“Scrittori brutta razza”: lo scrittore che definisce sé stesso.

Scrittori brutta razzaGiulio Gasperini
AOSTA – Chi è lo scrittore? Tutti – soprattutto gli scrittori – si sono posti tale domanda. Come se la scrittura fosse stata inventata soltanto per far capire agli scrittori chi fossero in realtà: una sorta di tentativo continuo di risolvere la perenne crisi d’identità. Il problema, effettivamente, è che nessuno probabilmente ha mai trovato una risposta soddisfacente. E anche Luigi Saccomanno, con il suo caratteristico stile in sottrazione, fratto e frammentato, crivellato di punteggiatura, tenta di azzardare la sua definizione: e lo fa tratteggiando la figura molto particolare dello scrittore che scrive l’opera stessa, “Scrittori brutta razza”, edito da Lupo Editore nel 2013 nella collana InBox.
Definire romanzo il testo di Luigi Saccomanno è un’audacia. E anche ipotizzare una “prosa poetica” diventa anacronia. Si tratta piuttosto di un diario fluido, una registrazione completamente filtrata dall’interiorità del narratore, di una storia viva, vegeta, pulsante ma che mantiene i tratti di una visione onirica, di un viaggio in profondità nella coscienza scoperta e dolorante dei due personaggi principali, lui e lei. Entrambi poco umani e poco reali ma molto simbolici, portatori di valori che sono ben più profondi e consistenti.
Forte e severa la polemica con quegli scrittori che si tradiscono per vendere, che inficiano sé stessi e le loro opere per una firma su un contratto, per la vanità di avere pile di volumi all’entrata delle librerie e file ininterrotte di ragazze a chiederne incostanti un autografo. E nella società letteraria del nostro tempo ne potremmo individuare molti; impuniti. Lo scrittore compie un percorso di dolorosa ma necessaria catarsi: la violenza della separazione, la presunta colpa di una morte, la delusione professionale sono tutti moventi che lo porteranno, a distanza di anni, in un calendario quasi sacrale, a compiere il gesto di supremo annientamento, costringendosi e obbligandosi nella condizione più utile e irrinunciabile per il pensiero; e per cominciare quel serio percorso di teorizzazione che comunque sarà sempre mancante di qualche elemento, di qualche dettaglio. Le colpe che lo scrittore si attribuisce sono inflessibili, le tecniche svelate, i dolori denunciati; i trucchi, in definitiva, svelati, come se si trattasse di uno scarso prestigiatore, di un illusionista sfiancato e stanco. Ma, in realtà, il fatto stesso di scrivere è già un trucco che ne prevede altri, senza mai arrivare a un disvelamento completo e totale.

La vicenda narrata nel romanzo diventa un vero e proprio espediente narrativo. Le figure che compaiono, poche, pochissime, sono dei vettori, degli acceleranti per le ultime pagine del romanzo, quelle dove più che in altri luoghi si riflette e si teorizza su chi (e cosa) sia realmente e concretamente uno scrittore. Domande alle quali, come si evince anche dall’opera di Saccomanno, non è per nulla facile rispondere.