“Il campione innamorato” nella giornata contro l’omofobia

Giulia Siena
ROMA
– “Il campione innamorato. Giochi proibiti dello sport”, scritto da Alessandro Cecchi Paone e Flavio Pagano è arrivato nelle librerie per Giunti a fine aprile e già ha creato scalpore. I media ne hanno parlato e ne parlano non solo perché la prefazione è di Cesare Prandelli – ct della Nazionale e autore di epocali dichiarazioni sui gay nel calcio – ma anche per le innumerevoli storie di amore e sport che il volume racconta. “Il campione innamorato” è un libro che ripercorre lo sport come la storia parallela di passione e agonismo, una realtà che – dai tempi dei Greci – sembra che non possa più accogliere in sè, armoniosamente, pulsioni fisiche e foga sportiva. Ma lo sport è disciplina, educazione, amore, costanza e tolleranza. Lo sport non è vincere a tutti i costi e, in una società che non conosce cultura sportiva, l’agonismo viene sviscerato della sua componente pedagogica e passionale. Oggi, giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, per iniziativa del ministro Francesco Profumo, un capitolo de “Il campione innamorato” approda nelle scuole italiane. Nelle scuole italiane perché i giovani hanno tanta voglia di sapere e di esplorare, e perché l’omofobia è una delle tematiche del bullismo e perché, grazie anche alla storia di Thomas Gareth, il primo giocatore di rugby ad annunciare la propria omosessualità, lo sport diventi una storia di amore e tolleranza. Oggi ne parliamo con Flavio Pagano (nella foto in basso).

Perché “Il campione innamorato”?
Perché è inquietante pensare che in Iran pochi giorni fa sono stati impiccati quattro ragazzi omosessuali e che due anni fa Eudy Simelan, capitano della squadra di calcio femminile del Sudafrica è stata uccisa poiché lesbica. Sono storie scomode, perché molti amano far finta di non capire e di non sapere, per timore di doversi complicare la visione della vita. Questo libro ci racconta che la storia è fatta di persone, persone che hanno avuto una vita quotidiana identica alla quotidianità di oggi; persone che hanno vissuto i problemi che molti altri vivono oggi, e che hanno saputo trovare il coraggio per affrontarli. La vita consiste nella possibilità di fare delle scelte. È quando cominciamo a scegliere, che veniamo veramente al mondo. Senza questo, finché c’è qualcun altro che pretende di scegliere per noi, non può esistere libertà.

Lo sport che ruolo ha avuto nella storia dell’omofobia?
Lo sport è un momento decisivo di una società, della sua cultura e del suo modo di essere. “Il campione innamorato” è un libro nel quale l’amore e l’agonismo sono stati narrati cercando di far vivere la polifonia dell’intreccio di storie come in un romanzo. Da eterosessuale dico che il calcio è lo sport della sessuofobia. Tutti gli sport hanno una componente compulsiva, primitiva, fallica, ma nel calcio, e già nella formazione sportiva dei ragazzini, domina il maschilismo. Quel maschilismo che diventa omofobia, razzismo, voglia di vincere a tutti i costi fottendosene delle regole, e che inquieta.

Dalla dichiarazione-scandalo di Prandelli sono passate poche settimane, ma in quanto tempo è nato il vostro libro?
Il nostro è stato un lungo lavoro di documentazione; infatti, nel libro, vengono riportati innumerevoli episodi di sport e di vita privata dei più grandi campioni di ogni disciplina. C’è la storia di Dora-Heinrich Ratjen, di Martina Navratilova e la storia di Re Umberto II di Savoia. Forse non si potrà ammettere che un calciatore è omosessuale, ma un celebre sovrano lo era. Umberto II di Savoia era un accanito corteggiatore del calciatore Primo Carnera. Il simbolo della virilità durante il fascismo, Carnera, ebbe un flirt a bordo piscina di casa Savoia con il re. Del resto molti parlano dell’omosessualità di un personaggio leggendario del calcio mondiale, che oggi ricopre un ruolo diregenziale, ma simili storie vengono sistematicamente criptate e nascoste dalla “cupola” del potere sportivo.

Allora perché tutto questo silenzio intorno alle dichiarazioni di Prandelli?
Ci aspettava almeno qualche presa di posizione da parte delle istituzioni sportive e non. Invece c’è un polverone, eppure pochi, se non nessuno, hanno parlato.Purtroppo duemila anni di storia non hanno portato a nulla. E’ stato imbarazzante assistere al silenzio di tutti; neanche le istituzioni hanno voluto schierarsi. Io ho invitato il sindaco della mia città, Luigi De Magistris, a prendere parte alla discussione perché sarebbe stato bello che da Napoli, città vittima di razzismo, si partisse con un dibattito o con una presa di posizione. Ma al polverone che si è alzato a livello mediatico, sul web e sui giornali, nessuno – non ancora – ha osato replicare. Quella contro il razzismo è una battaglia. non è un discorso da bar sport, come vorrebbero farci credere personaggi come Moggi. Il calcio, lo sappiamo tutti, ha ben altro da fare che reprimere il diritto della gente di vivere e amare: dovrebbe pensare a ricostruirsi una credibilità, e una moralità. Il nostro libro ha un obiettivo ambizioso: fermare per un attimo il mondo sfrenato del pallone, e invitarlo a pensare. Un momento, un minuto di silenzio, come si dice in gergo sportivo, come è avvenuto quando è tragicamente morto in campo Morosini. Fermarci tutti a pensare davanti al mistero dell’amore, così come ci siamo fermati davanti a quello della morte.

Flavio Pagano e Alessandro Cecchi Paone sono al loro secondo libro insieme; progetti futuri?
Dopo “La rivolta degli zingari” e “Il campione innamorato” vorremmo continuare a esplorare i grandi filoni della Storia alla ricerca di dettagli sfuggiti all’attenzione generale, di angolazioni nuove. Alessandro ha la passione dell’archeologia, io quella della letteratura. Staremo a vedere.

 

"L’omosessualità non è ancora metabolizzata dal nostro panorama letterario (e culturale)": ChrL intervista Giorgio Ghibaudo.

Giulio Gasperini
ROMA –
Ghibaudo, torinese d.o.c., ha una scrittura scevra di finzioni inutili, di orpelli grevi. Ha una scrittura pratica e maneggevole, semplice e non artificiosa. Esattamente come è lui; e lo capirete dalle risposte alle mie domande. Con Giorgio abbiamo provato ad armonizzare l’intervista. Lui si è scherzosamente lamentato che le mie domande eran complesse, e che sarebbero servite ore di telefono per rispondere. Io credo che abbia risposto in maniera molto intelligente, non trovate?!?

Scontata e prevedibile, la prima domanda riguarda il materiale autobiografico presente in questo romanzo. Quanto ce n’è? Quanto ce ne sarebbe stato di più?
Se la domanda era (per tua stessa ammissione) prevedibile, mi auguro di sconvolgerti ammettendo che, pur essendo un’opera prima, nella quale ci si aspetterebbero aneddoti raccattati qua e là dal mio passato, in Kiss Face l’unico elemento vagamente autobiografico è la festa di mezza estate alla quale i due protagonisti partecipano.
Poi, se vogliamo andare a fare una ricerca proprio approfondita, potrei aggiungere che poche settimane prima che io mi accingessi a scrivere questo romanzo fui brutalmente mollato da un certo Paolo. Ora, il fatto che il protagonista di Kiss Face si chiami proprio così e che nel corso della narrazione subisca una serie di abbandoni da parte dei suoi compagni… come potrebbe essere interpretato tutto ciò? Come una sorta di catarsi per interposta persona? Come un delirio di onnipotenza? Battute e strizzate d’occhio a parte, ritengo la mia esistenza non così ricca di eventi tali da meritare di essere inseriti in un romanzo. Preferisco lavorare di fantasia, su idee che mi sono venute e che approfondisco in fase di scrittura. La festa di mezza estate che cito più sopra è stata presa da una mia esperienza personale e cambiata al punto tale da non essere più riconoscibile. Avevo bisogno di un contesto che fosse un po’ “magico” per introdurre il personaggio di Flora.


La seconda domanda, anche questa poco emozionante perché inflazionata, riguarda l’importanza dell’omosessualità sulla scrittura. A lungo si è discusso e tutt’ora se ne discetta in maniera quasi ossessiva, oserei direi (ma tutta italiana è la mania delle etichette, esclusivamente per far lavorare tanti critici e professori universitari), sull’esistenza o meno della letteratura di genere e, in questo caso specifico, della letteratura “omosessuale”. Esiste? Non esiste? Sarebbe meglio non esistesse? Oppure è inutile persino porsele, queste domande?
A mio modestissimo parere una “letteratura LGBT” esiste, eccome! Esiste come esistono decine di altre letterature e generi, tutti degni di un proprio spazio. Il problema (soprattutto qui in Italia) è forse l’enfasi con la quale il discorso-omosessualità viene sempre trattato (vedi “stigmatizzato”). È spesso fonte e tema di dibattiti, di scontri in ogni ambito della vita sociale e politica. Tutto ciò, ovviamente, fa sì che un genere letterario (o cinematografico o teatrale che sia) o qualsiasi forma artistica (a tematica LGBT) diventi a sua volta oggetto/bersaglio degli stessi dibattiti. E mi pare che certe domande vengano poste solo ed esclusivamente in riferimento a quel tipo di letteratura. Ritengo comunque utile e doveroso porsi queste domande. È una spia di come l’omosessualità non sia ancora una cosa metabolizzata nel nostro panorama. Quando non sentiremo più la necessità di porci questa domanda (così come quando non ci chiederemo più se un gay possa sposarsi o una lesbica adottare un bambino), significherà che le cose saranno nettamente migliorate, per tutti, anche per gli eterosessuali.


Sicché deduco che per te la letteratura omosessuale, pur esistendo come genere, non possa esser confinata soltanto a lettori omosessuali. Ma perché, probabilmente vincendo un inevitabile e inestirpabile (almeno per adesso) machismo, un etero dovrebbe interessarsi di acquistare libri che parlano di tematiche omosessuali? (Il discorso è solo maschile perché, pur con le dovute eccezioni, le donne paiono più disposte ad accogliere, da lettrici, lo sconfinamento di genere).
Torniamo un attimo al discorso “generi”. Se equipariamo (cosa che mi sembra sana) il “genere LGBT” a tutti gli altri, allora ci troviamo a poter constatare che non a tutte le persone piacciono tutti i generi (cosa a mio parere altrettanto sana). Per esempio a me non piace il genere bellico, come altri potranno dire di non gradire la fantascienza perché si definiscono persone con i piedi piantati a terra o c’è chi non apprezza il fantasy e lo che liquida come “semplice” letteratura per ragazzi. Però nel caso della letteratura LGBT, ci troviamo di fronte a volte a un atteggiamento dai tratti vagamenti omofobi e dunque un eterosessuale maschio troverà un certo fastidio ad approcciarsi a un romanzo con gay come protagonisti (cosa che effettivamente, come suggerivi tu, non infastidisce minimamente le lettrici eterosessuali). È anche interessante constatare come noi della comunità LGBT, invece, non disdegniamo la lettura di romanzi in cui i protagonisti siano eterosessuali e non cerchiamo a tutti i costi la love story gay ogni volta che sfogliamo un libro.


Sarei curioso di sapere, però, proprio in concreto, quali sono i motivi per i quali, a tuo parere, un lettore eterosessuale dovrebbe interessarsi a leggere un libro dalle tematiche omo?
Se parlassimo di “generi in generale” si potrebbe dire che più si allarga il raggio delle proprie letture (e i temi trattati in esse) più aumentano le prospettive mentali personali, le proprie conoscenze e i propri interessi. Purtroppo questo tipo di letteratura di cui stiamo parlando è osteggiato da un muro culturale molto forte. Per un eterosessuale è imbarazzante la lettura di un libro a tematica LGBT perché gli verrebbe da porsi la seguente domanda: “Ma se io sono veramente etero, per quale motivo sto provando questa strana curiosità su argomenti così lontani da me? Cosa mi sta succedendo? Non è che anche io, forse…?” Sarebbe per lui una bella prova di coraggio, più che una semplice lettura! Nella realtà, invece, un eterosessuale che si interessasse a un romanzo a tematica LGBT darebbe intanto un esempio di come si possa spaziare con la letteratura in più universi narrativi e sarebbe un modo, per lui, per capire quanti di quegli stereotipi da barzelletta da caserma che circolano su di noi, non trovino fortunatamente alcun riscontro nella vita di tutti i giorni. Sarebbe un modo per capire e conoscere un mondo diverso dal proprio ma che ha la stessa dignità e diritto di esistere.


All’estero, per ampliare la discussione, la letteratura omosessuale è considerata uno dei capisaldi della crescita culturale. Basti pensare a Edmund White e David Leavitt negli States, o a Forster e Wilde in Inghilterra. In Italia i nomi di Tondelli, di Patroni Griffi, persino di Penna e Pasolini ancora si sussurrano, senza contare la freddezza con cui si glissa sull’omosessualità di tanti altri (Palazzeschi tra tutti); figurarsi poi se se ne discute nelle aule scolastiche! Quali sono, a tuo avviso, i ritardi che comporterà questo nostro blocco culturale?
Mi permetto di aggiungere, per quanto riguarda la letteratura statunitense, il nome di Armistead Maupin che è uno dei miei scrittori preferiti. Invece, per rispondere alla tua domanda, posso dire che i ritardi causati da questo “clima” sono quelli che possono esserci quando esiste una forma di censura più o meno voluta/velata. Ovvero apertura mentale alle differenze pari a zero, arretratezza culturale, altra omofobia (interiorizzata e non). Come se ne sentissimo poi il bisogno…


Il tuo romanzo è un coloratissimo mondo in cui si agitano personaggi diversi, tutti apportatori, a loro modo, di un brivido, una spinta emotiva, abitanti di un microcosmo che par diventare la migliore declinazione d’esistenza. Un po’, bisogna dirlo, come avviene in ogni film di Ferzan Ozpetek (come, ad esempio, nelle scene dei pranzi domenicali in terrazza al Testaccio, in Le fate ignoranti). Ecco, quanto i suoi film, da Saturno contro a Mine vaganti, hanno condizionato l’immagine che il pubblico (principalmente negli ultimi anni) ha degli omosessuali e quanto, invece, hanno condizionato la tua narrazione?
Ozpetek è un regista che mi piace moltissimo e di cui ho apprezzato quasi tutti i film (Un giorno perfetto, proprio no!) sia “a tema” che non “a tema” (Cuore sacro sublime!). Ama, e si vede, il cinema italiano del passato. È un autore coraggioso che “osa” sia da un punto di vista degli argomenti trattati che della messa in scena (in Italia ce ne sono pochi, ma va?!). È in grado di offrire una panoramica precisa su ciò che può essere la comunità LGBT nel nostro paese. Descrive le dinamiche e le tipologie senza finire negli stereotipi più triti. È sicuramente una benedizione nel nostro cinema in quanto ci ha finalmente liberati da tante idee preconcette che gli eterosessuali potevano avere di noi. Per quanto riguarda il mio libro posso dire che anche qui, come nei film che hai citato, c’è un’idea di appartenenza a un gruppo (nel caso di Kiss Face quello composto dal transgender Flora e dai suoi amici) che ti accoglie, ti tutela, ti coccola, ti protegge e ti prepara a “tutto quello che c’è fuori”. Ma non trascurerei l’influenza del già da me citato Armistead Maupin che, da quasi quarant’anni, nei suoi celebri Tales of the City descrive la vita dei suoi personaggi che popolano la comunità LGBT di San Francisco. Se già in questo mio primo libro l’idea della comunità è presente, nel prossimo, una sorta di “spin off” di Kiss Face, sarà ancora più forte e riunirà intorno a sé tantissimi personaggi.



Un piccolo vezzo di noi di ChrL, una domanda che rivolgiamo a tutti gli scrittori (proprio perché scrittori siete!): quali sono le tue tre parole preferite, e perché?
Ukulele, lo strumento musicale suonato dalla Monroe in A qualcuno piace caldo, una delle mie commedie preferite. Nota: non sono in grado di suonarlo.
Rabastè, verbo in dialetto piemontese che significa trascinare, strisciare… e che ha un che di onomatopeico che mi attira;
Entourage che riesce a darmi l’idea di gruppo, di comunità, di movimento, di varietà, di scambio.
Ora che ci penso, non ho mai usato queste parole nei miei scritti. Corro subito a provvedere…

Son sinceramente curioso di sapere quale frase comporrai che contenga tutt’e tre codeste parole…

"Kiss face" e l’importanza delle "streghe".

Giulio Gasperini
ROMA –
Nel gergo (cinematografico e da sit-com, come Will&Grace) si chiamano streghe; in romanesco vengono definite frociarole. Ma qualsiasi termini si usi (anche più neutro e dimesso) resta indiscutibile che per un giovane ragazzo gay siano imprescindibili e insostituibili. Giorgio Ghibaudo, fresco scrittore e caparbio volontario, esordisce alla narrativa con “Kiss face”, pubblicato da Lineadaria nel 2011, scegliendo proprio di presentarci una sorta di Éducation sentimentale dei nostrani Anni Zero.
La storia, in sé per sé, è un riproponimento – prevedibile, a dire il vero – di qualcosa di già sentito: un ragazzo, che non si accetta fino in fondo, dopo un’inevitabile enorme crisi sentimentale e affettiva, sventa la rovina conoscendo, in circostanze divertenti, una ragazza (la strega, appunto), che lo guiderà, con la sua mancanza d’inibizioni e il suo polso fermo, a capirsi e accettarsi.

È prevedibile, si diceva, che tali storie abbiano, ben o male, lo stesso canovaccio. E questo romanzo non sgarra dal previsto. Però Ghibaudo sa introdurre delle novità, a cominciare dal titolo: cos’è la kiss face, ve lo siete chiesto? Ebbene, ci pensa lo scrittore a rendercene edotti, fornendoci la definizione di un dizionario, sia nel suo significato letterale che in un significato esteso, traslato. (Però io ve lo taccio). La grande protagonista, in tutto ciò – che rischia persino di soffocare la voce narrante (quella del ragazzo gay) – è, appunto, Francesca, deliziosa e anticonformista ragazza dall’animo (all’apparenza) completamente disinibito e sapientemente duttile (e che ancora, beata lei, sa scrivere cartoline!).
“Kiss face” è un romanzo stuzzicante perché ha il coraggio di prendersi in giro, di smascherarsi per quello che in realtà è: una sorta di commedia degli errori (e delle maschere), nella quale tutti i protagonisti si ritrovano, all’arrivo, sciolti dai loro enigmi e declinati secondo nuove prospettive; proprio come succede nella realtà, quando si cresce, e si accumulano i giorni. “Kiss face” è un sogno di una notte di mezz’estate: attraversa la follia d’una confusione di ruoli e, dopo il disvelamento magico e giocoso, approda alla definizione; o meglio, se non proprio a una definizione, quanto meno a un “contornamento”.
Questa è la nuova declinazione del romanzo di formazione, negli Anni Zero: una lievità disarmante ma intelligente, una virata verso meccanismi lineari di causa-effetto e poco arzigogolati meandri mentali. Sicché niente più Le Rouge et le Noir né l’educazione sentimentale è più quella di Flaubert. Ma questa, nuova e più istantanea, che persegue anche Ghibaudo: fulminea, repentina, divorante nella sua irruente frenesia.