“It’s ok!!”: i fumetti contro l’omofobia.

IT'S OKGiulio Gasperini
AOSTA – L’omofobia si combatte in tanti modi: con l’educazione, principalmente. Ma anche con la lettura: e cosa ci può essere di più veicolante, di più immediato e fresco di un fumetto? Probabilmente nulla. La RenBooks da tempo edita manga (e graphic novel) a tematica lgbt, proponendo in un paese difficile come l’Italia due innovazioni: quello del fumetto e quella della letteratura a tematica, ancora difficilmente sdoganate. “It’s ok!!” è un’antologia di brevi storie, frammenti di vita che quotidianamente accadono, secondo diverse declinazioni e varianti, rivolta agli adolescenti gay ma anche ai loro genitori, che spesso si trovano impreparati e impotenti ad affrontare un momento estremamente delicato e critico nella vita dei loro figli.
Come tutti i manga, va letta al contrario, partendo dal fondo, e da destra verso sinistra: ma a parte questo iniziale scoglio, la lettura prosegue veloce e divertita attraverso le tante storie che con estrema dolcezza e attenzione vengono presentate al lettore. Nulla di eclatante, quasi una sorta di pudore reverenziale nei confronti di quel momento particolare in cui qualcheduno si scopre omosessuale; e di quel momento, ancora più sofferto e feroce, nel quale decidi di non voler più fingere e ti dichiari al mondo, ai familiari, agli amici, ai nemici, come se ci fosse qualcosa di cui dover chiedere scusa. Le indecisioni, i dubbi, le domande, la rabbia, la derisione: tutti i gradini, i passaggi di una presa di consapevolezza che spaventa perché sono gli altri a spaventare, con i loro giudizi, le prese di posizione, i gesti di bullismo più o meno evidenti, gli orgogli antichi di una cultura che tarda a maturare. Non c’è mai sensazionalismo, non c’è mai irrisione né irriverenza in queste trame; tutt’altro. C’è una partecipazione silenziosa ma evidente, un intento di “compartir” che è sempre la soluzione più giusta e più corretta quando ci si avvicina all’intimità di un’altra persona. Nel volume, creato grazie a Produzioni dal Basso, piattaforma italiana di crowdfunding, tra i fumetti di noti artisti giapponesi come Inuyoshi, Hiraku Taku e Kuro Nohara, sono state inserite note informative sulle associazioni che in Italia si occupano di questione lgbt: un utile strumento per chi, magari, avesse il bisogno di rivolgersi a qualcuno per informazioni o chiarimenti.
L’omofobia si combatte in tanti modi, evidentemente. Ma il primo, e il più importante, è sempre la cultura; una cultura sana, una cultura ricca, una cultura attenta alle evidenze, attenta all’individualità e alla sua sostanza, una cultura che sia attenta al mondo: a come si muove e a come si sviluppa.

L’intimità di Frida Kahlo disegnata nel suo diario.

Il diario intimo di Frida KahloGiulio Gasperini
AOSTA – Nessuna scrittura è più intima di un diario. E un diario può essere anche di colori, linee, disegni: pensieri grafici e cromatici. Come quello che Frida Kahlo ha tenuto per gli ultimi dieci, irruenti anni della sua vita. In queste pagine, oggi riproposte da Electa con il titolo “Il diario di Frida Kahlo. Autoritratto intimo” (Electa, 2014) in occasione della mostra in scena a Roma alle Scuderie del Quirinale, Frida ha scomposto e squadernato la sua più complessa interiorità, senza remore né vergogne. Confrontarsi, penetrare nel diario dell’artista messicana non è un’operazione di mero voyeurismo ma un’immersione profonda nella complessità di un’artista che ha trasformato la propria stessa vita in un’opera d’arte, declinando nelle potenzialità immense di pittura e scrittura ogni singolo momento della sua esistenza.
Le tavole a colori e la traduzione del diario ci accolgono in un mondo affascinante e unico, come non ne esistono forse altri esempi. I suoi stessi quasi, i dipinti così tanto amati, affondano le radici violentemente nella sua esperienza personale, nel suo percorso di dolore (fisico, in primis), nella sua esperienza di donna e di artista, di moglie e di madre in potenza, di figlia e di ribelle a un ordine prestabilito. Ma Frida non è solamente un orizzonte di dolore e di sofferenza. Frida è anche profondo humor, ironia, arguzia, spirito dissacrante persino nei confronti di sé stessa. Come nei suoi quadri, l’attenzione è posta tutta sul sé, sulla sua essenza di donna, di messicana, di creatura che sta al centro e contempla tutto quello che attorno accade, riflettendo su di sé di volta in volta il disagio, il dolore, la compostezza, il sogno, la veglia, la sofferenza, la gioia di una potenza creatrice inesauribile. Uno sguardo violante e violento, una teorizzazione in itinere dell’essere creatura umana e nel saper tradurre la realtà personale in un’esplosione artistica senza quasi ritegno, dominata solo da sé stessa e significante solo in sé stessa.
Frida Kahlo è stata perforante non soltanto sulla tela ma anche sulla pagina scritta. I suoi appunti, le sue pagine di diario, le sue lettere sono viranti messaggi, che mai si censurano e mai si limitano nella perfezione della sua indagine interiore. Brevi frammenti, appunti, considerazioni, messaggi consegnati al tempo: il diario di Frida è un percorso unico, un organico procedere attraverso la sua vita stessa, dai primi anni dell’infanzia e dal rapporto col padre e coi genitori, agli altri membri della sua famiglia, alla sua storia d’amore, tormentata ma intensa, con Diego Rivera, agli incontri – tanti, esclusivi – che hanno costellato la sua carriera, da Tina Modotti a Trockij, da André Breton alla sua moglie, ai tanti dottori che l’hanno curata e osservata. Perdersi nelle pagine del diario è un’esperienza diversa dal confrontarsi coi suoi quadri. Il diario è magma incandescente, è sostanza che lotta e combatte per codificarsi in una forma che non è mai scontata né agevole, al primo confronto. Perché la forza di Frida è totale, completa, annichilente ma creativa: “Yo soy la desintegración…”.

“Immagina di essere in guerra”: e se i profughi fossimo noi?

Immagina di essere in guerraGiulio Gasperini
AOSTA – Assumere un altro punto di vista non è compito semplice. Né immediato. Come potrebbe cambiare l’angolazione se ci si mettesse dall’altra parte del banco degli imputati? Spesso la difficoltà sta nella paura di sentirsi colpevoli. Il piccolo volume di Janne Teller ci chiama proprio a questo: deporre la maschera dell’ipocrisia, soffocare l’omertà, ripudiare la latitanza e avere il coraggio di capire. E se fossimo noi, in guerra? E se fossimo noi bombardati, inseguiti, uccisi, trucidati? “Immagina di essere in guerra”, edito da Feltrinelli (2014) con le illustrazioni di Helle Vibeke Jensen, ha il formato di un passaporto: il documento fondamentale per scappare e salvarsi. Che noi teniamo distrattamente in un cassetto del comodino ma che per tante altre persone al mondo rappresenta l’unico strumento di salvezza. Pensato anche per i più piccoli, il testo della scrittrice danese è uno strumento potente di pensiero e di riflessione, in un momento storico come il nostro di grandi cambiamenti e di imponenti forzate migrazioni.
In realtà, la nostra immedesimazione non sarebbe così complessa se ci ricordassimo della nostra storia recente, recentissima. Quella dei primi decenni del secolo scorso, di quei 29 milioni di italiani che dall’Unità d’Italia se ne sono andati all’estero, profughi, per cercare un domani migliore. Ma quando osserviamo i barconi che si avvicinano alle nostre coste, la paura dell’invasione ci paralizza, o piuttosto ci scatena un’irrazionale paura. Tutti gli altri problemi, i veri responsabili, finiscono per essere tralasciati in nome di un pericolo inesistente e inconsistente ma più presente, evidente, più facilmente codificabile e identificabile. Non pensiamo mai a cosa possa significare essere costretti ad abbandonare il proprio paese, la propria casa, i propri affetti, i propri familiari orizzonti per affidarsi a un caso furioso, più spesso crudele e feroce che non risparmi nessuno e di nessuno ha rispetto. Che siano uomini, donne o ancora bambini. Se non addirittura neonati. Non ci chiediamo mai cosa possa significare affidarsi a percorsi ignoti, lasciarsi in mezzo alla sabbia e alla confusione delle rotte, consegnarsi a un mare nero che è stretto nella notte e non accoglie, ma al massimo respinge e rompe in naufragio. Non ci chiediamo mai cosa davvero significhi il termine “casa”: “Ma dov’è casa?” si chiede, infatti, Janne Teller terminando il volume, come se la ricerca non finisse mai, indipendentemente dall’approdo, dallo sbarco ultimo e definitivo.
L’Europa (vincitrice di un improbabile Premio Nobel per la pace) fonda i suoi principi su quelli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli essere umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Ma così veramente ci comportiamo? Se fossimo noi, in guerra, ci sentiremmo accolti da un paese come l’Italia?

“Contro” uno Stato che non funziona più.

ControGiulio Gasperini
AOSTA – “Contro” di Lydie Salvayre, edito in Italia da Bébert edizioni (2014), è un pamphlet intenso e duro, scritto in una prosa poetica dallo stile caustico e risoluto. La critica allo stato francese è compatta e ben motivata, scandita da una progressiva accelerazione verso una corruzione che pare inevitabile e non più scongiurabile. Nato come scrittura, il progetto di “Contre” ha visto il coinvolgimento del chitarrista Serge Teyssot Gay, convertendosi in letture pubbliche che hanno coinvolto più intensamente e direttamente l’intera opinione pubblica.
La crisi della res publica riguarda tutti gli ambiti, in un’accelerazione alla devastazione che lascia soltanto vittime sulla sua strada. Creando una dipendenza persino mentale (“Perché nella repubblica da dove vengo, gli uomini non hanno più né occhi né lingua. Dicono di sì a tutto. Applaudono a tutto. Leccano e accarezzano”). Completamente abbrutiti in una sottomissione che è schiavitù, i sottomessi non esprimono neanche la minima volontà di riscatto, di rivalsa nei confronti dell’oppressore. Ma la critica si estende anche alla religione (“Il rimorso? Vedere, è una sorta di aceto cattolico e fortemente corrosivo”) e alla famiglia, all’interno della quale detestarsi “è un’antica consuetudine”. Con il beneplacito della società e dell’omertà imperante. Ma l’attacco colpisce anche i giornalisti e la stampa, che hanno smarrito la loro vocazione all’informazione e hanno, piuttosto, assunto il ruolo di terroristi, inseguendo (e osannando) piuttosto il sensazionalismo che correttezza e attendibilità: “La lapidazione viene praticata principalmente nei giornali e costituisce uno dei passatempi preferiti del paese”. Le accuse della Salvayre sono durissime, feroci: “Contro le nostre vite piegate, contro i porci che le calpestano e i sazi avari che le stritolano”. Tutta l’umanità pare scomparire sotto la carica del disfacimento, sotto il complotto annichilente del potere organizzato: “L’ultimo pazzo è morto / e così anche l’ultimo amante / […] / e così anche l’ultimo animale / […] / e così anche l’ultimo bambino / […] / e così anche l’ultimo musicista / […] / e così anche l’ultimo artista”.
La ricerca assillante, reiterata come fosse un salmo, la ricerca di una formula magica, è quella di un uomo che possa arrivare, abbattere dubbi e punti interrogativi, e sappia condurre lo stato a una nuova forma più completa, più : “Ha visto un uomo? Io cerco un uomo”. Un uomo come? Fondamentalmente “un uomo con gli occhi per vedere, una lingua per giurare e al di sotto un’anima”. Una sorta di nuovo Redentore in chiave contemporaneista, che sappia affrontare tutti i gravi problemi che affliggono democrazia e statalismo dei tempi nostri. Ma la soluzione, al di là dell’ennesimo salvatore del mondo, la Salvayre ce la propone nelle ultimissime pagine, con un imperativo che diventa piuttosto esigenza morale, etica; un imperativo che diventa impegno e dal quale non si può abdicare, né disertare: “Dite ne ho abbastanza. Dite io contro, contro, io sono contro”.

“Che storia, la Bari”: racconti popolari di calcio e società.

Che storia, La BariDalila Sansone
AREZZO – Se qualcuno mi avesse chiesto un’opinione sul calcio qualche mese fa, all’inizio di una primavera stentata e piena di incertezze, avrei risposto con la solita frase: ventidue tizi in mutandoni e antiestetici calzettoni che rincorrono una palla; inconcepibile seguirli per 90 minuti! Poi ti devi ricredere e in un bar di semiperiferia lontano, lontano dalla città di cui una squadra porta il nome, scoprire che dentro le scarpe, sotto quegli orribili calzettoni ci sta un sogno, ci stanno le cose in cui credi, che a volte ti ripeti e non avresti mai pensato possibile ritrovare proprio lì. “Che storia, la Bari” (GelsoRosso 2014, a cura di Mirko Cafaro e Cristiano Carriero) è un libricino piccino, rosso vivo che pulsa esattamente come un cuore che batte. 25 racconti di gente comune, tifosi e meno tifosi, gente che LA Bari la conosce da sempre o ci si è imbattuta per caso, o di cui si è accorta dentro le lacrime della persona che ama in un fredda sera d’inverno e di delusioni. Nasce da un’idea di baresi fino al midollo, perché la stagione 2013/2014 non potevi non raccontarla: dal rischio retrocessione all’autofallimento, dagli stadi vuoti ai 50800 nella trasferta ad un soffio dai playoff (si ho imparato persino cosa sono i playoff). La Bari (perché non basta iniziare ad ascoltare on air Radio Puglia ma devi imparare pure che gli aggettivi si usano con cognizione di appartenenza) quest’inverno era un’anonima squadra di serie B, pochissimi fedelissimi ancora sulle gradinate, gli altri, in polemica con la proprietà, invece lo stadio lo avevano abbandonato da tempo; in quelle asettiche giornate di campionato, dagli spalti degli stadi vuoti, sembrava solo una storia stagnante senza futuro. Fino alla resa del “nemico”: la proprietà dichiara fallimento, è il 9 Marzo. La squadra: poco più che ragazzi, soli senza stipendio e prospettive. Bari: una città che si riscopre popolo e si riappropria della sua squadra. E’ un’alchimia che riempie lo stadio e i ragazzi scelgono di mettere il cuore dentro le scarpe, si come Nino che stavolta non avrà nessuna paura di tirare un calcio di rigore…no, loro non hanno paura, loro hanno coraggio e hanno dignità e vincono, vincono, rimontano la classifica. Bari–Cittadella 40.000 spettatori al San Nicola, lo stadio progettato da Renzo Piano con l’erba a chiazze e le coperture fatiscenti, lì giù, si al sud, dove in mezzo al niente se un cuore batte tutto è possibile e se migliaia di cuori battono all’unisono i sogni spiazzano e travolgono la realtà. Mentre i palloni vanno in rete su e giù per l’Italia e gli stadi si colorano di bianco e rosso, due aste fallimentari vanno deserte, sul web impazza l’hastag #compralabari e la Bari rinasce, peccato le sfugga la sfida più importante, senza sconfitte sul campo e la beffa di un punto di penalità. Arriva il momento delle lacrime di tutti e sui volti puliti di giocatori così strani, senza agenti, che giocano passione e segnano per rispetto e gratitudine. Lì in mezzo trovi pure la storia di un bimbo arrivato a Bari, undici mesi, sulla nave dirottata in Albania, in quello che adesso sembra un lontano 1992. Lui adesso indossa un completo biancorosso e dentro quelle scarpe ci mette il cuore perché ai baresi glielo deve.
Ecco questo libro è un nocciolo puro di umanità visto attraverso gli occhi di gente diversa, ascoltato nelle parole di un commentatore radiofonico che ti lascia senza parole perché da tempo pensavi che giornalisti degni di questo nome ormai non ne esistessero più.
Io la mia Bari l’ho vissuta attraverso uno di quei figli del sud che si inventano una vita in giro per il mondo, con la valigia sempre pronta sotto un letto. Ho incrociato la sua strada e quella della sua squadra, io che ho sempre creduto che senza passione e entusiasmo nulla abbia davvero senso ma ho anche fatto l’errore di trascurarla questa verità. Seppure a volte il prezzo da pagare sia la delusione, nella vita come su un campo di calcio, aver vissuto amando, innamorandosi e credendo possibile sfiorare un sogno con impegno e determinazione, resta l’unica strada possibile per sentirsi vivi dentro favole imperfette come questa. Un piccolo regalo di pagine e ricordi ai tifosi e ai ragazzi della Bari e a tutte le persone che hanno un cuore un po’ bianco rosso pronto a giocarsi ancora, sempre, comunque la serie A. Di qualunque campionato.

Alla scoperta di Cuba drink to drink.

Alcune strade per CubaGiulio Gasperini
AOSTA – Quello che ci propone Alessandro Zarlatti è un appassionante viaggio attraverso Cuba drink to drink. Dal rum liscio invecchiato al mojito, dal guarapo al vino Soroa, “Alcune strade per Cuba” edito da Ouverture Edizioni ci fa esplorare una Cuba poco convenzionale, come la può conoscere solamente chi ci vive da anni, insegnando la lingua più bella del mondo, ovvero l’italiano.
Quindici racconti, che hanno come introduzione la descrizione spiritosa e anti convenzionale di drink e cocktail facilmente reperibili nell’isola caraibica, sono ambientati in una Cuba di strada, in un’isola che scontorna la geografia e si popola di anime, di caratteri, di persone. Diventa piuttosto uno stato d’animo, un groviglio di sentimenti e di situazioni insperate e inattese, che distorcono percezioni e sensazioni.
Sono racconti divertiti e divertenti, sorprendenti nell’andamento e nella trama, come “AA04583782”, che racconta le peripezie di una banconota attraverso le tante mani della tanta gente che il denaro lo fa circolare; oppure possono toccare momenti di grande dolore come nel caso di “Perros”, che racconta la piaga dei combattimenti tra cani. L’io narrante di volta in volta cambia prospettiva, modifica la sua visione, ci fa mettere sempre in gioco, rischiando anche personalmente nella ricerca ardita di qualcosa che potremmo riconoscere, per non essere in balia di situazioni ed eventi. È un narratore che non si stanca e non si demotiva, ma conosce la ricchezza delle storia che possiede e se ne diverte, spesso procedendo per sottrazione e non lasciando troppo in dono al lettore.
Attraverso le pagine le ispirazioni alcoliche paiono darci delle coordinate fantastiche, quasi i punti di un orientamento che può compiere infinite rotte per un approdo ultimo che sempre ritardiamo, perché sappiamo troppo definitivo. Un po’ come Costantino Kavafis raccomanda in “Itaca”: “Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti?”.
Da Cuba ci si attende sempre molto perché Cuba è una terra che ha da sempre un fascino particolare. Una storia, una cronologia che l’hanno resa di volta in volta bandiera e capro espiatorio, diavolo e santo di opposte fazioni. La Cuba di Alessandro Zarlatti si libera un po’ del suo carico morale, delle sue responsabilità al cospetto del mondo e diventa luogo di curiose quotidianità, di divertenti tangenze. Un luogo che potrebbe anche, così, non esistere.

È un paese per bambini quello che stiamo abitando?

E' un paese per bambiniGiulio Gasperini
AOSTA – Il Italia ci sono più automobili che bambini, pro capite. Con questa rivelazione persino agghiacciante si apre la riflessione di Alessandra Nucci, esperta di agricoltura e alimentazione. Nel suo “È un paese per bambini”, edito da Effequ nella collana Saggi pop, la studiosa costruisce sulla carta la tipologia di mondo che sarebbe opportuno veder costruito per il benessere dei bambini e delle future generazioni.
Si inizia dal concetto che l’agricoltura è alla base delle “sorti umane e progressive”: non si può prescindere dal settore primario, che però deve essere ripensato sulla base di un notevole cambio di prospettiva. Non si può più immaginare un’agricoltura basata sullo sfruttamento intensivo, ma è necessario pensarla sulla base del chilometro 0, magari su principi di collettività e socialità come si stanno affermando in piccolo nelle città, magari con l’istituzione degli orti urbani o delle coltivazioni condivise. Partendo da qua, la Nucci affronta poi il problema dell’alimentazione e di quanto sia importante per il nostro benessere, soprattutto in un mondo come il nostro. Fondamentale, per la Nucci, è una corretta educazione alimentare, portata avanti con coscienza e intelligenza anche nelle scuole, oltre che nelle famiglie, per poter permettere a tutti di elaborare proprie strategie di benessere psico-fisico. Ed ancora più importante è capire la relazione emotiva che i bambini hanno con il cibo: comincia a costruirsi proprio nei primi anni il legame con gli alimento, coi gusti, coi sapori, con gli odori. La situazione in Italia, secondo le ultime analisi, non è incoraggiante: l’obesità dei bambini, ad esempio, registra un dato paurosamente alto, come all’opposto è pericolosamente basso il dato di chi consuma frutta e verdura regolarmente. Ma non sono solo le abitudini alimentari, per questo, da rivedere completamente e da riprogettare, ma anche la fruizione del cibo ha subito cambiamenti radicali che hanno abolito la socialità della tavola a favore di pranzi e cene consumate velocemente, di fretta, spesso nella compagnia alienante di un televisore. Senza più la convivialità che arricchisce e impreziosisce le vivande stesse, si perde una dimensione fondante del cibo, come nutrimento anche culturale e civile, degradandolo soltanto al ruolo di dispensatore di calorie.
In questo senso, “È un paese per bambini”, arricchito da due interventi di studiosi mondiali (John Kariuki, consigliere internazionale di Slow Food per l’Africa Orientale, e Carmen Martì Navarro, psicologa clinica), diventa uno strumento di positività, che permette sia di focalizzare alcuni importanti concetti che i meccanismi del mondo contemporaneo hanno fatto dimenticare sia di trovare alcune vie d’uscita, alcuni varchi di fuga per poter cominciare a rimettere noi stessi al centro del mondo e tenere il mondo stesso un po’ al centro assieme a noi.

“No país do futebol”: il Brasile al centro del mondo.

No Pais do futebolGiulio Gasperini
AOSTA – Sotto tutti i riflettori del mondo. Non solo in quest’estate del 2014 con i Campionati mondiali di calcio ma anche in previsione delle Olimpiadi di Rio del 2016; e poi, per i gravissimi scontri sociali che l’assegnazione dei due grandi eventi ha scatenato nel popolo brasiliano, con le forti contestazioni alla politica e ai poteri forti di una delle economie considerate più in sviluppo del mondo contemporaneo.
Il giornalista Bruno Barba, come da sottotitolo, ha compiuto un viaggio antropologico in questo paese enorme e multiplo, con tante identità a incastrarsi e sovrapporsi in un mosaico complesso quanto affascinante: “No país do futebol”, edito nel 2014 da Effequ, è il risultato di questo ritorno alla casa del calcio, per eccellenza, in un mondiale dal quale l’Italia è già stata eliminata ma che non perde per questo il suo fascino indistinto.
Il punto di vista è quello del “casalingo di Voghera”, ovvero dell’italiano medio, che come sempre comincia a interessarsi di una geografia quando vi accade un evento superiore, che riesce a catalizzare la sua attenzione e ad aggirare i suoi preconcetti. L’obiettivo è quello di presentare un paese che sta vivendo un’evoluzione a ritmi pazzeschi, un’accelerazione alla modernità che ha pochi paragoni nel resto del mondo. Un paese, il Brasile, che ha sempre incuriosito e interessato per i suoi eccessi, le sue peculiarità, la sua natura ribelle, le sue dimensioni spropositate, la sua storia di armi e sangue, le sue devastanti contraddizioni, la sua musicalità anche linguistica, la genialità dei suoi artisti, la carnalità della sua letteratura. Il suo calcio stellare: ed è proprio da questo sport che l’esplorazione comincia, inevitabilmente. L’assegnazione del mondiale, le proteste, i lavori non conclusi, la prospettiva di una festa del calcio che sia orgoglio e rivalsa di un popolo e di una cultura interi. Ma dal calcio si passa ben preso ad altro: si passa ai luoghi comuni, ai pregiudizi, alle favole raccontate su questo paese dalla storia imponente. E poi si parla di libri, di poesie, di canzoni, di bossanova, di favelas, di telenovelas, di Ordem e Progresso. Nel particolare, Bruno Barba passa a descrivere le città protagoniste di questo mondiale, da Salvador de Bahia, “Universo negro”, a Rio de Janeiro, “A cidade maravilhosa”, da San Paolo, “La patria degli italiani”, a Manaus e Recife e tutti gli altri luoghi che adesso tutti sanno per averli sentiti alla televisione ma che nessuno conosce veramente. Il Brasile è il grande esempio, il grandissimo manifesto del meticciato, dell’incontro che crea unione e forza, della contaminazione che non è sinonimo di male ma che diventa potenza per significarsi in maniera migliore e più performante.
Un viaggio affascinante e coinvolgente, questo di “No país do futebol”, in uno stile accattivante che ci accompagna per mano, ci mostra le curiosità, ci rende consapevoli che il Brasile intero è più di un paese o di un orizzonte commerciale: è una ricchezza meticcia per tutti.

Lo strabiliante mondo dei “Piccoli viaggiatori a piedi e in treno”.

Piccoli viaggiatori a piedi e in trenoGiulio Gasperini
AOSTA – Qualcuno ha scritto, tempo fa, che il treno è il miglior mezzo per viaggiare. Perché ha i suoi ritmi, fa le sue fermate, crea socialità e annienta le tensioni del percorrere distanze anche lunghe. Di sicuro, il treno ha un fascino tutto particolare, derivato forse anche da quegli antichi romanzi di esplorazioni e misteri, quando ancora gli aerei non esistevano. Terre di Mezzo Editore ha appena pubblicato una guida, scritta da Annalisa Porporato e Franco Voglino, dedicata ai viaggiatori più giovani che vogliano provare quest’antica emozione di un viaggio in treno, con le ultime ferrovie particolari che sono rimaste nel mondo. Ecco l’intento di “Piccoli viaggiatori a piedi e in treno”, che illustra, come da sottotitolo, “30 escursioni brevi per divertirsi con la famiglia”.
Prendendo in esame vari tratti ferroviari, la guida propone delle escursioni perfettamente adatte ai viaggiatori più piccoli e alle loro famiglie. Si comincia con la Ferrovia ligure, da Genova a Ventimiglia, per poi proseguire con altri frammenti di rotaie. Dalla Genova-Casella, che vide la luce nel 1929, alle ferrovie più particolari, come la Funicolare di Mondovì, la Tranvia e la Ferrovia del Frejus, che da Torino si inoltra verso Bardonecchia. Ma sono inserite anche tante Funicolari, di cui l’Italia pullula senza magari che se ne sappia troppo: dalla Funicolare di Mondovì alla Tranvia Sassi-Superga, inaugurata nel 1884, dalla Funicolare di Biella alla Funicolare Como-Brunate, dalla cui stazione finale si può arrivare a piedi al Faro voltiano, che concede una stupefacente vista del Lago Maggiore.
Sono tutti percorsi arditi, che l’uomo ha creato faticando ma non devastando la natura preesistente. Sono sentieri, strade che permettevano di collegare realtà che altrimenti sarebbe rimaste troppo isolate e che adesso ci permettono di contemplare il paesaggio da un angolazione completamente diversa, più declinata nei criteri della calma, dell’attenzione più stimolante, della pazienza che i grandi viaggiatori hanno sempre avuto: e che si comincia a maturare da piccoli. All’opposto delle Alte velocità che sfrecciano e dilaniano il paesaggio, questi treni permettono uno sguardo attento e cullante, un contatto visivo ma anche emozionale con tutto ciò che scorre fuori dal finestrino.
L’attenzione è rivolta ai più piccoli ma anche alle famiglie, perché il viaggio è senza dubbio un’occasione notevole di consolidare rapporti e di curarne altri, che permette a ognuno di cambiare per un po’ le proprie identità per costruirsi migliori in rapporto a sé e in rapporto agli altri.

LetterAltura 2014: le montagne scritte.

LetterAlturaVERBANIA – Torna, anche quest’anno, il classico appuntamento con la letteratura di montagna e di viaggio che trova la sua splendida cornice tra le valli del Verbano. Quest’anno la manifestazione LetterAltura, giunta alla sua ottava edizione, si terrà dal 26 al 29 giugno a Verbania, dal 5 al 5 luglio a Domodossola e il 13 luglio ad Ameno e Miasino, sul Lago d’Orta. Un festival itinerante, che ogni anno coinvolge varie località della provincia e che espone tutti i suoi gioielli.
Quest’anno 55 eventi, più di 60 ospiti nazionali e internazionali, tra i quali l’antropologo Marco Aime, la scrittrice per bambini Chiara Carminati, la scrittrice mozambicana Amilca Ismael, lo scrittore Davide Longo, il fumettista Ugo Bertotti, gli alpinisti Manolo e Nives Meroi. Tutti gli eventi, dalla mattina alla sera, saranno organizzati tradizionalmente in sei percorsi tematici, che quest’anno avranno un particolare punto focale nel continente africano, senza dimenticare la montagna come ricerca essenziale e imprescindibile dell’evento: Alpinismo, Rifugi e architettura alpina, La pecora, Il fumetto/reportage, Destinazione Africa: viaggio verso il futuro, Le vette della scienza.
Un apposito spazio, con attività e laboratori, sarà dedicato ai bambini, ospiti d’onore, come ogni anno, del Festival che unisce il fascino dei luoghi vicini alle suggestioni degli orizzonti lontani.
Cliccando qui, l’intero programma dell’evento.