“Seminario Montale”: le ultime declinazioni d’Eugenio.

Giulio Gasperini
ROMA – Nel 1971 Montale pubblicò “Satura”, una raccolta che fratturava, risoluta, la linea della sua precedente esperienza (e vocazione) poetica. Alla paura cosmica del mondo che franava sotto la furia della bufera, si sostituì un inevitabile ripiegamento nel cosmo individuale, nell’intima personalità, nella quotidiana gestione di affetti e comportamenti; come a dire che, dopo la rinuncia all’universalità, l’uomo dovesse sperimentare finanche la diserzione nella terra del sé stesso. Gaffi editore ha pubblicato nel 2011 “Seminario Montale”, scritto da Fabrizio Patriarca (nella collana Centenaria), nel quale il critico si assume l’ingrato compito di guidarci alla scoperta e, più difficoltoso ancora, alla comprensione dell’ultimo consapevole Montale.
Con Satura si assiste, secondo il critico, al ripiegamento verso forme di “verità archetipiche”, finanche inspiegabili in una raccolta poetica che virava così risolutamente dal Morale degli “Ossi di seppia”, de “La bufera” e de “Le occasioni”. Prospettive metafisiche fin troppo raffinate e importata poetica del correlativo oggettivo lasciano spazio a un respiro che, se non più ampio, si concreta decisamente più diretto e sincero, lasciando spazio all’esperienze del lettore e al suo proprio apporto personale.
A partire da quell’odore di limoni, dal loro colore violento che ferì l’occhio e aprì alla presunta salvezza, Montale si accorse forse che il suo viaggio, giunto alle estremità più remote del mondo a toccare persino “Finisterre”, doveva tornare all’origine, come un fiume che, giunto alla foce, si strugge nella malinconia della separazione dalla sua sorgente. Patriarca vaglia attentamente tutta la critica del ‘900, la quale tanta attenzione riservò a Montale, fin quasi a spingersi nei lidi di una vera e propria elucubrazione teorica, tale da scontornare i veri limiti della sua poetica e presentarcelo forse più difficile di quel che in realtà fu.
Con uno stile, a tratti, un po’ pesante e difficile da leggere senza ricorrere al vocabolario persino per ricercare ansiosamente una congiunzione disgiuntiva, il critico Patriarca trapana con decisione e con puntualità chirurgica la superficie e il tessuto di una raccolta poetica ingiustamente bistrattata e considerata potenzialmente inferiore alle sue precedenti, che lo fecero scoprire e lo esagerarono poeta come mai nessun altro (con sommo dispiacere e disappunto del suo rivale Ungaretti). Fabrizio Patriarca ha uno sguardo attento e puntale, costantemente ci guida al riferimento e non ci abbandona mai durante la ricognizione del più tardo Montale, permettendoci così di giungere a una riscoperta che non sia di pura forma ma anche di ricca sostanza.

Patrizia Simonetti ai microfoni di ChronicaLibri

Stefano Billi

ROMA – ChronicaLibri si fa radio. Infatti, abbandonata la consueta scrittura di articoli, per un istante ChronicaLibri diventa speaker radiofonico ed intervista Patrizia Simonetti, autrice del libro “Il giornalista radiofonico. Istruzioni per l’uso“, Armando editore.

 

 

Lei ha lavorato in radio sia come speaker, sia come giornalista. Quale dei due tipi di approcci al mondo radiofonico è attualmente il Suo preferito?

 

In questo momento mi piacerebbe molto tornare a lavorare in radio come speaker, nello specifico come conduttrice di un programma musicale o di attualità, in cui poter parlare a ruota libera senza limitarmi a leggere il testo di un notiziario o di un servizio giornalistico, seppure redatti da me. Questo probabilmente perché ho lavorato come giornalista per ben vent’anni, dal 1989 al 2009, e sento il bisogno di cambiare. O piuttosto di tornare al mio primo amore che è,  appunto, quello di fare radio in modo più “libero”. Allo stesso tempo la mia natura è oramai quella di giornalista per cui l’ideale per me sarebbe uno spazio da riempire, ad esempio, con musica e notizie, magari a tema, o, ancor meglio, un programma, anche di utilità, che preveda l’intervento degli ascoltatori. Interagire con chi ti segue è molto gratificante, anche se allo stesso tempo rischioso. E’ come una prova del nove in diretta: se la gente ti chiama e vuole parlare con te, vuol dire che il tuo programma è buono e tu stai lavorando bene, se invece ti ignora, evidentemente c’è qualcosa che non va. Ma sarei disposta ad accettare la sfida.

 

Nel Suo manuale, Lei affronta la realtà del giornalista radiofonico in maniera davvero schietta e sincera, fornendo un taglio consapevole sui pregi e difetti di questa professione. Stante questa consapevolezza, Lei immagina la radio ancora come qualcosa di magico, così come quando ha iniziato questo mestiere?


La radio “è” magica e non smetterà mai di conquistarmi con il suo fascino. Sono convinta, come ho anche accennato nell’introduzione del mio libro, che nessuna nuova tecnologia potrà mai soppiantare questo mezzo unico e creativo. La radio regala informazione, intrattenimento, compagnia, senza chiedere nulla in cambio. Puoi ascoltarla mentre fai altre cose o concentrarti solo su di lei. E’ diretta, immediata, sincera. La radio ha un potere che definirei generoso, perché può esser messo a disposizione sia di chi la fa che di chi la ascolta, offrendo ad entrambi un’infinita gamma di possibilità: può comunicare, far riflettere, divertire, aiutare, può persino alleviare solitudini e  rafforzare legami. Io ho sempre vissuto di radio, prima come ascoltatrice, poi come conduttrice. La radio è stata il sottofondo della mia vita e la mia vita stessa. Come potrei mai smettere di amarla?

 

Perché ha sentito il bisogno di scrivere un manuale sul tema del giornalismo radiofonico?


Ho lavorato per vent’anni in un’agenzia di stampa radiofonica come giornalista, ricoprendo ogni tipo di mansione: redattrice, responsabile di settore, conduttrice, inviata. Sebbene dura e faticosa, è stata un’avventura bellissima. Ma poi è finita. Le lunghe storie d’amore, anche se ci fanno soffrire, ci lasciano sempre qualcosa. Così ho pensato che anche questa mia complessa “relazione” doveva e poteva lasciare un segno. Ho quindi deciso di documentare quella che è stata la mia lunga esperienza in questo settore e metterla a disposizione di chi vuole intraprendere questa strada, illustrandone con sincerità  il fascino ma anche le difficoltà, sperando che possa essere d’aiuto. Anche scrivere, del resto, è stata sempre la mia passione: in questo modo ho potuto unire i miei tre grandi amori: la radio, il giornalismo, la scrittura. E poi, dopo aver tenuto alcune lezioni di giornalismo radiofonico all’Università, coltivo l’idea di tenere un corso tutto mio come docente e mi piacerebbe che questo testo potesse esserne la base.

 

Molti speaker o giornalisti radiofonici hanno appreso il loro mestiere attraverso numerosi anni di esperienza, forgiando la propria voce a partire dalle emittenti più piccole sino a quelle più blasonate. L’avvento di molteplici libri che aiutano a diventare speaker o giornalisti radiofonici, secondo Lei può arricchire e accelerare il processo di formazione professionale delle nuove voci che si affacciano in radio, accorciando il tempo che prima era necessario ad imparare questo mestiere?


Ho cominciato da giovanissima e come autodidatta in piccole emittenti di quartiere: all’epoca, parliamo degli anni 80, andavano molto di moda le dediche radiofoniche ed io ne facevo tante! Poi, a mano a mano che acquistavo esperienza e sicurezza, mi proponevo ad emittenti più prestigiose, in alcune delle quali sono riuscita ad entrare, fino ad approdare in Rai. Ritengo dunque che la pratica, sia per la conduzione radiofonica che per il giornalismo, sia assolutamente la scuola migliore. Tenendo tuttavia presente che, come scrivo nel mio libro, tutto può riuscire più facile se si possiedono alcune cosiddette doti innate. I testi sull’argomento certamente possono aiutare, purché spieghino realmente ciò che è meglio fare e ciò che è meglio evitare, fornendo una base teorica che può rivelarsi molto utile ad apprendere più velocemente il mestiere. Ma poi la pratica è fondamentale. Sicuramente anche un buon corso può dare una mano. Purtroppo però c’è da dire che attualmente non basta “saper fare”: la crisi colpisce ogni settore ed anche quello di cui stiamo parlando.  Non è facile trovare un lavoro, quanto meno degno di questo nome, neanche in radio. Ma se c’è la passione il mio consiglio è: insistere!

 

Perché i lettori del nostro giornale dovrebbero leggere il Suo libro?


“Dovrebbero” è una parola grossa! Direi che lo consiglio a coloro che vogliono intraprendere questa professione perché può essere un valido aiuto di base: l’esperienza insegna sempre. Può quindi aiutare ad essere più preparati ad una prova pratica, spiegando in modo chiaro e semplice cosa verrà chiesto loro nella redazione di una radio o di un’agenzia radiofonica, aiuta a familiarizzare con i termini tecnici del giornalismo radiofonico e illustra, proprio come un libretto di istruzioni di un kit, come si prepara e si realizza un notiziario, un servizio, un’intervista. Se durante uno stage viene chiesto di preparare un lancio o procurarsi un sonoro, chi ha letto il mio libro non dovrà chiedere di cosa si sta parlando, ma potrà mettersi subito all’opera. Allo stesso tempo lo consiglio anche ai semplici curiosi: non vi siete mai chiesti, ascoltando un notiziario o un servizio, cosa c’è dietro e come è stato preparato? Il mio libro ve lo racconta.