Innamorata dei libri da sempre, ne ha fatto oggetto di studio. Ama il Medioevo e Federico II di Svevia e per fame di shopping ha svolto mille lavori orrendi. Ha scritto e condotto con Giuseppe di Chiera il programma radiofonico "Pandora e Senofonte" sull'emittente romana RM12. Il suo punto debole sono il gossip storico e le storie d'amore. Conosce un mucchio di poesie tristi a memoria con le quali adora ammorbare gli amici.

Vot’Antonio? No, Vota Socrate!

Marianna Abbate

ROMA – Chi ha detto che a sbagliare sono solo gli uomini? Anche nel disegno divino a volte possiamo trovare delle lacune. E così Socrate, uno degli uomini migliori per arbitraria decisione, non può usufruire del dono della vita eterna per un errore tecnico. Incastrato per oltre duemila anni, attende il suo turno fino a che san Pietro non si accorge del gravissimo mancamento verso il filosofo. Vogliamo lasciarci forse sfuggire la notevole conversazione tra i due? Fortunatamente nei paraggi passava la bravissima cronista Ada Fiore, che ha potuto origliare in prima persona quanto detto dal santo al filosofo e viceversa. Continua

Auschwitz, ti racconto da dove vengono quelle foto.

Marianna Abbate
ROMA – 3444, il numero che ha portato impresso nella pelle fino alla morte è stato il suo nome. È sopravvissuto molto più a lungo dei tre mesi previsti per gli internati di Auschwitz, è sopravvissuto ad Auschwitz. Con un numero così basso ne sono rimasti davvero pochi, da contare sulle dita di una mano. Quel numero maledetto che ha raggiunto le centinaia di migliaia.
Li ha visti quasi tutti in faccia quei numeri, Wilhelm Brasse, quel polacco che di tedesco aveva solo il nome. Li ha guardati negli occhi, dapprima nascosto al sicuro del blocco 26, dove si era creato un microcosmo, al sicuro dagli orrori esterni. Ma i muri di Auschwitz sono di vetro, e non importa quanto ti nascondi, non importa quanto forte stringi gli occhi per non guardare: il lager ti entra dentro.

Così il lager è venuto a cercarlo nel suo nascondiglio sicuro, ma non per ucciderlo. Il lager ha chiesto il suo aiuto, la sua anima.

La sua storia la raccontano Luca Crippa e Maurizio Onnis, nel libro edito da Piemme nella collana Voci con il titolo “Il fotografo di Auschwitz”, con un sottotitolo estremamente chiaro: il mondo deve sapere.

È stato fortunato, Brasse, a diventare il fotografo del lager. Fortunato a veder sfilare davanti al suo obbiettivo Zeiss migliaia di facce malconce e centinaia di terribili assassini in divisa.

È stato fortunato anche quando il dottor Clauberg aveva tirato fuori con un forcipe l’utero vivo di decine di giovani ebree addormentate. Quando aveva fotografato quegli uteri sterilizzati in fredde bacinelle metalliche.

Quando Mengele gli ha chiesto di fotografare coppie di gemelli destinati a morire, bambine nude, denutrite e spaventate. Quando ha visto il bellissimo tatuaggio della schiena di un uomo che aveva fotografato, scuoiato e conciato per diventare la copertina di un libro.

Quando dopo la guerra, la donna di cui si era innamorato nel campo non poteva sopportare la sua vista, quando lui stesso non riusciva a tenere il peso della macchina fotografica in mano e nei volti degli avventori del suo nuovo negozio rivedeva quegli occhi, unica parte ancora viva, degli avventori del blocco 26. E se chiudeva gli occhi sentiva di nuovo l’odore nauseabondo delle donne, che nel campo non avevano acqua per lavarsi. Quelle stesse donne che per le botte e per la fame non avevano più il ciclo, sterili già prima che il dottor Clauberg mettesse le sue scientifiche mani su di loro.

Se leggendo queste parole provate disgusto, se vi ho scandalizzato, non mi scusate. Era mia intenzione. Perché so’ che molti di voi non compreranno mai questo libro, e probabilmente questo articolo sarà una delle poche cose che conoscerete di Auschwitz.

Alcuni negheranno persino l’esistenza di un posto così. Ma non basta dire la parola orrore per capire cosa significa: l’orrore ha bisogno di essere esplicitato, per essere capito.

Perché è necessario comprendere che a guidare il tutto era la casualità: non era necessario essere ebrei per morire ad Auschwitz. Poteva accadere a chiunque.

Quindi, caro lettore, non sentirti esentato dal dolore. È un dolore che deve appartenerti, che devi conoscere, fa parte della tua stessa umanità.

“Io. e l’Ilva” il monologo di un metalmeccanico

Marianna Abbate

ROMA – L’Ilva non rispetta le regole sull’impatto ambientale. L’Ilva è la causa di infiniti tipi di morbi, patologie, formazioni cancerose e problemi respiratori. L’Ilva porta sulla tavola di tutta Taranto un piatto di pasta. Coperto da uno strato sottile di diossina. L’Ilva ti fa comprare la macchina nuova. Che importa se è coperta dal medesimo strato di diossina?

È la “grande contraddizione di Taranto” quella al centro del “Monologo metalmeccanico- Io e L’Ilva” di Giuse Alemanno. pubblicato da Lupo editore. Sì, perché da una parte l’Ilva è il male, dall’altra non si può vivere senza Ilva.

Che poi Ilva è un concetto vago, troppo generalista. Dentro il più grande stabilimento d’acciaieria d’Europa si snodano settori, reparti, calore, facce, tecnologie e arretratezze. Un microcosmo vivace e vivo, estremamente autoreferenziale agli occhi di Alemanno: “partigiani dei cazzi propri”. Gli operai hanno perso quel senso di comunità che li aveva resi forti nelle rivolte socialiste. Ognuno guarda il suo benessere, inclusi i sindacati che cercano l’accordo a tutti i costi, pur di guadagnarci una promozione e tanta tranquillità.

Eppure senza Ilva, il destino di Taranto sarebbe segnato. “C’è uno psichiatra in sala?” continua a chiedersi l’autore del monologo, in un misto di disperazione ed impotenza. Non c’è soluzione neanche agli occhi di quell’operaio acculturato, di quello che conosce tutte le questioni interne ed esterne, che è Giuse Alemanno.

Un vicolo cieco. Un enorme, bruciante, polveroso e ricco vicolo cieco.

“Tre amiche sul ghiaccio”: fermata Parigi

Marianna Abbate

ROMA – Quando non frequenti per tanto tempo un posto, tornandoci scopri in ogni crepa del muro il tempo che è passato. È stato così anche per me quando ho di nuovo preso in mano un libro della collana “Il battello a vapore” di Piemme. I libri per ragazzi hanno cambiato stile, genere e soprattutto forma e aspetto.

A partire dalla copertina, che ricorda moltissimo i disegni dei comics per ragazze. La disegnatrice è Caterina Giorgetti, quella di “Witch” per intenderci, sono stata una grande fan di quel fumetto eme ne sono accorta subito.

I tempi sono cambiati e si sente ad ogni pagina di questo libro. Scritte un po’ grandi, le parole si intrecciano ai disegni, aiutando l’immaginazione di chi non è abituato a leggere.

Per fortuna i valori sono ancora gli stessi: l’amicizia prima di tutto, la lealtà, lo spirito sportivo del fair play, l’impegno e… l’amore. L’autrice della saga “Tre amiche sul ghiaccio” è Mathilde Bonetti, un’appassionata pattinatrice eterna ragazzina, che in questa puntata ci racconta il viaggio delle ragazze del Palastella a Parigi. Parigi on ice è il titolo del volumetto appena stampato, che racconta le avventure di Angelica Cleo e Sadia, promettenti campionesse del pattinaggio artistico. Insieme realizzano il sogno di pattinare nella Ville Lumiere, e affrontano coraggiosamente le scelte che cambieranno totalmente la loro vita.

Il libro ha il pregio di appassionare allo sport, di stimolare nelle bambine il desiderio di lavorare in gruppo per realizzare il successo.

L’editore consiglia questa lettura per bimbe tra i 9 e gli 11 anni, l’età più sognante.

“Certe strade semideserte” sono piene di vita

Marianna Abbate

ROMA – Sicilia. Una parola carica di emozioni, di sensazioni e di profumi. Un sottofondo leggero di musica dal vivo, colori accesi, arance, afa, silenzio. In “Certe strade semideserte” non succede nulla, eppure accade di tutto.

Prende spunto dal verso di Thomas Stearns Eliot, questa antologia di otto racconti pubblicata nella collana Le stanze di L.E.I.MA., la nuova casa editrice palermitana.

Racconti, tutti diversi nello stile, nel messaggio e nel significato. Accomunati da un unico e forte senso dell’immagine. Piccoli quadri, scorci, ritratti e paesaggi. Sogni materializzati e realtà illusorie sono il punto focale di questa curiosa ed elaborata raccolta.

Gli autori hanno un bagaglio culturale molto vario: ci sono i giornalisti/scrittori Giacomo Cacciatore e Valentina Gebbia, il libraio Alessandro Locatelli e Fabio Ceraulo scrittore/blogger che lavora nel campo del turismo, Marco Pomar impegnato tra sport e legalità. C’è anche un’eclettica artista che crede nella contaminazione dei linguaggi Elvira Seminara, Maria Grazia Sclafani presidente di un’associazione di volontariato e Alessandro Savona, di professione architetto, ma scrittore di successo per passione.

Autori molto diversi tra loro, accomunati da un forte talento per la scrittura e dalla passione per la propria terra d’origine.

Le storie sono molto brevi, quanto basta per affezionarsi al protagonista, per poi salutarlo in tutta fretta e innamorarsi di quello successivo.

 

Un libro costruito ad arte, adatto ad una lettura frammentaria, come anche ad essere divorato tutto insieme, come in un variegato menù di letture.

“Innamorarsi a Notting Hill” se ti impegni, puoi.

Marianna Abbate

ROMA – Quante volte al cinema, avete chiuso gli occhi proprio poco prima di quel magnifico bacio romantico, immaginando che le morbide labbra di Johnny Depp accarezzassero le vostre, invece di quelle insipide dell’insulsa attrice protagonista? Scarlett O’Brien lo ha fatto spesso.

Si è vista protagonista accanto ai più sexy divi del cinema, follemente innamorata e corteggiata dal bello che più bello non si può.

E poi ha pensato bene di trasportare i sogni nel mondo reale.

E’ questa, molto semplicemente, la trama del nuovo bestseller di Ali McNamara: “Innamorarsi a Notting Hill”. La giovane protagonista approfitta dell’inaspettata offerta di abitare per un mese a Notting Hill, scenario dell’indimenticabile film con Hugh Grant e Julia Roberts, per cercare insistentemente l’amore.

Nella vita vera, se ci fossimo trasferite a Notting Hill, avremmo avuto come vicini nell’ordine: una coppia di simpatici vecchietti, un parrucchiere molto in voga forse gay, un vecchio marpione, due giovani sposini, una coppia di lesbiche, una famiglia con sei figli urlanti, un fan sfegatato del heavy metal che non ci avrebbe fatto mai dormire. Invece Scarlett ha pure il vicino hot. Capiamoci: un romanzo di fantascienza.

Beh ora sapete benissimo cosa aspettarvi, un pomeriggio piacevole in compagnia di un po’ di fantasia femminile.

“Macelleria Equitalia”, l’unica macelleria che possiamo permetterci

Marianna Abbate
ROMA  Equitalia è un nome che incute timore. Un nome che toglie il sonno, che agita. Non sono lontane le notizie di cronaca che presentavano disperati mentre entravano negli uffici del riscossore tributario armati fino ai denti. Perché Equitalia arriva inaspettatamente, colpisce quando sei tranquillo.

Alzi la mano chi negli ultimi due anni non ha ricevuto nessuna cartella dal famigerato ente? Io personalmente ne ho ricevute diverse, principalmente per multe finite nel dimenticatoio. Ma se il mio sacrificio è stato abbastanza ridotto (sotto i mille euro), non mi è difficile immaginare il dramma di una famiglia che si vede arrivare una cartella da 10.000 euro, quando il reddito annuo non supera i 14.000. E tutto magari per un impagato da poche centinaia di euro cui si aggiungono multe su multe.

 

Ed ecco qui la storia delle storie raccontate da Giuseppe Cristaldi nel suo “Macelleria Equitalia”, pubblicato da Lupo Editore. Cinque racconti brevi, immagini di vita vissuta. Non sono storie complicate, sono storie vere. Fatti nudi e crudi, inquietanti nella loro inesorabilità. Microstorie racchiuse nella macrostoria che si sta compiendo ora nel nostro Paese.

Quello Stato che aveva fatto di tutto per includere, per diffondere, per uniformare… beh quello stesso Stato oggi esclude. Traccia una linea netta tra chi è nel giusto e chi ha peccato del più grave dei peccati: l’indigenza. Non avere diventa una colpa gravissima: A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.

Le parole dell’evangelista vengono interpretate nella concretezza più assurda e rimangono chiaramente incomprese.

Ad essere colpiti sono principalmente coloro che hanno da sempre fatto la ricchezza del paese, quei piccoli imprenditori che altro non sono che contadini, agricoltori, allevatori e artigiani. Quelli che hanno peccato nel modo più grave: non hanno pagato la Decima.

Ma se nel medioevo la Decima corrispondeva ad un decimo del raccolto, le tasse di oggi sono al 44%. Un peso insostenibile per chi già avrebbe problemi a contribuire con il 10%.

Tra guadagni presunti, valore aggiunto e scontrini il gioco non vale la candela, e così moltissime imprese sono costrette a chiudere i battenti. O non pagare le tasse.

Ma l’atto stesso di non pagare, di chiedere un dilazionamento, di cercare un po’ di respiro è un marchio indelebile sulla carne del malcapitato. Un segno che lo indica come parassita, grazie alla martellante pubblicità, come delinquente. Non importa se quelle tasse sono state sempre pagate: se hai mancato all’appuntamento non è perché sei povero, perché hai bisogno di aiuto, ma perché hai rubato. Hai nascosto nel materasso chissà quali tesori per acquistare una villa nei paradisi fiscali.

Ognuno giudica con il suo metro, e questo potrebbe farci comprendere molte cose. Forse lo Stato non riesce ad accettare l’idea che ci siamo impoveriti così tanto. Forse teme che tutto questo sia vero, nascosto dietro ai (poco) rassicuranti e (tanto) freddi numeri dell’Inps.

Ѐ questa l’Italia che ci racconta Cristaldi, l’Italia che cerca di rimanere a galla, che cerca di risalire il fiume. L’Italia che ogni giorno dimostra coraggio e forza di volontà e che un giorno tornerà a pagare tutte le tasse. Che, speriamo, non verranno più spese per pagare cenette romantiche e vacanze in yacht ai nostri cari politici.

“La deontologia del giornalista”, il giornalista ideale.

Roma – Molti di voi conosceranno questo manuale che viene consigliato per il colloquio finale del percorso dei pubblicisti romani.

Da più di trent’anni l’Ordine dei giornalisti, grazie alla collaborazione con il Centro di Documentazione Giornalistica, pubblica dei testi con l’obiettivo di dare utili strumenti a chi si avvicina alla professione. All’inizio erano un paio di volumi che dovevano solo integrare le esperienze fatte gomito a gomito con i colleghi più anziani ed esperti, oggi l’opera è formata da diversi tomi che affrontano l’attività professionale nel suo complesso.

“La deontologia del giornalista”, volume a cura di  Michele Partipilo, affronta i nodi strategici legati alla funzione e alla libertà professionale con una completa ricognizione dei princìpi etici, dei doveri e delle norme – previste dalla legge o dai codici di autoregolamentazione – che costituiscono la cornice all’interno della quale chi fa informazione deve muoversi.”

Il volume fa parte anche del Materiale didattico per il Corso ” Il pubblicista. Corso di preparazione al colloquio per l’iscrizione all’albo“, che consente di ottenere l’attestato propedeutico per sostenere l’esame orale finalizzato all’iscrizione nell’elenco pubblicisti.

 

“Francesca e il cavaliere- La singolare storia della fidanzata di Berlusconi”

Marianna Abbate

ROMA – Su facebook gira una divertente vignetta che rappresenta una donna corrucciata con un foglio in mano, mentre dice “Belèn ha partorito (o qualsiasi altra news del momento) fammelo aggiungere alla lista delle cose di cui non me ne frega un…”. Ora sono convinta che leggendo il titolo di questo articolo, questo pensiero sia balenato nella testa di molti di voi. Allora spiegatemi perché lo state leggendo?  E’ un po’ la stessa cosa che è successa a me quando mi sono trovata davanti la copertina di “Francesca e il cavaliere”, con la bella immagine che potete vedere anche voi. La scelta strategica del bianco e nero copre le orribili discrepanze di colore del fondotinta, sul volto della statua di cera in cui si è ultimamente tramutato il Cavaliere, mentre la donna sulla destra assume sembianze familiari. Quella bocca a impostata e lo zigomo pronunciato ricordano vagamente Alba Parietti oltre ad una lunga lista di protagoniste della vita pubblica italiana, tra cui l’onorevole Santanchè. Sarebbe tutto giustissimo, se non fosse che la signora ritratta non ha raggiunto le 50 candeline, ma si aggira intorno alle 27/28, ed è la prescelta ad assumere l’arduo compito di “fidanzata” della statua di cera di cui sopra.

Ora noi possiamo anche far finta di credere che Ruby sia la nipote di Moubarak, ma la storia del vero amore è veramente tanto difficile da mandare giù. Spinta da un’immensa curiosità sociale (chiamiamola così) ho guardato una serie infinita di slideshow su internet, che mostravano una elegantissima Pascale vestita turchese dal vestito, al soprabito, alle scarpe che neanche la regina Elisabetta, mentre passeggia allegramente per le vie di Roma e incurante dei mille fotografi, chiacchiera e saluta decine e decine di amici. Che ragazza socievole e disinvolta! Un piacere da guardare su tutti i giornali, mentre ci facciamo la piega dal parrucchiere.

Secondo gli autori di questo saggio pubblicato da Centoautori (a produrre questa perla sono in due, Mariagiovanna Capone e Nico Pirozzi, ma non ce l’ho con loro: il libro è scritto bene e l’argomento attira il pubblico) la scelta di fidanzarsi ufficialmente doveva aiutare Berlusconi a coprire qualcos’altro. Ci sono molte discrepanze nei fatti raccontati, elementi che non coincidono o che sono stati modificati nel tempo.

Ora, sinceramente, la vignetta di cui parlavo all’inizio, torna imperterrita alla mia memoria. Perché che Berlusconi sia fidanzato o meno cambia poco al mio quotidiano. Tuttavia, l’implicazione che l’eventuale fidanzata potesse proteggerlo dai capi d’imputazione la fa scomparire. Effettivamente questo punto potrebbe interessarci.

Il percorso della giustizia ci riguarda tutti, e gli escamotage per sfuggirle sono sempre un argomento molto interessante.

 

“Un cuore XXL” la taglia più grande che c’è

ROMA – E’ Sara d’Amario, l’autrice del libro “Un cuore XXL” pubblicato da Fanucci. È grande l’amicizia che li lega, sono grandi le loro intelligenze (uno è un campione in matematica e l’altro in italiano), è grande la famiglia in cui vivono (e anche un po’ allargata, come si dice oggi), sono grandi le loro scorpacciate quotidiane (uno ingurgita tutto ciò che sa di dolce e l’altro beve Coca-Cola come fosse acqua) e grande ma proprio grande, direi notevole, è il loro peso. Ma il primo giorno di liceo, il loro mondo diventa più piccolo: Lucrezia sorride a Gas che subito si scioglie, e Zucchero non ha occhi che per Isabella, lunga e sottile e con una serie di tatuaggi da fare invidia a Zayn Malik degli One Direction. E così tra un compito d’inglese e un saggio di danza, tra una gita a Parigi e un sms d’amore, tra un bacio strappato e un fratello che arriva, Gas e Zucchero scopriranno che la cosa più grande che hanno è il loro cuore, tanto grande, ma così grande, da contenere tutti. E il loro corpo, che fine fa? Vabbè, questa è un’altra storia…