“Oh…” stupore e follia nel nuovo libro di Djian

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Luigi Scarcelli
Parma
“Il demonio si impossessa di un corpo ventiquattr’ore su ventiquattro o vi penetra solo a momenti?”La storia, problematica e controversa, di una donna di cinquant’anni é trattata da Philippe Djian nel libro “Oh…” nuova uscita della casa editrice Voland.

 

Michéle, questo il nome della protagonista, è una produttrice cinematografica di successo, con una vita molto complessa: il suo passato è terribilmente segnato dalla figura del padre, il cosiddetto “mostro d’Aquitania”, in carcere da trent’anni per aver fatto una strage a danno di innocenti bambini.  Per questo vive una giovinezza tremendamente difficile, una identità pesante da portare, ed è aiutata solo dalla madre, la controversa Irène e da Richard, fidanzato che sarebbe diventato suo marito. Nel presente Michele si è in parte riscattata, è infatti una donna di successo, rispettata  ma ancora al centro di una famiglia problematica: ormai separata da Richard, madre di un figlio,Vincent, immaturo e scontroso, convinto di costruire una vita con l’opportunista Josie, neomamma di Edouard. Unica vera confidente è Anna, sua amica e socia lavorativa alla quale però nasconde di avere una relazione con il marito Robert.

E il futuro? è proprio da qui che inizia il romanzo: Michéle è stata appena vittima di uno stupro in casa sua e dovrà capire chi è stato il suo violentatore, del quale non sa nulla e neanche immagina l’identità. Intanto la sua vita procede tra alti e soprattutto bassi: il rapporto con Vincent, la relazione clandestina e ormai priva di passione con Robert, l’invidia per la nuova fidanzata del suo ex marito Richard andranno di pari passo con la ricerca del violentatore e l’entrata in scena di Patrick, misterioso vicino di casa.

Il libro si legge tutto d’un fiato: è suddiviso in soli due capitoli,di cui il primo è la quasi totalità del romanzo mentre il secondo è l’epilogo, e le vicende della vita quotidiana di Michèle si accompagnano al ritmo quasi da thriller della ricerca dello stupratore.

Molto interessante è il modo in cui viene delineata la psicologia della protagonista: il suo minimizzare lo stupro, non volerlo denunciare per “quieto vivere”, il rapporto problematico con la madre e il marito da cui è separata ma del quale non sopporta dover conoscere la nuova bella e giovane fidanzata, il tutto sottolineato dalla narrazione in prima persona della protagonista. Philippe Djian scrive la storia di una donna, una donna la cui vita è attraversata dal lato oscuro e macabro che si manifesta negli uomini  (il padre, Robert, il misterioso stupratore) che ne entrano a far parte.

Chi sono gli “Assassini” dei nuovi anni Dieci?

Giulio Gasperini
ROMA – C’è una fabbrica che inquina, nel romanzo di Philippe Djian; c’è un paese, Hénochville, che vive grazie a codest’industria; c’è un ispettore che sta per decidere di chiudere la fabbrica; ci sono alcuni operai che non vogliono che sia chiusa; ci sono delle mazzette che vengono versate e c’è una donna pagata per convincere l’ispettore. C’è anche un fiume – ovviamente inquinato – che sta per tracimare; c’è una donna, una ragazza, che ignara di tutto si trasferisce in città e prende in affitto un appartamento; c’è il protagonista, Patrick Sheahan che ha una relazione con una donna sposata; e c’è il marito che fa finta di ignorare. Il copione di “Assassini”, romanzo edito nel 2012 dalla romana Voland, è quello che anche alcuni recenti fatti, di questi primi anni Dieci, hanno portato alla ribalta delle cronache. Da una parte la produzione, la creazione di ricchezza; dall’altra il disastro ambientale e umano: quale dei due poli pesi di più e sia più importante è difficile a dirsi, perché l’assunzione di responsabilità della risposta tira in ballo situazioni imbarazzanti e un’accusa di omertà pesante da giustificare.
Il protagonista è perentorio, fin dall’inizio: “Lavoravo per un assassino. Lavoravo per un assassino come molti in città, ma nessuno diceva niente”. Tutti i personaggi corrono su un doppio binario: quello delle proprie vite personali e quello delle proprie vite “pubbliche”, legate indissolubilmente all’andamento della fabbrica e alla sua capacità produttiva. Gli amici si ritrovano tutti assieme, in un piccolo chalet di montagna, assediati dalla pioggia e da una frana che si fa sempre più incombente, fino a quando tutto è travolto e si offre la possibilità di voltare pagina, di affrancarsi dai dolori del passato e di cominciare una nuova vita da qualche altra parte: “La ricerca della felicità è faccenda piuttosto complessa e quasi sempre votata al fallimento, eppure tutti ci provano. Ci vuole tempo, poi, per imboccare un’altra strada”. Il ricatto sentimentale del protagonista, il suo volontario e sadico ostaggio della sua storia e della sua vicenda personale, lo allontanano dalla possibilità di redenzione, che appare preclusa in una città soffocata e oppressa, dall’industria e dalla natura; i suoi tentativi di evadere sono stanchi rimedi inutili, iniziative fallite ancora prima di approdare all’epilogo: su tutto grava un cielo scuro e un annuncio di giudizio universale. Su tutti incombe l’ombra di un fato arcigno e di una casualità ostile. Tutta l’umanità è pareggiata, sullo stesso palcoscenico d’eventi, e tutta l’umanità, al di là di ogni proprio impulso e patimento, si scopre sofferente e sanguinante.
Nello scorrere degli eventi, nell’avanzare impetuoso e inarrestabile della trama, di fronte alle esigenze intime e individuali, quelle della collettività passano in secondo piano, si opacizzano e assumono, sempre più, una dimensione inquietante e carnivora. Non c’è vita che possa essere sprecata, ma ci sono disastri che posson tramutarsi in risorse. Il finale è prevedibile e scontato, persino sdolcinato, ma lascia un’ombra inquieta e inquietante: in tutta questa trita umanità non si capisce bene chi siano i peggiori assassini.