“Un matrimonio e altri guai”: effetti indesiderati di un’unione

Silvia Notarangelo
ROMA – Il titolo dice tutto, “Un matrimonio e altri guai”. Sì, perché spesso le tanto desiderate nozze sono precedute da tensioni, preoccupazioni, inaspettate prese di posizione che rischiano di offuscare, se non addirittura di pregiudicare, il lieto evento.

Ne è consapevole anche l’autrice di questo romanzo edito da Garzanti. Con leggerezza, ironia, sensibilità, Jeanne Ray riesce a cogliere e, talvolta, sdrammatizzare tutte quelle situazioni, quegli interrogativi, quelle perplessità che ossessionano i familiari degli sposi.
L’atmosfera si preannuncia elettrizzante fin dall’inizio: una futura moglie dall’apparenza raggiante ma intimamente tormentata dai dubbi (meglio lui o l’altro?), un futuro marito ricchissimo e inappuntabile, una zia disperata che arriva all’improvviso dopo essere stata scaricata dal marito per una giovane amante.
L’incontro, tra i due tendenzialmente opposti stati d’animo, avviene in una casa dove, con tempismo perfetto, le fondamenta stanno pian piano cedendo rendendo precaria l’intera struttura. È la casa di Tom e Caroline, i genitori della sposa. Lui difensore d’ufficio, lei insegnante di danza, sono ancora innamoratissimi, pur essendo “inciampati nel matrimonio, nell’essere genitori, nella vita” a soli vent’anni. Ora, però, è diverso, perché a compiere il grande passo è Kay, la loro bambina ormai cresciuta, che sfoggia al dito un incredibile anello di fidanzamento. Tutto bene, dunque, se non fosse che sposare Trey Bennett, il miglior partito della città, significa intraprendere l’insidiosa strada dei preparativi di un matrimonio a cui, limitandosi agli intimi, non possono partecipare “meno di mille invitati”. E, come da tradizione, le spese della cerimonia spettano alla famiglia della sposa.
È il panico. Tom e Caroline iniziano a fare i conti, non ce la faranno mai. E allora che cosa fare? Ammettere la propria inadeguatezza economica, nella velata speranza che Kay si accorga nel frattempo di amare l’altro, “il povero”, o far finta di niente ed affidarsi ad un miracolo? In un susseguirsi di confessioni inattese, improvvisi isterismi, vecchie questioni mai risolte, si arriva alla fine della storia con una consapevolezza: i guai non arrivano mai da soli.

“Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”

Stefano BIlli

Roma – Sì, avete letto bene: “Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”. Né errore di battitura, né sintomo di arteriosclerosi precoce del redattore. Piuttosto, si tratta dell’esilarante titolo del terzo volume, curato da Mist e Dietnam (per l’anagrafe, Riccardo Bidoia e Massimo Fiorio) ed edito da Tea, che raccoglie al suo interno cinquecento facts riguardanti il ranger texano più forte, indistruttibile, imperturbabile, impietoso e cattivo che sia mai esistito.

Osate chiedere di chi si stia parlando? Allora mettetevi al riparo, perché Chuck Norris, protagonista dell’intramontabile serie televisiva “Walker Texas Ranger”, vi sta già raggiungendo con un calcio rotante. Infatti, alla sua figura, si associano fatti – denominati appunto facts – che forse sono leggenda, o forse no, perché nessuno dubita più delle titaniche imprese dell’attore statunitense, tanto che Chuck Norris rappresenta ormai un fenomeno umoristico inarrestabile.

La goliardia e la robusta comicità delle gesta del ranger texano assurgono a pilastro incrollabile dell’ironia targata ventunesimo secolo, tanto che il prestigioso quotidiano londinese Times, in un’intervista a Chuck Norris, definisce quest’ultimo un acclarato online cult hero.

Perché, è opportuno che lo sappiate, «Chuck Norris può svuotare la luna piena». Così come è in grado di «riempire un pozzo senza fondo». Vi sembra che stia esagerando? Allora tremate al pensiero che «Chuck Norris può abrogare la legge di gravità».

Questi sono i facts. Pillole di satira così sopraffina da strappare a chiunque una fragorosa risata. Soprattutto contagiosa. Infatti, la loro caratteristica più incredibile è proprio quella di spingere il lettore a voler scoprire incessantemente nuove gesta sempre più incredibili. Senza contare quella voglia febbrile che induce i lettori, infine, a diventare essi stessi creatori di facts. Ecco allora alimentarsi un ciclo comico che sembra non conoscere né crisi né momenti di noia, come testimoniano le molteplici ristampe i volumi inediti che si aggiungono costantemente all’opera di Mist e Dietnam, raccoglitori indefessi – e straordinari – di quest’onda di divertimento popolare e disarmante.

Perciò, se la malinconia da fine ferie è in procinto di abbattersi sul vostro morale, non dimenticate che «Chuck Norris sa cosa hai fatto l’estate scorsa». Perché «Chuck Norris ha affondato uno scoglio col suo gommone».

E ricordate: «Chuck Norris can try this at home».

"La banconota da un milione di sterline" ce l’hai da cambiare?

Marianna Abbate
ROMA In Italia il nome di Mark Twain è associato solitamente alla letteratura per ragazzi, e soprattutto alle figure dei due monelli Tom e Huck. Un vero peccato, dal momento che Twain è un grandissimo umorista, e anzi in America il premio più prestigioso che un comico possa vincere è quello che gli è intitolato.
Un esempio della sua sottile vena comica si può trovare nel simpatico racconto dal titolo ” La banconota da un milione di sterline”. Due anziani miliardari hanno appena ricevuto dalla banca l’unica banconota da un milione di sterline che esista al mondo.

Prima di farla invalidare e appenderla al muro come souvenir, pensano bene di divertirsi facendo una scommessa: se un poveraccio ricevesse la banconota farebbe la bella vita o nessuno lo accetterebbe nel suo negozio?
Proprio sotto le loro finestre trovano l’uomo adatto: un povero operaio senza lavoro e senza un centesimo. Gli consegnano la banconota e lo mandano via. Contro ogni possibile previsione il ragazzo riesce a farsi far credito nei negozi più in voga della città, perchè nessuno ha abbastanza denaro per cambiargli la banconota. Inizia così a frequentare il panettiere, la salumeria e addirittura il sarto più in voga senza sborsare un centesimo. Tutti cedono al fascino e alla ricchezza della ormai mitica banconota.
La situazione produce notevoli spunti comici e Twain li frequenta tutti. Il racconto è piacevolissimo per una letteratura che entra in pieno merito a far parte dei classici dell’umorismo- un po’ pirandelliano e un po’ genuinamente comico.

"Il Metodo Puffetta" la riscossa delle Barbie

Marianna Abbate
ROMA Non saprei dirvi con certezza se quella che ci offre Silvia Pingitore nel suo libro sia un’immagine confortante della realtà. L’autrice de “Il Metodo Puffetta”, già nel titolo del suo ultimo libro pubblicato da aliberticastelvecchi, ci parla del collaudato Metodo puffetta – Come fare la scema del villaggio senza rischiare di diventarlo, offrendoci esempi illustri di Puffette in carne e ossa: dalle veline a Valeria Marini.
Ebbene, è inutile cercare di negare la somiglianza di queste note figure dello showbiz nazionale con l’unica femmina tra i Puffi. Tuttavia, non mi trovo del tutto d’accordo con l’affermazione racchiusa nel sottotitolo. Stupido è chi lo stupido fa diceva il saggio Forrest Gump e io l’ho ritenuta da sempre una verità di vita. Comunque addentrandomi nella lettura ho scoperto un misunderstanding alla base. In effetti non avrei mai classificato Puffetta come la scema del villaggio: le ho sempre riconosciuto un ruolo materno e la sua prorompente femminilità unita alla sua delicatezza erano utili a controbilanciare il maschilismo predominante nel villaggio dei Puffi

Seguire la moda, desiderare l’impossibile, spendere e spandere, ostentare la propria bellezza, sfruttare il proprio fascino per far carriera non significa essere stupide, anzi! La storia odierna dimostra assolutamente il contrario: il nostro Paese assomiglia un po’ al villaggio dei Puffi.

Con una serie di consigli racchiusi in 10 comandamenti la Pingitore mostra alle lettrici la perfetta strada da seguire per ottenere successi nella vita sociale, lavorativa e privata. “Non desiderare la roba d’altre (se non puoi permettertela), fa che loro desiderino la tua”.. è da sempre il mio motto e non avrei saputo esprimerlo meglio! E se anche a volte mi rodo dentro per l’invidia, la diretta interessata non verrà mai a saperlo.

Insomma, riconosco la furbizia di Puffetta, perché essere l’unica donna in un villaggio di uomini è già una cosa scaltra.