Voci oltre e altre cose storte: suoni e parole

Voci oltre e altre cose storteGiulio Gasperini
AOSTA – Immergersi nella poesia di Fernanda Ferraresso è un’occasione imperdibile. Per quella successione di suoni, richiami, echi che le parole scelte riescono a produrre, trasportandoti in un ambiente che si scontorna senza confini certi e sicuri. Voci oltre e altre cose storte, edito nel 2015 da Terra d’ulivi edizioni nella collana rime&rami, è una raccolta corposa e complessa di liriche, che accompagna il lettore in un viaggio multiforme e vario, dalle tante declinazioni e diramazioni.
Come il titolo stesso suggerisce, l’attenzione è subito catturata dal gioco di significati e significanti che si squaderna nelle liriche. Questo gioco ritmico e fonico dà forma a una sostanza molteplice, che comprende principalmente tematiche sociali (“e in molti posti / dove abbattono gli alberi per lasciarci più poveri”) varie. La parola viene presentata “senza una veste / ovvero / nudismo della parola”: “costruire parole senza accorgersi / che dentro e intorno esplodono / non sono muri o case le parole”. Parola che spesso è anche difficile, faticosa da ritrovare, disagevole nella ricerca e nella rappresentazione di una fisica tutta creata e teorizzata in poesia: “dentro i cinque sensi rivòltati / contro la mia testarda intolleranza di perderti / frantuma i miei cieli i miei gesti corruttibili / inventati un silenzio che mi accerchi e dilaghi / dentro e oltre di me cancella la gravità che ci costringe / disegna distanze che si nutrano d’infinito”.
La poesia è un dialogo, con un immaginario “tu” che in ogni occorrenza assume un valore diverso, profondo, una ricerca costante, un volto sempre nuovo e diverso: “lascia che prendano spazio / tutto quello che è in te così che poi / sulla linea principale della mano / quella che corre da nord a sud il nostro mistero comune / ci sia un luogo / uno dove vivere entrambi”. Il desiderio sottaciuto è quello di riuscire a costruire stimolanti altrove, luoghi lontani dall’attualità dove si riesca a far nascere e crescere qualche seme buono: “e una corrente ci porta lontano lontano lontano / dove abitiamo tutti e tutti ci riconosciamo solo toccandoci / solo dandoci una mano”. Ma il “tu”, spesso, diventa anche “altro-io” con cui relazionarsi e confrontarsi, colmando mancanze e ridonando significati profondi: “mi manco sempre un poco / mi manca sempre un poco di quell’altra me”.
C’è anche una continua ricerca nel sé stesso più intimo e profondo; una ricerca che alla poesia e alla sua parola deve molto perché arma indispensabile per tracciare una rotta sicura, anche nella condizione della più assoluta solitudine: “così a lungo un deserto che ho misurato in me / in cui sono andata sempre / sola e solo per andare avanti”.
La narrazione di questa lunga avventura poetica parte da un’origine, potente e feroce, che è quella geografica dell’Africa: “annuso ancora l’aria e / calda violenta / mi riporta l’africa / da cui nasco”. Da lì, un cammino, lungo e faticoso (“otto grani di miglio / otto grani per segnare migliaia di impronte / lasciate sulle strade che ho percorso e / s’intrecciano si biforcano si tagliano e / dentro ci sono / case animali ci sono persone suoni”), che fa rendere l’uomo cosciente di sé e delle sue potenzialità infinite, oltre che delle sue esperienze intense e imprescindibili: “quello che ognuno porta in sé raccolto da storie perdute / anche se non valuta la propria vita in semi da un altrove”.