“Volevo essere Coco Chanel” o almeno trovare un posto fisso e non annoiarmi

Marianna Abbate
ROMA “Volevo essere Coco Chanel.” Ah quante di noi si sarebbero accontentate di diventare una delle sorelle Fendi. Ma nei libri, si sa bisogna sognare in grande. Vanessa Valentinuzzi al suo esordio letterario con Avagliano Editore, ci racconta una storia tra il romanzo allegro sullo shopping – che negli ultimi anni abbiamo imparato ad amare – e la nuda, cruda e triste realtà italiana sul precariato.

Non riesce a resistere ai vezzi stilistici, tanto che chiama la sua protagonista Ottavia Brandeschi: un nome da favola, decisamente nobile.
Si parte dal lavoro dei sogni, dal fidanzato dei sogni e dalla città dei sogni, o almeno di quelli legati alla moda: Milano. Ottavia fa la shoes designer, ovvero disegna scarpe per un marchio famoso, è fidanzata un giovanissimo modello e la sua vita sembra avere preso una piega molto positiva. Finchè tutto gli crolla addosso: perde lavoro, casa e fidanzato e si ritrova a lavorare in un call center a Roma.

Una storia comune nell’Italia dei nostri tempi, dove non importa quanto hai studiato o quanta esperienza hai, ma chi conosci e chi ti potrebbe dare una spintarella. E’ pur vero che l’autrice non rinuncia all’happy ending, ma è chiaro che si tratta solo di un sogno, qualcosa di immateriale che accade nei libri, dove un bel finale non si nega a nessuno. Potrebbe aver iniziato un nuovo genere letterario. Forse un giorno qualcuno scriverà un romanzo alla Valentinuzzi, come si parla oggi della Kinsella. Ma non voglio sembrarvi troppo negativa: i sogni a volte si avverano! E se anche così non fosse, i sogni sono una delle pochissime cose che non costa nulla.

 

“Zagreb”

Aìsara_recensione Zagreb_chronicalibriSilvia Notarangelo
ROMA – L’orrore della guerra raccontato dagli occhi di un adolescente: la follia omicida, l’incredibile senso di onnipotenza, la straziante presa di coscienza. Si legge tutto d’un fiato “Zagreb”, il coinvolgente romanzo di Arturo Robertazzi, pubblicato da Aìsara.

Il protagonista del libro è un ragazzo che, inaspettatamente, si ritrova complice e artefice di un terribile quanto inarrestabile vortice di violenze. Al grido di “Puntare! Mirare! Sparare!” assolve, con una certa soddisfazione e leggerezza, al compito di eliminare i tanti prigionieri racchiusi all’interno di una fabbrica dismessa, la Base. Prigionieri che hanno perso le loro fattezze umane per diventare una “creatura informe, con cento occhi e cento gambe”.
Tra di loro, silenzioso e quasi irriconoscibile, si nasconde un vecchio amico del protagonista: Dražen Vivić, un ragazzo come lui, uno dei tanti che, improvvisamente, la guerra ha trasformato in un nemico da sterminare. Eppure sono proprio i suoi occhi a restituire la vista al protagonista, a fargli scorgere, per la prima volta, non più una massa indefinita ma “tanti disperati sull’orlo della fine”. Una terribile consapevolezza inizia ad affiorare: “la Base è un mostro che ingoia carne e sputa ossa, è un mostro che mangia uomini e vomita soldati”. Dopo tre mesi di assedio, non c’è alcun vincitore, solo un’infinità di sconfitti.
Il primo desiderio del ragazzo, allora, non può che essere quello di scappar via, allontanarsi il più possibile da un inferno in cui si è lasciato trascinare. Prima, però, deve salvare Dražen e Darka, la sua Darka, quella ragazza che aveva conquistato il suo cuore e che ora si ritrova, nel buio di una cella, ad attendere il suo turno.
Anche la guerra, tuttavia, può riservare dei colpi di scena e se è scontato non aspettarsi un happy end, ci penserà, comunque, una bomba scagliata sulla Base a mettere tutti a tacere, a seppellire sotto le macerie tutti quegli uomini divenuti una “Bestia colma di odio e assetata di morte”.

“Tramonti d’Occidente”: il romanzo d’esordio di Emilia Blanchetti

Alessia Sità

ROMA – “ Ci sono luoghi dove dovresti essere. Le responsabilità, i doveri, il tuo posto nel mondo, la voglia di fuggire e di lasciarsi tutto alle spalle, la voglia di sparire, la certezza che può cambiare le cose, il bisogno di espandersi nel cosmo e di fondersi con un sentire più vasto. E poi c’è casa tua: il posto che ti sta stretto, che ti soffoca a volte, che ti stritola, privo di slanci selvaggi e di eroiche planate, pieno di ordinarie insidie.
Quante volte sentiamo il bisogno di evadere, di alienarci da tutto e tutti? Quante volte ci sentiamo insoddisfatti? Non dimentichiamo però che “la vita è un semplice e tumultuoso susseguirsi di episodi minori. A volte si può ripartire […] a volte invece è troppo tardi.
Nel suo romanzo d’esordio,“Tramonti d’occidente”, pubblicato da Autodafè Edizioni, Emilia Blanchetti spinge a riflettere sulle imprevedibili dinamiche dell’animo umano e su come la vita sia molto spesso una corsa disperata contro il tempo. Improvvisamente, tutto può cambiare. La sensazione di essere prigionieri di responsabilità, ambizioni e potere svanisce non appena sopraggiunge la consapevolezza di aver perduto qualcosa di terribilmente importante.
Claudio conduce apparentemente una vita tranquilla: è sposato con Daria, dalla quale ha avuto una figlia, ed è un professionista stimato e brillante. Spesso però, le apparenze ingannano. Dietro la maschera di uomo colto e affermato si nasconde un’anima logorata da un terribile segreto. Improvvisamente, tutte le sue certezze, consolidate faticosamente nel tempo, crollano sotto il peso massiccio di pensieri e sensi di colpa. Il rimorso per aver commesso qualcosa di abominevole spinge l’uomo a intraprendere un viaggio non solo fisico, ma soprattutto spirituale. Un viaggio alla ricerca della propria identità smarrita. Fra drammi e tradimenti, la vicenda di Claudio si inserisce in una storia drammaticamente corale. Sullo sfondo di tre città, Roma, Torino e Milano, le vulnerabili esistenze di Daria, Nina, Angela, Alberto, Manu, Nichi, Amina, sono destinate a incontrarsi e intrecciarsi. Gradualmente, ogni personaggio prende coscienza di essere vittima di qualcosa di incontrollabile e di terribilmente ‘umano’. Il lettore assiste impotente a un susseguirsi di tragici eventi destinati a mutare irreversibilmente le vite dei singoli protagonisti.
Con una scrittura lineare e dettagliata, Emilia Blanchetti riesce a fare emergere il senso di inquietudine e di smarrimento che accomuna ogni singolo personaggio. Fra violenze sessuali, terrorismo, vari abbandoni, l’incapacità di guardare avanti e di costruire un futuro diventa il dramma collettivo di un’umanità vittima di se stessa.

“La ragazza di Bube”

Silvia Notarangelo
ROMA – Ci sono la resistenza e il dopoguerra, tanto cari alla narrativa neorealista, ma anche il sentimento e l’antichissimo topos della separazione degli amanti ne “La ragazza di Bube”, il romanzo di maggior successo di Carlo Cassola.
Toscana, 1945, le formazioni partigiane si sciolgono e i militanti tornano a casa. Tra di loro c’è Bube, un ragazzo impulsivo che, sulla strada del ritorno, decide di fermarsi dalla famiglia di Sante, un suo compagno rimasto ucciso. Qui incontra Mara, la sorella di Sante, e tra i due nasce subito un timido sentimento, segretamente alimentato da scambi di biglietti e fotografie.
La situazione, però, precipita quando Bube, resosi protagonista di un omicidio e di un altro incidente in cui aggredisce un prete, diventa un ricercato. Le occasioni di incontro con Mara si fanno più sporadiche e pericolose. Bube, ormai consapevole della gravità della sua posizione, decide di espatriare in attesa di un’amnistia. Mara non può seguirlo e, così, prima di separarsi, i due si promettono reciprocamente.
Il tempo passa, le notizie sono incerte e la ragazza, complice l’incontro con Stefano, un giovane operaio, sente affievolire, a poco a poco, il sentimento per Bube. I suoi dubbi sono, tuttavia, destinati a dissolversi. Arrestato in Francia e costretto a subire il processo, durante un colloquio in carcere Bube le confessa che è ancora lei il suo unico pensiero. All’improvviso, la confusione di Mara si trasforma in consapevolezza del proprio ruolo e delle responsabilità che si è assunta. Non può abbandonarlo proprio ora, perché lei è “la ragazza di Bube…e il suo posto è accanto a lui. Per sempre”.

Diventare un mito, seguendo i dieci consigli di Michele Monina

recensione chronicalibri laurana editore moninaStefano Billi
ROMA – Dieci solitamente è un numero adatto alle classifiche, alle valutazioni. “Da zero a dieci”, e tutto può essere ponderato utilizzando questa forbice.

Ma dieci è anche il numero dei consigli, in particolar modo quelli che Michele Monina propone ai lettori per raggiungere il successo, col suo nuovo libro “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)”, pubblicato da Laurana Editore.

Perché per diventare ricchi e famosi, per arrivare alla celebrità, ci sono alcuni “passaggi obbligati” da percorrere: ad esempio, scegliersi un nome memorabile, oppure essere designati come giudici di un reality show, fino poi a sfornare una hit musicale che penetri irreversibilmente nelle orecchie di chi l’ascolta.

Così, in maniera divertente, Michele Monina tratteggia dieci tattiche per trasformarsi in miti di prim’ordine, riempirsi di denaro, essere osannati dalle folle e spopolare in tv.

Il periodare giovanile e assolutamente colloquiale rende poi il testo largamente fruibile, pratico da leggere e quasi scomponibile, a mo’ di vademecum sulla celebrità.

Il taglio scanzonato delle pagine non deve comunque distrarre dall’acume dell’autore nel presentare i modi che oggi sono in gran parte efficaci per diventare un mito.

Michele Monina descrive sotto forma di suggerimenti quelle strategie e quelle tattiche che gli artisti e le star maggiormente in voga hanno sfruttato per accaparrarsi la cresta dell’onda.

Dunque, ad una lettura attenta di “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)”, si può anche capire come funzioni la società contemporanea, quali siano i suoi valori. Si può poi comprendere come, talvolta, il talento possa rivestire un ruolo di secondo piano, perché in fin dei conti ciò che importa è apparire. Perciò, non c’è da stupirsi se, anziché lo studio e l’abnegazione, sia piuttosto l’eccentricità – a volte tendente perfino al ridicolo, all’inopportuno e magari al volgare – il grimaldello che permetta alle giovani leve, aspiranti protagonisti del mondo, di farsi strada nella lunga e faticosa via per diventare qualcuno.

In riferimento al mood frizzante del libro, merita una menzione anche la prefazione di Gianni Biondillo, sarcastica, irriverente, ma forse in fondo vera nei suoi luoghi comuni sul successo e sul chi fa successo.

Perciò, se sognate la fama, se ambite alla celebrità, se vi immaginate come i protagonisti assoluti del domani,  i “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)” di Michele Monina possono rappresentare il giusto inizio dell’impresa.

Lo shopping, la nuova frontiera della meditazione

Marianna Abbate
ROMA “Meditazioni sullo shopping” è questo il titolo allettante del libricino rosa edito da Mimesis, che vedete nella foto. Ma se sperate in una storia di amore e shopping alla Kinsella, avete sbagliato copertina. Questa è roba seria: si tratta di Filosofia. La maiuscola nella parola filosofia è voluta, perché non vi sto parlando di filosofia come stile di vita, ma di quella scienza che ha visto sviluppare la teoria della maieutica e ucciso Socrate con un bicchierino di cicuta. Orbene, vi direte, nulla di strano. Qualche donna fashion si è dedicata allo studio degli antichi filosofi e trovando l’argomento un po’ superato ha pensato bene di dedicarsi ad un argomento più allegro producendosi in un’analisi sociologica dell’acquisto compulsivo. Niente di più sbagliato.

L’autore è un UOMO!, un filosofo di nome Seiffart Achim, che approccia l’argomento da profano. Achim si è trovato incuriosito dall’argomento osservando la sua assistente, una ragazza che ritiene essere molto intelligente. La suddetta, della quale per onore alla privacy non sappiamo nulla, indossa abitualmente un abbigliamento elegante che il filosofo ha valutato circa 3000 euro, di cui un migliaio solo per la borsa, esclusi gioielli. La domanda nata spontaneamente nella testa di questo filosofo, che ci piace immaginare un po’ sgangherato e sgualcito, è stata: perché questa ragazza spende tutto questo denaro in abbigliamento, se non ha bisogno di affermarsi socialmente in quanto ha già un ruolo importante dovuto al suo lavoro?

Oh innocenza della filosofia! E’ evidente che Achim non abbia mai provato il bisogno di fare una buona prima impressione, o che non ha mai pensato che i capelli unti sono il peggior biglietto da visita.

Se volete scoprire quale sia la teoria finale, vi invito alla divertente lettura del suo libello. Ma non posso esimermi dal condividere con voi la mia personale teoria sulla scienza dello shopping.

Ecco, chiunque mi conosca un pochino, sa che amo fare acquisti. E sa anche quale è la mia personale opinione sull’intelligenza. Se sei un genio, non è necessario che sottolinei la tua “nerdaggine” con un abbigliamento trasandato e occhiali spessi un dito. Anzi, la mancata cura del tuo aspetto è sintomo di una mancata intelligenza sociale. Un aspetto curato ed elegante aumenta esponenzialmente il valore delle tue parole.

Per questo sconsiglio vivamente di mangiucchiarsi le unghie e indossare sacchi di iuta: nerd correte a a fare shopping, con il beneplacito della filosofia.


“Segni di pietra”: la Valle d’Aosta come (forse) non t’immagini

Giulio Gasperini
ROMA – Se dovessimo dire quel che ci viene in mente della Valle d’Aosta probabilmente tutti ci immagineremmo subito alte montagne, lunghe piste da sci, boschi fitti e animali selvatici, la lingua francese che vi si parla in regime di bilinguismo e, forse, qualcheduno penserebbe al casino di Saint-Vincent. Ma c’è un volto della Vallée che andrebbe, in maniera opportuna, sistemato al primo posto di questa improbabile classifica: quello, ovvero, della Storia che qui, in questa grande valle incastrata tra le montagne più alte d’Europa, si è concretata in ardite tracce. Ci riferiamo, ovviamente, ai tanti castelli che punteggiano il suo panorama, appollaiati su speroni di roccia che difficilmente potremmo pensare abitabili e, ancor meno, edificabili. Tutti questi castelli, le torri, i manieri e le residenze che hanno scolpito sulla roccia la storia della Vallée, questi “Segni di pietra”, sono riprodotti in un bel volume realizzato nel 2008 dall’Associazione Forte di Bard, che gestisce l’omonima fortezza, una delle prime che ci mozzano il fiato, per imponenza e arditezza architettonica, entrando nella regione.
Francesco Corni riproduce, con particolareggiati disegni a china, le architetture nel loro complesso, soffermandosi attentamente su dettagli peculiari o più significativi, e offrendoci l’illusione quasi di poter toccare, sfiorare quelle rocce, quei mattoni, quelle finestre dalle ardite linee e geometrie. In alcuni casi, addirittura, i castelli vengon smembrati, proposti in sezione, resi vulnerabile agli occhi di chi guarda, per far comprendere tutta la reale grandezza delle costruzioni. I disegni sono poi accompagnati da piccole didascalie chiarificatrici, che contestualizzano le architetture e tratteggiano indispensabili nozioni di storia.
Dopo alcune introduzioni sulla storia della Vallée, i disegni (che paion quasi elaborazioni grafiche tridimensionali) sono raccolti in tredici sezioni: dai castelli primitivi (tra i quali quelli di Cly, la Tour Colin a Villeneuve e la Torre dei Balivi ad Aosta) ai castelli che si tramutano in vere e proprie residenze (come nel caso di Montjovet e Sarriod de la Tour a Saint-Pierre), dai castelli del periodo aureo (Fénis, Aymavilles e Verrès su tutti) ai castelli trasformati col sopraggiungere dell’artiglieria (il Castello di Saint-Germain a Montjovet e il Forte di Bard) si squaderna tutta la storia della Vallée, così ricca di eventi inaspettati e fondamentali anche per la storia dell’Italia tutta. Basti pensare ai legami strettissimi che unirono la famiglia Savoia a questa piccola regione, a partire dal conte Umberto “Biancamano”, capostipite della dinastia sabauda, che intorno al 1000 stabilì una posizione egemone della sua famiglia in questo angolo di mondo, per finire con Umberto I e Maria José che trascorrevano le villeggiature con grande piacere nel castello di Sarre, usato precedentemente da Vittorio Emanuele II e da Vittorio Emanuele III come residenza per le amate cacce.

“Gli occhi di mia figlia”, il romanzo d’esordio di Vittoria Coppola

recensione ChronicaLibri Gli occhi di mia figliaGiulia Siena
ROMA “Lasciala guardare il mondo con i suoi occhi, anche nei colori più bui, solo così non scapperà quando non si sentirà all’altezza della vita…”. Dana deve guardare il mondo con i suoi occhi, deve amare e provarsi nonostante le costrizioni della sua rigida famiglia e l’organizzazione maniacale di sua madre. Infatti quest’ultima, Amanda, ha già deciso ogni minimo dettaglio dell’esistenza della sua bambina.

Il romanzo di Vittoria Coppola, “Gli occhi di mia figlia” pubblicato dalla Lupo Editore si apre con sfumature di poesia e una finestra dischiusa sul racconto dalla stessa autrice. Siamo in Toscana, a Siena nei primi anni Settanta e Dana ha quasi diciotto anni. “Dana è la protagonista di un amore che le occupa il cuore per anni, tutti i giorni e tutte le notti”. Vive la bellezza di un amore intenso e inaspettato, Dana scopre la passione per “il pittore di sguardi tristi” lontana dagli occhi bulimici della società borghese. Dana rincorre il suo sogno celandosi dietro lettere e piccole fughe, Dana è talmente giovane da commettere errori che la porteranno lontano da chi ama. Ma non è lei che lo ha deciso. La vita di questa delicata adolescente sarà segnata dalle decisioni di sua madre: Dana è solo un’attrice nella sceneggiatura già scritta da Amanda.
La protagonista si muove inconsapevole, ignara della piega che sta prendendo la sua vita tra Parigi e Siena. Ma il destino non segue dettami prestabiliti; il destino – così come l’amore – riuscirà a rendere Dana una donna consapevole del suo passato, a svegliarla dal torpore degli anni e farle riconoscere nelle tele lo sguardo che fin a quel momento non aveva occhi. Perché “l’amore è unico: a volte nasce dal niente, cresce con niente, si spezza per niente”.


Creatrice di tanto amore e di un destino beffardo ma giusto è Vittoria Coppola, scrittrice salentina al suo esordio letterario. L’autrice, con “Gli occhi di mia figlia” raggiunge il suo obiettivo: “Lo scopo che mi prefiggo nel momento in cui inizio a riempire pagine di parole e sentimenti, è quello di emozionare, regalando a chi mi privilegia leggendomi, attimi personalissimi di evasione dalla realtà […]”
La sua scrittura, già matura nell’intreccio narrativo, fa viaggiare i personaggi con le proprie gambe. Il romanzo prosegue a ritmo spedito, incalzante e concitato, ma qualche dettaglio andrebbe sottolineato – la vita in Italia negli anni Settanta e le strade di Parigi? – frutto solo di un po’ di inesperienza. A quest’ultima si può sempre rimediare… noi siamo pronti a leggere ancora questa promessa della narrativa pugliese.

“L’enigma della pietra”: l’intrigante romanzo di Maurizio Agostini

Alessia Sità
ROMA – “Aelia Laelia Crispis/né uomo ne donna, né androgino / né bambina, né giovane, né vecchia / né casta, né meretrice, né pudica /ma tutto questo insieme. / Uccisa né dalla fame, né dal ferro, né dal veleno, / ma da tutte queste cose insieme. / Né in cielo, né nell’acqua, né in terra, / ma ovunque giace, / Lucio Agatho Priscius / né marito, né amante, né parente, / né triste, né lieto, né piangente, / questa / né mole, né piramide, né sepoltura, / ma tutto questo insieme / sa e non sa a chi è dedicato”.
Un intrigante mistero legato a un’antica iscrizione latina, probabilmente del XVI secolo, fa da sfondo a “Aelia Laelia Crispis. L’enigma della pietra”, il nuovo romanzo di Maurizio Agostini pubblicato dalle Edizioni Pendragon.

La  tranquilla vita di Marcello viene scombinata dalla misteriosa morte dell’amico Piero.L’improvvisa tragedia spinge l’uomo a fare chiarezza sulla strana vicenda che, sorprendentemente, sembra essere collegata alla falsa iscrizione funeraria della Pietra di Bologna. Ad alimentare i sospetti sulla morte di Piero contribuiscono anche una serie di mail datate simbolicamente venerdì 13 ottobre 2007, e alcuni doni apparentemente casuali. Il desiderio di scoprire cosa si nasconda dietro tutta questa strana vicenda, spinge Marcello a coinvolgere anche l’affascinante e sagace Francesca. La loro determinazione e il loro desiderio di verità li porterà fino ad Edimburgo; ed è proprio nella bellissima città, sede di un importante esperimento genetico, che l’indagine giunge finalmente ad una svolta importante e decisiva.
Con grande capacità narrativa, Maurizio Agostini ci riporta indietro nel tempo, alla scoperta di uno dei misteri più noti della Bologna esoterica, facendoci rivivere i segreti dei Templari e, al contempo, scoprire i misteri dell’Ordine dei frati Gaudenti.
Con uno stile brillante e lineare, l’autore ci regala un romanzo-verità sull’intrigante mistero di Aelia Laelia Crispis, un ‘giallo’ che da secoli è al centro delle divergenti interpretazioni degli studiosi e che ancora oggi suscita la curiosità di molti studenti.

“Eurodeliri” targati Giorgio Forattini

Stefano Billi

Roma – Ogni anno porta con se nuovi appuntamenti, nuovi eventi, ma anche belle tradizioni che si ripetono da tempo e che vale la pena possano ripetersi ancora per molto.

Ad esempio, i libri di Giorgio Forattini sono un piacevolissimo appuntamento letterario che gli amanti della satira, e non solo, non possono proprio perdere.

Perciò, “Eurodeliri” – uscito da poco in tutte le librerie per le edizioni Mondadori – firmato appunto da Giorgio Forattini, è un condensato di umorismo, simpatia e arte che non ci si può davvero lasciar scappare.

Tra le pagine del libro, infatti, spiccano numerosissime tavole che aiutano a far sorridere sugli eventi allegri e tristi della storia recentissima di questo stivale nostrano, sempre più avvolto dal gelo e dalla crisi.

La matita del mirabolante vignettista disegna così le facce di quei personaggi che caratterizzano l’attualità e proprio attraverso il tratto inconfondibile dell’artista romano prendono vita caricature capaci di raccontare più di ogni altro editoriale da carta stampata.

Insomma, Forattini è un narratore d’Italia, fotografo puntuale e raffinato di ciò che accade e del perché accade.

In fin dei conti, satira vuol dire ironizzare e polemizzare con astuzia sottile, perché forse è tra un sorriso a pieni denti che trovano spazio le verità più sincere.

Sicuramente “Eurodeliri”, col suo sguardo spiritoso sulla politica e sui fatti quotidiani, sarà una deliziosa lettura per tutte le età, da gustare ripetutamente per la sua freschezza e vivacità.

Lunga vita alle vignette!