Si ride e sorride con le “Vite degli uomini illustri”

Giulio Gasperini
AOSTA – Con la Storia si può pure scherzare, e anche con la suprema arte della biografie, che già dai tempi degli antichi greci e romani ricevette una codificazione e una regolamentazione abbastanza rigida e articolata. Tanto che proprio il modello di Cornelio Nepote, con le sue “Vite degli eccellenti capitani”, è preso di mira da Achille Campanile. Il suo “Vite degli uomini illustri” (Rizzoli, 1975) è una grottesca galleria nella quale il celebre umorista inficia e stravolge tutti i più famosi aneddoti e gli episodi che hanno oramai perso il valore storico e son diventati leggenda. Si comincia da Palamede, eroe del ciclo troiano, che pare aver inventato tutto, anche la grattacacio, per proseguire con la vita di Socrate e la passione di Archimede nel sollevare il mondo.
Non si tratta di mancanza di rispetto: l’umorismo è un’arte ben più raffinata e frizzante. È l’arte che utilizza il sorriso – non il riso a bocca spiegata – per evidenziare i meccanismi puntuali dell’umanità, per colmare i vuoti inspiegabili della comprensione umana. Come nella storia di “Quel generale romano” che, come padre abbracciò il figlio trasgressore ma vincitore, ma che come capo dell’esercito lo condannò a morte. Achille Campanile sottolinea anche le fisime e le manie che una certa letteratura scolastica e una storia distratta ci hanno consegnato: così Alessandro Manzoni diventa uno scrittore attento al minimo dettaglio e all’informazione più insignificante soltanto perché così rimarrà ai posteri; e si gettano inquietanti ombre sulla vera carriera di Casanova come amatore e come scrittori di una molta ingentissima di libri e libercoli: “Uno che traduce l’Iliade in versi non ha tempo di disonorare due o tremila fra giovinette, anziane, vecchie e madri badesse!”. E poi c’è la patata, che ha tra i suoi grandi promotori niente meno che il Re di Francia, Luigi XVI, e Volta, l’inventore della patata.

Ma la narrazione delle pecche e la dissacrazione delle storie da manuale contempla persino un attacco al presente, perché ogni maschera, ogni ritratto di questa grottesca galleria, diventa exemplum, scontorna i suoi limiti e si confluisce nel giudizio sull’adesso: “Poiché ho accennato al fatto – raccontando la storia di Alfred de Musset e del caffellatte – che il cappuccino è scarso di solito, debbo aggiungere che questo difetto si fa notare anche di più nel semplice caffè. Ormai siamo proprio a un sorso. Una goccia di caffeina. Meno forte, signori, e un po’ più abbondante!”.
C’è anche spazio per un completo stravolgimento, pur sempre ironico, della Storia: ne “La scoperta dell’America”, infatti, le parti sono completamente invertite. Cristoforo Colombo è il nome che si inventa un giovane scienziato inca approdato in Europa. Come a dire che la civilizzazione delle Americhe non arrivò con l’invasione del Vecchio Continente; e che la Storia, con la S maiuscola, è tutta una questione di prospettive.