“Rosso velabro”: la crisi che non è mai diversa.

Rosso velabroGiulio Gasperini
AOSTA – La parola “crisi” è forse quella che più di altre ha condizionato gli Anni Dieci del nuovo millennio. È uno spettro feroce, una parola che non fa quasi più paura (piuttosto, rassegnazione) ma che allunga ombre inquietanti. Perché le crisi ci sono sempre, sempre si materializzano e sempre ci troviamo ad affrontarle, in ogni ambito. Luigi De Pascalis ci presenta un historical-thriller che definire così è pero riduttivo: perché, in realtà, “Rosso Velabro”, edito da La Lepre Edizioni (2010), ci cala in una crisi che ha molti punti di contatto con quella attuale.
Una crisi, infatti, che riguarda identità, valori, sostanza. Una crisi che coinvolge ogni aspetto della vita pubblica e sociale ma anche di quella personale e privata: sospetti, intrighi, menzogne, tradimenti e disfatte. Gli ingredienti sono quelli di un appassionante romanzo da divorare come un bicchier d’acqua: un ritmo frizzante e sostenuto, una passione terminologica da attento studioso, una sapiente costruzione di intreccio e fabula, un appassionante gioco di spostamento di prospettiva e di punti di vista, che tempestano il flusso narrativo e lo frammentano, senza però mai perderlo né inficiarlo. Il tutto in una narrazione spesso pesante e difficoltosa, ma di fondo ben calibrata e finalizzata all’obiettivo, al fine ultimo.
È il 363 d. C. L’Impero romano sta implodendo. È cambiato, l’Impero. Ne è cambiata la società, ne sono cambiati i confini, ne sono cambiati gli abitanti. È cambiato anche il potere che dovrebbe continuare a governarlo e a reggerlo. Ma la teorizzazione è ben più lontana della realtà: le beghe imperiali, i contrasti tra “dirigenti”, le macchinazioni tra chi vuole più potere, l’affermarsi di nuove religioni e nuove società scuotono un’architettura oramai secca, arida, priva di vita che possa rigenerarla e farla tornare a fiorire. In questo ambiente di nuovi riti, di nuove facce, di nuove attese e pretese, la Storia agisce anche su un piano più privato e personale: durante una notte di spettacoli viene brutalmente uccisa Domizia, la moglie del Prefetto dell’Urbe. L’indagine viene affidata all’edile, Caio Celso, che comincerà a indagare con perizia in un fiume in piena, in un ribollire di insoddisfazioni e rabbie, di magie e di perplessità. Omertà, ostilità, magie e maledizioni in un quartiere che diventa palcoscenico dell’umanità interamente intesa: cambiano i fattori ma i responsi sono (quasi) sempre gli stessi: la Storia personale, privata, in contrasto con la Storia universale, come altre volte in letteratura, pare vogliano dirci che i cambiamenti spaventano sempre, ancora di più quando non si sanno affrontare né gestire.