“Il tesoro di Sant’Ippazio”, l’esordio letterario di Alberto Colangiulo

Il_tesoro_di_San_523ac672d6634_150x230Alessia Sità
ROMA – Una Chiesa, un prete, una villa abbandonata e un tesoro segreto.

Sono questi gli ingredienti de “Il tesoro di Sant’Ippazio”, l’intrigante romanzo – a tinte noir – scritto da Alberto Colangiulo e pubblicato da Lupo Editore.
Nella prima metà anni degli anni ’80, la tranquillità di un piccolo paesino del Basso Salento viene stravolta da un terribile fatto di cronaca nera. La notte fra il 14 e il 15 agosto, durante la festa patronale, qualcuno attenta alla vita di Don Gino, parroco della piccola comunità salentina. Due arzilli quattordicenni – Fischio e Vasco – diventano loro malgrado testimoni oculari dell’orribile misfatto. Turbati dalla sconvolgente tragedia, gli abitanti del posto sembrano avere una certa reticenza nei confronti delle indagini condotte da Gerardi. Ad aiutare il giovane e razionale Maresciallo – che dovrà districarsi fra riti, superstizioni e antiche credenze – ci saranno due appuntati alquanto singolari: il taciturno Nardi e il gioviale Verzin. Pochi indizi: un leggendario tesoro di cui tutti parlano, ma che nessuno ha mai visto, e una chiesa aperta che però sarebbe dovuta restare chiusa per qualche giorno.  Risolvere l’intricato giallo non sarà facile.

Con uno stile semplice e scorrevole, Colangiulo riesce a creare la giusta atmosfera, un misto fra suspense e curiosità, che porta il lettore a restare col fiato sospeso fino all’ultima pagina.

“Walter Sickert: a conversation”. L’interessante riflessione di Virginia Woolf sul binomio arte-scrittura

imagesAlessia Sità

ROMA –Non è di questo nostro tempo uno scrittore in grado di scrivere una vita come Sickert la dipinge. Le parole sono un mezzo espressivo impuro; meglio esser nati nel regno silenzioso della pittura”.

Conosciuta come una delle principali scrittrici del Novecento, Virginia Woolf continua a sorprenderci anche nel ruolo di raffinata saggista. In “Walter Sickert: a conversation”, pubblicato da Damocle Edizioni nella collana “I Tascabili”, la scrittrice intraprende un’interessante riflessione sull’arte di uno dei più apprezzati pittori inglesi: Walter Richard Sickert.  Una conversazione immaginaria, svoltasi durante una fredda sera di dicembre, diventa il pretesto per iniziare ad argomentare su “i canovacci di Sickert” e sul binomio arte-scrittura.

Con grande maestria ed estrema eleganza, la Woolf estrapola  i personaggi dei quadri per dar loro un’interpretazione e una narrazione originale, al fine di indagare sulle ragioni del successo dell’artista. La figura enigmatica del pittore, noto per la sua passione a ritrarre persone per strada, ambienti urbani o maschere della società, diventa fondamentale anche per esprimere il ruolo talvolta vano della parola di fronte alla meraviglia dell’arte : “ […]   la pittura e la scrittura hanno molto da dirsi l’un l’altro, nonostante debbano alla fine separarsi”.

 

L’obbiettivo dell’immaginaria conversazione sembra essere quello di evidenziare il parallelismo fra i  dipinti di Sickert che si trasformano in narrazione e biografie e la bellezza della poesia, che molto spesso brilla di luce artistica.
Con uno stile elegante e accurato, la Woolf ci regala un inedito scritto che ha il merito di far evadere il lettore dalla canonica concezione artistica e “dalla volgarità della vita”.