VerbErrando: Pigneto dreaming

ROMA – “L’etica e le regole di comportamento che ho escogitato e applicato fino a oggi, che mi hanno permesso di condurre e interpretare la mia vita come pareva a me, hanno smesso di funzionare, e non ne ho di nuove a rimpiazzarle. Mi ritrovo circondata da persone che, a quanto pare, invece, mi hanno sempre vista in un modo tutto loro e che ora continuano a impormi questa immagine falsata di me […]
Ce l’ho messa tutta perché su di me non ci fossero mai fraintendimenti. Ho sempre esposto le mie opinioni, agito nel modo più diretto, franco e inequivocabile […] Possibile che non sia servito a niente?”  (Romanticidio
di Carolina Cutolo, Ed. Fandango 2012)

 

Il Pigneto da un po’ è diventato l’ombelico del mondo culturale di Roma. Lì trovi sempre qualcosa in corso, che sia un concerto, un reading, un contest di scrittura, una mostra, qualcosa c’è  e non sei mai solo. Giovani buttati sui marciapiedi, o poggiati addosso alle macchine o fuori dai locali. Giovani che bevono… ecco, hanno sempre in mano un bicchiere di vino, di superalcolico o una bottiglia di birra, a seconda della propria inclinazione e al gruppo al quale appartengono. Ebbene sì, al Pigneto trovi i gruppi, proprio come accadeva nei paesi tanti anni fa. Così, se vai da Necci, ad esempio, torvi quelli della ‘dolcevita’, che mangiano spiedini di pesce spada cucinati da uno chef inglese; se vai da Birra + trovi i punk seduti sul ciglio della strada con i loro cani a guinzaglio. Al Forte Fanfulla gli habitué dei circoli ARCI che vanno lì per rilassarsi e ascoltare un po’ di musica o di passaggio, per fumarsi una sigaretta nel giardinetto esterno, ché tanto qualcuno che conosci lo trovi sempre; al Chiccen c’è Rossano che ti fa sedere al tavolino, ti accende una candelina immersa in quello che una volta era un vasetto di omogeneizzato ed ora è un portacandele, e ti serve vino e cibo cucinato da lui, tra un libro e l’altro. E’ proprio lì che, un venerdì qualunque di primavera, passeggiando, ti capita di incontrare Jack Hirschman che legge le sue poesie, accompagnato dalla Brigata dei Poeti Rivoluzionari di Roma, nuova di zecca. E allora, al fresco della sera, con un vinello tra le mani, puoi ascoltare le parole dell’ultimo genio della beat generation, ex professore di inglese alla UCLA di Los Angeles, che nel 1966 fu licenziato perché promotore di proteste e manifestazioni contro la guerra in Vietnam, tra le quali dare il massimo dei voti a tutti gli studenti destinati all’arruolamento per aiutarli a sfuggire alla guerra.

 

Il poeta dei giovani, per i giovani. Forse è per questo che tutti se ne innamorano. Forse è per questo che in tutto il mondo fioccano Brigate dei Poeti Rivoluzionari in suo onore, gruppi di giovani, promettenti poeti che hanno scelto lui come mentore. Una carrellata dei suoi più incisivi e accorati appelli al mondo fanno trattenere il respiro a una via del Pigneto stranamente stretta intorno a un unico luogo. I suoi arcani, tra cui quello “dei giorni dei morti”, dedicato a Pasolini e l’intramontabile “One day”:

“Un giorno smetterò di scrivere e dipingerò soltanto
smetterò di dipingere e canterò soltanto
smetterò di cantare e me ne starò seduto soltanto
smetterò di stare seduto e respirerò soltanto
smetterò di respirare  e morirò soltanto
smetterò di morire e amerò soltanto
smetterò di amare e scriverò soltanto”.

Insomma, sì, al Pigneto accadono cose. Ogni venti metri. Cose di arte, di musica, di letteratura, di folklore. Cose pubbliche, per le strade o nei locali, ma anche semi-pubbliche, dentro le case o nei cortili, quelli nascosti alla vista. Ed è proprio fuori da un cortile che mi trovo e sto per citofonare. Citofonare interno 7, questa è la mia destinazione. Giorni prima avevo ricevuto una convocazione segreta per questo evento a cui puoi partecipare solo dietro invito del padrone di casa (e fin qui tutto normale) e  se conosci la parola d’ordine. L’evento è un reading, di quelli che di solito si fanno alla libreria Eternauta, ma stavolta è dedicato a pochi, ai più intimi o ai più fortunati, i privilegiati. Questo invito ha del massonico, probabilmente è la ragione per cui risulta così affascinante. Ogni volta la location cambia, perché ogni volta si svolge nella casa dell’autore del libro di turno.
Questa volta l’invito è in via del Pigneto ed è il turno di Carolina Cutolo e devono aver esagerato, perché di invitati ce ne sono tantissimi, almeno una settantina, compreso qualche infiltrato, che si riconosce perché è staccato dagli altri, non parla con nessuno e non osa nemmeno avvicinarsi allo squisito buffet che la padrona di casa ci ha amorevolmente preparato.
Lì incontri tante persone, come Girolamo, che lavora per una cooperativa impegnata nel sostenere e aiutare i senza fissa dimora. Con lui mi metto a parlare di quanto sia ancora tragicamente naturale scansare le persone come loro, quelli che vestono abiti lisi, sporchi e maleodoranti  “La gente viene a chiedermi perché sono senza tetto e sai cosa rispondo io? Domandalo a loro! Avvicina uno di loro e chidiglielo, parlano, sai?”. Discutiamo circa l’importanza della conoscenza come mezzo per sconfiggere la paura della diversità, e delle azioni, necessarie e mirate, che la sua associazione, la casa di cartone, organizza per creare ponti tra i senza fissa dimora e le persone che una casa ce l’hanno, perché “la gente raggruppata dentro questa categoria è la più disparata. C’è il barbone, il tossicodipendente, il rifugiato politico. L’anziano che aspetta il suo posto in ospizio e l’uomo che ha perso il lavoro; c’è il vedovo, il trans, c’è la schizofrenica e poi ci sono quelli in fuga. Sono storie diverse, mondi diversi e necessitano approcci diversi, attenzioni diverse, aiuti diversi. La generalizzazione è un male da curare.” Ci diamo appuntamento al 15 di giugno, sulla Tuscolana, ci sarà un evento curato dalla sua associazione: il BIP , un mega concerto in un ricovero per i senza fissa dimora.
Appena il tempo di salutarlo e parte la serata. Ci sono ospiti-amici ad aprire il reading, tra cui Fabio Viola con l’estratto del suo libro prossimamente in uscita; e poi, alla fine, lei, Carolina Cutolo con lui, il  protagonista della serata, Romanticidio.
Si rivela subito. Generoso e ospitale, proprio come la padrona di casa. Il pretesto narrativo è qualcosa a cui non posso resistere: le cose stupide che si fanno per amore. Come finire in coma, ad esempio. Come affidarsi alle fantasticherie, negare la realtà, rifuggirla e sostituirla con un surrogato a metà tra il sogno e la schizofrenia. Carolina è così quando scrive, come quando parla: diretta, concreta, senza sofisticazioni, inutili orpelli, dice quello che vede con semplicità e garbo; circa la vita, l’amicizia, la ricerca del proprio futuro, la costruzione dei rapporti, l’amore e la morte. E quando ne scrive, così come quando ne parla, non puoi fare a meno di ridere, perché lei è fatta in questo modo: ironica e carismatica, teatrale e dissacrante ai limiti del paradossale e del grottesco. Così, quando fa incontrare alla sua protagonista, per la prima volta, l’amore e un nuovo inizio le fa incontrare, immancabilmente, anche il suo opposto: la fine. E lo fa così:
“Eccola, la mia fine perfetta, la mia morte ridicola, il mio istinto di sopravvivenza sacrificato all’idiozia di volermi far bella ai suoi occhi a ogni costo. Avevo appena messo a rischio la mia vita in modo irreversibile, e lo avevo fatto perché sopraffatta e vinta da qualcosa di cui, fino a quel giorno, avevo negato l’esistenza con tutte le mie forze. Come se non bastasse, su questo già patetico epilogo ecco implacabile l’ironia della sorte a chiudere il cerchio e a prendermi per il culo senza pietà: una fiera professionista dell’alcol che schiatta assassinata dall’acqua minerale.”

Numerosi bicchieri di vino dopo e, ormai, a notte fonda, lascio quel cortile per tornare a casa.
Il Pigneto… il luogo dove accadono cose…
Il quartiere dove sei sempre il benvenuto, in cui puoi non abitare e, comunque, sentirti accolto, casa. Basta andarci più di due volte per essere uno di loro, riconosciuto e salutato per strada, intrattenuto dai camerieri dei locali. Il quartiere per chi vuole ancora assaporare il gusto della vita di paese, un paese di arte e cultura, un paese di usi e costumi… calorosamente consigliato a chi è pronto a mettersi in gioco, a darsi agli altri senza sovrastrutture, a sorridere e a prendere la vita con la freschezza del ponentino che sembra soffiare per le sue vie. Per chi cerca la poesia delle piccole cose, per chi ha fame di conoscenza e di diversità, per chi, insomma, non si accontenta del proprio cortile e la vita la vuole vivere a più braccia. Un posto, insomma, perfetto sempre e per tutti.

Unica controindicazione: da evitare rigorosamente nel caso in cui voleste incontrarvi con qualcuno in clandestinità.