Direttore. Per gli amici: il direttore di ChrL. Pugliese del nord, si trasferisce a Roma per seguire i libri e qui rimane occupandosi di organizzazione di eventi e giornalismo declinato in modo culturale e in salsa enogastronomica. Fugge, poi, nella Food Valley dove continua a rincorrere le sue passioni. Per ChrL legge tutto ma, come qualcuno disse: "alle volte soffre un po' di razzismo culturale" perché ama in modo spasmodico il Neorealismo italiano e i libri per ragazzi. Nel 2005 fonda la rubrica di Letteratura di Chronica.it , una "vetrina critica" per la piccola e media editoria. Dopo questa esperienza e il buon successo ottenuto, il 10 novembre 2010 nasce ChronicaLibri, un giornale vero e proprio tutto dedicato ai libri e alle letterature, con occhio particolare all'editoria indipendente. Uno spazio libero da vincoli modaioli, politici e pubblicitari. www.giuliasiena.com

VerbErrando: Soli mai più

Veruska Armonioso
ROMA
– Ho errato per un po’. Del resto, era proprio questo il mio scopo in questo giornale, errare e, intanto, produrre parole. Solo che nel mio errare, nelle ultime settimane, non ho prodotto più niente.
Mi sono accorta che mi mancava lo scrivere solo cinque minuti fa. Stavo rispondendo a una lettera elettronica di una mia amica e le parlavo di ovvietà stampo anziana di paese, ossia di quanto fosse bello essere sani, vivi, felici e di quanto fossi disposta a rischiare tutto pur di avere la felicità. Si parlava di immobilità, emotive, geografiche. Di persone non disposte a muoversi per prendersi un lavoro, una casa, una vita, un amore. E si parlava anche di persone che, invece, fanno passi, vanno avanti e, intanto, costruiscono loro stesse.
Costruire è un tema che tratto spesso qui, il fatto è che ho passato tutta la mia vita a costruire… per me, per me con altri, per poi scoprirmi sola.
Un’altra amica, una giornata diversa: ieri.
Entrambe occupate a maneggiare una tazza di tè e lei mi dice: “E’ un problema non avere paura, in questo modo non si può condividere niente di duraturo con chi ne ha, è troppo difficile metterla in pratica la condivisione, pur volendola fortemente”.
“La paura che paralizza è la vera carogna. Dove c’è paura non ci può essere tutto il resto, non ci può essere struttura” le rispondo salomonica.
“Allora è un problema avere struttura, in questo modo non si può condividere niente con chi non ne ha.”
Ci sono persone pietrificate dalla paura; ricolme di convinzioni limitanti, di voci diaboliche e autodistruttive, non vedono niente con chiarezza. A volte non vedono niente di niente. Un aerosol di incertezze e caos che gli entra dalla bocca e dalle orecchie, per poi toccare gli organi interni e arrivare al cervello. Lì, dove risiede la ragione e l’emozione, tutto si avvolge di una nebulosa.
Poi arriva un tardo pomeriggio di primavera, la vita si riattiva, gli ormoni sono in pentola quasi pronti per l’ebollizione e basta un attimo, un incontro fortunato, e tutto sembra più chiaro.
La forza del primo sguardo, del primo sorriso, della prima stretta di mano. La forza della curiosità verso l’ignoto e la voglia di conoscere, svelare, avere ben presente che ti fa tornare giovane…

“Ero giovane, e la sincerità mi era abbastanza facile. […]
<Non è bene avere troppa fretta> disse il maestro.
<Penso di essermi già calmato> […]
<Tu sei pieno di entusiasmo. Quando l’entusiasmo si spegne, si rimane disgustati. La tua presente opinione su di me mi amareggia, ma ancora di più mi angustia il cambiamento che avverrà in te con la disillusione>.
<Mi reputa così volubile? Le do così poco affidamento?>
[…]
<Non è che non mi fidi di te in particolare. Non mi fido degli uomini in generale.>
[…]
< Allora non ha fiducia nemmeno in sua moglie?>
< Non ho fiducia nemmeno in me stesso. E dal momento che non posso credere in me, non posso crede nemmeno negli altri. E non posso far altro che maledire me stesso>.
<Se la prende così seriamente, non potrà fidarsi mai di nessuno.>
<Non si tratta soltanto di un mio pensiero. Io ho dato la mia fiducia e, dopo averlo fatto, mi sono spaventato. Mi sono tremendamente spaventato[…] Comunque non devi darmi troppo retta, perché potresti venire tradito, e in questo caso ti vendicheresti crudelmente dell’inganno>.
<Maestro, che cosa intende dire?>
<Se oggi si sta in ginocchio davanti a una persona, domani le si potranno mettere i piedi in testa. Rifiuto l’ammirazione di oggi per evitare le ingiurie del futuro. Preferisco sopportare la solitudine adesso, piuttosto che trovarmi ancora più solo negli anni a venire. Vedi, la solitudine è il prezzo che noi dobbiamo pagare per essere nati in questa epoca moderna, così piena di libertà, indipendenza, ed egoistica affermazione individuale>.”

Non ho paura di dire che la solitudine è ineludibile. Ho avuto paura per lungo tempo di restare da sola. Avevo paura di non poter avere calore per me, un abbraccio, una voce che mi chiamasse “amore”. Chiedevo tutto questo come l’ultima sigaretta per un condannato a morte. Temevo la morte. Abbracciavo la morte nella mia vita, seppur non accettandola. La accoglievo tutti i giorni.
Sono stati gli anni più bui della mia esistenza, la mia vita senza me. Ero presente per chiunque altro eccetto me, giusto per giustificare la mia esistenza.

“Benché avessi stabilito di vivere come se fossi morto, a volte il mio cuore rispondeva al movimento del mondo esterno, e sembrava quasi danzare con energia repressa. Ma non appena io tentavo di farmi strada attraverso la nube che mi circondava, una forza dotata di uno spaventoso potere mi si avventava addosso, non so da dove, e mi serrava il cuore; io arrivavo al punto da non potermi più muovere. Una voce mi diceva <Hai ragiona e non fare nulla. Resta dove sei>. E ogni desiderio di azione mi abbandonava di colpo. Dopo un attimo, il desiderio ritornava. E io tentavo ancora una volta di farmi strada, poi di nuovo venivo frenato. E urlavo, con furia e dolore < Perché mi fermi?> Con una risata crudele, la voce mi rispondeva <Lo sai molto bene>. Allora capitolavo in una resa senza speranza.
Ti prego di credere che, benché tu possa avere avuto l’impressione che io abbia condotto una vita monotona e senza complicazioni, in me si è sempre svolta una penosa lotta senza soste. […] Quando infine mi fu evidente che non potevo rimanere più a lungo in quella prigione, e che non ne potevo evadere, fui spinto a concludere che il gesto più facile, per me, fosse il suicidio. Potresti chiederti come mai arrivassi a quella conclusione. Ecco… il fatto è che quella terribile forza strana che mi afferrava al cuore ogni volta che pensavo alla mia fuga dentro la vita, mi lasciava almeno l’illusione che io fossi libero di trovare una via d’uscita dentro la morte. Se proprio volevo muovermi, potevo farlo soltanto verso la mia fine. In due o tre occasioni tentai di seguire questo unico corso che il destino mi lasciava aperto. Ma ogni volta venni trattenuto dal sentimento che mi univa a mia moglie. Inutile dirti che non avevo il coraggio di trascinarla con me. Né potevo confessarle ogni cosa. Come potevo derubarla della vita che le era stata assegnata, e forzarla a condividere il mio personale destino? Perciò esitai. In seguito, osservando mia moglie, mi dicevo che avevo fatto bene a esitare. E riprendevo a vivere, privo di speranze, avvertendo gli occhi di mia moglie puntati su di me.”

Ho combattuto contro draghi a mani nude, e attraversato il fuoco, e camminato a piedi nudi sopra il ghiaccio in questi ultimi mesi, per arrivare qui, oggi, ventinove ottobre duemiladodici, a dire che non ho paura più.
Non ho paura più di quelle voci. Le manderò a fanculo ogni volta che mi diranno “lascia la presa, vieni via con me” e mi girerò dall’altra parte, alla mia destra, verso chi mi ama, verso chi mi dice “stai con me”, verso chi mi dice “voglio che sorridi”, verso chi mi apre le braccia, verso chi mi sorride.
Penso che i nostri tempi moderni, questi giorni di grandi e pesanti gravi, necessitino di una rete affettiva fitta ed elastica. Da soli siamo persi. Restare da soli, dare retta a quella voce che ci dice che “la solitudine è un prezzo da pagare” vuol dire serrare la strada alla felicità.
Io accetto, oggi, di essere la prima alleata di me stessa. Ma sola, da sola, mai più.

Brani estratti da “Il cuore delle cose” di Natsume Sōseki – ed. Neri Pozza

 

 

Sassi Junior, i libri dal cuore verde

ROMA – Dalla casa editrice Sassi Junior nasce Nina e Nello e la natura, la prima collana biologica interamente dedicata ai bambini, stampata con inchiostri ecologici su carta certificata. Nina e Nello sono due bambini curiosi e osservatori che, attraverso le loro avventure, avvicinano i giovani lettori alle leggi della natura o, più semplicemente, li invitano a rispettarla ed amarla.

Dalla penna di Laura Novello e Matteo Gaule arriva in libreria “Evviva il riciclo!”; in questa avventura, i due protagonisti vogliono scoprire dove vanno a finire i rifiuti e se si possono far sparire con la magia. Arriverà in soccorso di Nina e Nello una fatinao… Alla fine, una scheda di approfondimento e un gioco-test.

Una raccolta per stimolare i bambini ad amare la natura e a sapere tutto sulla raccolta differenziata.

“L’amazzone di Alessandro Magno”

ROMA – Bianca Pitzorno torna in libreria con le sue storie per raccontarci “L’amazzone di Alessandro Magno” (pubblicato in questi giorni da Mondadori). Mírtale è una bambina diversa dalle altre, una trovatella allevata per l’interessamento di Alessandro Magno, il capo supremo della spedizione che marcia alla conquista dell’Asia. C’è un mistero nel suo passato, che solo il re e i suoi amici più stretti conoscono. E l’educazione che le viene impartita, con grande scandalo del filosofo Callístene e di tutte le persone sensate, è identica a quella dei ragazzi-maschi di nobile famiglia. Poi c’è il fatto davvero straordinario che Bucèfalo, che non si lascia toccare da nessuno se non da Alessandro, non solo accetta le carezze di Mírtale, ma persino che la bambina gli monti in groppa.

Prefazione di Grazia Nidasio. Età di lettura: da 11 anni.

La magia nelle pagine di Mario Sala Gallini

ROMA – I Primi sassolini, la collana dedicata da Mondadori ragazzi ai lettori da 0 a più anni, porta in libreria due fantastiche avventure nate dalla penna di Mario Sala Gallini. L’autore, classe 1959, scrive e traduce libri per ragazzi e ora torna in libreria con La magia di Caterina.”Potere del ghiaccio, su questa panchina, io ti trasformo da mamma in bambina! ” recita Caterina puntando la bacchetta verso la mamma.Cosa succede se la mamma gioca a essere una bambina e Caterina gioca a essere sua mamma, come per magia? È molto buffo fare raccomandazioni alla mamma, tenerla in braccio in autobus… ma come fa Caterina a resistere ai giocattoli che l’aspettano a casa?
Invece, nel volume Esperimenti e magie la nuova vicina di casa di Beatrice è una strega! Bisogna correre ai ripari, ma per far funzionare il piano segreto antistrega escogitato insieme al maestro Beniamino, c’è bisogno di un coraggioso che si intrufoli nella grotta.C’è qualche volontario? Sì, qualcuno ci sarebbe… ma sarà la persona giusta per una missione così delicata?

Logos Festa della Parola, week end con la parola Terra

ROMA – Parte la seconda edizione di Logos – Festa della Parola in programma a Roma dall’11 al 14 ottobre. Per quattro giorni l’ex Snia, Parco delle Energie (via Prenestina 173-175) sarà la cornice di presentazioni di libri, messe in scena, cinema, musica, reading, installazioni e mostre, seminari e incontri. La seconda edizione di Logos si prepara a interpretare la parola Terra.
In apertura, giovedì 11, Letteratura&Conflitto, un incontro in cui, interpreti, autori e autrici si confrontano sul palco tra reading e socialità e a seguire il concerto delle band romane Banda Jorona e Muro del Canto, da sempre dedite al folk in romanesco.
Previsti per sabato 13 l’incontro dal titolo Dallo Sputnik al Bosone di Higgs, e gli interventi dell’astrofisica Margherita Hack e dell’astronauta Umberto Guidoni, appuntamento aperto alle scuole superiori. Alessandro Portelli, Piero Bevilacqua, Nicoletta Poidimani, sono solo alcuni degli altri nomi che porteranno il proprio contributo a discorsi su colonialismo e neocolonialismo, landgrabbing, l’erosione di territorio e la speculazione, il cibo, le migrazioni e il meticciato, il surriscaldamento del pianeta e il saccheggio delle risorse, fino alle ultime scoperte scientifiche che inducono anche profonde riflessioni su uomo, natura, dio.

Tra gli incontri da segnalare, il ciclo a cura della Scuola Popolare Pigneto-Prenestino e l’Università delle Lingue, che si apre simbolicamente nei locali della scuola Pisacane con la preziosa partecipazione di Enzo Caffarelli, direttore della Rivista italiana di Onomastica, alle prese con l’appello delle classi del quartiere, un ideale caleidoscopio di cognomi da tutto il mondo. Il ciclo continua alla Snia con Luca Serianni, linguista e filologo dell’Accademia dei Lincei, le scrittrici Igiaba Scego e Elvira Mujcic, tra discorsi su contaminazioni linguistiche, convivenza nei quartieri popolari e la costruzione del nuovo italiano.
Le serate musicali, oltre al già citato momento di folk romanesco, vedranno avvicendarsi Paolo Innarella Flute Project e a seguire Dj set Luzy L, e per il sabato interessanti sonorità dall’est e dal sud con Serhat Akbal (saz/violino – Kurdistan), Sandro Joyeux (afrobeat/folk/reggae), Precharija Orkestar (balcan music) e a seguire balcan Dj set con Gadjo D’Rome da Radio Sonar.
A Logos grandi anteprime cinematografiche: la trilogia del Cinema Corsaro, quest’anno in concorso a Venezia: Gli Intrepidi di Giovanni Cioni, Iolanda, tra bimba e corsara di Tonino De Bernardi e Carmela, salvata dai filibustieri di Giovanni Maderna e Mauro Santini, l’esclusiva proiezione di Mare Chiuso di Andrea Segre e Stefano Liberti, non ultimo La Madre di Jean-Marie Straub. Il prezioso contibuto del Festival delle Terre e del Festival del Cinema Kurdo completano la ricca programmazione.
Per il teatro spicca Alessandro Langiu che presenta Venticinquemila granelli di sabbia, teatro di narrazione pluripremiato. Grande programma per i più piccoli con le narrazioni L’Orecchio Verde di Gianni Rodari, un omaggio ecologista allo scrittore dedicato a grandi e piccoli/e e FaRe Mi FaVolare del Teatro dei Dis-Occupati, favole dal terzo mondo. Per i più piccoli, inoltre, workshop, laboratori e percorsi di gioco organizzati dalla LudOfficina Mompracem.
Una rete di associazioni e realtà da tutta Italia e non solo, che agiscono sui temi della lotta per la terra, della sovranità alimentare, contro lo sfruttamento bracciantile e per il consumo critico, diventerà poi animatrice del ciclo Riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l’abbondanza, con momenti di confronto, di studio, di divulgazione e di condivisione di pratiche e saperi con la partecipazione di Antonio Onorati, Stefano Liberti e Antonello Mangano e una delegazione dei movimenti di lotta per la terra dall’Andalusia.
Il collettivo fotografico OcchiRossi, proporrà un incontro che coinvolgerà fotografi/e, tra cui il collettivo Terraproject, con progetti a tema, ed è da segnalare anche la performance-colloquio organizzata dal gruppo Stalker Walking School con gli urbanisti Paolo Berdini, Vezio de Lucia, la giornalista Ella Baffoni, la scrittrice Carola Susani, un momento di azione e riflessione sulla città di Roma, tra passato, presente e futuro.
Un ecosportello di bioarchitettura sarà a disposizione per fornire consigli a chi voglia ristrutturare la propria abitazione in chiave ecosostenibile.

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“10 ottimi motivi per non cominciare una dieta”

Giulia Siena
ROMA
–  “Nell’antica medicina greca la dieta era il complesso delle norme di vita (alimentazione, attività fisica, riposo, ecc.) atte a mantenere lo stato di salute. Martina Liverani invita a un percorso che riparte da qui” afferma Cristina Sivieri Tagliabue nella prefazione del libro e proprio da qui, dal legame tra alimentazione e benessere, che la Livarani parte per stilare il suo decalogo. Martina Liverani non è una nutrizionista e non è un medico, è l’autrice di “10 ottimi motivi per non cominciare una dieta”, il libro pubblicato nella collana Dieci della Laurana Editore. La Liverani è una donna e, come tale, viene bombardata da giornali, tv, web, chiacchierate lavorative e confidenziali dove la tematica è sempre la stessa: la dieta.
Argomento antico che pare non subire il logorìo del tempo, la dieta è la fissazione delle donne, di molti uomini e di troppi adolescenti. Arriviamo a parlare di dieta perché ci sentiamo inadeguati: troppo gonfi, troppo grassi o troppo diversi dalle pubblicità, dalle taglie standard dei negozi o dall’ideale condiviso di bellezza. Parliamo di diete e non parliamo di noi; tendiamo, così, a trascurarci e ad annullare la nostra felicità in costrizioni del tutto innaturali. Innaturali perché, come precisa l’autrice, le diete non funzianano. Se le diete funzionassero saremmo tutti magri e felici. E poi, diciamocelo, se le diete funzionassero non ci sarebbe bisogno del plurale, ci sarebbe bisogno di una sola dieta; non quella di un “santone” francese o di un “luminare” australiano, la dieta della star hollywoodiana o della principessa d’Inghilterra. Conoscendo più a fondo il mondo delle diete-business potremmo mangiare qualsiasi cosa senza ricorrere agli alimenti light (stranamente prodotti dalle stesse multinazionali che ci propinano altre cose per ingrassare) o ai bibitoni incolori o ad altre e strane tendenze sempre in voga.

“Spesso noi donne seguiamo una dieta senza che ciò sia dettato da esigenze di salute, ma unicamente per ragioni estetiche. Siamo tutte ossessionate da un ideale estetico e sociale che ci impone un unico modello: essere magre, avere un corpo asciutto e sodo, senza un filo di cellulite, persempregiovane. Per questo motivo ci impegniamo come forsennate ponendo nelle diete un’abnegazione totale, perché dimagrire è, per noi, non solo una perdita di peso, ma un modo per affermare noi stesse e uno status sociale: dobbiamo essere magre, o almeno desiderare di diventarlo”.

“La (vera!) storia dell’arte”, tutto quello che gli altri libri non vedono

Giulia Siena
ROMA
– Chi l’avrebbe mai detto che le opere dei più grandi maestri di tutti i secoli potessero essere frutto di scenette umoristiche o di divertenti imprevisti? L’umorismo, quindi, è la chiave di lettura dell’arte, per grandi e bambini. Questa è l’idea sulla quale si basa “La (vera!) storia dell’arte”, il libro di Alexis Lemoine, Sylvain Coissard e Roberto Piumini pubblicato dalle Edizioni Sonda. Circa venti dei grandi capolavori artistici di tutti i tempi vengono fedelmente riprodotti e trasformati in sequenze di fumetti che ne raccontano le fasi di produzione. L’Urlo di Much, La Gioconda di Leonardo, le Teste composte di Giuseppe Arcimboldo o la Camera da letto di  Van Gogh sono presentate come il risultato finale di scenette umoristiche.

La ragazza de L’assenzio di Degas ha uno sguardo così triste, così perso e rassegnato, sarà forse colpa del troppo champagne che ha bevuto? La Colazione dei canottieri di Renoir è così affollata; sarà per una maxi offerta che prevede l’happy hour in terrazza a un prezzo stracciato?

Le coinvolgenti rime di Roberto Piumini – alle volte anche un po’ troppo complesse per il giovane lettore – descrivono la genialità delle immagini e, soprattutto, la grande arguzia di chi quelle opere d’arte le ha volute vedere da una nuova prospettiva. Infatti, la genialità di questo libro sta proprio nel voler vedere oltre, nel soffermarsi su qualcosa di diverso e pensare in modo divertente a come potrebbero spiegarsi tanti e tali capolavori.
Tanto umorismo senza dimenticare il genio degli artisti e delle loro correnti.

 

Fresco di stampa: “Cartellino rosso all’inquinamento”

ROMA – Dalla penna del giornalista sportivo Luigi Garlando è nata una nuova serie. Dopo “Gol”, da qualche mese è in libreria per Piemme Junior – Battello a Vapore – anche “Ciponews”, le avventure di una giovane redazione. Nel quartiere Ortica di Milano c’è una grande novità: le Cipolline al gran completo hanno fondato un giornale tutto loro, il Ciponews. Il mensile è formato da quattro pagine, due dedicate ai fatti di cronaca, una allo sport e una al gossip. Tutti i ragazzi, guidati dal direttore Lino, sono alle prese ogni giorno con nuove avventure. Tra queste, c’è “Cartellino rosso all’inquinamento”, il libro fresco di stampa nel quale i ragazzi della redazione si batteranno per salvare il fiume Lambro dalle minacce di un uomo senza scrupoli. Riusciranno Lino e i suoi amici a metterlo fuori gioco? Tra inseguimenti e colpi di scena, i giornalisti saranno al centro di un’inchiesta davvero esplosiva, ma dovranno fare attenzione a un misterioso ladro di notizie.

In Sardegna torna Tuttestorie Festival di Letteratura per Ragazzi

CAGLIARI – Una settimana di letture, racconti e dialoghi. Una settimana in cui scrittori, giornalisti, ragazzi e insegnanti si confrontano sui libri e sulle loro tematiche. Questo è Tuttestorie Festival di Letteratura per Ragazzi, arrivato alla sua VII edizione e in programma dal 4 al 10 ottobre a Cagliari e dintorni.
Il Festival quest’anno avrà una tematica dalle tante sfaccettature: l’Incomprensibile. Per queste strade camminerà il nuovo Festival Tuttestorie, dall’Incomprensibile del potere, per quello del dolore fino a quello del piacere, con passo lieve e spavaldo da Tonti Magnifici, invitando il suo pubblico a lasciar fuori dall’Exmà la sterile bigia boria degli Intelligenti.Da lì saranno libri misteriosi, che gli autori cercheranno, invano o non del tutto, di spiegare. Oppure libri chiari ed evidenti, che si dovrà allora usare come mappe per svelarne l’Incomprensibile nascosto. Saranno figure che sembrano una cosa ma sono un’altra, e illustratori che le trasformano in un’altra ancora. Saranno giochi di ribaltamento, dove i bambini brandiscono l’Incomprensibile come arma di rivalsa sugli adulti, che per esempio sono tonti digitali. Saranno rebus e puzzle, oracoli oscuri, enigmi celebri della storia e privati degli spettatori, risolti o proclamati eterni misteri. E un Re dei Tonti, gran Superesperto di Niente, governerà elargendo premi e redenzioni.

Emanuela Nava, Marino Sinibaldi, Carlo Carzan e Chiara Carminati saranno solo alcuni dei tanti ospiti protagonisti di questa bellissima manifestazione.

Leggi qui il programma completo.

VerbErrando: Il bisogno di amare

Veruska Armonioso
ROMA
– La biologia non mente, è questo quello che si dice. Che il sangue inneschi un legame, unico e indissolubile, tra le persone. Che si può rinnegare con la testa, ma il nostro istinto ci porterà sempre a provare emozioni verso qualcuno che ci appartiene per corredo genetico. Un fratello, ad esempio, che ci fa soffrire, che ci tradisce, che usurpa la sacralità della carica famigliare, resta sempre una persona verso cui provare sentimenti è inevitabile, che siano essi amore, rabbia o perdono. Lo stesso per un genitore che ci fa del male, che ci abbandona o che se ne va. Per lui, in verità, in profondità e nel segreto della nostra intimità, continueremo a nutrire emozioni. Si prova, dunque, comunque amore. Si prova comunque amore se c’è di mezzo una eredità trans generazionale a dettare le regole e il sangue in comune a confondere le scelte. Prendiamo una madre, ad esempio. Una madre come quella di Virginia Woolf che per struggente senso di mancanza decise di far rivivere nelle pagine del suo capolavoro Gita al Faro. Una madre che incita i propri figli a sognare, a sperare nonostante tutto, ad attendere il domani con costruttiva impazienza:

“ <Sì, certo, se domani sarà bello>, disse la signora Ramsay <Ma ti dovrai alzare al canto del gallo>, soggiunse. Le sue parole suscitarono una gioia immensa nel figlioletto, come fosse ormai sicuro che la spedizione avrebbe avuto luogo, e l’avvenimento meraviglioso che gli sembrava d’aver atteso con ansia da anni e anni fosse ormai, dopo una notte di buio e una giornata di navigazione, a portata di mano[…]<Comunque>, disse il padre, arrestandosi davanti alla finestra del salotto, <non sarà bello.> Se James avesse avuto a portata di mano un’accetta, un attizzatoio, o un’arma qualsiasi con cui squarciare il petto al padre e ucciderlo, là su due piedi, l’avrebbe immediatamente afferrata. […]<Ma può darsi che faccia bel tempo; secondo me farà bel tempo.>”

Prendiamo allora questa madre, e facciamo conto che suo figlio, un operaio socialista appena ventenne, che usa la sua casa come quartier generale per riunioni politiche venga imprigionato, che cosa fa? Ce lo racconta uno straordinario Maksim Gor’ki in “La madre” (Мать), romanzo in cui la madre si eleva a madre in senso assoluto, sia sposando la passione del figlio e facendola propria (sarà lei a continuare la campagna di propaganda fino a quando non verrà uccisa) sia diventando la madre di tutti i compagni del figlio. La madre, dunque. Non sua madre o una madre, ma “la madre”, in quanto madre di tutti poiché madre di uno. La madre come assunzione di ruolo in senso assoluto piuttosto che compito o responsabilità verso un unico individuo. Può una donna, una volta divenuta madre, essere madre anche di un figlio non suo? L’estremizzazione ce la regala KimKi Duk nel suo ultimo film Pietà, Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia di quest’anno. Una donna che ha visto suo figlio perdere la vita per mano della crudeltà gratuita di un suo coetaneo e che, nell’attuazione della sua vendetta verso il carnefice che, per esigenze strategiche aveva cominciato a trattare come un figlio, è capace di provare pietà per lui, al punto tale di rischiare di mandare tutto all’aria, proprio nella fase finale, per pietà.

 

Si prova amore anche al di là della biologia. Si può provare quell’amore puro e irrinunciabile che sposta equilibri, opinioni, abitudini, scelte, orientamenti. Si può provare un amore così trascendentale seppure privo di un patrimonio genetico da spartire. Ci si innamora, ad esempio, e ci si sposa. Ci si sceglie e si decide di impostare tutta la propria vita intorno allo stare insieme a un “estraneo” che diventa, per affinità elettiva o per scelta, la nostra famiglia. Di catena trattasi. Una catena composta da anelli, alcuni fatti della stessa materia, altri fatti di materia diversa. Ma senza quegli anelli, quelli di materia diversa, non ci sarebbero quelli uguali, quelli della stessa materia. La diversità, l’estraneità come occasione per creare nuovi legami, legami più solidi, che diano varietà e rafforzino l’altra metà di noi, quella opposta all’istinto animale che ci fa amare per similitudine. Quella della ragione, del lavoro, dell’amore non come punto di partenza, ma come punto di arrivo e incentivo per vivere e costruire.  Così, se si può amare un’altra persona e sceglierla come compagno della vita, se questo è vero e possibile, è vero e possibile anche amare un’altra persona e sceglierla come figlio. Le adozioni ne sono l’esempio lampante e, del resto, il segno più grande di vera emancipazione emotiva; sempre più spesso la famiglia è quella che ci costruiamo, che scegliamo con cura e attenzione, per noi. Succede quando la natura ci nega la possibilità di essere animali. Cinico? Ma è così. Quando la natura non ci fa riprodurre, ecco che costruiamo un legame genitore-figlio con una persona estranea a noi. Quando la natura ci toglie un genitore, ecco che costruiamo legami genitore-figlio con persone estranee. E così, se a quindici anni la tua famiglia è composta da sorella, fratello, madre e padre, vent’anni dopo non è escluso che tua madre non ci sia più, tuo padre nemmeno, tuo fratello si sia perso e tua sorella sia lontana. E’ allora che la famiglia di salvataggio arriva. E’ allora che si impara ad amare al di là della biologia. E’ indiscussa, quindi, la possibilità di un amore accorato verso un estraneo e l’assegnazione di ruoli famigliari importanti. La domanda, strisciante e maliziosa, però, resta: come sarà questo amore? Sarà davvero uguale a quello verso un con-sanguigno? Oppure possiederà delle condizioni? Per amare una persona “come se fosse della propria famiglia” basta scegliere di farlo?Per amare un bambino “come se fosse figlio proprio” basta scegliere di farlo? La luce sugli oceani di Stedman, romanzo rivelazione del 2012 edito da Garzanti, ci dà l’occasione per capirlo, raccontandocelo con una grazia e una delicatezza quasi ottocentesca. A metà tra un racconto di Fitzgerald e della Woolf, la Stedman tocca tutti gli aspetti della psiche umana sottoposta alla perdita e lo fa con una delicatezza e, al tempo stesso, un realismo cinematografico. Ci dà indietro temi come il furto, la rivendicazione, la follia per la perdita, il dolore per il tradimento, la compassione, la giustizia. In un romanzo dove non ci sono vincitori né vinti, ma solo vittime e dove la natura è madre e matrigna al tempo stesso. Perché la vita vera è così, da una parte ti dà, con tutta l’energia e la generosità di cui è capace, e dall’altra ti toglie, con la crudeltà che si riserva solo a un nemico.

Qual è, allora il punto? Si può amare qualcuno “come se fosse”?
Il bisogno è la risposa.
Per quanto mi riguarda è così. Ché amare è sempre amare e l’unico sentimento vero è quello rintracciabile “nelle pieghe della mente” come scrive Barbara Ottaviani in Acquasanta. Il bisogno muove le nostre scelte e quello che si sceglie e si pratica con dedizione è ciò che durerà per sempre.
Individuare i propri bisogni è la base.
Scegliere di amare, chi amare e come farlo, è l’obiettivo.
Sentirsi liberi di farlo è il privilegio.
Trovare qualcuno disposto a lasciarsi amare è il dono.