Quando la Bellezza è resistenza civile e sociale.

architetture-resistenti-copertinaGiulio Gasperini
AOSTA – Il mantra è quello di Peppino Impastato, giornalista ucciso dalla mafia per il suo lavoro di denuncia e resistenza sociale: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”. L’assuefazione alla quale Potere (con la lettera maiuscola, come lo scriverebbe Oriana Fallaci) tenta in tutti i modi di sottomettere le persone, i cittadini, è un nemico inarrestabile, indomabile. Le Edizioni BeccoGiallo, casa editrice con un menu altamente resistente, che ha sdoganato il fumetto come suprema forma letteraria, ci offre la possibilità di rivalutare anche il settore dell’architettura come un modo di opporsi alla marea dell’assuefazione, dotandoci di un’arma in più per combattere il tentativo di farsi incasellare in numeri, statistiche e proiezioni di voto.
“Architetture resistenti. Per una bellezza civile e democratica”, di Tamassociati (ovvero dell’architetto e grafico Raul Pantaleo e della fumettista Marta Gerardi) e dello storico dell’architettura Luca Molinari, ci accompagna in una curiosa e appassionante escursione tra le strutture edificate in Italia con intenzione civili e sociali, con l’intento di dare un messaggio potente, che andasse al di là della semplice funzionalità. Perché la semplice funzionalità non è sufficiente all’uomo, come sosteneva Adriano Olivetti, massimo esempio di imprenditorialità umana (e utopica): “La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza”.
La giornalista Beni Ponti, sfidando la Direzione del giornale per cui scrive, trasforma una serie di articoli sull’architettura in una forma raffinata di protesta. Attraverso la forma più leggera del fumetto, ma dal fortissimo impatto visivo (e planimetrico), ci mostra un’Italia anche periferica (rigorosamente percorsa con auto elettriche, col treno e con la bicicletta portatile) e ci accompagna alla scoperta della Barriera a protezione del Parco archeologico di Selinunte, di Pietro Porcinai; il Museo della Risiera di San Sabba di Romano Boico; lo Stabilimento Olivetti di Pozzuoli progettato da Luigi Cosenza; l’Auditorium costruito da Renzo Piano a L’Aquila appena terremotata; il Museo dedicato all’aereo Itavia esploso a Ustica a Bologna di Christian Boltanski; ai Collegi del Colle, a Urbino, progettati da Giancarlo De Carlo; al Giardino degli incontri nel carcere di Sollicciano, a Firenze, di Giovanni Michelucci.
Queste, e tante altre in Italia, sono tutte opere che si trasformano in una diga, una barriera contro l’abusivismo che serve agli interessi economici di molti ma che contribuisce alla distruzione e al degrado culturale – e pertanto umano – della cittadinanza. E anche un monito, un tentativo di ricordare pezzi di Storia dolorosa e ancora sanguinante, per non far addormentare le nostre coscienze e per farle tornare a pretendere la definizione di “umane”.

“Destinazione Freetown”: il ritorno all’inizio dell’orizzonte.

Giulio Gasperini
AOSTA – Le persone si spostano, da ogni angolo di mondo sino al prescelto altrove. O anche ad uno casuale. Ma da secoli, da millenni, gli uomini e le donne si incamminano verso altri orizzonti, cercando di indovinare cosa la cura della Terra nasconda al loro sguardo; immaginando per sé stessi, per i propri figli, per le proprie famiglie, una possibilità di cambiare la propria condizione di vita, di migliorare la propria esistenza, di concedere un futuro meno feroce e crudele ai loro discendenti. In “Destinazione Freetown”, l’ennesima pubblicazione nella deliziosa collana “Quartieri” della Becco Giallo, Marta Gerardi e Raul Pantaleo, del progetto Tamassociti, disegnano e narrano la storia di un migrante, Khalid, che deluso dall’Italia, dalla mancanza di lavoro e di prospettive, da una società soffocante e razzista, decide di ripercorrere a ritroso il suo cammino, tornando nella sua terra, coltivando la fiducia e la speranza che soltanto con il lavoro e la presenza sia possibile migliorare una terra e le persone che la calpestano. Decide di affrontare di nuovo quel mare a cui miracolosamente era sopravvissuto, rotta che sempre più spesso, ai giorni nostri, tanti migranti stanno riprendendo, spinti da una crisi irrisolta e da una società che sempre più si rende sorda e cieca ai loro bisogni; decide di lasciare il Vecchio Continente, che sempre più invecchia, e di tornare in un’Africa che si sta svegliando e si sta scoprendo affamata di tutto, dalla cultura al cibo, dal futuro al suo eterno passato.
Ma il cammino di Khalid offre anche la possibilità di incrociare tante umanità eroiche, tanti uomini e tante donne che, nei semplici gesti del quotidiano, rivendicano (più o meno consapevolmente) il loro stato d’esistenza, il loro orgoglio di esser presenti e di poter comunicare qualcosa, di poter imporre un’idea, di poter imprimere una direzione, di poter pretendere di essere – almeno una volta, per un breve istante – ascoltati e considerati ben più del nulla. E nel suo cammino, ancora, Khalid ha modo di incontrare una realtà che riempie d’orgoglio l’Italia: Emergency, con i suoi ospedali, i suoi ambulatori, i suoi centri di alta chirurgia cardiaca in mezzo al deserto furioso e alla devastazione cieca. Khalid ce li spiega, uno per uno: dal Centro Pediatrico di Port Sudan al Centro di cardiochirurgia di Khartoum, dal Centro pediatrico di Nyala al Centro Pediatrico di Bangui al Centro chirurgico di Freetown; sono queste le pietre miliari che accompagnano il cammino contromano di Khalid, e in loro il ragazzo trova la speranza per continuare a sperare in una rinascita dell’Africa e degli africani. Una rinascita che non è assistenzialismo né pietà per assolvere le coscienze e concedere riposi tranquilli e sereni; è un primo passo nella maturazione e nella presa di coscienza di uno stato d’esistenza che nessuna guerra, nessuno sfruttamento, nessun esodo, nessun tiranno potranno mai soffocare. È sempre lì, fremente, palpitante: pronta a rialzare il capo, a risollevarsi e a tentare di rendere l’orizzonte sempre più vicino; così vicino da non sentir più la necessità di partire per non sfiorire.