata da Natale Vulcano con la semplicità e il trasporto in un romanzo di forte impatto emotivo.

#PiùLibri2014: le oltre 56 mila presenze confermano il successo di una grande edizione

PIU libri2014ROMA – Tredicesima edizione da grandi numeri: 400 editori, oltre 300 eventi per 5 giorni di esposizione, ma quest’anno #PiùLibri2014 Più Libri Più Liberi, la fiera della piccola e media editoria, è stata da record. Con oltre 56 mila presenze e incontri “sold out”, l’ormai storico evento capitolino dedicato alla piccola editoria segna un punto a vantaggio della cultura resistendo alla crisi e partendo dai giovani e dall’incontro fra autori, editori e lettori.

 

“L’Italia che vuole partire alla riscossa con passione e onestà si è riunita qui a Più libri – ha dichiarato Fabio Del Giudice, direttore della Fiera – che quest’anno ha sfidato la crisi offrendo un giorno in più e un programma ancora più ricco e sperimentale. Oltre un decennio di successi si può spiegare solo con l’entusiasmo, la professionalità e lo spirito di progettualità che animano gli editori indipendenti, autentico motore per il futuro”. E conclude con un messaggio di costruttivo ottimismo: “I libri e la cultura, il coraggio di innovare, sono la migliore risposta al disagio sociale ed economico che stiamo vivendo e alle recenti notizie di malaffare e corruzione: ripartiamo da qui per rilanciare la cultura italiana e l’immagine del nostro Paese”.
Noi di ChronicaLibri, insieme alle telecamere di ITvRome, abbiamo girato tra gli stand seguendo i temi proposti dalla Fiera e lasciandoci guidare dal bellissimo slogan di quest’anno: è tempo di leggere! Abbiamo chiesto a editori e scrittori le proprie novità e i progetti, oltre che il significato della frase è tempo di leggere. Un tempo, quello per leggere, che il pubblico di #PiùLibri2014 ha trovato. Nei giorni della manifestazione, infatti, i lettori – quest’anno particolarmente attenti – che qui costruiscono e consolidano un rapporto con gli editori che prosegue per tutto l’anno sono diventati protagonisti. Antonio Monaco, Presidente del Gruppo dei piccoli editori dell’AIE e direttore delle edizioni Sonda ha parlato di “lettori interessati che vogliono dialogare con gli editori e sono informati sulle tematiche editoriali di attualità”. 
Libro dell’anno, secondo gli ascoltatori di Fahrenheit, la trasmissione di Radio3 Rai,  è stato proclamato Dimentica il mio nome di Zerocalcare (Bao Publishing).

 

Ecco qui le nostre chiacchierate tra gli stand. Tre video, di cui uno tutto dedicato all’editoria per ragazzi, che racchiudono la nostra tredicesima edizione di Più Libri Più Liberi 2014.

Silvia Pingitore, “Il disordine delle cose” per le generazioni senza santi in paradiso

il disordine delle cose_pingitore_chronicalibriGiulia Siena
PARMA
– Lucia non aveva mai pensato al suo futuro. Lucia si accontentava di vivere giorno per giorno senza domande e senza richieste tra l’ordine della sua scrivania e le quattro mura di un seminterrato nel centro di Roma con sua madre e suo padre. Lei, come molti, non aveva “santi in paradiso” ma, come pochi, non voleva diventare un’artista, una celebrità, un’attrice, nonostante il suo nome, Lucia Fellini, potesse suggerire – ai suoi coetanei – quel tipo di carriera. Lucia non aveva pretese ma, quando all’ultimo anno di liceo venne presentata l’Università La Speranza, capì che la sua strada era imparare a comunicare! Così, fuori dal tempo, dalle mode e dalla realtà Lucia scelse la sua strada. Lucia, nata dalla geniale penna di Silvia Pingitore, però, rimaneva ai margini di quella vita troppo diversa da lei, fatta di arrivisti, segreti e invidie. Dal suo mondo ordinato e quasi intatto, fermo a decenni che non le appartenevano, nel mondo di Lucia entrò il disordine, Il disordine delle cose.

Pubblicato da La Lepre Edizione, il romanzo di Silvia Pingitore dopo averci presentato la protagonista e il suo mondo ci porta in viaggio: dal crollo dell’Università La Speranza alla Finlandia. Sì, la Finlandia, perché Lucia aveva fatto entrare poche cose nuove nella sua solita vita, tra queste c’era il poema epico Kalavala, il libro “sacro” finlandese incentrato sull’amore per la natura. Come una sorta di ossessione questo libro era uscito dalle aule universitarie ed era entrato nella sua quotidianità, era simbolo, segno e sogno di una speranza che in Lucia si stava destando. Allora per gioco e all’improvviso Lucia partì verso questo nuovo mondo senza sapere per quanto tempo e per quale obiettivo sarebbe stata lontana dalla sua solita vita. Il viaggio alla ricerca di santi in paradiso ha inizio.

 

Silvia Pingitore con ironia e disillusione crea un particolarissimo ritratto di giovani dalle belle speranze. Quello che ne esce è una generazione tradita, insicura, talentuosa, rabbiosa e ormai quasi indifferente. Giovani donne e uomini che partono alla ricerca di qualcosa che nella loro terra gli viene negato. Ma cosa? La possibilità di sperare, ancora?

 

 

“E voi che la guerra l’avevate vista solo in televisione, voi ancora non lo sapevate che di guerra ce ne sarebbe stata un’altra, e che vi avrebbe tolto non il pane ma la dignità. 
Era la guerra fra poveri, era per voi tutti.
Tutti quelli senza i santi in paradiso. 
Proprio come Lucia, che aspettava quell’uomo seduta su una panchina”.

“A Sud di Lampedusa” prende vita grazie a una mostra di Eloisa Guidarelli

a sud di lampedusaPARMAA Sud di Lampedusa (minimum fax) di Stefano Liberti non è solo un libro: dopo il successo di pubblico è diventato un documentario di Andrea Segre con la sceneggiatura nata dalla collaborazione proprio con l’autore e Ferruccio Pastore. Ora, A Sud di Lampedusa prende vita, forme e colori diversi e diventa una vera e propria galleria di immagini create da Eloisa Guidarelli, in mostra alla Libreria Diari di Bordo di Parma fino al 16 novembre. Si comincia oggi, 16 ottobre ore 18 con una reading in libreria davanti alle bellissime immagini create dalla Guidarelli nell’ultimo anno.

 

Stefano Liberti – vincitore con questo libro del Premio Indro Montanelli – è uno dei pochi giornalisti italiani che seguono gli aspetti meno conosciuti dei movimenti migratori dell’Africa verso l’Europa: senza fidarsi dei luoghi comuni o dei proclami ufficiali, ha scelto di esplorare la «geografia del transito» tra il Sahel e il Maghreb, risalendo alla sorgente di un flusso umano di cui spesso vediamo solo la foce. Ha incontrato migranti che preferiscono chiamarsi avventurieri, politici africani sudditi dei diktat europei, gruppi di clandestini bloccati in mezzo al deserto e piccole città sorte dal nulla, e ci restituisce il quadro vivo e sfaccettato di un fenomeno che l’appiattimento mediatico riduce e generalizza, ingestibile «emergenza».

“Nati sotto il segno del cavolo”, tutto quello che le mamme perfette non ti dicono

natisottoilsegnodelcavolo_anteprima_chronicalibriGiulia Siena
PARMA 
– Con gli anni sono diventata scettica. Cominciai a scrivere di libri perché volevo rimanesse qualcosa di quello che leggevo; volevo che lo spiccato spirito di osservazione che mi tiene in ostaggio servisse agli altri nel districarsi nella contorta logica delle librerie generaliste. Così, cominciai a parlare di libri e a diventare, con il tempo, sempre più scettica. Ora, appena prendo un libro in mano, sono scettica… in senso buono! Lo scetticismo mi ha portato ad un’analisi ancora più profonda (si cade quasi nella paranoia da lettore consapevole) su ciò che vado a leggere. Voglio che quel libro mi tolga ogni titubanza: mi coinvolga, sia attinente con ciò che promette, si faccia ricordare! Per farlo, ogni volta, mi chiedo dove si voglia arrivare e poi, alla fine del libro, tirare le somme: era quello che volevano (editore-editor-autore)?

 

Vi ho detto, lo faccio con ogni libro, ogni giorno. L’ho fatto anche con Nati sotto il segno del cavolo e, nonostante Irene Vella sia una garanzia di scrittura spassosa e coinvolgente, questa nuova, nuovissima esperienza letteraria – infatti sarà in libreria da martedì 14 ottobre – poteva essere rischiosa. Il libro, scritto a quattro mani con Roberta Giovinazzo (insieme nella foto a lato) – sorprendente per freschezza narrativa e ironia – e IReneVella RobertaGiovinazzopubblicato da Novecento Editore, correva il rischio di lasciarsi fraintendere. La storia è scritta da due differenti punti di vista, quello di Irene e di Roberta, che poi sarebbero quattro, ci sono anche loro, i piccoli protagonisti, Gnomo (figlio di Irene) e Biscotto (figlio di Roberta). Queste due mamme, per loro definizione, sono “mamme che si sentono sbagliate”. Sì, proprio così, perché mentre le mamme perfette sono sempre puntuali, ben pettinate con tailleur o le ballerine o il cardigan di cachemire, le nostre due mamme sono “normali”, ovvero in perenne ritardo, stanche, giramondo e un po’ spettinate. Con loro, in questa avventura, i loro figli, piccoli ometti cinici e diretti. Nati sotto il segno del cavolo, infatti, vuole sfatare quel mito che vuole tutti i bambini buoni, educati e gentili, ci sono infatti veri e propri “bimbi-merda”, quelli che non si vergognano di dire la loro, quelli che, nonostante figli di “mamme-merda”, riescono a mettere quest’ultime in grande imbarazzo. Da zero a dieci anni (più o meno) la vita di Gnomo e Biscotto viene raccontata dalle loro madri attraverso episodi quotidiani di divertimento, gioia, difficoltà e amore. La penna ironica, narrativa, descrittiva e generosa di Irene Vella – quella della Giovinazzo non è da meno! – è un vero e proprio regalo per il lettore che varca la porta di casa ed entra in questo caotico e bellissimo mondo.

 

La mission, per le due autrici, era difficile: giocare poteva portare a calcare un po’ la mano e risultare l’opposto di perfettine, risultare stronze senza amore. Ma il risultato è stato amore puro, amore senza regole, amore smisurato nonostante le difficoltà della vita, la diversità di approccio, di età, di bisogni, di famiglia. E, per tornare all’inizio, hanno fatto dileguare ogni mia titubanza.

 

Il libro, con le prefazioni di Cristina Parodi e Rita dalla Chiesa, si chiude con i racconti di cinque genitori alle prese con figlio più o meno “bimbi-merda”.

Edizioni e/o: Patrizia Rinaldi torna con “Rosso caldo”, tutte le sfumature del giallo

rosso-caldoGiorgia Sbuelz
ROMARosso caldo non è solo un colore, ma un indizio da seguire nel nuovo romanzo di Patrizia Rinaldi (pubblicato dalle Edizioni e/o), in cui tutta la squadra del commissariato di Pozzuoli è chiamata in causa a risolvere un duplice omicidio che farà riemergere antichi fantasmi e nuovi rompicapi. Nell’indagine è coinvolta anche la sovrintendente Blanca Occhiuzzi, già protagonista dei due precedenti lavori dell’autrice, Blanca e Tre, numero imperfetto. Ipovedente dall’età di tredici anni, Blanca ha sviluppato un intuito eccezionale che la fa destreggiare abilmente anche nei casi più intricati, riuscendo ad identificare quel dettaglio sfuggente o quell’odore particolare, in grado di guidarla sicura verso il bandolo della matassa.

 

Lo scenario dei crimini è una Napoli grigia bagnata dalla pioggia primaverile. Dagli scantinati di Palazzo de Pignatta, l’anziana Alina ode da anni rumori di spiriti che agitano ferraglie e si lamentano, spiriti femmina, dice lei, che emettono mugolii come se una mano coprisse loro la bocca. Nemmeno la sua convivente, Mariarca, vuole darle credito, finché proprio nei sotterranei del Palazzo viene rinvenuto il corpo di Geronimo Sellitto, un impiegato delle poste con un’ossessione morbosa per l’arte. La scia che segue Blanca è fatta di odore di essenza di mandorlo di cui il cadavere è impregnato, scia che ricollega l’episodio ad un altro ritrovamento effettuato dall’ispettore Liguori alle Terme di Baia: un sacco ricavato da un velo da sposa contenete ossa umane e trattenuto da un fiocco rosso, rosso come il sangue. Il macabro cadeau emana un profumo cattivo di orzata e scarti di macelleria. Quando un secondo impiegato dello stesso ufficio postale, Oreste Bonomo, viene ucciso con tre colpi di pistola, appare chiaro che il caso nasconde molto più di quanto si possa ipotizzare.
Le indagini s’intrecciano alle vicende personali dei protagonisti; la relazione fra Blanca e Liguori entra in crisi mentre la vita di Ninì, figlia adottiva di Blanca, viene messa a repentaglio. Il padre della ragazzina infatti, un pregiudicato, vuole mettersi in contatto con lei per usarla e portare a termine un infido proposito.
Il commissario Martusciello comincia ad accusare vuoti di memoria, mentre la noia lo assale nei momenti meno opportuni; l’agente scelto Carità è trincerato come non mai dietro la barriera del suo mutismo. I personaggi sono così intrappolati nella rete delle proprie inquietudini, rompendone le maglie solo al raggiungimento del parossismo creato dal ferimento di Martusciello. Nello squarcio sul fianco del commissario, Liguori rivede “un geyser di rosso e di caldo”. Ancora rosso, un rosso che risveglia le menti dei protagonisti, restituendo loro la forza e lo scatto per risolvere un’inchiesta che ribalterà lo status della Napoli dei signorotti, dei segreti di famiglia, dei voyeurs e dei fanatici dell’Azionismo Viennese, col sangue che diventa pittura e traccia da inseguire per far emergere scomode verità.

 

Rosso caldo è un giallo dalle venature noir, la cui solidità fa perno su un’attenta costruzione dei protagonisti che, colti in quella nella fase in cui ogni dubbio interviene a dissestare l’ordine pregresso delle cose, riconquistano se stessi tuffandosi in un’indagine atta a far saltare ogni coperchio, presente e passato, proprio e altrui. Le distanze fra lettore e personaggio vengono accorciate dalla scelta di intervallare la narrazione con passaggi in prima persona: Blanca e gli altri sono personaggi veri a cui potersi affezionare e su cui fare affidamento per calarsi nella profondità di una Napoli tanto misteriosa quanto pericolosa, dove ogni pista ne apre un’altra.

Via del Vento: Etty Hillesum, “Una piccola voce” nel coro straziante della Shoah

una piccola voceGiulia Siena
PARMA“Ma devo provare a scrivere qualcosa per voi, perché siamo occhi e orecchie di un pezzetto di storia ebraica, e qualche volta sentiamo il bisogno di essere una piccola voce”. Questa è stata Etty Hillesum, una piccola voce nel coro straziante della Shoah. La sua piccola voce – da qui il titolo del volume – è diventata una lunga lettera di testimonianza e dolore, il racconto drammatico della vita e della deportazione degli internati ebrei dal campo di transito olandese di Westerbork verso Auschwitz. Una piccola voce, il pubblicata nella collana Ocra gialla della Via del Vento Edizioni ci fa entrare nel mondo crudele di Etty, che a soli ventinove anni ha dovuto abbandonare le sue passioni e la sua curiosità di scrittrice per morire in un campo di concentramento. Prima di farlo, però, è riuscita a congedarsi dal mondo raccontando il suo dramma e quello del suo popolo, è riuscita a raccontare le banalità del male inflitto in quei luoghi di tortura, la cattiveria degli uomini, la vigliaccheria del potere, i ricatti che tende la paura. La sua piccola voce è un urlo straziante che percorre un quotidiano asfissiante e talmente vero che la testimonianza si fa cronaca e romanzo. Perché Una piccola voce di Etty Hillesum non è l’ennesimo libro sulla Shoah; Una piccola voce è una confidenza, una testimonianza, un esercizio di scrittura vero e coinvolgente, scritto come monito per gli altri uomini, per far conoscere il dramma senza urlarlo.

 

 

“Dopo questa notte, ho ritenuto per un attimo, in tutta onestà, che si commetterebbe peccato, se in futuro si sorridesse ancora. Ma più tardi ho pensato che qualcuno è partito sorridendo, anche se non sono stati molti”.