Carmine Abate: “Il banchetto di nozze e altri sapori”, una terra “rapinosa” che produce sogni e prelibatezze

il-banchetto-di-nozze-e-altri-sapori_abate_chronicalibriDaniela Distefano
CATANIATardilet, krustulet, qenullilet, skallilet sono dolci tradizionali per il Natale, specialità della cucina arberesh; il loro profumo aleggia nell’ultimo libro di Carmine Abate, Il banchetto di nozze e altri sapori (Mondadori), un’autobiografia culinaria per far conoscere un angolo della Calabria che sprigiona “una magarìa rapinosa”. L’Arberìa è l’insieme di cinquanta comunità italo-albanesi presenti nel Sud Italia.

Nato nel 1954, emigrato da giovane ad Amburgo, Carmine Abate oggi vive in Trentino. Continua

“Il segreto del prete a cavallo”, una lotta contro la mafia e per una Chiesa nuova

il segreto del prete a cavalloPARMA – L’Appennino calabro con il suo fascino e mistero fa da sfondo a Il segreto del prete a cavallo (Falco Editore), il romanzo di Natale Vulcano che chiude una trilogia che ha visto l’autore impegnarsi per lanciare un monito e un messaggio ai giovani. Il segreto del prete a cavallo, infatti, è la storia di un giovane prete che si batte per una Chiesa nuova in una terra difficile, martoriata dall’omertà e dalle organizzazioni mafiose. Il libro è dedicato ai preti coraggiosi che, come don Peppe Diana e don Pino Puglisi, hanno lottato e continuano a lottare contro ogni forma di mafia.

 

Don Andrea, fin da quando entrò nella parrocchia di San Domenico fece parlare di se: arrivò come un viandante sul suo cavallo mentre negli occhi aveva un rimpianto. Don Andrea era un prete diverso, scelse di indossare la tonaca rifiutando la carriera che da rampollo della dinastia Lusetti lo attendeva. La sua scelta fu dettata da qualche ferita che negli anni diventò rimpianto e nostalgia di un amore mai vissuto e di un amore sottratto. Tra i banchi di San Domenico e le strade del paese, Andrea dimostrò subito di essere un ottimo ascoltatore, un prete socievole, disponibile e pieno di coraggio. Nelle sue parole, poi, era vivida la voglia di riformare quella Chiesa che nei secoli aveva posto solo dei divieni e di dare, così, forza e sostegno a tutte quelle nuove generazioni che dalla fede scappavano. L’incontro con Lara, con la sua bellezza e il suo mondo saranno per don Andrea un’altra prova, un nuovo monito di fronte alla sua comunità.

 

Il segreto del prete a cavallo tocca tanti temi e tutti delicatissimi che Natale Vulcano intreccia con cura in un tessuto narrativo ricco di spunti e riflessioni. La lotta di don Andrea è una lotta per una Chiesa più moderna in un mondo che corre troppo velocemente, anche quando le organizzazioni criminali cercano di fermarlo o farlo deragliare.

 

 

“La forza della mafia sta fuori dalla mafia: sta in chi collabora e in chi fa finta di niente”. Don Luigi Ciotti

Viaggio “Dove lo Stato non c’è”.

Dove lo Stato non c'èGiulio Gasperini
AOSTA – All’inizio degli anni Novanta, il direttore de “Il Mattino”, uno dei più antichi e nobili quotidiani d’Italia, chiese allo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun un viaggio nel Sud Italia. Una sorta di passeggiata sociale: raccogliere storie, aspetti della vita di quelle regioni e tramutarle in racconti, in narrazioni che travalicassero i rigidi confini del giornalismo e della cronaca. Nacquero una serie di brevissimi reportages narrativi, raccolti poi da Einaudi nel volume “Dove lo Stato non c’è” (1991).
Queste testimonianze sono tanti ricchi frammenti di umanità, tante incursioni preziose in una realtà feroce e cruda, assurda persino, a volte, da immaginare. L’indagine di Ben Jelloun è naturale esattamente come la vita che scorre perché queste pagine semplici ma tristi confermano come la violenza, il degrado, l’abbandono morale e civile, siano oramai parte integrante e costitutiva di una particolare realtà. O, quantomeno, precipizi concreti, attentatori sempre in agguato in attesa di un passo falso, di un’esitazione, di un errore senza possibilità di espiazione.
Tahar Ben Jelloun, però, cerca di evidenziare anche le persone coraggiose che non sono ancora completamente assoggettate al cinismo e all’indolenza, né all’omertà; persone, uomini e donne, padri e madri, che lottano, che resistono; persone che cercano di sopravvivere in una realtà più grande di qualsiasi altro pensiero. E poi ci sono anche gli avvocati che cercando di nobilitare una giustizia ampiamente compromessa, in azione e fama. Ci sono le madri, pronte a soffrire sole e in silenzio per ristabilire la dignità del loro dolore, il valore della loro perdita.
A tutte queste situazioni è comune un aspetto: la totale assenza dello Stato, con la lettera maiuscola. L’Istituzione statale, che dovrebbe presiedere e controllare, proteggere e rassicurare, da questi racconti è totalmente assente; decisamente latitante, se non addirittura in fuga programmata. Lascia il campo libero ad altro poteri che non tardano a palesarsi e a riempire i vuoti, scontornando i limiti tra bonus e malus, senza nessuna remora né timore.
Di tempo, da quei reportage, ne è passato; ma nulla è mutato. Leggere questo testo ci squaderna situazioni che puntualmente ritroviamo nelle cronache dei quotidiani. Il tempo passa ma non muta se non mutano le condizioni per cui questo Stato parallelo si è affermato e ancorato a strutture clientelari e terroristiche.
E qual è, allora, la soluzione? Cosa ci potrebbe salvare dalla rovina che pare inevitabile? Semplicemente, la parola. Perché “ci sono delle parole, apparentemente insignificanti, che uccidono”. E, in unione, la poesia. Perché “la nostra arma segreta è la poesia, bisogna continuare a opporre loro la forza magnifica delle parole. Le parole possono essere crudeli e vendicative. Quelle dei poeti sono terribili… Non avete l’aria troppo convinta! Peggio per voi!”.