Piemme: “L’ira di Traiano” di Santiago Posteguillo

Daniela Distefano
CATANIA“Menenia, la vita è come un enorme Circo Massimo: sette giri, quattordici curve, e a ogni curva ci giochiamo la nostra vita, in ogni decisione che prendiamo o che altri prendono per noi; ma la nostra corsa è talmente veloce che non abbiamo quasi il tempo per rifletterci. E la vittoria, nella vita, non la ottiene chi arriva per primo ma chi riesce ad arrivare all’ultimo giro e sopravvivere”.

1900 anni fa, un uomo portò Roma allo zenith della potenza e l’Impero al suo massimo dominio. Quell’uomo era Traiano, protagonista dell’ultimo lavoro letterario di Santiago Posteguillo, uno dei maggiori scrittori di romanzi storici al mondo, con un milione di copie vendute solo in Spagna. Continua

Piemme: “L’amante alchimista”, l’altra faccia del Rinascimento

Giorgia Sbuelz
ROMA – L’abitudine di pensare al Rinascimento italiano come al periodo di massima fioritura delle arti e delle dottrine umanistiche fa slittare spesso in secondo piano tutta la serie di sanguinose guerre, pestilenze e carestie che di fatto caratterizzarono gli anni di Botticelli e Michelangelo.
Con il nom de plume Isabella Della Spina, due autrici, Sonia Raule e Daniela Ceselli, riportano alla luce gli intrighi di corte, i giochi di potere e le lotte fra Imperatore e Papa attraverso i magnetici occhi viola di Margherida, protagonista dell’opera L’amante alchimista, pubblicato da Edizioni Piemme.
Margherida de’ Tolomei è figlia di Cornelio, astrologo e alchimista della famiglia d’Este di Ferrara. Nei tempi in cui l’astrologia era considerata una scienza esatta, e chi osservava le stelle era al tempo stesso matematico e medico, il ruolo giocato dai magisti come interlocutori dei potenti era di fondamentale importanza. Continua

10 Libri per combattere il grande freddo

10LIBRI_freddoGiulia Siena
PARMA – Una nuova irruzione polare sta per sorprendere l’Italia e gli italiani: basta un normale inverno e siamo già in piena allerta meteo. Quello che una volta si chiamava inverno ora si chiama “big snow”, “eventi meteorologici estremi”, “storica mega nevicata”, “gelo polare” e così via. Sarà che ancora mi faccio sorprendere dei termini usati in un normale febbraio, ma questo allarmismo, questo accentuare a tutti i costi che si tratta di qualcosa di straordinario, comincia un po’ a stufarmi. Mi sembra normale, invece, che quando l’inverno è giusto, con la neve che arriva, il mare che infuria e il freddo che cresce ci sia maggiore tranquillità e si abbia più tempo. Così, per combattere il freddo e impiegare il tempo di una nevicata o di una forte pioggia nel migliore dei modi, viene in nostro soccorso la lettura. Ah, questa è anche la settimana di San Valentino, dimenticavo! Quindi, quali sono i 10 Libri per combattere il grande freddo? Semplicemente questi:

 

1. “La firma del puparo” di Roberto Riccardi, Edizioni e/o
Dopo “Undercover” e “Venga pure la fine” dall’11 febbraio torna il tenente Liguori, ma questa volta i riflettori si accendono su Nino Calabrò. Amico d’infanzia che Liguori ha arrestato per droga, Calabrò annuncia di voler collaborare con la giustizia: misteri, guerre di mafia e sicari tengono alta la tensione.

2. “Gli equivoci dell’amore” di Moreno Montanari, Mursia
Questa settimana non è solo fredda, è anche la settimana di San Valentino – ahimé – e l’amore non è cieco, ma veggente: scorge, riconosce e chiama a essere in tutta la sua pienezza la verità di ciò che è e di ciò che siamo.

3. “Quelli che però è lo stesso” di Silvia Dai Prà, Laterza
Una trentenne che mai avrebbe pensato di fare l’insegnante, un professionale della periferia romana, adolescenti sentimentali, giovani fascisti, adulti iracondi, professori sull’orlo dell’abisso: tre trimestri nello sfascio della scuola italiana, in un libro che diverte e commuove allo stesso tempo.

4. “Il rumore sottile della prosa” di Giorgio Manganelli, Adelphi
Tutto il libro può essere considerato come una protratta risposta all’interrogativo “perché scrivete?”. Da qui rampollano miriadi di altri interrogativi, fino ad alcuni di suprema e quasi irrespirabile difficoltà – come quel «che cosa dunque ‘non è’ un racconto?» che qui trova una magistrale risposta.

5. “Solo averti più vicino” di Erika Favaro, Piemme
Per le inguaribili romantiche, c’è una storia di passione finita ma di un amore profondo. “Può l’amore, quando è cresciuto forte, vero, appassire così?”

6. “La felicità è un viaggio filosofico” di Frédéric Lenoir, Bompiani
Il grande paradosso della felicità è che essa è allo stesso tempo indomabile e addomesticabile. Ha a che fare tanto col destino o la fortuna quanto con una componente razionale e volontaria. È questa una delle ragioni per cui non esiste una ‘ricetta’ della felicità valida per tutti.

7. “La notte… l’attesa” di Salvatore Adamo, Fazi 
Questo romanzo è uno uno snodarsi di vicende talvolta cupe talvolta esilaranti, dove incontriamo un’infinità di personaggi pittoreschi e il presente si intreccia ai ricordi dell’infanzia italiana, passando da un Belgio brumoso in cui la polvere di carbone sembra avere coperto ogni cosa a una Sicilia inondata di sole.

8. “Breve trattato sulle coincidenze” di Domenico Dara, Nutrimenti
Tuffatevi nella Calabria degli ultimi anni Sessanta, nella vita di un postino messaggero che allevia le sofferenze altrui attraverso la scrittura perché la vita è fatta di coincidenze, ma non del tutto naturali.

9. “Una fra tante” di Emma, Emilia Ferretti Viola, Ortica Editrice
La vita in un bordello l’ha resa una prostituta. Non aveva più nulla in comune con le altre, non era più donna come loro, ma era soltanto una femmina.

10. “La fine dell’amore. Graphic short stories” di Ilaria Bernardini, HOP!
Tredici disegnatori interpretano i racconti di Ilaria Bernardini, raccolti nel volume La fine dell’amore (ISBN, 2006). Nascono, così, tredici storie illustrate che fermano l’incanto dell’indecifrabilità e della complessità dell’amore nelle sue molteplici forme. Amore, ma anche follia, morte e dolore si alternano senza sosta in un libro davvero caleidoscopico.

 

 

Anteprima: Flavio Pagano ci presenta “I tre giorni della famiglia Cardillo”, da domani in libreria

imageGiulia Siena
ROMA – Arriverà domani in tutte le librerie d’Italia I tre giorni della famiglia Cardillo, il nuovo libro di Flavio Pagano. Pubblicato da Piemme, il libro è una vera e propria novità: è nuovo nel genere – è una mafiaba; è nuovo nella tematica – si parla di mafia, strappando sorrisi e lacrime; è nuovo per la location – è ambientato nel suggestivo e affascinante Cilento; è, infine, un nuovissimo esercizio per l’autore. Pagano, infatti, dopo il successo di Perdutamente (Giunti, 2013) torna con una voce diversa: con I tre giorni della famiglia Cardillo attraversa i generi finora provati e approda a una storia che unisce realtà e grottesco, spensieratezza, avventura, suspense e sorriso amaro. In attesa di immergersi nella lettura di questo nuovo romanzo pulp, ChronicaLibri intervista, per voi, l’autore.

 

“I tre giorni della famiglia Cardillo” domani sarà in tutte le librerie e c’è grande attesa; ma come è nata questa storia?

Non lo so. È nata da sé, all’improvviso. La prima versione, che in effetti era già la storia completa, la scrissi in pochi giorni. Pensavo da tempo a scrivere una storia diversa. E volevo che fosse una storia d’azione, all’americana. Volevo un tema forte, e pensavo a uno schema di base da film horror: la famiglia che si perde… grandi spazi… uno scenario naturale a tinte forti… un incontro fatale… e quindi una brutale escalation di follia. Insomma, avrebbe dovuto essere un thriller. Ma the unexpected always happens, diceva Conrad, e infatti, mettendo insieme tutti gli ingredienti, è venuta fuori una commedia, anche se nera, anzi nera che più nera non si può… Anche se non appartiene alla letteratura “di genere”. Ne I tre giorni della Famiglia Cardillo si toccano tanti registri letterari, e c’è uno sfondo polidialettale se mi passi il termine, che mi ha affascinato moltissimo, perché ai personaggi (romani, milanesi, o «terroni» che siano) do voce lasciandogli le loro inflessioni: è stato il mio modo di rendere omaggio alla meravigliosa polifonia della lingua italiana. È un libro tutto da scoprire, credimi.

Una commedia nera dunque, truce e decisamente esilarante, che però promette di fare scalpore per il ritratto graffiante che fa della società italiana e per l’originalità della vicenda che tocca senza pudori il tema del rapporto tra mafia e potere. Nasce così la mafìaba, cos’è questo nuovo genere?

Tocchi tutti i temi, tutti insieme. Sì, alla base ci sono, per così dire, due grandi brand italiani: la mafia (ahimé), e la bellezza del territorio, il Cilento in questo caso. Mafiaba è evidentemente la fusione delle parole «mafia» e «fiaba». Come i lettori più attenti noteranno, ogni tanto nel testo s’incontrano citazioni dal contesto (e dal lessico) tipico della fiaba. Le fiabe del resto erano storie terrificanti, e anche I tre giorni della Famiglia Cardillo è così. La storia possiede tutta la brutalità dell’innocenza, e tutto il languore della malvagità, i mafiosi, in fondo, fanno parte del catalogo degli orchi: in questo senso è decisamente fiabesca, però bisogna riconoscere che anche la vita reale possiede questi ingredienti… Ci sono molte situazioni (troppe) della nostra vita, anche di quella pubblica, che sembrano altrettante mafiabe! Quanto al ritratto della società italiana, sì, ho descritto credo senza indulgenza, ma anche senza barare, il mondo dei media, che è decisamente allo sbando, non meno dei suoi fruitori. Lettori, e comununicatori, sono entrambi confusi. Lo sono, lo siamo, un po’ tutti. Ma i mafiosi no, loro sono di un’altra razza come credo il libro – e proprio perché è una commedia – metta bene in evidenza. I «miei mafiosi» sono divertenti, ma soprattutto sono liberatori per il lettore perché sono l’incarnazione (anzi il trionfo) del «politicamente scorretto», e questo ha un suo innegabile fascino, perferso se volete, ma potente. C’è un problema che la società contemporanea deve risolvere: se quello che abbiamo da opporre a forze come la mafia, sono tweet e proteste su facebook, o marce della pace, la guerra è persa. Perché in realtà di quello si tratta. Lo disse anche Falcone: i mafiosi non hanno paura di niente, nemmeno di morire. Non ce ne dobbiamo dimenticare mai: è una guerra.

imageNonostante, però, si parli di mafia e lo si faccia anche in modo tragicomico, ironizzando su modalità e credenze di questi moderni boss della malavita, il linguaggio che tu usi non è mai indulgente verso la mafia. Come si riesce a ottenere questo brillante ed equilibrato risultato narrativo?

Se ci sono riuscito, è stato perché lo sento profondamente. In questa storia i Cardillo sono “vittime”. E questo li rende apparentemente simpatici. Ma, e cerco di non farlo perdere di vista al lettore mai, i mafiosi sono belve. Ce l’ho sempre ben presente: per questo ho deciso di non castrare le «qualità» del mafioso (il suo «coraggio» bestiale, ad esempio) ma non ho mai utilizzato le situazioni o i personaggi per costruire delle «macchiette» da teatro di Scarpetta. Credo che i lettori per certi versi s’indentificheranno profondamente nei protagonisti, ma credo che ne avranno anche orrore. Del resto l’amore, il desiderio, sono inscindibili dalla paura: se una cosa non fa paura, non può attrarci davvero.

Da Detroit i Cardillos arrivano in Italia e si spostano in Cilento; qui, tra le selvagge e affascinanti montagne che guardano al mare, vivono un’avventura senza eguali. Quanto conta l’ambientazione per un romanzo del genere e perché hai scelto di ambientare “I tre giorni della famiglia Cardillo” proprio in Cilento?

Prima di tutto l’ho scelto perché il Cilento, ed in particolare Petina – il paese reale accanto al quale ho inserito quello immaginario di Belcolle – è parte della mia vita. Ci sono andato da ragazzino, per anni. Erano gli anni settanta, e feci in tempo a conoscere – ciò che considero una fortuna inestimabile – il mondo contadino vero, quello, come si suol dire di una volta. Poi ci sono tornato da adulto, trovando intatti i miei ricordi e le suggestioni profonde di quel paesaggio quasi selvaggio e di bellezza sconvolgente che è il Cilento. I Monti Alburni sono una cattedrale naturale di un fascino semplicemente irresistibile, dalle vette si vede il mare, la costiera amalfitana. E dall’altro lato tutta la piana del Sele. Sono luoghi incontaminati, ancora tutti da scoprire: andateci, perché Petina è i suoi dintorni sono magici! L’artigianato gastronomico è semplicemente sublime, se mi si consente una nota di colore, e si sposa con luoghi che sembrano scivolati silenziosamente fuori del tempo. Montagne, boschi, ruscelli… Per avere un’idea degli spazi e della purezza di questo habitat, basti pensare che già da anni sono ricomparsi i lupi. I lupi, capite? L’animale più simbolico della cultura occidentale… E poi il Cilento è il territorio simbolo splendido della Campania felix, che ancora resiste e che dobbiamo difendere con le unghie e con i denti: l’opposto della martoriata «terra dei fuochi».

La Campania, comunque, è la culla di molti tuoi romanzi e uno di questi, Perdutamente (Giunti) torna alla terra in cui è ambientato e a settembre, possiamo anticiparlo, approderà in grande stile al Pompei Cinema Festival.

Sì, a Perdutamente è stato dato il premio «Un libro per il cinema» ed è un riconoscimento di cui sono felice e orgoglioso. Perdutamente è stato un libro che mi ha dato e mi dà grandissime soddisfazioni, non solo perché si è dimostrato valoroso in libreria, entrando in classifica, ma perché ne ho avuto un eccezionale ritorno dai lettori. Lettere e lettere di persone che mi dicono di essersi ritrovate in ogni situazione, in ogni parola, in ogni virgola, che mi dicono di essere state «aiutate» da questo libro: ecco, quando la letteratura riesce a uscire dall’artefazione, da quello stare un po’ in posa che oggi l’affligge, quando l’emozione dello scrivere e quella del leggere s’incontrano, allora la letteratura vive. E si scopre come un libro sia il mezzo di comunicazione più potente, dopo lo sguardo. Il premio del Pompei Cinema Festival tra l’altro – che quest’anno è dedicato al grande Troisi, si avvale della collaborazione dell’associazione «Ricomincio da te», presieduta da Antonella Esposito – ed è un evento straordinario in una città straordinaria. È stato il presidente Raffaele De Luca a volere fortemente anche un premio letterario, e ha scelto di chiamarlo “Un libro per il cinema”. La statuetta, una riproduzione del celeberrimo fauno pompeiano, è più bella di un Oscar! Un onore che abbiano scelto Perdutamente, e una grande soddisfazione che nella motivazione sia stata riconosciuta la qualità letteraria della scrittura, ma anche la capacità del libro di parlare per immagini.

“La vendetta veste Prada. Il ritorno del diavolo”: l’attesissimo sequel del celebre romanzo di Lauren Weiseberger

la-vendetta-veste-prada-350_oggetto_editoriale_w300Alessia Sità

ROMA –  “In fondo al cuore Andy lo sa: nessuna volta le spalle a Miranda Priestly e sopravvive indenne”.
Se avete amato il “Diavolo veste Prada”, non potrete fare a meno di leggere l’attesissimo seguito firmato – ancora una volta – dalla brillante penna di Lauren Weiseberger e pubblicato in Italia da Piemme.
Sono trascorsi ben dieci lunghi anni da quando Andrea Sachs, conosciuta anche come Andy, ha deciso di abbandonare la promettente carriera come assistente della terribile Miranda Priestly, la famosa direttrice di “Runway”. Arrivata alla soglia dei 32 anni, Andy è ormai una donna indipendente e di successo. Adesso dirige “The Plunge”, una patinata rivista di moda specializzata in matrimoni. Al suo fianco c’è la sua arci-migliore amica e socia Emily, l’ex dispotica assistente di Miranda, tornata più combattiva e magra di prima. Sebbene il passato sia solo un ricordo, nella mente di Andrea continuano a riaffiorare ancora incubi notturni, legati ai terribili momenti vissuti accanto alla mefistofelica Priestly. E solo l’idea di partecipare a eventi mondani, che rischiano di diventare un faccia a faccia con il diavolo, la fa impallidire. Nonostante qualche ansia di troppo e qualche piccolo timore profetico, la vita di Andy è completamente cambiata. Il suo matrimonio con Max, uno degli scapoli più ambiti della Grande Mela, è ormai alle porte. Quello che sembra essere un momento magico, però, sta per essere stravolto da un imprevisto. Tutte le certezze di Andrea stanno per crollare. La tanto temuta Miranda è pronta a tornare e la sua vendetta non si lascerà attendere troppo. La diabolica direttrice, infatti, sta per assestare un nuovo durissimo colpo alla vita delle sue ex assistenti.
Abbandonato il ‘glamour’ che ha contraddistinto “Il Diavolo veste Prada”,  con il suo sequel Lauren Weiseberger ha tentato  di ripetere il successo del passato. Ancora una volta, la sua scrittura brillante e divertente ha saputo conquistare molte lettrici, che inevitabilmente hanno potuto riconoscersi, almeno in parte, nella nuova frenetica vita di Andrea, divisa fra matrimonio, maternità, lavoro, famiglia, eventi e incontri inattesi.

 

“I tre giorni della famiglia Cardillo”, il nuovo libro di Flavio Pagano in anteprima esclusiva

I tre giorni della famiglia Cardillo_chronicalibri_anteprimaGiulia Siena
ROMA
– Sarà in libreria la prossima estate per Piemme ma qui, in anteprima esclusiva per coloro che amano l’ottima letteratura, si svela un po’. È “I tre giorni della famiglia Cardillo”, il nuovo libro di Flavio Pagano (nella foto in basso), l’autore che, dopo il successo di “Perdutamente” (Giunti, 2013), cambia completamente genere. Nasce, così, un libro che è una commedia nera, pulp ed esilarante, che promette di fare scalpore per il ritratto graffiante che fa della società italiana e del suo rapporto con i media, e per l’originalità della vicenda, che tocca senza pudori il tema del rapporto tra mafia e potere.

 

I Cardillos, una famiglia italoamericana che vive a Detroit, tornano in Italia per partecipare al faraonico matrimonio della figlia di un grande boss. Nonostante siano nostalgici del Belpaese, i Cardillos sono pieni di stereotipi: pensano che le musiche di Gigi d’Alessio le abbia scritte Giuseppe Verdi, pensano che Michelangelo siano due persone Michele e Angelo e credono che in Italia tutto sia piccolo, comprese le montagne e i criminali; ma su questo punto si sbagliano di grosso, mentre attraversano il Cilento, luogo di fascino e mistero, si perdono e finiscono nelle mani di un serial killer, uno che fa sul serio. Quella che dovrebbe essere la vittima predestinata non è affatto inerme: al contrario è un killer di professione, un uomo abituato a lottare e a uccidere, e la situazione darà luogo a un travolgente susseguirsi di colpi di scena. Intanto, simultaneamente, sia i Carabinieri che la mafia stessa indagano sull’accaduto.

Flavio Pagano_chronicalibri_anteprimaLa storia si arricchisce, così, di una sfumatura thriller che aggiunge ritmo alla magistrale scrittura di Flavio Pagano. Una scrittura ironica – come sempre nei libri di Pagano, l’attenzione allo stile di scrittura e ai registri letterari è grande – (da non confondersi con la banale e sorpassata satira sul mondo mafioso)  che rende «I tre giorni della famiglia Cardillo» un romanzo vivido e che non fa sconti: il suo realismo è per certi versi agghiacciante. I mafiosi di questa commedia nera sono divertenti, ma non c’è buonismo. La loro convinzione che la violenza possa risolvere tutto, trova sconcertanti conferme; i suoi protagonisti, poi, sono mafiosi veri, spietati e pronti a tutto. E, soprattutto, sono efficienti.

 

Thriller d’azione e giallo all’italiana si fondono in questa storia ad alto ritmo, calata profondamente nella realtà della provincia italiana. Emblematico, quasi, lo scalpore che viene raccontato nel libro  – come in tanti amari casi della cronaca vera – quando giornalisti da tutta Italia accorrono nel paesino cilentano di Petina (un luogo incantevole nel cuore del Parco nazionale del Cilento) a caccia di scoop. Ma questa è solo un’anteprima; per assaporare “I tre giorni della famiglia Cardillo”, le sue citazioni tratte da “Il padrino” o “Pulp fiction” (in cui Tony Cardillo crede che Ezechiele Ventisette non sia un nome biblico seguito dall’incarnazione dei versetti, ma semplicemente il nome e cognome dell’autore) e l’esplosiva vitalità dei personaggi, non vi resta che aspettare l’uscita di questa bellissima «mafiàba». Cos’è la «mafiàba»? La «Mafiàba», azzeccatissimo neologismo di Pagano, è una favola mafiosa, dove tutto è alla rovescia. Soprattutto la morale….

“Il cielo non ha muri”, così come l’amicizia tra Helena e Adrian

Agustin-Fernandez-Paz-il-cielo-non-ha-muriGiulia Siena
ROMA
“Da quel momento tutto peggiorò. A Helena quel muro compariva davanti ovunque guardasse. E non era solo quello. La ragazzina aveva la sensazione che altri muri venissero innalzati intorno a lei, barriere invisibili che la ingabbiavano e la isolavano dentro un mondo che diventava ogni giorno più opprimente”. Un mondo che per Helena e Adrian, due amici in un paesino tranquillo dove c’era sempre il sole, cambiò velocemente.

Una mattina come tante si accorsero che la gente per strada non era più felice come i giorni precedenti; si accorsero che dal forno non arrivava più quel buon odore di pane appena sfornato; videro che la maestra Violeta piangeva in silenzio. Tutto cambiò. La grande quercia del paese non riusciva più tenere i desideri di Helena e Adrian, per questo, in quel momento, i due bambini decisero che la loro amicizia non sarebbe mai cambiata, nonostante quello che sarebbe successo. Successe che furono divisi: le loro case divennero più lontane e ad allontanarli arrivò del filo spinato e poi un muro. Helena non doveva più frequentare quel bambino dagli occhi scuri e dalla pelle color del sole e lui, come altri, dovette cambiare scuola. Ma la loro amicizia era più forte delle differenze dettate dai grandi, la loro amicizia non aveva muri, proprio come il cielo. Perché il cielo è di tutti.
Comincia in modo sommesso e come tante questa storia narrata con delicatezza e forza da Agustìn Fernàndez Paz, ma “Il cielo non ha muri” (Il Battello a Vapore dai 7 anni – Piemme) non è un racconto come tanti. Lo scrittore galiziano, coadiuvato dai disegni di Desideria Guicciardini, fa conoscere una storia fatta di amicizia, cambiamenti, barriere e speranza attraverso delle parole belle e ricche di significato. Così come Vivian Lamarque scrive nella prefazione del libro, “la storia inizia dunque con i muri buoni del paese di Helena, costruiti pietra su pietra dagli abitanti per le loro famiglie”, poi i muri cambiano; il nuovo muro, grande al centro del paese, invece che proteggere allontana. Muri come questo sono ovunque, ma spesso non si vedono; solo la forza dell’amicizia può abbattere.

“Lo chef è una donna”, da Piemme un romanzo di amore e ricette

LO-CHEF-E-UNA-DONNAROMA “Graciane chiuse gli occhi, assaporando la perfezione di quel momento: un uomo che sapeva di buono e il cui odore si mescolava a quello del caffè, illuminato da un raggio di sole della bruma pungente del primo mattino. Bastava così poco per essere davvero felici”. 

Graciane è una donna, ha quarant’anni ed è uno chef. Nulla di strano se non fosse che ha passato la vita a competere con Florent, il suo ex marito, un famoso chef sempre impegnato a sperimentare nuove ricette e nuove tecniche. Ma per Graciane la cucina è donna e vuole dimostrarlo anche agli altri: divorzia e prende in mano la sua vita. Comincia così “Lo chef è una donna”, il romanzo di Valérie Gans pubblicato da Piemme.

Graciane allora decide di affrontare “l’uomo che, per oltre dieci anni, l’aveva trattata come una ragazzotta, senza mai perdere l’occasione di sminuirla, possibilmente in pubblico”e si mette alla prova. Apre un ristorante nella sua Parigi, ma lei vuole differenziarsi dai tanti chef della città, nella cucina di Graciane le materie prime e il ruolo della squadra sono fondamentali; poi, un menu che non dimentica le sue origini basche e i segreti culinari di nonna Ama fanno la differenza. Così, la vita della protagonista cambia: oltre agli impegni, alle preoccupazioni e alle gioie per i suoi due figli Timothèe e Elija, nel quotidiano di Graciane trova sempre più spazio la cucina e una nuova e inaspettata sfida. Infatti, la brigata di cucina iscrive Graciane a una competizione per eleggere il miglior chef di Parigi tra i più rappresentativi cuochi delle cucine parigine.

“Lo chef è una donna” è un romanzo leggero composto da pochi e semplici ingredienti: passione, fantasia, amore e avventura. Un perfetto mix che si completa grazie alla tematica culinaria (ormai di gran moda), tanto che ogni capitolo prende il nome di una pietanza e si chiude con la ricetta stessa.

Eccone un esempio:

La ricetta di Graciane
Soufflé al cioccolato

Per 4 persone
135 gr. di cioccolato al 70% di cacao, 30 gr. di burro + burro per stampini, 30 gr. di tuorlo d’uovo, 130 gr. di albume d’uovo, 45 gr. di zucchero + zucchero per gli stampini

1. Scaldare il forno a 180°
2. Far sciogliere a bagnomaria il cioccolato con un po’ di acqua o latte.
Togliere dal fuoco, aggiungere il burro a tocchetti e poi i tuorli d’uovo.
3. Montare gli albumi a neve non troppo ferma con lo zucchero e una presa di sale.
4. Incorporate gli albumi al composto: cioccolato, uova, burro.
5. Distribuire il preparato in 4 stampi da soufflé individuali, imburrati e spolverizzati di zucchero. Infornare per 10 minuti.
6. Servite subito.

Premio Strega 2013, chiedimi dove erano i libri.

strega1Giulia Siena
ROMA
  “Non dedico il premio a nessuno in particolare. Ci sono persone a cui tengo e spero il libro sia stato scritto per loro”. Spiazza una risposta così; spiazza perché siamo abituati a cercare del buono e del romantico in ogni cosa, soprattutto quando si parla di libri. Ma Walter Siti non è così e non lo è stato neanche durante la serata letteraria più mediatica dell’anno. Non lo è stato neanche quando, dopo essere stato proclamato il vincitore della 67esima edizione del Premio Strega con 160 preferenze su 412 votanti, ha aperto la sua bottiglia di Strega e ha sorseggiato un po’ di liquore per la gioia dei fotografi; mentre la platea era ancora troppo concentrata sul buffet. Di libri, poi, durante la serata non se ne son visti… la vera grande pecca di un Premio letterario.

 

“Resistere non serve a niente” (Rizzoli), il libro vincitore, è la storia di Tommaso, un ragazzo che non ha mai risolto il suo rapporto con l’infanzia, forse anche per questo ama giocare con i numeri e con la finanza. Per lui il possesso è una forma di piacere, l’unico valore in cui credere e la ragione per la quale il bene e il male si confondono. Un’attualità, quella che descrive lo scrittore modenese, che entra quasi con prepotenza al Premio Strega facendosi ascoltare perché Siti è l’autore che riesce ad “ammaestrare e far capire cose che giacciono nell’inconscio personale e collettivo”. E mentre Siti aveva il sostegno – anche solo morale – di Emanuele Trevi che dopo essere stato nella giuria del Premio per quasi venti anni lo scorso marzo si è ritirato dichiarando che avrebbe sostenuto comunque Siti, oggi Alessandro Perissinotto – il secondo classificato strega4(78 voti) di questa edizione 2013 – si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Per l’autore de “Le colpe dei padri” (Piemme) l’atteggiamento di Trevi è stato poco corretto, perché in qualche modo ha influenzato gli Amici della Domenica prima che questi arrivassero a leggere tutti i libri. Ma le polemiche, caro Perissinotto, fanno parte di questo Premio tanto amato, tanto chiacchierato e tanto criticato; le supposizioni, poi, sono lo sfondo su cui si muove, da oltre mezzo secolo, lo Strega. Ma le dichiarazioni odierne dell’autore de “Le colpe dei padri” non scalfiscono, comunque, l’immagine che ieri ci aveva dato di sé. Perissinotto ieri sera ci aveva conquistati – oltre che per l’intenso romanzo e la sua lettera ai lettori – anche per la sua affabilità. “Le colpe dei padri” è la storia di Guido Marchisio, uomo di successo e fascino. Ma una data, il 26 ottobre 2011, segna il cambiamento, il declino dentro e fuori la sua vita. Da semplice curiosità, l’esistenza di un sosia o di un doppio dimenticato, da questo momento diventano per Marchisio una vera e propria ossessione. Perissinotto fonde così in modo magistrale i sentimenti personali e i conflitti sociali, portando alla luce, strega3costantemente, il suo legame con la memoria e il suo nostalgico guardare alla ribellione. Al terzo posto (77 voti) della classifica del Premio Strega 2013 si piazza Paolo Di Paolo con “Mandami tanta vita” (Feltrinelli). La storia ideata da Di Paolo è ambientata negli anni Venti quando, durante i giorni del carnevale, Moraldo e Piero scambiano per sbaglio le valigie. Inizia così una storia di amicizia e di attese, illusioni, sogni e rivoluzioni che si dipanano in un Novecento che sempre affascina. E’ firmato Longanesi, invece, il quarto posto di questa cinquina: “Figli dello stesso padre” di Romana Petri (73 voti). Il romanzo è incentrato sulla vita di due fratelli, Germano ed Emilio, due protagonisti così diversi e così pieni di rancore. Figli dello stesso padre, Emilio e strega2Germano, hanno una rabbia e un amore frustrato verso il padre Giovanni, artefice del loro dolore passato e dei problemi presenti. Con 26 voti “Nessuno sa di noi” (Giunti) di Simona Sparaco arriva al quinto posto. Il duro e commovente romanzo dell’autrice romana racconta l’amara gioia della maternità: Luce e Pietro, a qualche settimana dalla nascita del loro bambino, vengono messi al cospetto di una scelta difficile, disumana. Cinque libri, cinque storie da cui lasciarsi coinvolgere, romanzi che meritano di essere letti – come gli altri selezionati e non più in gara – a prescindere dalla fascetta che indossano.

 

Il Ninfeo di Villa Giulia, la magnifica creazione voluta da Papa Giulio II e ormai simbolo del Premio ideato da Maria e Goffredo Bellonci, si è andato così svuotando. Dopo gli applausi, i sorrisi e le telecamere, ora si spengono i riflettori. Speriamo che non si spengano lasciando i libri nell’ombra.

Piemme: “I pendolari delle 16.02” di Priya Basil

i pendolari_piemmeROMA – “Helen è circondata da uno strano miscuglio di pendolari. Non sono la folla in giacca e cravatta che invade gli scompartimenti all’ora di punta, le facce grigie per lo stress dei lunghi viaggi tra casa e lavoro. Questo treno delle 16.02 da Hampton a Waterloo trasporta un genere diverso di passeggeri. Quelli che per caso, intenzione, sfortuna o, come Helen, a causa di qualche contrattempo, sono sfuggiti almeno per oggi alla monotona routine dell’orario nove-cinque”. Tutto, o quasi, si svolge nei vagoni di un qualunque treno della city. I pendolari sono tanti e diversi, tra questi c’è Helen. Ventitre anni, una casa da condividere con coinquiline disordinate e una famiglia un po’ troppo mediatrice. In tutto questo anche una sorella, Jill, che non riesce ad accorgersi che il suo matrimonio ha qualcosa che non va. Proprio a lei, a Jill, Helen sta tentando di scrivere pigiando freneticamente le dita sullo schermo del suo smartphone. Ma il vagone è un continuo sobbalzo. Comincia così “I pendolari delle 16.02”, il romanzo di Priya Basil pubblicato da Piemme.

Helen è distratta dal pensiero di quelle telefonate anonime che le tolgono serenità e, soprattutto, è talmente sorpresa e inorridita al pensiero di chi sia il suo molestatore che questo pomeriggio sul treno non si accorge che ci sono due occhi che la osservano. A guardarla, a pochi metri di distanza, è Kerm. Lui è un medico e oggi, su quel treno, si interroga sul senso della famiglia – la sua gli è quasi estranea – e su quello della vita. Dopo la morte del nonno, infatti, sente sempre più lontana quella gente che lo considera solo per ostentare un parente nelle corsie dell’ospedale. Ma i pensieri e le azioni di entrambi sono bruscamente interrotti da Innocent e dai suoi amici. Sono ragazzi, Innocent e gli altri, ragazzi insofferenti alle autorità e al mondo. Sono sul quel treno con le cuffie nelle orecchie e mettono a tacere la gente attorno. Ma Innocent oggi non ha la sua tessera studenti per il treno e sta arrivando il controllore. Sicuramente il controllore non crederà al fatto che con i soldi che servivano per ricomprare la tessera, ha dovuto pagare una scommessa andata male. Allora dovrà far capire a quello smidollato del controllore che non può prendersela con un ragazzo solo perché di colore. Nel caos generale saranno Helen, Innocent e Kerm a essere travolti dalle situazioni.

 

La scrittrice londinese dalle origini indiane ci regala questo libro a metà, un romanzo che sembra sia stato dato alle stampe troppo in fretta, prima che la storia raggiungesse il finale, prima che arrivasse alla sua naturale risoluzione.