Dall’isola greca dalle ali di farfalla

Giulio Gasperini

AOSTA – Una corrispondenza fitta, questa è la forma scelta da Tito Barbini e Paolo Ciampi per dialogare tra di loro nel saggio narrativo L’isola dalle ali di farfalla, edito da Edizioni Spartaco. Uno di loro, Tito, si trova in una sorta di autoesilio a Astypalea, Stampalia, isola del Mar Egeo, vicinissima alle coste turche, cha ha proprio la forma di una farfalla dalle ali spalancate; Paolo, invece, è in Italia. I due amici comunicano attraverso “cartoline”, lettere che forse sono email, ma che dipanano una narrazione ibrida e potentissima, che spazia sui temi del passato, della gioventù e dei suoi sogni, fino ad arrivare all’analisi del contemporaneo, dell’attuale, concedendosi uno sguardo lungimirante sul futuro e su quello che sarebbe necessario mettere in atto.

Raccontare questo dialogo è impossibile: procede con una fluidità che solo i pensieri tra amici possono avere, in un continuo rimando di visioni, sguardi, considerazioni, citazioni letterarie e politiche, attraverso cui si designano parabole umane ma universali. La Grecia, con la sua storia e la sua mitologia, diventa il motore e il vettore – molto spesso – si approfondimenti ficcanti e chirurgici. E l’etimologia diventa un divertimento mai fine a sé stesso ma, anzi, criterio fondante e fondamentale per comprendere sempre più nel profondo certi meccanismi, universali e personali: come quelli che, dall’originario hospes, che indicava l’ospite in entrambe le sue vesti – di ospitante e di ospitato – è arrivato poi a esser trasformanto in hostis, cioè nel nemico. E di nemici se ne discute tanto, nel libro: nemici che assumono forme e declinazioni sempre diverse, ma spesso legate al mare, a questo luogo meraviglioso di contatti e incontri, che – nella lingua greca – aveva ben quattro parole a indicarlo. Una di queste era pòntos, il mare come elemento da attraversa che collega, unisce, mette in contatto.

L’isola stessa, il luogo privilegiato dal quale nascono questi scambi dialogici a distanza, è un’emblema, uno spazio concreto che si squaderna in spazio simbolico: inizia con essere una tana ma ben presto diventa luogo mai completamente scisso e separato dal fluire del tempo e dei corpi. È un punto di osservazione privilegiato, magari, ma inutilmente remoto, fragilmente e inadeguatamente isolato. Ma l’isola è paradigma di viaggio e ritorno, dove ogni viaggiatore approda e ruba storie, ne fa incetta per restituirle alla comprensione e alla conoscenza di altre e altri.

La narrazione, di fatto, costituisce il mezzo e lo strumento più perfetto di consapevolezza. Tante storie, note e sconosciute, si intrecciano in questo testo miracoloso, dalla complessa architettura nonostante un candore linguistico e logico: alla fine, ognuno di noi deve trovare i propri spazi e organizzarsi le prospettive, sempre con le mani a rimestare la terra, a sfiorare corpi e a far esperienza di materiali. Per fare come quei monaci benedettini, che cominciarono con il bonificare: “prosciugando paludi insalubri metro a metro, per farne zolle da dissodare, rivoltare, aprire al seme”.

ISBN: “In un’altra parte della città”, viaggio attraverso le cartoline

in_unaltrapartedellacittaMILANO – Cosa ci aspettiamo da una cartolina postale? Partendo da questa domanda, Paolo Caredda con In un’altra parte della città. L’età d’oro delle cartoline traccia la storia di un oggetto che, nato per celebrare le vedute approvate dall’autorità, a partire dagli anni Cinquanta ha preso strade inesplorate, raccontando un’Italia popolare, periferica, reale. Attraverso immagini di Genova, Torino, Milano, Bresso, Senigallia, Isernia, Roma, Trapani e tanti altri paesi e province, In un’altra parte della città delinea questa epoca “d’oro” e poco conosciuta della cartolina. Quartieri-dormitorio, autogrill, autostrade, stabilimenti industriali, supermercati, scuole, alberghi, centri termali e case di riposo compongono l’archeologia geografica e urbana di un’Italia in pieno miracolo economico.
Accompagnata da una scrittura lirica che pesca a piene mani da un personalissimo immaginario pop, questa galleria di cartoline – pubblicata in questi giorni da ISBN Edizioni – restituisce il fermo immagine dei palazzoni e dei quartieri appena usciti dal cellofan della speculazione edilizia, prima che il tempo ne consacrasse lo squallore e la fatiscenza; ma testimonia anche la tenerezza di chi quelle immagini le spediva ad amici e parenti, per mostrare loro la finestra o il balcone dell’appartamento in cui abitava. Di rilievo l’omaggio a Ugo Gregoretti.

 

“Ruotai il carosello delle cartoline appoggiato sopra il bancone di vetro. Non era il primo cartoleria-alimentari che perlustravo. Non sarebbe stato l’ultimo. Sfogliavo questo mazzetto di tableaux metafisici: un giro dell’isolato per celebrare l’alba dell’era del cemento. Ignoravo la loro esistenza e ora le avevo trovate. Quanti tesori simili erano ancora in circolazione? Un archivio completo di queste cartoline? Non l’avrei mai trovato, mi dicevo”.