Non sai cosa regalare? Se entri da Tiffany non puoi sbagliare…

Marianna Abbate

ROMA – E’ estate e fa caldo. Capiamoci è il 6 Agosto, che ci state facendo davanti al computer? E le ferie quando ve le danno? Ah ok, tu parti domani e va bene, ma hai sentito che Rita rimane in ufficio per tutto il mese? Ho un libro da consigliare ad entrambe: sia a te che tra poco respirerai iodio sotto l’ombrellone, sia a quella poveraccia di Rita che passerà l’estate abbracciata al condizionatore: “Un regalo da Tiffany”, e come sapete un regalo così non si può rifiutare. Lo so, lo so: vi ho abituato ad altri livelli di letteratura- non faccio che consigliarvi libri di storia un tantinello pesanti- ma non vi preoccupate! La proposta del mattone tornerà la settimana prossima con un bel libro di 600 pagine…

Ma oggi mi voglio svagare e rivelarvi in gran segreto, quello che tutti voi sapete. “Aveva una casetta piccolina in Canadà?” No. Amo i romanzetti da 9.90 della Newton Compton! E se questa affermazione vi disgusta perché leggete solo libri dai 15 euro in su abbandonate questa recensione perché sto per fare un’altra rivelazione: vi racconterò la trama (o almeno parte di essa).

C’è un uomo, peraltro ricco, che entra da Tiffany con una donna. E già qui stiamo tutte rosicando, perché in 8 anni di storia il mio ragazzo non credo che sia mai entrato da Tiffany. Ma Lui fa di più: non si ferma mica al piano terra dove ci sono tutte quelle robacce d’argento con i cuoricini timbrati vendute a peso d’oro, Lui sale al primo piano. E che ci sta al primo piano? Esattamente quello che voi state immaginando: i diamanti e ovviamente, gli anelli di fidanzamento. In 8 anni di storia, vi giuro non ho mai visto nulla di simile neanche lontanamente.

Ecco questo non è un romanzo rosa qualunque: questo è un romanzo di fantascienza, che neanche Asimov ha mai osato tanto.

Ovviamente la storia si complica per svariati motivi: innanzitutto la donna che entra da Tiffany con Lui è sua figlia- e l’anello non è per lei ma per la fidanzata. Secondo poi c’è uno scambio di pacchetti tra primo e secondo piano quindi, in pratica Lui dopo avere speso migliaia di dollari esce dalla boutique con in mano una bustina contenente la misera ferraglia di cui sopra.

Ma questi sono particolari insignificanti se si pensa che nella nostra testa non rimarrà che l’immagine della luccicante vetrina di quel famosissimo negozio di Tiffany che faceva tanto felice Audrey. Che, ricordiamoci, era riuscita a farsi stringere nella mitica boutique un anellino trovato in un uovo di cioccolato (vergognati regista, vergognati: le potevi far avere almeno uno di quei braccialetti timbrati!).

Se aggiungiamo a tutto questo una copertina verde Tiffany che attirerà l’invidia di tutta la spiaggia potete stare tranquille: qualcuno ve lo chiederà in prestito e non sarete costrette a tenervelo a casa per sempre.

 

Gli eroi delle Olimpiadi

Silvia Notarangelo
ROMA – La XXX Olimpiade della storia moderna, in pieno svolgimento a Londra, sembra, per il momento, non tradire le aspettative. Abbandonati i fasti di Pechino, i Giochi tornano in Europa ad una dimensione, spettacolare sì, ma più vera, più affine allo spirito sportivo.
Un percorso, quello delle Olimpiadi, non privo di tensioni e drammatici colpi di scena, costretto, nel tempo, a scendere a compromessi e a fare i conti di, volta in volta, con scenari politici in continua evoluzione.
Alfredo Pigna, alla vigilia dell’apertura dei Giochi, ne ripercorre la storia con “Il romanzo delle Olimpiadi”, un saggio emozionante e mai banale, appena pubblicato da Mursia.
La “cronaca di eventi eccezionali che, nel tramandarsi, diventano leggenda”. È con questa convinzione che l’autore racconta i suoi Giochi. Prima da appassionato, poi da attento e sensibile giornalista sportivo ci trasmette l’attesa e le emozioni delle gare, il tifo, l’incredulità di fronte ad un risultato inatteso. Ma i veri protagonisti sono loro, gli atleti, con il proprio vissuto, le proprie fragilità, con quella strana antipatia e riluttanza che, talvolta, li accomuna. I retroscena raccontati sono tanti, spesso curiosi, più volte emblema di quanto si nasconde, o si desidera nascondere, dietro la “divisa di ordinanza”.
Si scopre, così, la rassegnazione di Pierre de Coubertin per quell’Olimpiade di Parigi che assume i connotati di un autentico fallimento, si partecipa al dramma sportivo di Dorando Pietri che, stremato, cade ripetutamente nello stadio prima di tagliare il traguardo, vincere ed essere squalificato. Si rivive la leggenda di Nedo Nadi, primo atleta nella storia a conquistare ad Anversa cinque medaglie d’oro. Non può, poi, non strappare un sorriso la vicenda di Ugo Frigerio, vincitore della “tre chilometri”, costretto, suo malgrado, a correre con un insopportabile mal di denti, complice la distrazione di un dentista colpevole di aver estratto non il dente malato ma quello sano.
E se il 1960 è la volta di Roma e del record di Livio Berruti, ciò che va in scena a Mosca, dodici anni più tardi, è ancora vivo nel ricordo di tutti: forze armate prendono in ostaggio un gruppo di atleti israeliani, facendo irruzione nel villaggio olimpico. È una strage, ma i Giochi non si fermano.
La narrazione procede fino alle edizioni più recenti, dai successi di Novella Calligaris ai volteggi di Nadia Comaneci, all’eterno dualismo tra Berruti e Mennea.
Le Olimpiadi, del resto, sono anche questo: adrenalina, competizioni, record ma, soprattutto, storie di uomini che si mettono alla prova perché “l’essenziale nella vita è lottare, non trionfare”. Parola di Pierre de Coubertin.

“Il gatto Mardì e le parole misteriose”, le parole che aiutano l’integrazione

Giulia Siena
ROMA
– Da piccolo il gatto Mardì era davvero curioso e alle volte si metteva nei guai. Fu grazie a questi che divenne, da grande, un gatto intelligente e saggio. Mardì ora abita con Madame Benzakè a Parigi, in rue Saint Gilles. Proprio al portone di questo palazzo un giorno compaiono delle parole misteriose.

Sono parole un po’ strane di una lingua lontana. Allora Madame Benzakè chiama una signora che riconosce la parola scritta in russo; sul portone, con una bomboletta spray, c’è scritto “cacca”. Ma a chi è venuto in mente di imbrattare il palazzo con questa strana parola? Gendarmi, Madame Banzakè e Mardì presidiano le finestre e tengono sotto controllo il portone per scoprire il misterioso “scrittore”.

I protagonisti hanno pensato a tutto e a tutti, ma non a qualcuno che è stato cacciato da quel palazzo per la lingua e la cultura diversa. Chi è? Sarà forse lui o lei il colpevole?

“Il gatto Mardì e le parole misteriose” scritto da Luisa Accati, illustrato da Nicoletta Costa e pubblicato nella collana Prime Letture della Emme Edizioni è una storia semplice, ricca di contenuti educativi e perfetta per le prime letture d’estate.

 

“Gli zoccoli di Steinbruck”- nonno raccontami la Storia

Marianna Abbate

ROMA – Non ho mai avuto un nonno. Un’ingiustizia che ho da sempre considerato gravissima- e questo sia un monito per la generazione abituata a produrre figli alle soglie degli ‘anta. Mi sarebbe piaciuto, un nonno dico. Magari uno con molte storie. Non che mi lamenti: mia nonna- l’unica che ho avuto, mi ha raccontato storie bellissime e terribili. e delle volte, la notte mi sembrava di vedere il suo cappellino in prima fila nella chiesa del paese.

Altre volte, invece, ho immaginato le file degli impiccati lungo le rotaie del treno nei pressi di Radom.

Perché è questa l’unica storia che mi avrebbe potuto raccontare mio nonno, e qualunque altro nonno nato nel secondo decennio del XX secolo.

Ed è questa la storia che racconta Pompilio Trinchieri. Gli zoccoli di Steinbruck edito da Marlin, nella collana Filo Spinato. “Peripezie di un bersagliere tra guerra e lager”, recita il sottotitolo. Ma secondo me la parola peripezie è troppo viva, inadatta ai tempi del racconto. Avrei preferito la parola racconto, appunto, oppure storie- più pacato nel senso. Peripezie è quasi un sinonimo per avventure, mi fa pensare a Tom Sawyer. Ma qui il migliore amico non è Huck, ma l’arma e la fame.

I ricordi riaffiorano, questo è evidente, dopo molto tempo. Il testo non cerca di avere la struttura del diario, accetta la sua funzione di memorie. Lo fa attraverso l’utilizzo di un’alternanza di tempi tra passato remoto, imperfetto e presente che è tipico del racconto vivo nella mente ma lontano nel tempo.

Ci sono molti fermo immagine, spesso racconti nel racconto, che fanno raggelare. Sto pensando al bambino della prigioniera, lanciato in aria e poi trafitto da mille spari come nel tiro a volo. O a quella cella 2 metri per 1 e mezzo dove ci si stava in sette e si beveva dallo scarico.

Sono immagini di QUELLA orribile guerra. Innominabile, terribile guerra- che poi di colpo è finita.

Servirebbe a tutti un nonno così.

 

“Lo specchio del mio segreto” il nuovo romanzo di Samar Yazbek, autrice del best seller “Il profumo della cannella”

 

Alessia Sità

ROMA “Ma perché andarci? Non si domanda perché Said Nasser l’ha abbandonata per anni? Cosa vuole da lui, dopo tutto quello che è successo? Forse chiedergli perché le ha fatto questo. Forse lo ama ancora. Il cuore di Leila ha smesso di battere. E lei ha capito, nelle notti del suo lungo vagare dentro la prigione, che non avrebbe più ricominciato. Perché ha aspettato tutti questi anni per andare da lui? Vuole sapere per quale motivo si strugge al pensiero di vederlo: è voglia di morire o voglia di tornare a vivere?”
Samar Yazbek, autrice del best seller “Il profumo della cannella”- censurato in Siria dall’Unione degli scrittori arabi – torna in libreria con nuovo seducente romanzo: “Lo specchio del mio segreto” pubblicato da Castelvecchi Editore. Fra passione, erotismo, odio e vecchi rancori, si dipana la conturbante storia di Leila e Said. Lei, giovane e affascinante attrice a Damasco, appartenente alla setta degli Alawiti. Lui, soldato sunnita temuto ed esasperatamente fedele al suo Presidente, “(…) diventato la cosa più importante che aveva nella vita, più dell’idea del matrimonio o delle scappatelle con le donne, che erano ormai di dominio pubblico”. Purtroppo, l’eccessiva o forse anche ossessiva devozione al Regime, trasformano e induriscono il cuore del ragazzo, che decide di mettere a tacere i suoi sentimenti per la bella Leila al-Sawi nel nome della politica e del suo totale asservimento. E, infatti, quando la Ragion di Stato irrompe nelle loro vite, Said decide di abbandonare la sua amata alle più atroci torture e violenze del Regime e della prigionia. Nonostante l’agonia subita durante gli anni del carcere, lo sfinimento del corpo e la mutilazione dello spirito, Leila non ripudierà le proprie origini e le proprie credenze. La fede religiosa e l’idea della reincarnazione, le daranno la forza per continuare ad andare avanti, mettendo alla prova il suo amore. Attraverso una serie di flashback, Samar Yazbek ricostruisce lentamente la travagliata relazione fra i due disperati amanti. In ogni pagina rivivono storie, voci e profumi del passato. Con un stile a tratti fiabesco, la scrittrice siriana ci regala un romanzo fatto di donne, passione e sentimenti. “Lo specchio del mio segreto” ci trascina in una terra lontana, facendoci scoprire la bellezza, la storia passata e la sofferenza di un Paese che brama ancora troppa libertà.

 

“Gli Stranieri”, in guerra per una terra

ROMA – “La guerra di chi lottava per non perdere la propria terra fu vinta da chi lottava per conquistarsi una patria”.
“Gli stranieri”, il libro scritto e illustrato da Armin Greder, è una delle ultime novità targate Orecchio Acerbo Editore. Dedicato ai ragazzi, il racconto di Greder è una lirica senza età e senza tempo poiché racchiude una poesia universale, che inneggia al rispetto della propria e altrui libertà.
“Era una terra di sabbia e pietre e poco altro. Ma era la patria di un popolo. Su questa terra la gente si occupava delle proprie capre e aspettava il maturare delle olive e la sera i vecchi raccontavano le loro storie ai giovani così che potessero ricordare chi erano.” Qui un giorno arrivarono gli Stranieri a rivendicare il possesso di quella terra dalla quale erano stati cacciati. Ma il popolo non capiva: i loro figli stavano crescendo lì, loro vivevano lì, i loro padri erano vissuti lì e in quella terra avevano dato sepoltura ai nonni dei loro padri.

Dopo anni in giro per il mondo a vivere come nomadi in terre che non li appartenevano, gli Stranieri ora reclamano la loro terra e sono pronti a tutto pur di riaverla. Ma come può un’unica terra accogliere due diversi popoli? Comincia così una guerra e la costruzione di un muro, la divisione fisica e l’odio profondo.

 

La tragica storia di popoli erranti diventa poesia in questo libro di Greder. Le sue parole, il suo modo di scrivere (e illustrare) richiama alla poesia italiana del Novecento. Leggendo “Gli Stranieri” ci si accorge di un legame (forse voluto o forse no) con “Alle fronde dei salici” (da Giorno dopo giorno del 1947) di Salvatore Quasimodo. Il poeta siciliano prese spunto dal Salmo 137 della Bibbia dove si narra che gli ebrei avevano appeso le loro cetre sui rami dei salici e avevano perso la gioia di cantare perché prigionieri in terra straniera. Oggi, come già nei secoli passati, l’esodo e l’emigrazione sono temi cari a una scrittura che per bellezza e sensibilità diventa pura poesia.

“Amy. Mia figlia”

Giulia Siena
ROMA
“Le canzoni sono straordinarie, ma dovette attraversare l’inferno per poterle comporre”. Sono le parole di Mitch Winehouse in “Amy. Mia figlia”, il libro scritto dal padre della celebre star inglese morta il 23 luglio 2011. Il volume, pubblicato in Italia da Bompiani, è il racconto intenso, straziante, tenero e sofferto di 27 anni di vita di un’artista geniale.

Oggi, a un anno esatto dalla scomparsa di Amy, su queste pagine trova spazio un libro che parla di una bambina vanitosa, un’osservatrice attenta, una star con le sue virtù e le sue paure, una donna che si è lasciata rovinare per amore e che, nonostante l’amore, non è riuscita a rialzarsi.
Mitch Winehouse parte dell’infanzia di Amy, dalla passione di entrambi per la musica e per le canzoni di Sinatra; racconta la semplicità, la testardaggine e la determinazione di quella bambina che amava cantare, acconciarsi con i vestiti e le collane della nonna, riuscendo a fare sembrare attente decorazioni retrò. Amy era così, era una ribelle che amava la sua famiglia e le tradizioni ebraiche, era una ragazza curiosa, esplosiva e ironica.
Amy, all’inizio degli anni duemila, sapeva quello che voleva: cantare e diventare famosa. Frequentò diverse scuole, allenò la sua voce e compose in musica con la sua chitarra le frasi che raccoglieva sul suo taccuino per gli appunti. La sua musica si fa vita e nel 2003 pubblica Frank. Ma Amy per far conoscere la sua arte doveva affrontare il pubblico; “Amy non riuscì mai a capire come tener testa alla sua paura del palco. Anche se non si sentiva male fisicamente, come accade ad alcuni artisti, a volte aveva bisogno di bere qualcosa prima di salire sul palco”. L’insicurezza, il timore di affrontare chi le stava di fronte, accompagnava l’artista quando doveva salire sul palco; allora doveva bere qualcosa, all’inizio bastava qualche drink, poi, con gli anni, divenne alcolismo.

 

A peggiorare la situazione arrivò Black, l’ossessione di Amy. Black era il ragazzo scanzonato per il quale Amy perse la testa. Nel 2006 si conobbero e Amy si lasciò trascinare nella tossicodipendenza. A questo punto la vita di Mitch non è più solo quella di un padre. Mitch da amico e confidente di Amy ne diventa anche l’angelo custode, correndo al capezzale della figlia ogni volta che un collasso o una ricaduta portavano Amy a essere l’ombra della grande donna che era. Il 2007 è l’anno decisivo per Amy: esce Back to Black, l’album che le fa scalare le classifiche mondiali e grazie al quale ottiene cinque Grammy Awards. Ma Back to Black è una dichiarazione d’amore a suo marito, Black che sposa lo stesso anno e dal quale divorzierà nel 2009. A Black, a l’uomo che secondo Mitch sarà la causa di tutti i problemi di Amy, è dedicato un album nel quale l’artista esprime anche tutto il suo dolore, la sua sofferenza e la sua voglia di uscire dalla trappola letale che è la tossicodipendenza. Sono questi gli anni più bui di Amy Winehouse come donna, ma la con l’amore della sua famiglia, l’affetto degli amici e la sua determinazione riuscirà a uscire dalla tossicodipendenza a fine del 2008. Ma la strada è ancora in salita. Nel 2010 Amy sembra rinascere: suona, compone, ama nuovamente, ha tanti progetti e vuole vivere. Nella notte del 23 luglio 2011 la sua vita si arresta e la sua voce tace. Forse un collasso per abuso di alcool.

 

“Amy. Mia figlia” è un libro scritto in soli quattro mesi, un atto di amore frutto di un diario che Mitch tiene dal 2007 e dove appunta i tanti giorni d’inferno di una tossicodipendente, i grandi momenti di gioia di un’artista geniale e le tante richieste di aiuto di una figlia in difficoltà. Un libro su Amy, una biografia intensa per raccontare al mondo che oltre alle debolezze Amy aveva una grande forza e la cosa che amava di più era la sua musica. Ora ci resta la sua voce.

Un cielo ancora rosso


Silvia Notarangelo

ROMA – “Un male universale ha dato loro la possibilità di uccidere persone sconosciute…un male tanto grande per cui essi portano terrore e morte e distruzione senza pensarci, con la coscienza di compiere un dovere”. Il male universale, in virtù del quale gli aerei americani sganciano bombe seminando morte e distruzione nelle cose e nei cuori, è il tema centrale del romanzo “Il cielo è rosso”, scritto da Giuseppe Berto e pubblicato nel 1947.
In una Treviso ridotta ad un mucchio di rovine, l’autore ambienta una storia di estrema disperazione e di miseria, offrendo una sincera ed efficace rappresentazione di quei sentimenti che, pur in terribili momenti, riescono, in qualche modo, ad emergere.
Carla e Giulia, due cugine adolescenti rimaste sole, si trasferiscono in una vecchia casa abbandonata insieme a Tullio, un giovane innamorato di Carla.
Per sopravvivere non ci sono grandi possibilità e il trio si arrangia come può: Tullio si dedica al furto, Carla alla prostituzione. Del gruppo entra a far parte anche Daniele, un ragazzo di estrazione borghese, fragile e ingenuo, ma soprattutto incapace di capire e di accettare i comportamenti degli altri. La solidarietà e un affetto reciproco, tuttavia, rendono i quattro sempre più uniti fino a creare, di fatto, due coppie: una, dall’apparenza più forte e scaltra, costituita da Tullio e Carla, l’altra, più sensibile e indifesa formata da Daniele e Giulia.
Mutare il corso del male universale è, però, impossibile così come trovare delle vie d’uscita e anche i protagonisti non potranno sottrarsi ad un crudele destino.
La loro inaspettata quanto precaria felicità viene infranta dalla morte di Tullio. Il delicato equilibrio si spezza: Daniele non riesce a trovare un lavoro, Carla non è in grado di mantenere tutti, Giulia, piuttosto cagionevole, muore di lì a poco, stroncata dalla tisi.
Per Daniele è un dolore insopportabile. Nulla sembra riuscire a consolarlo, neppure le attenzioni di Carla che si fanno più insistenti. Il giovane si toglierà la vita lanciandosi da un treno, dopo essersi tolto “mantello e giubba” perché potessero servire a qualcun altro.

“Dolce come il piombo”: un romanzo di piccole cose che diventano vita

Alessia Sità

ROMA –Andarono dietro al granaio a prendere le pistole che il nonno di Fuoco aveva costruito per loro, intagliando dei pezzetti di legno. «Io faccio la guardia!» esclamò solenne Fuoco. «Conto fino a dieci e poi vengo ad arrestarvi.» Voleva fare la guardia, come suo padre, per stare dalla parte dei buoni. «Prova a prenderci» dissero correndo Lepre e Saetta.”
Si apre con questo tono di spensieratezza “Dolce come il Piombo” il nuovo romanzo di Francesco Rago, pubblicato da Edizioni Montag nella collana Le Fenici. Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, in un piccolo paesino alle porte di Bologna, si dipana la storia di tre giovani ragazzi, amici per la pelle: Ivan, Fabrizio e Carlo. Conosciuti anche con i simpatici soprannomi di Lepre, Fuoco e Saetta. Tre storie di vita che si incrociano dall’infanzia all’età adulta, attraverso un continuo avvicendarsi di avvenimenti che, gradualmente, segneranno l’inesorabile corso del destino di ognuno di loro. Lepre, abile e scattante, è una promessa del calcio. Fuoco, paladino della giustizia, sente la necessità di impegnarsi concretamente nel movimento studentesco, nel quale riversa tutti i propri ideali. Inquieto e cresciuto troppo in fretta, a causa della morte prematura del padre, è Saetta; diventato operaio fin da subito, per aiutare la propria famiglia. Col passare degli anni, i tre ragazzi, ormai uomini adulti, scopriranno quanto la vita possa essere crudele. La loro amicizia verrà messa duramente alla prova. Improvvisamente Ivan, Carlo e Fabrizio giungeranno alla consapevolezza che il tempo dei giochi spensierati e del loro consueto “bighellonare tra le strade di ciottoli grigi e i campi gialli di grano che circondavano il paese” non tornerà mai più. E infatti, la cruda realtà non tarderà ad arrivare. Lepre, Fuoco e Saetta impareranno molto presto quanto sia stato effimero lottare così ostinatamente per il successo, gli ideali, il lavoro, quando a farne le spese sarà qualcosa di molto più prezioso. Con grande capacità introspettiva, Francesco Rago ci regala un romanzo fatto di piccole cose, ma che contestualizzate nel vivere quotidiano diventano vita. “Dolce come il Piombo” è una profonda e costante riflessione sull’amicizia e sull’ineluttabilità del destino.

“Auf Wiedersehen Claretta”- davvero un uomo avrebbe potuto salvare la Petacci e Mussolini?

Marianna Abbate

ROMA – La Seconda Guerra Mondiale ha affidato all’Italia un ruolo decisamente ambiguo: se prima della guerra sembrava che fossero tutti d’accordo con il pensiero fascista, nel momento della sconfitta si ritrovarono tutti felici dell’arrivo dei nuovi Alleati. Ad un certo punto si è addirittura tentato di riscrivere la storia- dipingendo gli italiani come un popolo di partigiani antifascisti. Ovviamente, come sempre la realtà è nel mezzo. La guerra contro lo straniero si è trasformata in guerra civile tra partigiani e fascisti, con esiti cruenti e spaventosi.

Ma, se da una parte nella storia la figura del fascista si pone come immagine nettamente negativa, dall’altra parte i partigiani non possono assolutamente essere dipinti con tinte rosate. Ed uno dei motivi è sicuramente l’atteggiamento barbaro e il comportamento crudele che hanno avuto nei confronti delle popolazioni inermi- e motivo sicuramente molto scenografico, il terribile assassinio del duce e della sua compagna, seguito dall’accanimento sui loro cadaveri.

Per una volta, quindi, ci troviamo a leggere la testimonianza di un nazifascista Gunther Langes– l’autista che portò la Petacci da Merano a Gargnano, sul lago di Garda. Il diario viene presentato integralmente, con una premessa del sociologo napoletano Nico Pirozzi.

Auf Wiedersehen Claretta” può essere considerato quasi un documentario. E’ un po’ come sbirciare nell’auto dei due amanti e scoprire i loro segreti.  Il tutto con gli occhi del “privilegiato” autista, un po’ innamorato della Petacci.

Un punto di vista diverso su una storia di cui ci sembra di conoscere già tutto, il libro Edizioni Cento Autori ci mostra nella sua grottesca logica il pensiero di un nazista.