Innamorata dei libri da sempre, ne ha fatto oggetto di studio. Ama il Medioevo e Federico II di Svevia e per fame di shopping ha svolto mille lavori orrendi. Ha scritto e condotto con Giuseppe di Chiera il programma radiofonico "Pandora e Senofonte" sull'emittente romana RM12. Il suo punto debole sono il gossip storico e le storie d'amore. Conosce un mucchio di poesie tristi a memoria con le quali adora ammorbare gli amici.

Wilwoosh: quando Youtube sbarca in libreria

Marianna Abbate

ROMA – Youtube pullula di divi di piccole e medie dimensioni. Ci sono personaggi divenuti famosi per i tutorial su qualsiasi cosa, persone che insegnano a truccarsi, a vestirsi, che danno consigli sulla vita sociale, sul benessere e sull’alimentazione.. E poi ci sono i divi. In Italia sono due, in particolare, quelli più famosi: Clio Makeup e Wilwoosh. Entrambi sono approdati in libreria, e hanno scalato spavaldamente ogni classifica di vendita.

Qual’è il segreto del loro successo? Sicuramente avere un bell’aspetto aiuta. Ma Wilwoosh, al secolo Guglielmo Scilla, non è solo un bel ragazzo da copertina. E’ autoironico, simpatico allegro e semplice. E con tutte queste qualità da bravo ragazzo, riesce anche a non essere noioso. Anzi, i suoi video sono veramente divertenti ed anche un po’ folli. Se non ci credete, potete visitare tranquillamente il suo Canale Youtube.

Il suo primo libro è edito da Kowalski, e si intitola 10 regole per fare innamorare. Un titolo che è anche un omaggio a quei tutorial sconclusionati che lo hanno reso famoso. Perchè l’amore, è un po’ come la Cocacola, la cui formula rimane un segreto. E qui il nostro temeraio Wilwoosh, si lancia nel tutorial estremo: quello dell’innamoramento.

Non so se seguendo le sue 10 regole riuscirete mai a far innamorare qualcuno, ma sicuramente leggendo il libro vi farete qualche sana risata.

E dopo aver letrto il suo libro, seguite un tutorial di Clio e andate tranquille al vostro appuntamento. Youtube non vi permetterà di fallire.

“Le nausee di Darwin”, quando il precario scopre la natura.

Marianna Abbate
ROMA – Sulla scia della mia precedente recensione, continuo a leggere e a scrivere di un argomento entrato ormai a far parte dei classici della letteratura degli anni ’10: il precariato. Questo leitmotiv ha ormai consolidato la sua posizione nelle conversazioni e nei telegiornali, al punto tale che non mi metto a spiegare nulla- perché sono convinta che ne sappiamo tutti abbastanza.

“Le nausee di Darwin” di Giordano Boscolo, edito da Autodafè, ci racconta un volto un pochino diverso del precariato. Quello che ha il volto di un laureato nelle scienze esatte, e per la precisione in biologia. Il dottore, dopo essersi sottoposto alla solita e sfiancante trafila di lavori temporanei e spesso umilianti, accetta di partire da Chioggia con un peschereccio- per avere almeno l’illusione di lavorare nel proprio mestiere. Le giornate passate in barca, le nausee eponime, e gli sfottò dei pescatori, lo aiuteranno a crescere e a ritrovare se stesso, e forse anche la strada da seguire- come ogni eroe romantico che si rispetti.  E scoprirà che i due mondi che sembravano davvero inconciliabili, esistono sotto lo stesso cielo (in un finale un poco nostalgico e timidamente patetico).

Ma il bello sono le riflessioni, i pensieri che riguardano lo stato sociale del precariato: “puttane diplomate”, disposti a fare tutto quello che ci chiedono, purché ci paghino. Prostituiti per l’affitto della doppia, per la ricarica del cellulare, per quella pizza con gli amici. Perché di più non possiamo neanche sognare.

L’autore non è il solito giovane laureato, ma un tuttofare della cultura, appassionato di cinema. E forse per questo il suo libro è pieno di immagini- di scene che hanno un grande impatto sulla nostra mente.

“Andrà tutto bene”… speriamo

Marianna Abbate

ROMA – Frasi brevi, concitate, un po’ nervose e annoiate. E’ un blasè il protagonista del romanzo d’esordio di Stefano Iannaccone edito da La Bottega delle Parole. Un ragazzo, che negli anni ’50 sarebbe stato uomo da un pezzo, e che invece nei nostri tempi vive in quel limbo molle di adultescenza, precaria e instabile. “Andrà tutto bene” è il titolo del libro, da ripetere come un mantra. Perché cos’altro potrebbe andare male, in questa Roma che da fuori potrebbe davvero sembrare dalle mille possibilità (come recita la quarta di copertina), e che invece non è altro che un enorme buco nero dove talenti e sogni scompaiono e muoiono come in un pozzo.

“Prenderò il treno e via, ciuf ciuf, verso il successo (…) Non posso fallire”. I pensieri del protagonista riflettono con dolorosa precisione i pensieri di centinaia, migliaia di ragazzi di questa maledetta Generazione mille euro. Grandi sogni, ottima educazione, molta esperienza e nessuna prospettiva.

Niente di nuovo di questi tempi, eppure c’è qualcosa che attrae. Una scrittura audace, ironica, a tratti acida. Un pochino frustrata. Ma sicuramente corretta scorrevole e attraente. Un romanzo da leggere tutto insieme, presi dalla curiosità sul destino di questo aspirante scrittore, protagonista e forse alter ego dell’autore. Soprattutto dopo aver appreso dall’introduzione che Iannaccone si è presentato in bermuda per il colloquio di lavoro. E che grazie al suo talento è stato assunto, nonostante le apparenze e le mancate raccomandazioni.

Una speranza, tutto quello che ci serve.

“Il parrucchiere: donne come sirene”

Marianna Abbate
ROMA – Il parrucchiere ha storicamente avuto un ruolo molto importante nella società. E’ il confidente, lo sguardo oggettivo, la seconda opinione medica- insomma molto più di un amico per tutte le donne che entrano nel suo negozio e gli raccontano la propria vita con la scusa di una messa in piega. Cristina Freghieri fa la parrucchiera da molti anni, e di confidenze ne ha sentite infinite, da quelle “Donne come sirene” che ridono, piangono, si sposano e invecchiano tra una visita e l’altra. Il suo libro, edito da LaMandragora, cerca di restituire al lettore quell’atmosfera di relax e magia che si prova sulle poltrone del parrucchiere. Come se qualche striscia bionda, un nuovo taglio e un po’ di crema avessero l’immenso potere di guarire il cuore ed ingannare la mente.

Così tra le clienti troviamo quelle affezionate ai capelli grigi e quelle che cambiano tinta ogni settimana. Ci sono donne che lasciano e donne abbandonate- ma anche quelle che da anni portano sulle spalle tutti i pesi del mondo e sorridendo chiedono come va’?

L’autrice è stata pioniera in Italia delle tinture naturali, cultrice del benessere e appassionata di nuoto subacqueo. Una lettura piacevole e curiosa, per chi ha da aspettare in fila dal parrucchiere.

 

“Gli anagrammi di Varsavia” un romanzo dal ghetto

Marianna Abbate

ROMA – Un uomo torna nel ghetto per indagare sull’omicidio del nipote e sulla strana scomparsa di una ragazza. La storia si complica quando scopriamo che il detective amatoriale è un fantasma, tornato dall’aldilà per scoprire il colpevole della morte del giovane parente. Richard Zimler pubblicato da Piemme, ci racconta una storia insolita. Un tocco di magia, un po’ di misticismo per descrivere con attenzione ai dettagli l’orrore del ghetto, la quotidianità del dolore.

Il romanzo è ben articolato e la scrittura avvincente, ma frenerei un poco sul descrivere l’autore come l’Umberto Eco portoghese (come invece recita la fascetta rossa che rilega il libro). Il pregio del romanzo è quello di cercare di mettere in luce come nell’immenso mare di criminalità della guerra, esista una sottocriminalità più spicciola, diretta al singolo, quasi giustificata dal sistema. E’ questo l’elemento di grande attualità, applicabile anche ai conflitti dei giorni nostri. La trama principale diventa un pretesto per raccontare come rapimenti, uccisioni, furti, violenza gratuita diventano elementi costanti, quotidiani, che trasformano l’identità stessa dell’uomo. La fame, la miseria e il freddo portano a rubare l’ultimo pezzo di pane al moribondo, le scarpe a chi sta già gelando, in una frenesia di sopravvivenza che rende sempre meno umani.

E’ interessante l’analisi iniziale del protagonista che osserva la sua vecchia stanza del ghetto dove il pianoforte e tutti i libri sono stati bruciati meno che uno: una prima edizione che poteva avere qualche valore di scambio.

Perché quando c’è fame e freddo non c’è posto per il valore per la cultura.

Non posso che dare ragione alle parole di Quasimodo, che appende la cetra ai salici, seguendo il salmo. Non si può cantare “tra i morti abbandonati nelle piazze”.

Un’intervista sostenibile con Caravan Edizioni

caravan edizioni intervista chronicalibriMarianna Abbate
ROMA– Tra i libri che ho recensito ho avuto la fortuna di leggere Opendoor. Un libro innovativo e coinvolgente edito da una casa editrice giovane e attenta sia alla letteratura che alla natura. Sto parlando della Caravan edizioni che qui su Chronicalibri, risponde alle nostre domande su quali siano le difficoltà e le felicità che procura il lavoro di un editore.

1.  Perché la scelta di far nascere una casa editrice come cooperativa?
Il progetto della nostra realtà editoriale è nato a giugno 2009, dalle ceneri di una precedente casa editrice cooperativa in cui, alcune di noi socie, avevano avuto modo di fare un’esperienza lavorativa. Il primo passo dunque è stato quello di rinnovare completamente la nostra identità, la linea editoriale e il nostro assetto societario, ma ci è sembrato utile e interessante mantenere la formula della società cooperativa. Ci siamo sempre identificate nei principi che regolano le società cooperativa; la condivisione, la solidarietà e la democrazia sono le nostre regole di base.

2. Ho visto sul vostro sito che date molta importanza alla sostenibilità ambientale. Da cosa è nata e come vivete questa scelta?
Ci teniamo molto a raccontare storie che rispecchino realtà in cui riusciamo a immedesimarci, scegliamo i libri che nella loro forma e nella loro sostanza rappresentano la letteratura che vogliamo vivere. Da ciò la scelta del formato e della carta, è importantissimo per noi il rispetto per l’ambiente. Le nostre storie non devono danneggiare il mondo in cui vivono e che ci circonda. Lo sforzo è leggermente superiore, dati i costi elevati di questo tipo di carta, ma sin dall’inizio è stata una delle nostre priorità.

3. Qual è la proposta editoriale di Caravan?
Siamo molto attente alla qualità e all’intensità delle storie, dunque queste sono caratteristiche che teniamo in considerazione nella scelta dei nostri libri. I nostri testi comunque rispondono tutti all’esigenza e alla volontà di raccontare storie di viaggi e di migrazioni, di movimento e di confini, intesi come luoghi geografici e letterari d’incontro e confronto, di percorsi interiori, che come fanno i viaggi, portano ad un cambiamento e ad una nuova definizione di se stessi.

4. Come mai la scelta di investire sugli autori emergenti?
Ci piace dar voce a chi ha maggiori difficoltà ad imporsi e a farsi ascoltare, viviamo anche noi una situazione analoga nella realtà editoriale odierna, e dunque anche per questo prediligiamo giovani autori che riescano a conciliare la nostra voglia di qualità e di libertà di espressione. Inoltre bisogna dire che ci siamo sempre innamorate dei testi e dei racconti di queste giovani voci che forse meglio di altri hanno la nostra stessa visione della realtà e della letteratura. In ogni caso non ci precludiamo mai altri percorsi e se ne abbiamo la possibilità pubblichiamo con gioia autori più adulti e più noti, come è successo per Aamer Hussein ed Helia Correia.

5. Quali sono gli elementi che contribuiscono alla scelta di un libro di un autore straniero?

Come già detto deve innanzitutto colpirci il testo e deve rispondere in qualche modo alla nostra linea editoriale. Inoltre preferiamo dare spazio ad autori e paesi meno conosciuti nel nostro panorama editoriale. Poi valutiamo come e se sia possibile entrare in contatto con l’autore/editore per trattare i diritti.

6. Per Caravan come avviene la selezione del materiale presentato dagli scrittori?  A quali tematiche si dà precedenza?
Per quanto riguarda autori italiani che ci inviano il loro materiale, è molto difficile riuscire a leggere e valutare tutto (dato che le proposte sono molte), per questo prendiamo in considerazione solamente i manoscritti che ci vengono inviati in formato cartaceo. Il passaggio successivo sta poi nel valutare la qualità della scrittura e la pertinenza della storia con quelli che sono i nostri punti di riferimento: il viaggio, le migrazioni, i percorsi e i cambiamenti interiori, relazioni intense e spesso complicate che però conducano ad un’evoluzione…

7. Qualora ci fossero, quali sono i problemi di una piccola casa editrice (distribuzione, individuazione del target, contributi economici statali)?
In effetti ce ne sono e sono molti. In particolare la difficoltà ad affermarsi, ad essere ascoltati dai grandi media, quelli che contano e che potrebbero darci maggiore visibilità. Altro grande problema è la distribuzione: è molto difficile da soli riuscire a entrare  nei grandi circuiti (Feltrinelli, Mondadori, Melbook…) e contemporaneamente nelle piccole librerie delle più importanti città. Pertanto l’ideale è ricorrere ad un distributore ma in effetti i ritmi e i costi delle distribuzioni sono molto alti e difficilmente sostenibili.
E poi ovviamente la sproporzione tra entrate e uscite, per cui c’è bisogno di ricorrere a ulteriori e differenti lavori per guadagnare qualcosa e coprire le spese (nettamente superiori ai guadagni). Inoltre non siamo minimamente aiutati da contributi e sovvenzioni statali che incentivino le piccole e giovani imprese. Speriamo che in futuro qualcosa cambi…

8. Sempre meno libri venduti, sempre più case editrici: come vive …. questa continua “lotta”?
Solo grazie a tanta passione, un po’ di speranza e una buona dose di follia.

 

“Volevo essere Coco Chanel” o almeno trovare un posto fisso e non annoiarmi

Marianna Abbate
ROMA “Volevo essere Coco Chanel.” Ah quante di noi si sarebbero accontentate di diventare una delle sorelle Fendi. Ma nei libri, si sa bisogna sognare in grande. Vanessa Valentinuzzi al suo esordio letterario con Avagliano Editore, ci racconta una storia tra il romanzo allegro sullo shopping – che negli ultimi anni abbiamo imparato ad amare – e la nuda, cruda e triste realtà italiana sul precariato.

Non riesce a resistere ai vezzi stilistici, tanto che chiama la sua protagonista Ottavia Brandeschi: un nome da favola, decisamente nobile.
Si parte dal lavoro dei sogni, dal fidanzato dei sogni e dalla città dei sogni, o almeno di quelli legati alla moda: Milano. Ottavia fa la shoes designer, ovvero disegna scarpe per un marchio famoso, è fidanzata un giovanissimo modello e la sua vita sembra avere preso una piega molto positiva. Finchè tutto gli crolla addosso: perde lavoro, casa e fidanzato e si ritrova a lavorare in un call center a Roma.

Una storia comune nell’Italia dei nostri tempi, dove non importa quanto hai studiato o quanta esperienza hai, ma chi conosci e chi ti potrebbe dare una spintarella. E’ pur vero che l’autrice non rinuncia all’happy ending, ma è chiaro che si tratta solo di un sogno, qualcosa di immateriale che accade nei libri, dove un bel finale non si nega a nessuno. Potrebbe aver iniziato un nuovo genere letterario. Forse un giorno qualcuno scriverà un romanzo alla Valentinuzzi, come si parla oggi della Kinsella. Ma non voglio sembrarvi troppo negativa: i sogni a volte si avverano! E se anche così non fosse, i sogni sono una delle pochissime cose che non costa nulla.

 

Lo shopping, la nuova frontiera della meditazione

Marianna Abbate
ROMA “Meditazioni sullo shopping” è questo il titolo allettante del libricino rosa edito da Mimesis, che vedete nella foto. Ma se sperate in una storia di amore e shopping alla Kinsella, avete sbagliato copertina. Questa è roba seria: si tratta di Filosofia. La maiuscola nella parola filosofia è voluta, perché non vi sto parlando di filosofia come stile di vita, ma di quella scienza che ha visto sviluppare la teoria della maieutica e ucciso Socrate con un bicchierino di cicuta. Orbene, vi direte, nulla di strano. Qualche donna fashion si è dedicata allo studio degli antichi filosofi e trovando l’argomento un po’ superato ha pensato bene di dedicarsi ad un argomento più allegro producendosi in un’analisi sociologica dell’acquisto compulsivo. Niente di più sbagliato.

L’autore è un UOMO!, un filosofo di nome Seiffart Achim, che approccia l’argomento da profano. Achim si è trovato incuriosito dall’argomento osservando la sua assistente, una ragazza che ritiene essere molto intelligente. La suddetta, della quale per onore alla privacy non sappiamo nulla, indossa abitualmente un abbigliamento elegante che il filosofo ha valutato circa 3000 euro, di cui un migliaio solo per la borsa, esclusi gioielli. La domanda nata spontaneamente nella testa di questo filosofo, che ci piace immaginare un po’ sgangherato e sgualcito, è stata: perché questa ragazza spende tutto questo denaro in abbigliamento, se non ha bisogno di affermarsi socialmente in quanto ha già un ruolo importante dovuto al suo lavoro?

Oh innocenza della filosofia! E’ evidente che Achim non abbia mai provato il bisogno di fare una buona prima impressione, o che non ha mai pensato che i capelli unti sono il peggior biglietto da visita.

Se volete scoprire quale sia la teoria finale, vi invito alla divertente lettura del suo libello. Ma non posso esimermi dal condividere con voi la mia personale teoria sulla scienza dello shopping.

Ecco, chiunque mi conosca un pochino, sa che amo fare acquisti. E sa anche quale è la mia personale opinione sull’intelligenza. Se sei un genio, non è necessario che sottolinei la tua “nerdaggine” con un abbigliamento trasandato e occhiali spessi un dito. Anzi, la mancata cura del tuo aspetto è sintomo di una mancata intelligenza sociale. Un aspetto curato ed elegante aumenta esponenzialmente il valore delle tue parole.

Per questo sconsiglio vivamente di mangiucchiarsi le unghie e indossare sacchi di iuta: nerd correte a a fare shopping, con il beneplacito della filosofia.


Nulla due volte accade, né accadrà…

Marianna Abbate

ROMA – Per tal ragione nasciamo senza esperienza, moriamo senza assuefazione. E’ morta senza assuefazione, senza routine, la poetessa polacca premio Nobel alla Letteratura. Wislawa Szymborska, Lei che della morte non aveva paura e la sfidava in poesie ironiche e sorridenti. Che in un museo, guardando gli oggetti esposti, ricordava le persone cui erano appartenuti. Perché delle persone rimangono piatti, fedi, corone e guanti- ma non rimane la fame, la fiducia, il potere e la sfida. Io vivo, credetemi, diceva mentre continuava a lottare contro un vestito a fiori che voleva necessariamente sopravviverle. Se non avete letto le sue poesie, fatelo ora. Non vi annoierete, ma magari potrete scoprire un granello di sabbia in un paesaggio.

Quel vestito probabilmente finirà in un museo, ma le sue poesie non varcheranno mai quella soglia. Staranno lì poggiate sui vostri scaffali, in attesa di vivere ancora ogni qual volta sfoglierete quelle pagine- ogni volta che cercherete su Google il suo nome. Guadagnarsi l’eternità non è cosa da poco, di questi tempi.

E così per non lasciarvi affamati senza sapere dove cercare vi lascio dei consigli su come compilare un curriculum. Consigli da premio Nobel.

Scrivere un curriculum (Wislawa Szymborska)

Che cos’e’ necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si e’ vissuto
e’ bene che il curriculum sia breve.
E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di piu’ chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perche’.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.
E’ la sua forma che conta, non cio’ che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

 

 

Intervista ad un autore “Clandestino”

Marianna Abbate
ROMA – Vi ricordate la recensione del “Clandestino” (Edizioni Sonda) che ho pubblicato a novembre? E’ inutile che annuiate, andate a rinfrescarvi la memoria e poi tornate su questa pagina a leggere la simpatica intervista all’autore, che serve fondamentalmente a dimostrare che io non ho capito nulla delle intenzioni dello scrittore. Ma d’altronde non è forse questo il destino di ogni critico che si rispetti? Chissà cosa ne penserebbero Dante e Leopardi di tutte le dietrologie prodotte sulle loro opere. Allora perché non approfittare del fatto che l’autore possa risponderci di persona e non correre a intervistarlo? Ecco a voi Ferdinando Albertazzi.

Quali sono gli ingredienti di un buon giallo?
Tono, brillanza e purezza son gli “ingredienti” che differenziano qualsivoglia colore dai suoi “gemelli”. Vale dunque anche per il giallo, che sia colore o… genere letterario.

Perché ha scelto di scrivere per i ragazzi?
Non scrivo affatto per i ragazzi. Non in esclusiva, almeno. Il fatto che nelle mie storie ci siano ragazzi in pagina non significa che siano destinate unicamente a loro. Altrimenti là dove in pagina ci sono invece cani, gatti o maiali, dovremmo considerarle storie per cani, gatti e maiali… Scrivo, questo sì, i ragazzi, indagati soprattutto lungo il frastagliato  percorso verso l’adultità e quindi insieme ai “grandi”. Se una storia che “punta” preferenzialmente i ragazzi non ha almeno qualche valenza anche per gli adulti, è una storia da cestinare.

Quali sono le differenze tra un noir per ragazzi e uno per adulti?
Per come si stanno differenziando le generazioni, per certe impensabili disinvolture “guardonesche” e non solo che mostrano i ragazzi, direi che, paradossalmente, un noir anche per ragazzi deve essere assai meno ingenuo di quello che va a infoltire il catalogo “per adulti”.

Lei insegna in un corso di scrittura creativa: quali consigli si sente di dare a chi vuole iniziare a scrivere, in particolare per i ragazzi?
Non aver paura di avere il coraggio di provarsi, di scommettere contro la pagina bianca. Senza smettere, al contempo, di leggere tanto e senza accontentarsi dei risultati che si pensano già raggiunti. Usare insomma molto il cestino della carta straccia, nella consapevolezza che il difficile non è cominciare bensì durare e che  il temperamento e la qualità letteraria sono tra i fattori decisivi della durata.

Che rapporto ha con i suoi lettori? Le scrivono, vengono alle presentazioni? Come sono, insomma, i giovani lettori?
Durante gli incontri, quelli che hanno la lettura nel DNA sono curiosi e avidi, desiderosi di farsi prendere dalle narrazioni. Quelli che, al contrario, si avvicinano alle storie in pagina con scarso entusiasmo o sono addirittura refrattari,  si lasciano però catturare dai laboratori musicali che Gabriella Perugini ha ideato e realizza per i miei libri. Diversi a seconda delle storie, ovviamente. Sono per lo più proprio quei ragazzi lì, quelli che non leggono volentieri o non leggono affatto, ad apprezzare gli incontri attraverso i laboratori musicali (soltanto così, d’altronde, parlo dei miei libri con i ragazzi), dove sono peraltro artefici. “Ah, ma se si può leggere così, allora…”, commentano stupiti e invogliati. Ed è una conquista davvero promettente, quella che principia dai loro sguardi magari di ironica sufficienza, via via accesi da un incredulo interesse…