“Fai bei sogni”, un attimo prima di chiudere gli occhi

Fai bei sogniDalila Sansone
AREZZO – Leggiamo di tutto e in quello che leggiamo riflettiamo ciò che siamo, o ci proviamo. Può darsi che ci si costruisca nella lettura o che invece sia lei a costruire qualcosa si noi. Io credo che al di là dell’identità più o meno forte della pila di libri sul comodino o dei volumi sparsi in un qualche angolo di casa, esistano libri per tutti, meglio libri di tutti. “Fai bei sogni” di Massimo Gramellini (Longanesi, 2012) è uno di quei libri di tutti, perché tutti siamo andati a letto almeno una volta, sempre o quasi, da bambini muovendo i passi dietro la frase ”sogni doro” o “dolci sogni”, accompagnati dal gesto di qualcuno che ci ha amati. O avremmo voluto farlo.
Gramellini mantiene il suo stile, asciutto, ironico soprattutto dove è il cuore che fa male più che la logica a fare difetto. La storia è la sua, personale e privata, la perdita della madre della cui assenza è stata intrisa tutta una esistenza di alibi e fughe da sé stesso, per compensare un vuoto incolmabile e non accettare mai la responsabilità delle proprie paure. Il racconto di una mezza verità che alla fine dei fatti è stato l’atto di amore più grande, che come nella migliore tradizione dell’amore, quello vero, non ha bisogno di farsi conoscere ed è lì, sostiene nell’ombra e sopporta di non essere riconosciuto: non è questo quello che conta!
È dolce, molto dolce, la voce del bambino che compare tra le righe scritte dall’adulto, che tra una manciata di frasi e un inciso, lascia sia quell’altro che era lui a dettare il ritmo…quello delle emozioni e del senso, che non c’era pur essendoci sempre stato.
A questo libro, che si legge d’un fiato e assorbe poche ore dello scorrere della vita di un lettore qualunque, va riconosciuto il merito di parlare a una qualche emozione propria, che può essere stata simile o diametralmente opposta eppure ricordarla, perché nella semplicità e nella profonda complessità di un’esistenza c’è, esiste e dirompe qualcosa di assolutamente universale. Qualcuno la definirà empatia, io preferisco non darle nomi e identificarla con quanto riesce a sciogliersi dentro, quando gli occhi si fermano su una frase, ci ritornano e la sua eco in qualche modo rimane. E se un autore ci riesce, in fondo, è come ci avesse regalato tutto il carico di promesse che si apre nel cuore a sentirsi dire: “fai bei sogni”, un attimo prima di chiudere gli occhi e ritornare a noi stessi. Indefinibile.