66THAND2ND: John Graham Davies ha battuto Berlusconi

Giulia Siena
ROMA
– Lo abbiamo incontrato a Roma in occasione di Più Libri Più Liberi e quando lo senti parlare capisci che potresti rimanere impigliato nella fitta rete che crea la sua voce. Sì, perché con la voce John Graham Davies si è guadagnato il successo negli anni Settanta come attore teatrale. Oggi, dopo un passato sulle tavole del palcoscenico e come drammaturgo, l’attore britannico veste i panni di scrittore e arriva in Italia con “Ho battuto Berlusconi! Racconto in due tempi (più supplementari e rigori)”. Il libro, pubblicato dalla casa editrice romana 66THAND2ND, è una felice commistione di ironia e quotidianità, politica, passione e sarcasmo. Il protagonista del racconto, Kenny Noonan è un tifoso sfegatato del Liverpool e segue la sua squadra fino a Istanbul per la finale di Champions League contro il Milan. Allo stadio Olimpico Atatürk, Kenny si trova rocambolescamente seduto accanto a Silvio Berlusconi. Da qui parte un racconto che usa le parole del calcio per arrivare alla storia, alla politica e alle lotte che ha dovuto affrontare Liverpool e un uomo come Kenny.

 

ChronicaLibri intervista l’autore di “Ho battuto Berlusconi!”,  John Graham Davies.

 

Una delle peggiori figure della politica italiana entra in un libro di un attore-autore inglese: Berlusconi è un buon personaggio per un libro come il Suo?
Come tantissime persone grandi e potenti anche Berlusconi può ribaltarsi – e alle volte si ribalta – in una caricatura di se stesso; io sono britannico e penso a Margaret Thatcher che per alcuni versi assomigliava al politico italiano, la Thatcher, infatti, negli anni Ottanta è diventata la caricatura di se stessa. Sono personaggi talmente trabocchevoli che perdono la loro credibilità e diventano personaggi perfetti per un libro.

 

John Graham Davies prima di “Ho battuto Berlusconi” è un attore e la Sua professionalità in questo settore è entrata nel libro. Infatti Kenny, il protagonista del racconto, ha la forza narrativa di un attore e si esprime in un monologo che percorre tutta la storia. Come è avvenuto il passaggio dal palcoscenico alla scrittura?
Quando ero ancora attore ho scritto un monologo, quando poi ho cominciato a scrivere questo la prima cosa che mi è balzata in mente è stata l’importanza della voce, il modo di parlare, il ritmo e il ritmo mi piace moltissimo. Quando l’attore parla in maniera diretta è perché si crea una vera intimità; scrivendo questo libro che è appunto un monologo, più andavo avanti e più mi rendevo conto che la formula del monologo poteva funzionale.

 


Nel libro parla di Liverpool, di quei giovani che tenevano molto alla politica e ai propri diritti. Non pensa che la Liverpool di oggi sia cambiata? In che direzione sta andando la nuova Inghilterra?
Sono d’accordo in parte perché sì, certo, è vero: oggi i giovani di Liverpool non si sentono più parte di un movimento organizzato perché queste forme di aggregazione sono state superate e distrutte così da rendere difficile, per esempio, mettere inpiedi una resistenza contro il processo di privatizzazione che sta andando avanti. Dall’altra parte, però, ci sono prese di posizione: le manifestazioni di dicembre a Liverpool per protestare contro la privatizzazione della sanità era piena di giovani. Dal mio punto di vista c’è molto desiderio, anche da parte dei giovani, di resistere, l’unico problema è trovare modi nuovi e adatti al giorno d’oggi per attuare questa resistenza.

 

C’è una città italiana che le ricorda Liverpool?
Sicuramente non conosco così bene il vostro Paese per stabilire un paragone, forse potrebbe aiutarmi Lei, dovrebbe essere comunque una città portuale come Genova o Livorno perché le città portuali sono aperte sul mondo e sono abituate ad accogliere gente e quindi abituate alla mescolanza e alla tolleranza.

 

Io Le dico che leggendo “Ho battuto Berlusconi” vedevo un po’ degli scorci di Genova, ma se dovessimo guardare al futuro, a un nuovo libro cosa pubblicherebbe per il mercato italiano?
Credo che un libro a quattro mani con un amico funzionerebbe nel mercato editoriale italiano. Ora sto scrivendo nuovamente di un uomo di Liverpool dei primi dell’Ottocento, un uomo che ha combattuto la schiavitù e a forza di lavorare nelle navi e aiutare gli schiavi a scappare, contrae una malattia che lo rende cieco. Per il resto della vita, quindi, quest’uomo continua a combattere le varie forme di schiavitù. Chissà se questa trama potrebbe coinvolgere i lettori italiani…

 

Noi, allora, aspettiamo il nuovo libro!

 

Antonio Di Costanzo: tra cronaca e giallo, ecco il papà di Jacopo Fernandez

Marianna Abbate

ROMA – Come avrete capito dalla mia entusiasta recensione, che potete leggere qui, Antonio Di Costanzo è un tipo simpatico. E, nonostante le nostre divergenze filologiche sulla questione del qual (che lui vede come un troncamento, mentre io sostengo essere un’elisione) l’intervista che segue vi dimostrerà quanto accennato in precedenza. Tra orari di lavoro impossibili e impegni imprescindibili, ha trovato il tempo per raccontare ai lettori di Chronicalibri un po di sé.

Da giornalista a scrittore, o da scrittore a giornalista: qual è il mestiere che ti senti cucito addosso? 

“Entrambi. Dipende dai giorni e, soprattutto, dall’umore. Ma forse la mia è solo un’illusione”.

Scrivere: quali sono i sacrifici e le soddisfazioni di questo mestiere?

Chi fa il giornalista sacrifica famiglia e amicizie. Lavora il primo dell’anno, il 26 dicembre, alla Befana e a Pasquetta. Ha orari folli e una vita poco regolare. Ma tutto questo forse, a pensarci bene, non è un sacrificio è una scelta. Scrivere libri, invece, per me sono brevi momenti di follia che si accendono e spengono a intermittenza”.

Perché scrivere un giallo? In cosa si differenzia il tuo libro dai gialli classici?

“Ho scritto romanzi perché quando ho deciso di farlo mi sembrava un’idea intelligente. Il tempo mi dirà se avevo torto o ragione. Il mio dovrebbe essere un giallo-comico, ma sono contrario alle etichette. Posso dire che è incentrato sul protagonista, un uomo scorretto, un cronista beone pieno di difetti e socialmente sconveniente. Jacopo è la tipica persona che una ragazza non potrebbe mai portare a casa per presentarlo come fidanzato ai propri genitori. Dicono che è molto divertente”.

Quanto di te c’è in Jacopo Fernandez, il protagonista dei tuoi romanzi? Cosa ti accomuna a lui, quanto vorresti ti accomunasse e cosa odi di lui?

Bho, posso dire solo che i miei non sono libri autobiografici. Quando però invento un personaggio saccheggio nella mia vita, in quella di amici e parenti e di tutti quelli che ho incontrato. Adoro Jacopo Fernandez, è quello che vorrei essere anche se so che non accadrà mai”.

Cosa significa essere un giornalista eroe? E’ un valore che si raggiunge per merito o un’etichetta mediatica?

“Ah dovresti chiederlo ai giornalisti eroi, non di certo a me. Comunque posso dire che questa è la tipica etichetta che qualcuno appiccica addosso a certi cronisti che magari hanno sacrificato la propria vita soltanto facendo il proprio lavoro. Gli stessi cronisti che quando erano sconosciuti, magari erano vessati, tenuti a distanza e infangati da chi poi li esalta per specularci sopra”.

Esistono ancora giornalisti eroi? Potresti citare qualche esempio?

“No non ho esempi da fare, anche perché il termine eroe non mi piace e secondo me non è corretto. Ci sono cronisti bravi e meno bravi. Gli eroi lasciamoli stare, anche perché storicamente fanno una brutta fine”.

Che cos’è l’ispirazione?

“Non ne ho idea. Io mi metto al computer e scrivo romanzi quando non riesco a prendere sonno la notte. Forse l’ispirazione si chiama insonnia”.

Chronicalibri si occupa di mostrare il volto della piccola e media editoria italiana: com’è il tuo rapporto con Cento Autori?

“Ecco. Ripensandoci, un uomo che si avvicina al prototipo dell’eroe l’ho conosciuto: si chiama Pietro Valente ed è il fondatore della mia casa editrice: Centoautori. Di professione fa il farmacista, ma quello che guadagna l’investe nella casa editrice per diffondere la cultura a Napoli e provincia. Ha avuto anche il coraggio di pubblicare libri scomodi come il Casalese e lo fa soltanto per spirito di servizio e per migliorare la sua terra, rimettendoci tempo e soldi. E poi è una persona corretta. Mandai il primo libro in casa editrice, mi contattarono dopo qualche mese e mi offrirono un contratto per pubblicarlo. Senza tante chiacchiere e false promesse. Una vera rarità”.

Che consiglio potresti dare a chi vorrebbe approcciarsi alla scrittura? Cosa deve fare un aspirante scrittore?

“Non ascoltare i consigli degli altri aspiranti scrittori. Sono ideologicamente contrario a dare consigli”.

“Sul ciglio del dirupo”, storie di vita

Giulia Siena
ROMA
“Io non sono nient’altro che un involucro, una scatola che contiene uno strumento che viene suonato, ma non da me. Sono passiva a quello che capita, ho smesso di cercare di influenzare le cose quando non ho trovato altra strada da percorrere che accettare.” A dirlo è Monica, protagonista de “Sul ciglio del dirupo”, il racconto che chiude la raccolta e da cui prende il nome il libro di Emiliano Reali pubblicato da Ded’A Edizioni. Monica è soltanto una dei tanti protagonisti che affollano i diciotto racconti di Reali. Sono storie di vita, storie di donne e uomini, storie di disagio, emarginazione, determinazione. Storie di amore, omosessualità, malattia, partenze e arrivi.
La storia di Fabio che in “Senza pelle” (2004) si ritrova sulla strada a condividere la coperta di un nomade e il fuoco di una prostituta. Fabio però non ha pelle e non ha forma per i passanti o per i clienti che si fermano, ai loro occhi lui non appare. Ma di notte, su quella strada, una macchina perde il controllo e la sua vita torna a prendere consistenza, pelle. La storia di Lina (“Gli uomini di Lina”, 2008) che ammalia e regala piacere attraverso una chat; per gioco, per provocazione, per ribellione e per libertà. Clara (“RH Negativo”, 2005) ha voglia di evadere dal suo mondo piccolo borghese. Lei ha tutto, ma ha bisogno di altro e questo lo trova nei tasti di un pc, tra le righe delle conversazioni via chat con i suoi misteriosi amici. Il mistero l’attrae, ma ne viene travolta fino a scoprire il sottile legame di sangue che lega in modo indissolubile.

Dopo il successo di “Se Bambi fosse un trans” (Azimut, 2009), con “Sul ciglio del dirupo. X anni di storie da raccontare” Emiliano Reali racconta le emozioni con un piglio provocatorio in cui dolcezza e realismo si mescolano.

 

Dalla realtà al palcoscenico. Adriano Marenco racconta “Il pasto degli Schiavi”

Alessia Sità

ROMA – Dopo il romanzo breve “La palude e la balera”, Adriano Marenco racconta ai lettori di ChronicaLibri la sua ultima fatica letteraria: la piéce teatrale intitolata “Il pasto degli schiavi”. Il lavoro appartiene alla collana teatrale, “Scenamuta” edita da Edizioni Progetto Cultura, della quale l’autore si occupa come direttore artistico.
Come nasce “Il pasto degli Schiavi”?
In gran parte per caso. Una di quelle situazioni che non sai mai dove finisce la casualità o dove comincia il destino. Dovevo fare un altro spettacolo. Già si era avanti con le prove. Un paio di settimane prima della prima l’attrice ha dovuto rinunciare. Ovviamente è stata bruciata viva. Insomma mi trovavo solo con l’attore. Allora ho cominciato a rielaborare il pezzo per farne un monologo. Provare a salvare capra e cavoli. E mi sono trovato in mano un testo che raccontava tutto quello che sentivo di dover dire sul tema del potere in quel momento. Ma quel momento è valido in ogni tempo. È stata un’esplosione. Ha letteralmente fatto bum. È sgorgato. Tutto il sedimentato interiore di anni è traboccato fuori. Non vedeva l’ora. Come punti riferimento, oltre a quello evidente, ci sono Trujillo, Caligola e Sarah Kane, Thomas Bernhard, Ho cercato di dire tutto quello che avevo sullo stomaco. E’ un monologo forte condensato, tra la preghiera e l’imprecazione.
La condizione di degrado esistenziale descritta in questa piéce si riallaccia in qualche modo alla condizione disumana ampiamente affrontata nel tuo romanzo breve “La Palude e la Balera”?
Il potere è il pasto degli schiavi, esattamente come il cecchino il pasto dei resti umani della palude. In un qualche modo il potere e il cecchino sono due facce della stessa medaglia. essi sono il padrone di quegli altri. Ma in fondo quegli altri lo vogliono. Non saprebbero farne senza. Questo degrado che tu dici è il tessuto del nostro tempo. Quindi è inevitabile che si rifletta nei miei scritti. Il pasto è una vivisezione del potere e soprattutto, e questa è la parte che più mi inquieta, di come il potere sia in qualche modo, oscuro ma imprescindibile, contagioso. Di come il carnefice si attacchi dentro di noi. Per attrazione. Il potere che ci marcisce dentro richiama e vuole quello esterno. Siamo noi che lo cibiamo. Siamo noi che ci cibiamo.
Qual è il vero significato del continuo gioco di buio e luce?
Il gioco buio-luce è solo un entrare e uscire dalle sbarre e da noi stessi. E’ un altro modo per indicare lo scambio tra due cause ed effetti che non possono fare a meno l’un dell’altro. Insomma il carnefice non esisterebbe senza la vittima e viceversa.
Come mai hai scelto il genere del monologo e non hai optato per un faccia a faccia fra il potere e gli schiavi?
Servivano due attori per un faccia a faccia! La verità è che avrei potuto usare uno specchio. Anzi potrebbe essere un’idea per un prossimo allestimento. Il potere è lo schiavo e viceversa.
Perché proprio il potere? Pensi che sia quello il vero male della nostra società?
Il potere non è il problema principale. Il potere è. E’ ineludibile. È le fondamenta della nostra civiltà.
L’uomo in gabbia è la metafora di chi si rinchiude nel proprio apparente benessere protetto dalla ‘sporcizia’ sociale o è il vero ‘schiavo’ del potere che non ha il coraggio di ribellarsi alla logica di un sistema corrotto e spietato?
La gabbia deve permettere di uscire. Le sbarre non possono essere troppo strette. Perché il potere non è ingabbiabile. Lui è talmente forte che può tranquillamente affermare che è lui che si protegge, ma ovviamente come lui può uscire gli altri possono entrare. Egli però è talmente convincente che lui può uscire ma gli altri non arrivano all’evidenza di poter entrare. Lui è già dentro di noi. Così come la sporcizia  fuori è lui stesso. Pervade ogni cosa. Stiamo parlando in un certo modo, evidentemente, di dio. Di una proiezione distorta e ingannevole. Come le scimmie. Credo siano l’imitazione trionfante della vita. Sfacciate. Pulciose. Orgogliose di esserlo. C’è in effetti un mucchio di ciccia al fuoco.
Progetti per il futuro?
Tra pochi giorni andrà in scena un mio testo nuovo, “Jansi, la Janis sbagliata”. Un monologo quasi cantato su Janis Joplin. E dato che non sia mai che faccio qualcosa appetibile al pubblico, è senza neanche una canzone. In compenso è davvero una partitura per voce e basso. È praticamente un concerto. Un concept album di interiora di Jansi. Quando seguo le prove lo faccio ad occhi chiusi. Muovendomi come ballassi dentro. Meglio solo dentro che sono una frana. Mi preme per chiudere, dire che “Il pasto degli schiavi” è il primo numero di una collana teatrale della quale mi occupo come direttore artistico. “Scenamuta” edita da Edizioni Progetto Cultura. Sono già stati pubblicati talenti veri del teatro. Affermati e altri nascenti come Fabio Massimo Franceschelli con “Veronica”, Dario Aggioli con “Autore chi guarda” e Silvia Pietrovanni con “Bada-mi”.
Tre parole per definire “Il pasto degli Schiavi”?
Le scimmie scorrazzano.

 

ChronicaLibri ha intervistato Veronica Elisa Conti, autrice de “Le nebbie di Vraibourg”

Alessia Sità

ROMA – ChronicaLibri ha intervistato Veronica Elisa Conti, autrice de “Le nebbie di Vraibourg” edito da MUP. La giovane e brillante scrittrice racconta come è nato il suo primo romanzo – vincitore nel 2011 del prestigioso Premio Luigi Malerba di Narrativa e Sceneggiatura – svelando i retroscena di un lungo lavoro nato dall’amore e della passione per la letteratura francese e inglese e non solo.
Cosa ha ispirato “Le nebbie di Vraibourg”?
In questo lavoro, che per me è il primo in assoluto, confluiscono tutti gli autori, i luoghi, le opere che ho amato, sognato, letto e riletto. Il gioco dei nomi riconduce alla tradizione letteraria francese e inglese del Romanzo Gotico, ma ci sono dei testi a cui mi sono riferita come una vera e propria documentazione. Innanzitutto l’amato “ Il ritratto di Dorian Gray “. Ho immaginato che la madre del “mio” Dorian avesse letto questo capolavoro e, consapevole della bellezza del figlio, l’avesse così nominato. Il grande Dorian Gray vive un’evoluzione dall’innocenza al piacere senza coscienza, sino all’orrore per se stesso e il contrappasso della morte. Dorian Des Essarts è portatore di bellezza, ma non la cerca, si crede libero, ma la sua presunta libertà è data solo dalla paura che suscita. Finita questa, anche lui rimane prigioniero dello squallore della vita. Altri due titoli sono stati per me fondamentali. “ Il calore del sangue “ di Irène Némirovsky , il cui  ritratto della profonda provincia francese, delle sue meschinità, di quel passato che perseguita il presente mi ha condotto per mano in ogni parola. Infine il meraviglioso “Thérèse Desqueyroux” di Mauriac. Come nel libro di Irène Némirovsky, siamo immersi nella provincia della Francia che tanto amo. Mauriac riesce a far amare la figura di Thérèse , carnefice e vittima, persa tra i sogni e i suoi pini secolari. Una grandissima opera dallo stile moderno, immediato, che suscita mille interpretazioni, il cui finale aperto ci porta a nuove domande, come nella vita. Potrei citare ancora mille opere, immagini e suoni, ma credo e spero che ciascun mio lettore possa trovarli da solo e dare una sua personale risposta.
Il tuo romanzo ha vinto nel 2011 il Premio Luigi Malerba di Narrativa e Sceneggiatura. E’ una bellissima soddisfazione. Secondo te, qual è stato il vero punto di forza del tuo lavoro?
Credo la consapevolezza di quello che stai facendo, di chi sei e chi non puoi ancora essere. Ho cercato, seppur nel mio piccolo, di essere me stessa, riconoscendo con quanta più obbiettività, le mie caratteristiche e potenzialità. Questo mi ha portato a una scrittura personale, nata dalla scuola delle mie numerose letture, ma anche dal sincero riconoscere quanto lungo possa essere il proprio passo.
Leggendo “Le nebbie di Vraibourg” mi sono completamente immersa nell’atmosfera gotica che avvolge il mistero del Castello della Guyenne e dei personaggi che vi abitano. Sei appassionata di letteratura gotica? C’è un autore in particolare che ha determinato il tuo approccio a questo genere letterario?
La Letteratura Gotica di stampo settecentesco, romantico sino a quella del Novecento mi ha appassionato in tutte le sue declinazioni. Potrei citare , andando alla mia libreria, autori dai più celebri a quelli di nicchia  che ho amato e che mi hanno fatto tremare. Tra di loro c’è una  grande Signora del Novecento che mi ha ispirato: Dafne  du Maurier. Personalmente ritengo il suo lavoro gotico, come si può vedere nel suo romanzo più famoso “Rebecca la prima moglie”: il castello, i segreti, l’abile gioco di manipolazione psicologica, portano ad uno stato di tensione che, pur non presentando componenti surreali, sono propri dell’anima nera del Gotico. Poi ci sono i suoi bellissimi racconti: “ Non voltarti ” , “Monte Verità“ , “Il melo“ , “Il piccolo fotografo“ , “L’alibi“ , dove la paura s’ingigantisce in forme inaspettate, surreali e magnetiche, predette da una vecchia indovina o nascoste sulla vetta di un’ impenetrabile montagna. Infine nel romanzo “ Il capro espiatorio “ la realtà della vita dei personaggi, abitanti di un castello francese, è abilmente tagliata in mille sfaccettature che portano il lettore a riflettere sulla natura umana.  Per questo amo Dafne du Maurier: una grande scrittrice, una signora della tensione e dell’insinuazione, maestra nel presentare le maschere della realtà.
I personaggi che popolano il tuo romanzo sono molto ben delineati. Qual è stato quello più complicato da descrivere e in un certo senso da ‘animare’?
E’ stato Etienne.
Ho cercato di rendere credibile sia la sua ingenuità iniziale sia il bisogno di affetto e stabilità che lo immobilizzano in uno schema prestabilito da altri. Mentre scrivevo mi dicevo: “io farei proprio diversamente“ . Ma io non sono in miei personaggi. Pensavo alla sua infanzia,  al suo forte desiderio di stabilità affettiva e anche al contesto temporale in cui viveva. E’ forse il personaggio  per me più difficile da giudicare : avrei voluto da lui più forza, più durezza. Ma Etienne non è così. Non potevo fare diversamente.
Durante la costruzione dell’intreccio narrativo, c’è stato un momento in cui ti sei ritrovata a dover tornare sui tuoi passi per poter garantire al lettore il finale decisamente inaspettato?
Fortunatamente no. Ho cercato di creare con cura un’ “impalcatura“ narrativa che sostenesse bene il gioco in maschera dei personaggi. Sin dal principio ho avuto chiara la fine, o meglio, è proprio dalla fine che ho ricostruito ogni singolo passo della storia. Una tela tessuta a ritroso, ma così ho evitato i nodi.
Cosa vuol dire per te scrivere?
Scrivere è per me avere una seconda vita, quella circolare delle parole. E’ costruire una nuova realtà, ma anche trasporla su carta seguendo non le tue leggi, ma le sue. E’ conoscere intimamente ciascun personaggio e guardarlo fino a renderti conto che anche lui guarda te e che, anche se tu lo hai creato, non ne conosci il più profondo segreto. E’ costanza, esercizio, disciplina, ma soprattutto necessità.
Tre aggettivi per descrivere “Le nebbie di Vraibourg”.
Ambiguo
Ironico
Vendicativo

ChronicaLibri ha intervistato Rossella Calabrò, autrice delle “50 sbavature di Gigio: il lato B della trilogia più hot dell’anno”

Alessia Sità

ROMA – Dopo aver letto e recensito “Le 50 sbavature del Gigio” (Sperling&Kupfer editore) non ho potuto fare a meno di scrivere a Rossella Calabrò e ringraziarla personalmente per aver saputo cogliere l’aspetto più ironico e divertente del Gigio nostrano. Certamente Christian Grey è l’uomo che ha fatto innamorare tutte le lettrici delle “50 sfumature”, ma il Gigio ha quel ‘quid pluris’ che lo rende unico (forse) ed eccezionale allo stesso tempo. ChronicaLibri ha intervistato la brillante scrittrice che, con la sua solita ironia, parla del suo ultimo grande successo e della trilogia più famosa dell’anno.
Come è nato ‘Il lato B della trilogia più hot dell’anno’?
E’ nato mentre finivo di leggere l’ultimo volume della trilogia. Sono saltata giù dal divano – il gatto si è offeso moltissimo – e sono corsa davanti al mio Mac. Non ho resistito, avevo bisogno di riderci su, per iscritto.
Per descrivere così accuratamente ogni singola sbavatura del Gigio, ha osservato qualcuno in particolare oppure si è semplicemente basata sull’esemplare maschio presente sul pianeta Terra?
Be’, ho cinquantatré anni, un po’ di Gigi li ho conosciuti. E poi faccio un sacco di aperitivi con le amiche, e ovviamente, di cosa parlano le donne quando sono insieme?
Che cosa pensa della trilogia di E. L. James?
Un’operazione commerciale perfetta, sono stati bravissimi. Dal punto di vista letterario, non va giudicata, secondo me, ma va presa per quello che è, un Harmony molto, molto ben costruito. Chi la prende sul serio, e l’attacca, secondo me fa delle grandi pedalate a vuoto.
Si è parlato moltissimo del personaggio di Mr. Grey e poco della sua amata Anastasia Steele. Cosa pensa di questo esemplare di Gina? Che idea si è fatta a riguardo?
Mah, a dire la vera verità, a me Anastasia non è stata molto simpatica. Prima una specie di talpetta buona, poi diventa più prepotente del Grey.
Il mio motto è: ‘l’ironia ti salva la vita’. Dopo aver letto le “50 sbavature del Gigio” sono pronta a dichiarare che l’ironia salva anche la coppia. E’ stato quasi un sollievo leggere che il Gigio nelle sue molteplici sbavature sia quasi uguale per tutte. Magari tutte le Gine che fino a oggi credevano di aver scelto l’uomo sbagliato – smemorato, disordinato e strampalato – potranno finalmente ricredersi e consolarsi all’idea che l’uomo perfetto esiste solo fino a quando non suona la sveglia. Fra tutte le sfumature descritte, quale rappresenta perfettamente il Gigio universale?
Pensa che ci sono donne (forse giovanissime???) che mi hanno scritto, quasi offese, dicendo che il loro moroso non è come il Gigio, ma assomiglia a Mr Grey. Va be’, fantascienza a parte, il Gigio universale lo si può trovare descritto scientificamente (ops, volevo dire: ironicamente) in un altro mio libro scritto l’anno scorso, un ebook che si intitola “Perché le donne sposano gli opossum?” edito da Emma Book. La questione è che l’opossum, in natura, è un animaletto che in caso di situazione difficile da gestire si finge morto stecchito. Non pensa che anche i nostri Gigi facciano lo stesso?
Parlando da Gina a Gina, cosa dovrebbe avere il Gigio del Mr Grey e cosa Mr Grey del Gigio per essere perfettamente in equilibrio con l’ideale maschile sognato da ogni Gina?
Il Gigio dovrebbe rimanere più a lungo come si presenta i primi mesi della relazione con noi Gine, invece di svaccare al terzo mese. Il Mr Grey dovrebbe smetterla di ringhiare (è il verbo che viene usato nella trilogia) e magari farsi scappare qualche risata.
Durante la stesura del libro, ha avuto qualche esitazione o qualche difficoltà?
A parte il fatto che non ho avuto tempo nemmeno per respirare, figurarsi per esitare, scrivere è un amore e un lavoro, da trent’anni. E poi so che, se mi diverto mentre scrivo qualcosa, di solito succede che poi si diverte anche chi legge.
Che effetto fa ritrovarsi al centro del caso letterario dell’anno divenendone, in qualche modo, una delle protagoniste?
Non mi sono ancora ripresa. E soprattutto non so cosa mettermi.
Dal blog alla carta stampata. Come avviene questo passaggio? Chi o cosa determina questa scelta?
In realtà prima di essere una blogger avevo già pubblicato un paio di libri, e comunque avevo alle spalle, come dicevo, anni e anni di scrittura, per la pubblicità, per la musica, per i fumetti, per l’editoria. Cambiano i mezzi, ma il mestiere è lo stesso. Si tratta di sfumature. 😉
La sua scrittura è brillante e ironica. Si può dire che l’ironia sia il Suo tratto distintivo?
Io sopravvivo solo se scherzo. Nella scrittura e nella vita.
Ha altri progetti in cantiere?
Sì, ma mpffnon mmmmposso ancora mmmppfffdirlo.
Tre parole per descrivere le “50 sbavature di Gigio” e tre parole per descrivere le “50 sfumature”.
Sbavature di Gigio: gioco, controinformazione affettiva, realtà.
Sfumature di Grigio: sogno, contenuti retrogradi, romanticismo.
E l’erotismo? Poco.

 

In viaggio con… Mirko Pallera

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Antonio Carnevale e Massimiliano Augieri, due navigati e affascinanti speaker radiofonici, intervistano per noi gli autori delle più importanti novità editoriali.

Questa settimana è ospite Mirko Pallera con il suo “Create! Progettare idee contagiose (e rendere il mondo migliore)”.

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Intervista a Mirko Pallera su CHRONICAtube

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Mirko Pallera – Create! Progettare idee contagiose (e rendere il mondo migliore)

Sebbene “farlo virale” sia oggi l’ambizione di tutti i pubblicitari e comunicatori in genere, nessuno finora era riuscito a spiegare il vero segreto della viralità. L’autore, da tempo alla ricerca del “santo Graal” della comunicazione, ha trovato la formula per progettare una campagna in grado di “contagiare” un gran numero di persone. Una formula chiara, utile e semplice per progettare il viral-dna di un’idea, alla base di successi come quelli di T-Mobile e Nike, marchi che riescono a ottenere il massimo dagli investimenti utilizzando appieno l’enorme potenziale dei social media. (Sperling&Kupfer, 2012, €18.00)

In viaggio con… Pino Bruno

 

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Questa settimana è ospite Pino Bruno con il suo “Dolce Stil Web. Le parole al tempo di Internet”.

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Intervista a Pino Bruno su CHRONICAtube

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Pino Bruno – Dolce Stil Web. Le parole al tempo di Internet

Il web è il Nuovo Mondo di oggi, virtuale sì ma non più di tanto. Da oltre dieci anni le persone si incontrano in Rete e, come i primi mercanti che attraversavano mari e deserti, hanno cominciato a dialogare in una strana lingua. Uno slang che è un misto di inglese, spagnolo, informatica, neologismi, goliardia, strane faccine fatte di punteggiatura e icone animate. Con il tempo quell’idioma è diventato di uso comune ed è entrato a far parte del nostro vocabolario. Chattare, uploadare, downloadare, rippare, scaricare, blobbare, craccare. Siamo ormai abituati a frasi come: “Ti mando una mail con l’allegato. Lo zippo perché è ingombrante”. I giornali ci informano che il digital divide preoccupa i governi di tutto il mondo e che la polizia è sempre a caccia di cyberpedofili e responsabili di phishing. D’accordo, ma se volete che la gente si preoccupi, fate in modo che almeno capisca di cosa parlate! Questo libro è la bussola indispensabile a tutti i navigatori del web, a chi vuole capire e soprattutto non farsi ingannare da sedicenti guru, falsi profeti e imbonitori tecnologici. (Sperling&Kupfer, 2010, €16.00)

In viaggio con…Renato Nicolini

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Questa settimana è ospite Renato Nicolini con il suo “Estate Romana 1976-1985: un effimero lungo nove anni”.

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Intervista a Renato Nicolini su CHRONICAtube

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Renato Nicolini – Estate Romana 1976-1985: un effimero lungo nove anni

Indimenticato Assessore alla Cultura di Roma negli anni che vanno dal 1977 al 1985, nella prima giunta comunista guidata da Argan, architetto e uomo di teatro, Nicolini è un intellettuale noto per il suo impegno politico e soprattutto per aver dato vita a un nuovo modello culturale per la capitale durante i tormentati anni di piombo. Con la sua opera totalmente originale, Nicolini compie il miracolo: coinvolgere la massa in grandi eventi, far partecipare importanti nomi internazionali a spettacoli collettivi, inaugurare l’epoca dei reading, delle notti animate in cui l’elemento dello stupore e dell’emozione diventa preponderante: in una parola, abbattere le barriere tra cultura popolare e cultura d’élite. Anni memorabili raccontati anni dopo in questo libro, scritto di getto nel 1991, che torna oggi in libreria con una lunga introduzione dell’autore e con la prefazione di Jack Lang, già Ministro della Cultura francese. (Città del S0le Edizioni, 2011, €15.00)

 

In viaggio con… il mitico Claudio Sabelli Fioretti

ROMA – Bentrovati all’appuntamento di “In viaggio con…”: la nuova rubrica di audiointerviste, che anima il nostro Canale Youtube.

Antonio Carnevale e Massimiliano Augieri, due navigati e affascinanti speaker radiofonici, intervistano per noi gli autori delle più importanti novità editoriali.

Questa settimana è ospite Claudio Sabelli Fioretti con il suo successo “Stelle Bastarde”

Per ascoltare l’intervista cliccate su questo link:

Intervista a Claudio Sabelli su CHRONICAtube

Oppure accedete direttamente al Canale Youtube, dal video a destra. BUON ASCOLTO!

Claudio Sabelli Fioretti “Stelle bastarde”

Gli astrologi conoscono la verità ma ci dicono solo le cose belle e gratificanti, e si arriva al paradosso che gli oroscopo sono stupendi ma la vita fa schifo. Con questo libro voglio dimostrare che anche un oroscopo cattivo ma sincero può avere un suo perchè”. Claudio Sabelli Fioretti
Un oroscopo che non corteggia i propri “clienti” con frasi come “Sei troppo sensibile” oppure “Sei fragile e nessuno ti capisce”. Praticamente un antioroscopo. Segno per segno, ecco cosa hanno da raccontarci gli astri su come siamo e sull’anno che verrà. Un ritratto zodiacale pieno d’ironia e con un pizzico di cattiveria, nel quale in molti si ritroveranno. Con una sorpresa: se gli oroscopi “noti” spesso chiudono con il ritratto di celebrità dello stesso segno (Marion Brando, George Clooney…), in “Stelle Bastarde” i nati celebri sotto ciascun segno sono i politici (D’Alema, Bondi, Brunetta, Gelmini, Tremonti, Bossi, Berlusconi, Alfano, Carfagna, Andreotti, Mastella, Maroni), la nostra parte “peggiore”. Questo libro è nato dall’incontro con un astrologo vero, che con il beneficio dell’anonimato racconta la sua versione. (Chiarelettere, 2011, €12.00)