“Crimini contro l’ospitalità”: migrazioni, CIE e detenzione

Crimini contro l'ospitalitàGiulio Gasperini
AOSTA – Donatella di Cesare, insegnante di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, ha avuto il privilegio, concesso a pochissimi, di entrare in un CIE, in particolare quello di Ponte Galeria, a Roma, tra i più grandi di Italia. “Crimini contro l’ospitalità”, edito nel 2014 da Il Melangolo, è il documento nato da quest’esperienza. Il testo si trasforma in un interessante saggio, ma perde quello che sarebbe potuto diventare il suo maggior pregio, ovvero la possibilità di testimoniare direttamente il visto e il sentito in questo luogo dove entrare e vedere sono due azioni praticamente impossibili.
Donatella di Cesare affronta la questione dei CIE, ovvero dei Centri di Identificazione e di Espulsione, in un’interessante prospettiva filosofica, declinando la problematica dal punto di vista della razionalità più pura e cristallina, confutando le idee e i fragilissimi principi che stanno alla base della creazione di queste “isole di non diritto”, questi territori che presentano le caratteristiche evidenziate da Erving Goffman per definire una “istituzione totale”: distanza, chiusura, isolamento.
I CIE, che spesso sono stati teatro di duri scontri e di rivolte da parte degli “ospiti”, non hanno praticamente mai un regolamento interno; ai reclusi, non sono consentite visite né possono parlare con il loro avvocato (quando ne hanno uno); non hanno passatempi, non hanno penne né libri né giochi né attrezzi sportivi. Sono ridotti a bestie in uno zoo, secondo il principio di zoologizzazione degli esseri umani, come sottolineato dalla di Cesare nel suo saggio. La prima violazione dei diritti umani è, però, antecedente ai CIE e avviene al di fuori: è l’arresto, la “detenzione amministrativa” alla quale sono condannati pur non avendo commesso nessun reato. La mancanza di un titolo di soggiorno è diventata reato soltanto dopo il Pacchetto sicurezza del 2009, ma non era mai stata prevista, in nessun ordinamento che si occupi di migrazioni. Inoltre, la detenzione non è decisa da nessun organo di giudizio, dopo un processo penale, ma è una condanna decisa da un’autorità esclusivamente amministrativa: sono chiamati a giudicare, pertanto, dei funzionari di governo e dei burocrati che “non sono membri dell’ordinamento giudiziario, non sono stati eletti, non rappresentano nessuno”. Di Cesare spiega compiutamente e fa vedere con estrema lucidità e puntualità come, all’interno del CIE, l’umanità si deformi perché si deformano le dimensioni più caratteristiche dell’uomo, a cominciare dal tempo e dallo spazio; brutalizzando l’uomo, riportandolo a una condizione primordiale e animale, lo scopo è quello di brutalizzarlo, di privarlo di dignità – un affronto che si assomma alla punizione per un crimine, come abbiamo visto, mai commesso.
Si potrebbe, con la massima attenzione, utilizzare per lo scritto di Donatella di Cesare la definizione di “reportage filosofico”, anche se non si può non sottolineare la mancanza di una parte di maggior reportage.