Il solo lettore di Wislawa Szymborska

wislawa szymborskaGiulio Gasperini
AOSTA – Il suo segreto, forse, sta tutto là, in quella battuta che Wislawa Szymborska confida – a sé stessa e agli altri – a pagina 103 del nuovo libro di Edizioni BeccoGiallo, disegnato e narrato da Alice Milani. Una vera e propria dichiarazione di poetica, che forse permette di gettare uno sguardo più che penetrante nell’opera di questa poetessa che soltanto la vittoria del Premio Nobel nel 1996 ha portato alla ribalta della scena letteraria mondiale. “Si scrive per un lettore, uno che sia tanto gentile da trovare tempo, voglia e un po’ di silenzio per leggere una poesia”. Continua

“Etenesh” e la sua odissea di migrante

Etenesh l'odissea di una migranteGiulio Gasperini
AOSTA – Etenesh è una ragazza etiope che, dopo due anni di viaggio attraverso il deserto e i mille pericoli dell’uomo, approda a Lampedusa, la Porta d’Europa. Questo fumetto di Paolo Castaldi, riedito da poche settimane da BeccoGiallo, ci cala nel punto di vista della ragazza, ci fa sperimentare direttamente gli orrori che quotidianamente centinaia di migliaia di persone conoscono sulla propria pelle. Etenesh è una ragazza reale, la sua storia è una storia vera; ma comunque simbolica. Un po’, nel generale, perché fin dai tempi di Odisseo le migrazioni sono parte costituente dell’umanità, in ogni sua declinazione; un po’, nello specifico, perché molto simile a tutte le storie di tutte le persone che si ammassano sui bordi dell’Africa sperando di poter arrivare in un luogo sicuro, meno feroce. Continua

I fumetti (e il mondo) avventurosi di Marco Polo

Marco Polo La Via della SetaGiulio Gasperini
AOSTA – BeccoGiallo stupisce ancora. E questa volta lo fa con la magnifica narrazione della vita di Marco Polo disegnata e raccontata da Marco Tabilio. Marco Polo. La Via della Seta, un libro su cui sognare e perdersi in un mappamondo antico, muove dalle prigioni di Genova, quando nel 1298 il commerciante ed esploratore veneziano conosce Rustichello da Pisa, che tra una confidenza e l’altra stende in lingua d’oïl le sue fantastiche e stra-ordinarie memorie di viaggio. Continua

“Kater I Rades”: il naufragio eterno della speranza

Kater I RadesGiulio Gasperini
AOSTA – È andato alle stampe qualche mese prima del 19 aprile, quando in due naufragi sono state inghiottite dal Mar Mediterraneo 900 persone. Come a dire, per pura casualità, che il tema non si derubrica mai dalla nostra attualità. Il testo della Becco Giallo, scritto da Francesco Niccolini e con le illustrazioni di Dario Bonaffino, stampato a fine 2014, racconta infatti il naufragio della motovedetta Kater I Rades, salpata da Valona, in Albania, il 28 maggio 1997. Era il giorno del Venerdì Santo, e dopo i primi anni ’90, nei quali l’Albania aveva vissuto la traumatica ma liberatoria esperienza del crollo di un regime dittatoriale, verso la fine degli anni ’90 la situazione era aggravata da una crisi sociale ed economica senza precedenti. Continua

Il coming out “Sulla mia pelle”.

Sulla mia pelleGiulio Gasperini
AOSTA – Jodie Foster, Tom Daley, Maria Bello, Michelle Rodriguez, Thomas Hitzlsperger: il coming out non sta diventando di moda. Sta semplicemente facendosi più facile. Oramai i cambiamenti – seppur lenti – della società permettono di non sviluppare feroci sensi di colpa per la propria vera natura. Il coming out rimane comunque spesso un faticoso percorso interiore, frutto di uno scavo profondo nella propria intimità, nella lenta ma inevitabile presa di coscienza di sé, del proprio io; percorso, questo, che rappresenta per ognuno la pietra angolare dalla quale partire per costruire la propria personalità e sulla quale costruire le capacità relazionali. La storia di Beldan Sezen potrebbe essere particolare per tanti aspetti: turca, cresciuta in Germania, trapiantata ad Amsterdam, artista, lesbica. Ma la sua narrazione, in “Sulla mia pelle”, edito dalle Edizioni BeccoGiallo nel 2014, ce la rende tutto sommato abbastanza comune. Non per questo banale, ovviamente; ma una sorta di exemplum di dantesca memoria: un percorso, cioè, nel quale chiunque si possa ritrovare, adattandolo alle proprie variabili e modellandolo sulle proprie varianti, ma pur sempre carico di valori universali.
Probabilmente questo non era neanche l’intento dell’autrice, ma la capacità della buona letteratura sta proprio in questo: nel diventare strumento comune, identità collettiva. Letteratura, sì; perché oramai la graphic novel è genere letterario, sufficientemente adulto per poter permettersi di affrontare temi e questioni anche complesse, con una facilità di fruizione data anche dalla sinergia di linguaggio iconico e testuale. E questo “Sulla mia pelle” ne è esempio lampante e significativo. Con una varietà sorprendete di tratti e di forme, la storia del suo coming out si sviluppa non semplicemente in ordine cronologico ma seguendo dei percorsi tematici, in particolare il rapporto (e il complesso svelamento) con la madre e soprattutto i primi amori etero, che non riescono a soddisfarla completamente, per vari aspetti. Ma compaiono anche gli altri membri della famiglia, le loro inattese reazioni, i Gay Games di Amsterdam, i rapporti con le amiche, gli amori che si trova a dover affrontare e che la conquistano con la pienezza dei gesti e delle sensazioni.
Il percorso personale è una progressiva scoperta, dalle prime forme che non tengono alla pienezza del comprendersi e nel capirsi indipendentemente da tutti. È una consapevolezza che nel caso di Beldan Sezen cresce in maniera direttamente proporzionale alla scoperta dell’arte e della manifestazione artistica, in particolare del fumetto. Sicché tutta l’ interiorità – femminile, in questo caso –viene messa in gioco, entra nel complesso meccanismo di porsi feroci domande, che spesso inchiodano a terra, e nel trovarsi inequivocabili – ma sofferte – risposte. Perché il coming out, spesso più che con gli altri, è una sofferta forma di riconoscimento di sé stessi per sé stessi.

Quando la Bellezza è resistenza civile e sociale.

architetture-resistenti-copertinaGiulio Gasperini
AOSTA – Il mantra è quello di Peppino Impastato, giornalista ucciso dalla mafia per il suo lavoro di denuncia e resistenza sociale: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”. L’assuefazione alla quale Potere (con la lettera maiuscola, come lo scriverebbe Oriana Fallaci) tenta in tutti i modi di sottomettere le persone, i cittadini, è un nemico inarrestabile, indomabile. Le Edizioni BeccoGiallo, casa editrice con un menu altamente resistente, che ha sdoganato il fumetto come suprema forma letteraria, ci offre la possibilità di rivalutare anche il settore dell’architettura come un modo di opporsi alla marea dell’assuefazione, dotandoci di un’arma in più per combattere il tentativo di farsi incasellare in numeri, statistiche e proiezioni di voto.
“Architetture resistenti. Per una bellezza civile e democratica”, di Tamassociati (ovvero dell’architetto e grafico Raul Pantaleo e della fumettista Marta Gerardi) e dello storico dell’architettura Luca Molinari, ci accompagna in una curiosa e appassionante escursione tra le strutture edificate in Italia con intenzione civili e sociali, con l’intento di dare un messaggio potente, che andasse al di là della semplice funzionalità. Perché la semplice funzionalità non è sufficiente all’uomo, come sosteneva Adriano Olivetti, massimo esempio di imprenditorialità umana (e utopica): “La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza”.
La giornalista Beni Ponti, sfidando la Direzione del giornale per cui scrive, trasforma una serie di articoli sull’architettura in una forma raffinata di protesta. Attraverso la forma più leggera del fumetto, ma dal fortissimo impatto visivo (e planimetrico), ci mostra un’Italia anche periferica (rigorosamente percorsa con auto elettriche, col treno e con la bicicletta portatile) e ci accompagna alla scoperta della Barriera a protezione del Parco archeologico di Selinunte, di Pietro Porcinai; il Museo della Risiera di San Sabba di Romano Boico; lo Stabilimento Olivetti di Pozzuoli progettato da Luigi Cosenza; l’Auditorium costruito da Renzo Piano a L’Aquila appena terremotata; il Museo dedicato all’aereo Itavia esploso a Ustica a Bologna di Christian Boltanski; ai Collegi del Colle, a Urbino, progettati da Giancarlo De Carlo; al Giardino degli incontri nel carcere di Sollicciano, a Firenze, di Giovanni Michelucci.
Queste, e tante altre in Italia, sono tutte opere che si trasformano in una diga, una barriera contro l’abusivismo che serve agli interessi economici di molti ma che contribuisce alla distruzione e al degrado culturale – e pertanto umano – della cittadinanza. E anche un monito, un tentativo di ricordare pezzi di Storia dolorosa e ancora sanguinante, per non far addormentare le nostre coscienze e per farle tornare a pretendere la definizione di “umane”.

“Destinazione Freetown”: il ritorno all’inizio dell’orizzonte.

Giulio Gasperini
AOSTA – Le persone si spostano, da ogni angolo di mondo sino al prescelto altrove. O anche ad uno casuale. Ma da secoli, da millenni, gli uomini e le donne si incamminano verso altri orizzonti, cercando di indovinare cosa la cura della Terra nasconda al loro sguardo; immaginando per sé stessi, per i propri figli, per le proprie famiglie, una possibilità di cambiare la propria condizione di vita, di migliorare la propria esistenza, di concedere un futuro meno feroce e crudele ai loro discendenti. In “Destinazione Freetown”, l’ennesima pubblicazione nella deliziosa collana “Quartieri” della Becco Giallo, Marta Gerardi e Raul Pantaleo, del progetto Tamassociti, disegnano e narrano la storia di un migrante, Khalid, che deluso dall’Italia, dalla mancanza di lavoro e di prospettive, da una società soffocante e razzista, decide di ripercorrere a ritroso il suo cammino, tornando nella sua terra, coltivando la fiducia e la speranza che soltanto con il lavoro e la presenza sia possibile migliorare una terra e le persone che la calpestano. Decide di affrontare di nuovo quel mare a cui miracolosamente era sopravvissuto, rotta che sempre più spesso, ai giorni nostri, tanti migranti stanno riprendendo, spinti da una crisi irrisolta e da una società che sempre più si rende sorda e cieca ai loro bisogni; decide di lasciare il Vecchio Continente, che sempre più invecchia, e di tornare in un’Africa che si sta svegliando e si sta scoprendo affamata di tutto, dalla cultura al cibo, dal futuro al suo eterno passato.
Ma il cammino di Khalid offre anche la possibilità di incrociare tante umanità eroiche, tanti uomini e tante donne che, nei semplici gesti del quotidiano, rivendicano (più o meno consapevolmente) il loro stato d’esistenza, il loro orgoglio di esser presenti e di poter comunicare qualcosa, di poter imporre un’idea, di poter imprimere una direzione, di poter pretendere di essere – almeno una volta, per un breve istante – ascoltati e considerati ben più del nulla. E nel suo cammino, ancora, Khalid ha modo di incontrare una realtà che riempie d’orgoglio l’Italia: Emergency, con i suoi ospedali, i suoi ambulatori, i suoi centri di alta chirurgia cardiaca in mezzo al deserto furioso e alla devastazione cieca. Khalid ce li spiega, uno per uno: dal Centro Pediatrico di Port Sudan al Centro di cardiochirurgia di Khartoum, dal Centro pediatrico di Nyala al Centro Pediatrico di Bangui al Centro chirurgico di Freetown; sono queste le pietre miliari che accompagnano il cammino contromano di Khalid, e in loro il ragazzo trova la speranza per continuare a sperare in una rinascita dell’Africa e degli africani. Una rinascita che non è assistenzialismo né pietà per assolvere le coscienze e concedere riposi tranquilli e sereni; è un primo passo nella maturazione e nella presa di coscienza di uno stato d’esistenza che nessuna guerra, nessuno sfruttamento, nessun esodo, nessun tiranno potranno mai soffocare. È sempre lì, fremente, palpitante: pronta a rialzare il capo, a risollevarsi e a tentare di rendere l’orizzonte sempre più vicino; così vicino da non sentir più la necessità di partire per non sfiorire.