ChronicaLibri intervista Virginia Less, autrice di “Mal di Mare”

Alessia Sità
ROMA Qualche mese ho avuto il piacere di leggere e recensire “Mal di Mare“, il brillante romanzo di Virginia Savona Less, edito da Autodafé Edizioni. Sono stata decisamente conquistata dal simpatico personaggio del Capitano Osvaldi e dalle sue intriganti indagini, narrate in ben sette episodi .

ChronicaLibri ha intervistato l’autrice.

Già dal titolo del suo libro, “Mal di mare”, si intuisce il suo legame con l’acqua, infatti ho letto che è una velista. Per lei il mare rappresenta una fonte di ispirazione?
Ho trascorso le estati dell’infanzia e dell’adolescenza a Sperlonga, sulla costa laziale. Il rapporto con l’acqua, sopra e sotto, non poteva che riuscire felice. Alla vela mi sono accostata giovanissima grazie al mio esperto “capitano”(poi marito). Mi viene dunque  spontaneo parlare del mare  e trovo emblematica l’ambientazione. Per attraversarlo – come nel nostro vivere – occorre tracciare e seguire la rotta; farlo a vela richiede pazienza, intuito e raziocinio. Le doti che ho attribuito a Osvaldi, il quale deve muoversi in acque melmose verso mete elusive.
Come nasce il personaggio del Capitano Osvaldi?
Nei primi lavori ho evitato l’investigatore in divisa, troppo gettonato. Ma avevo conosciuto davvero un grosso carabiniere, ottimo cuoco e cattivo nuotatore; la sua ingombrante figura ha finito con il presentarsi  quasi da sola nei miei testi.
La riluttanza per il mare che lei ha attribuito al Capitano nasconde un significato più profondo oppure è stata semplicemente una scelta voluta per rendere un po’ comico il personaggio?
Il timore dell’acqua, insieme alla dieta perenne e al mantra su Ramsete, ha lo scopo di rendere simpatico il personaggio. Altrimenti “pesante”: ligio al dovere, pessimista, seguace di un’etica  rigorosa. Ma il suo  mal di mare simboleggia anche il malessere profondo delle persone per bene ( e che vogliono restare tali ), costrette a operare  in una società iniqua.
Dai suoi sette racconti emerge un quadro della società attuale alquanto dettagliato e non proprio roseo. Questo suo modo di scrivere è solo uno sfogo narrativo di denuncia del malcostume attuale, oppure è uno strumento per raccontare la società nel tentativo di migliorarla?
Il taglio socio-politico nasce dalla  formazione di base. Rappresenta poi il tentativo di tenere a bada, mediante un approccio  ironico, le mie frustrazioni di  cittadina delusa nelle sue esigenze di reale democrazia. La denuncia del malcostume dominante credo costituisca un dovere dello scrittore. L’idea di migliorare la società in cui vive… : un’illusione da conservare.
Secondo lei ‘nella nostra Maraglia’ il rigore morale è ormai un ricordo o intravede un barlume di speranza?
Maraglia è una sineddoche delle condotte immorali che caratterizzano, e non solo nel Mezzogiorno, la maggioranza dei governanti e dei governati. Meritevoli, questi ultimi, dei propri guai: per via della costante piccola “mafiosità “con la quale accostano la cosa pubblica. Tuttavia nel corso della storia gruppi di potere irrigiditi a difesa  sono stati più volte travolti quasi all’improvviso. Credo che i cittadini onesti, finora trattati da c…….i, non sopportino più la sfacciata  tracotanza dominante e siano in grado di prendere l’iniziativa. Se lo vorranno davvero.
Attualmente sta lavorando a un nuovo progetto?
Ho scritto un romanzo che riprende l’ambientazione e i personaggi principali dei racconti. Spero di pubblicarlo l’anno prossimo.
Tre parole per definire “Mal di mare”
Giallo, etica, ironia.

In viaggio con… la Sora Cesira

ROMA – Bentrovati all’appuntamento di “In viaggio con…”: la nuova rubrica di audiointerviste, che anima il nostro Canale Youtube.

Antonio Carnevale e Massimiliano Augieri, due navigati e affascinanti speaker radiofonici, intervistano per noi gli autori delle più importanti novità editoriali.

Questa settimana è ospite La Sora Cesira con il suo successo “Nel bene, nel male e nel così così”

Per ascoltare l’intervista cliccate su questo link:

Intervista alla Sora Cesira su CHRONICAtube

Oppure accedete direttamente al Canale Youtube, dal video a destra. BUON ASCOLTO!

Sora Cesira – Nel bene, nel male e nel così così

Mi chiamo Sora Cesira, ho l’età di Marilyn Manson al quadrato, diviso gli anni di Shrek meno il metabolismo basale di Cenerentola quando ha il ciclo. Ho fatto la scuola dell’obbligo e vi assicuro che nel mio caso la definizione è oltremodo azzeccata. Ho intrapreso numerose carriere scolastiche e non, e di tutte porto ancora i segni tangibili. I miei hobby sono: il collezionismo di eurini, la cacca e la pace nel mondo. L’ultimo film che ho visto aveva l’audio con i marocchini che ridevano e tossivano. Non so mai dove mettere le virgole. Penso che l’Italia sia un paese molto carino e senza speranza. Sono una persona buona. Credo.”
Se la Sora Cesira esista poi davvero, nessuno lo sa e forse poco importa. Quello che conta è che, fin dai tempi del suo grande successo, The Arcore’s Nights, quando lei guarda all’Italia, alla politica e alle nostre manie coglie sempre nel segno. Ci fa divertire. E ridere, molto spesso di noi stessi. Nel bene, nel male e nel così così riunisce tutto il meglio del Cesira-pensiero. E quindi tutto il meglio di noi italiani. Che facciamo la spesa al discount, tentiamo di dimagrire facendo spinning e compriamo solo gialli svedesi che poi usiamo come fermaporte.

(Biblioteca Umoristica Mondadori, 2011, €16.50)

In viaggio con… Antonio Menna e uno Steve Jobs napoletano

ROMA – Bentrovati all’appuntamento di “In viaggio con…”: la nuova rubrica di audiointerviste, che anima il nostro Canale Youtube.

Antonio Carnevale e Massimiliano Augieri, due navigati e affascinanti speaker radiofonici, intervistano per noi gli autori delle più importanti novità editoriali.

Questa settimana è ospite Antonio Menna con il suo successo “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli”

Per ascoltare l’intervista cliccate su questo link:

Intervista ad Antonio Menna su CHRONICAtube

Oppure accedete direttamente al Canale Youtube, dal video a destra. BUON ASCOLTO!

Antonio Menna Se Steve Jobs fosse nato a Napoli

Due ragazzi chiusi in un garage si inventano il computer del futuro: leggero, veloce, dal design innovativo, che non si blocca e non prende virus. Se fossimo in America, la storia avrebbe un lieto fine, fatto di soldi, gloria e successo.È andata così a Steve Jobs e alla sua Apple. Ma siamo a Napoli, dove il genio non basta a cambiare un destino. Lo sanno bene Stefano Lavori e Stefano Vozzini, due ragazzi dei Quartieri Spagnoli, che per avviare l’attività e vendere il loro rivoluzionario computer si scontrano con il peggio del Belpaese: in Italia i prestiti si fanno solo a chi ha già i soldi, le regole sono scritte per gli scemi perché i furbi se le scrivono da soli, i bandi li vincono gli amici di amici, la burocrazia chiude un occhio su chi è ben ammanigliato, ma li tiene spalancati sui poveracci. E ammettendo che i due guaglioni siano abbastanza affamati e folli da non arrendersi, quando ci si mette di mezzo la camorra il loro sogno va letteralmente in fumo.O, almeno, così sembra. Questo racconto, tanto amaro quanto esilarante, è nato come post sul blog dell’autore e in poche ore ha fatto il giro del mondo prima di diventare un libro.Antonio Menna spiega in modo divertito e insieme spietato la condizione di un Paese che sguazza nei suoi mali e incoraggia le buone idee ad andarsene. E ci svela perché da noi la Apple non sarebbe mai nata. E forse Steve Jobs sarebbe finito a vendere le pezze al mercato. (Sperling & Kupfer Editori, 2012, €10.50)

 

ChrL intervista Roberto Riccardi, autore de “La foto sulla spiaggia”

ROMA – Quando leggi un libro ti chiedi spesso – quasi sempre – come quel libro sia nato, a quali storie si sia ispirato, se sia stato frutto di immaginazione, studio o coincidenze. Molte volte, leggendo un buon libro, il lettore diventa curioso: vuole (pretende quasi) conoscere lo scrittore, capire come sia arrivato a dare vita a un romanzo. Con “La foto sulla spiaggia” le domande, per il lettore, si moltiplicano; perché dietro al libro pubblicato da Giuntina c’è un uomo che è scrittore, giornalista e colonnello dei Carabinieri. Allora la curiosità aumenta: perché Roberto Riccardi sceglie la foto di una bambina ebrea per costruire un grande romanzo storico? Io, da lettrice-giornalista curiosa, ho voluto intervistarlo.

Dopo “Sono stato un numero. Alberto Sed racconta” Roberto Riccardi torna sulla tematica della Shoah; come mai questa scelta?
I motivi sono tanti. Il primo è che, dopo aver conosciuto Sed, la Shoah è diventata una parte importante di me. Conoscere un ex deportato fa una bella differenza rispetto allo studio della Storia: ti cambia la vita. A me è successo, almeno. Da allora leggo tutto ciò che riguarda i lager, guardo i film, seguo i dibattiti, approfondisco. Dunque per me è stato naturale tornare sull’argomento e ho scelto di farlo con la narrativa. In una vicenda di fantasia possiamo mettere più facilmente noi stessi, era ciò che volevo fare.

Lei ha dichiarato che “il libro “La foto sulla spiaggia” è un cerchio che si chiude”. Ci spiega il perché?
Perché, quando volevo scrivere il mio primo libro, cioè la biografia di Sed, mi sono rivolto alla casa editrice Giuntina, specializzata sul tema, e ho conosciuto Daniel Vogelmann, il fondatore e direttore editoriale. Lui mi ha raccontato della sua sorellina mancata, Sissel, morta ad Auschwitz a otto anni. Il romanzo è dedicato a lei, parla della vita che Sissel poteva vivere ma le è stata negata.
“A cosa era servito percorrere tanta strada per andare a morire in un lager infame?” Secondo Lei, a settant’anni di distanza, ci si pone ancora questa domanda oppure ora si comincia a dimenticare?
Dimenticare Auschwitz è impossibile, per chi ha avuto la disgrazia di entrarci. Ognuno di loro ha ferite che non si possono rimarginare. Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria per ricordare quando, nel 1945, i cancelli del lager furono aperti e i pochi prigionieri rimasti, fra cui Primo Levi, tornarono liberi. Purtroppo quell’evento non ha potuto rendere la libertà alle coscienze, ai cuori, alle menti dei sopravvissuti. La stessa tragica fine di Levi, quarantadue anni dopo quel giorno, lo dimostra.
Il romanzo procede seguendo due storie parallele e da più punti di vista. Quanto conta l’intreccio narrativo in un libro?
Conta tanto, senza quello non c’è il libro, se l’intreccio non funziona il lettore va via a pagina 20. Utilizzare più punti di vista, più livelli di narrazione, è una tecnica molto diffusa nella letteratura contemporanea. Deriva dalla forte contaminazione fra le storie e le loro trasposizioni sullo schermo, tipica del nostro tempo. Mi sembra che questo funzioni, che piaccia.
Da scrittore quali sono le 3 parole che preferisce?
Il sogno di chi scrive (definirmi scrittore mi sembra eccessivo) è raggiungere la “magia delle parole”: quella che permette, con gli stessi vocaboli che tutti usiamo ogni giorno, di creare qualcosa che vada più lontano. Il valore aggiunto dell’arte. Così, tutte le parole sono importanti. Ma se devo scegliere, le mie tre sono: vita, amore, destino.

“Pronto e indossato”, Lavinia Biagiotti inaugura la novità multimediale di ChronicaLibri

Marianna Abbate
ROMA – E’ con immenso piacere che ChronicaLibri presenta “In viaggio con…”, la nuova rubrica di audiointerviste, che da oggi animerà il nostro Canale Youtube.

Antonio Carnevale e Massimiliano Augieri, due navigati e affascinanti speaker radiofonici, intervisteranno per noi gli autori delle più importanti novità editoriali.

Cominciamo subito con l’intervista a Lavinia Biagiotti, con un argomento decisamente in linea con gli interessi delle nostre affezionate lettrici:


Pronto e indossato. Ricette di stile per tutte le occasioni.

Per ascoltare l’intervista cliccate su questo link:

Intervista a Lavinia Biagiotti su CHRONICAtube

 

Oppure accedete direttamente al Canale Youtube, dal video a destra. BUON ASCOLTO!

Vi ricordo l’appuntamento domani, sabato 16 giugno 2012, per conoscerci e discutere insieme alle 18.00 al N’Importe quoi.

Pronto e indossato. Ricette di stile per tutte le occasioni.

“Vestirsi velocemente mortifica, ma con un minimo di organizzazione ogni guardaroba può diventare una miniera d’oro”: questa è la base di quelle che Lavinia Biagiotti chiama le sue “ricette di stile e di felicità”, tutte raccolte in questo volume fresco, giovane e tutto al femminile. I testi dell’autrice, accompagnati da foto e schizzi, sono un suggerimento per imparare a vestirsi con gusto ed essere cool in ogni occasione, dal party con gli amici al colloquio di lavoro, dal weekend fuori porta alla passeggiata in città. E se non si ha voglia di spendere, basta recuperare quei capi sepolti da tempo nel proprio armadio che, rinnovati con semplici accorgimenti, permetteranno di cambiare look ma senza toccare il portafoglio. Insomma una guida di stile ala portata di tutte le tasche femminili, sotto forma di pratica agenda da portare sempre con sé grazie al suo formato in stile notebook comodo e maneggevole. (Mondadori Electa, 2012, 19.90 €)

 

“Il campione innamorato” nella giornata contro l’omofobia

Giulia Siena
ROMA
– “Il campione innamorato. Giochi proibiti dello sport”, scritto da Alessandro Cecchi Paone e Flavio Pagano è arrivato nelle librerie per Giunti a fine aprile e già ha creato scalpore. I media ne hanno parlato e ne parlano non solo perché la prefazione è di Cesare Prandelli – ct della Nazionale e autore di epocali dichiarazioni sui gay nel calcio – ma anche per le innumerevoli storie di amore e sport che il volume racconta. “Il campione innamorato” è un libro che ripercorre lo sport come la storia parallela di passione e agonismo, una realtà che – dai tempi dei Greci – sembra che non possa più accogliere in sè, armoniosamente, pulsioni fisiche e foga sportiva. Ma lo sport è disciplina, educazione, amore, costanza e tolleranza. Lo sport non è vincere a tutti i costi e, in una società che non conosce cultura sportiva, l’agonismo viene sviscerato della sua componente pedagogica e passionale. Oggi, giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, per iniziativa del ministro Francesco Profumo, un capitolo de “Il campione innamorato” approda nelle scuole italiane. Nelle scuole italiane perché i giovani hanno tanta voglia di sapere e di esplorare, e perché l’omofobia è una delle tematiche del bullismo e perché, grazie anche alla storia di Thomas Gareth, il primo giocatore di rugby ad annunciare la propria omosessualità, lo sport diventi una storia di amore e tolleranza. Oggi ne parliamo con Flavio Pagano (nella foto in basso).

Perché “Il campione innamorato”?
Perché è inquietante pensare che in Iran pochi giorni fa sono stati impiccati quattro ragazzi omosessuali e che due anni fa Eudy Simelan, capitano della squadra di calcio femminile del Sudafrica è stata uccisa poiché lesbica. Sono storie scomode, perché molti amano far finta di non capire e di non sapere, per timore di doversi complicare la visione della vita. Questo libro ci racconta che la storia è fatta di persone, persone che hanno avuto una vita quotidiana identica alla quotidianità di oggi; persone che hanno vissuto i problemi che molti altri vivono oggi, e che hanno saputo trovare il coraggio per affrontarli. La vita consiste nella possibilità di fare delle scelte. È quando cominciamo a scegliere, che veniamo veramente al mondo. Senza questo, finché c’è qualcun altro che pretende di scegliere per noi, non può esistere libertà.

Lo sport che ruolo ha avuto nella storia dell’omofobia?
Lo sport è un momento decisivo di una società, della sua cultura e del suo modo di essere. “Il campione innamorato” è un libro nel quale l’amore e l’agonismo sono stati narrati cercando di far vivere la polifonia dell’intreccio di storie come in un romanzo. Da eterosessuale dico che il calcio è lo sport della sessuofobia. Tutti gli sport hanno una componente compulsiva, primitiva, fallica, ma nel calcio, e già nella formazione sportiva dei ragazzini, domina il maschilismo. Quel maschilismo che diventa omofobia, razzismo, voglia di vincere a tutti i costi fottendosene delle regole, e che inquieta.

Dalla dichiarazione-scandalo di Prandelli sono passate poche settimane, ma in quanto tempo è nato il vostro libro?
Il nostro è stato un lungo lavoro di documentazione; infatti, nel libro, vengono riportati innumerevoli episodi di sport e di vita privata dei più grandi campioni di ogni disciplina. C’è la storia di Dora-Heinrich Ratjen, di Martina Navratilova e la storia di Re Umberto II di Savoia. Forse non si potrà ammettere che un calciatore è omosessuale, ma un celebre sovrano lo era. Umberto II di Savoia era un accanito corteggiatore del calciatore Primo Carnera. Il simbolo della virilità durante il fascismo, Carnera, ebbe un flirt a bordo piscina di casa Savoia con il re. Del resto molti parlano dell’omosessualità di un personaggio leggendario del calcio mondiale, che oggi ricopre un ruolo diregenziale, ma simili storie vengono sistematicamente criptate e nascoste dalla “cupola” del potere sportivo.

Allora perché tutto questo silenzio intorno alle dichiarazioni di Prandelli?
Ci aspettava almeno qualche presa di posizione da parte delle istituzioni sportive e non. Invece c’è un polverone, eppure pochi, se non nessuno, hanno parlato.Purtroppo duemila anni di storia non hanno portato a nulla. E’ stato imbarazzante assistere al silenzio di tutti; neanche le istituzioni hanno voluto schierarsi. Io ho invitato il sindaco della mia città, Luigi De Magistris, a prendere parte alla discussione perché sarebbe stato bello che da Napoli, città vittima di razzismo, si partisse con un dibattito o con una presa di posizione. Ma al polverone che si è alzato a livello mediatico, sul web e sui giornali, nessuno – non ancora – ha osato replicare. Quella contro il razzismo è una battaglia. non è un discorso da bar sport, come vorrebbero farci credere personaggi come Moggi. Il calcio, lo sappiamo tutti, ha ben altro da fare che reprimere il diritto della gente di vivere e amare: dovrebbe pensare a ricostruirsi una credibilità, e una moralità. Il nostro libro ha un obiettivo ambizioso: fermare per un attimo il mondo sfrenato del pallone, e invitarlo a pensare. Un momento, un minuto di silenzio, come si dice in gergo sportivo, come è avvenuto quando è tragicamente morto in campo Morosini. Fermarci tutti a pensare davanti al mistero dell’amore, così come ci siamo fermati davanti a quello della morte.

Flavio Pagano e Alessandro Cecchi Paone sono al loro secondo libro insieme; progetti futuri?
Dopo “La rivolta degli zingari” e “Il campione innamorato” vorremmo continuare a esplorare i grandi filoni della Storia alla ricerca di dettagli sfuggiti all’attenzione generale, di angolazioni nuove. Alessandro ha la passione dell’archeologia, io quella della letteratura. Staremo a vedere.

 

“Intervista a Cristiano Abbadessa, direttore editoriale di Autodafé Edizioni”

Alessia Sità

ChronicaLibri ha intervistato Cristiano Abbadessa, direttore editoriale di Autodafé Edizioni, che ci parla dello spirito e dei progetti futuri della piccola casa editrice specializzata in narrativa.
Qual è la proposta editoriale di Autodafé?

Pubblichiamo opere di narrativa (romanzi o raccolte di racconti) capaci di stimolare la riflessione e la comprensione della realtà sociale dell’Italia contemporanea. Abbiamo quindi un’identità tematica, più che di genere o di stile, frutto da un lato di una nostra precisa scelta culturale e civile e dall’altro della considerazione che questo tipo di offerta è abbastanza rara nel panorama editoriale italiano.
I due significati attribuiti al nome Autodafé, ovvero ‘Fatto da solo’ e ‘Atto di Fede’, possono essere considerati la vera ‘formula vincente’ e il tratto distintivo della vostra casa editrice?

Direi che rappresentano bene lo spirito della nostra avventura editoriale: una piccola casa editrice per autori non ancora affermati, connotata da una cura artigianale del lavoro e animata da un indispensabile ottimismo. Non mi azzarderei a parlare di “formula vincente”, almeno per ora.
Autodafé come sceglie i propri autori?

Per un anno e mezzo abbiamo valutato tutte le proposte editoriali ricevute: per una decina di mesi con buoni risultati, poi il metodo si è rivelato poco efficace, di fronte a una gran quantità di proposte totalmente fuori tema. Abbiamo perciò ristretto il campo della selezione, avvalendoci di una prima cernita esterna alla redazione della casa editrice. I criteri di selezione restano invece gli stessi: opere di qualità letteraria che abbiano rigorosa attinenza con la nostra linea editoriale.
Il vostro obiettivo è quello di ‘pubblicare opere che aiutino a comprendere e a riflettere intorno alla realtà sociale dell’Italia contemporanea’. L’opera più significativa a tale proposito qual è stata?

Tutte quelle pubblicate, ovviamente. Non lo dico solo per obbligo e correttezza, ma anche e soprattutto perché, in effetti, se un’opera non ha le caratteristiche indicate non la pubblichiamo. E direi che proprio le differenze di genere e di stile, quindi la conoscenza di tutti i titoli e non di uno soltanto, aiuta a comprendere appieno come si possa raggiungere l’obiettivo indicato percorrendo strade letterarie apparentemente diverse.
Sempre meno libri venduti, sempre più case editrici: come vive Autodafé questa continua “lotta”?

Male. C’è un problema di proliferazione degli editori, ma soprattutto di sovrapproduzione: escono più titoli di quanti il mercato possa digerirne. Dall’altra parte, è anche vero che gli editori sono invece “pochi” rispetto alla quantità davvero enorme di proposte avanzate dagli autori, e non tutte improponibili o presuntuose. Deve però ristabilirsi un equilibrio tra buone opere scritte, editori che le pubblicano, lettori che le leggono.
Quali sono i progetti futuri di Autodafé?

Nell’immediato, siamo proprio concentrati sulla valorizzazione delle opere pubblicate, con l’obiettivo di avere un riscontro preciso delle nostre reali potenzialità. Siamo convinti della validità dei titoli pubblicati, ma ora devono essere i lettori a dirci se esiste davvero lo spazio per una proposta editoriale come la nostra.

ChronicaLibri intervista Adriano Marenco

 

Alessia Sità

ROMA – ChronicaLibri ha intervistato Adriano Marenco, autore de La palude e la balera pubblicato da Edizione Progetto cultura. Le risposte dirette e sincere lasciano intravedere la notevole profondità intellettuale di questo abile e attento ‘osservatore’, che con straordinaria capacità narrativa è riuscito a descrivere minuziosamente il triste degrado sociale che affligge il nostro tempo.
Come è nata la ‘metafora’ de “La palude e la balera”?
Quale metafora? È una foto interiore della realtà. Premesso che per me è sempre molto complicato parlare de la Palude tenterò, ma mi dissocio da subito dalle mie risposte. Le cose che scrivo nascono da un’immagine, una parola, una frase, un calzino abbandonato per strada. Poi pian piano mi colmo di sensazioni e idee. La verità è che spesso non so bene dove andrò a parare. Io cerco di liberare tutte le energie che mi han caricato e il tutto pian piano prende forma. Non faccio una scaletta. O meglio la mia scaletta è la vita che cerco di trasformare in una vita al cubo. Io voglio parlare al lettore su più livelli, voglio lasciare un segno dentro, qualcosa che lasci un senso di inquietudine, smarrimento, un cavolo è vero è così! perché sto parlando di quello che c’è dentro e fuori di noi. Cose che magari non siamo in grado di vedere e le abbiamo proprio sotto il naso.
Fin dalle prime pagine del tuo libro emerge subito un disagio esistenziale e un senso di straniamento logorante,  che inevitabilmente lasciano il lettore attonito e senza parole. Credi che una situazione come quella da te descritta nella palude esista realmente oggi?
La Palude è uno stato interiore ed esteriore. È ovviamente il mondo, in senso iperrealistico, che ci circonda. È il plagio dell’anima. È la rottura prolungata. È la realtà scavata fino a non trovarne il cuore. Perché semplicemente non c’è. La palude sono le forze che ci spingono a perdere la memoria, ad abbrutire e semplicizzare il linguaggio, che ci incitano a concepire sogni irrealizzabili e penosi.
La Balera rappresenta una speranza per i reietti della Palude, mentre per le persone normali sembra essere un vero incubo. Perché?
La Balera è una speranza ridicola per quelli della Palude, e nonostante ciò alla fine neanche quella è concessa. Accidenti una birretta gelata e qualche canzone d’amore. Che sarà mai. Le persone normali non esistono. O si è nella palude, al massimo nella balera, oppure si vive in uno status quo mediatico e militarizzato.
Esiste oggi una balera?
Fisicamente la balera è uno stato intermedio tra il mondo di fuori e la palude. È quello che capita quando tenti di recuperare la memoria o il linguaggio. Cose proibite insomma. Bè, certo esiste. Quando vieni da fuori è in fondo la lotta per mantenere vivo il pensiero. Poi o scendi a patti oppure scendi ancora più giù.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Se intendi il mio futuro a ‘120 secondi di distanza’, l’unico futuro che si può concepire nella palude è non essere licenziato. Se invece parliamo di giorni interi, finire la piéce su Don Verzé.

 

Editoria e letteratura alle nuove frontiere: ChronicaLibri intervista il “Progetto Letterario Alga”

Giulio Gasperini
ROMA – Abbiamo già presentato il “Progetto Letterario Alga” dalle pagine di questa rivista, settimane fa. Adesso, però, per spiegare meglio e dare un valore aggiunto alle nostre misere parole, a prendere voce è direttamente uno dei protagonisti di quest’esperienza, Massimo Moscaritolo, uno degli artefici e degli indefessi organizzatori di un progetto che, come abbiamo scritto, appare tanto coraggioso e innovativo da meritare di parlarne, in ogni dove.

Non posso rinunciare a una prima domanda scontata e prevedibile: dalla tua “viva voce” vorrei sentir spiegato in cosa consiste questo “Progetto Alga” che avete avviato, tre anni fa, a Torino. So che tra sito e social network è tutto ampiamente spiegato e descritto, ma sempre meglio sentirlo da chi fu uno dei protagonisti e degli artefici dell’ardita impresa, no?!?
Il “Progetto Letterario Alga” nasce circa tre anni fa con l’intenzione di essere un premio letterario diverso da quelli già esistenti. Tra gli aspetti caratteristici del progetto rientra senza dubbio l’attenzione che viene riservata al feedback dei lettori. Ogni libro, infatti, consente attraverso un codice di esprimere due commenti e due voti sul sito internet, www.premioalga.it. Il lettore può, scegliendo di votare, diventare così parte della giuria popolare che decreterà il vincitore a fine anno! Sul sito è possibile trovare la locandina e la quarta di copertina di ogni libro e nella sezione “vota” leggere i commenti di chi prima di voi ha letto il libro. Inoltre abbiamo anche pensato che leggere un libro non debba essere un peso, riferendoci al lato economico: tutti i nostri libri, infatti, sono venduti al prezzo di 3 euro.

Mi puoi parlare un po’ del vostro gruppo? Da dove venite, chi siete, dove andate, direbbe Paul Gauguin…
Le Alghe sono cinque amici torinesi che tre anni fa hanno deciso di unire la loro passione per la lettura con la volontà di fornire un’alternativa a un sistema per nulla dinamico e giovane. Seppur impegnati tra studi (master, dottorati, università) e lavoro, le energie e la passione iniziali sono ancora forti, soprattutto grazie alle risposte degli autori e dei lettori: è grazie a loro che continuiamo a impegnarci per far cresce il progetto, ma anche noi stessi: sappiamo da dove siamo partiti e sicuramente il Premio Alga è il nostro traghetto per il futuro.

Il vostro traghetto contempla anche una casa editrice, sebbene un po’ sui generis. Sul sito ho visto che avete, nella distribuzione del “prodotto libro”, battuto due diverse strade: da una parte avete preferito, fisicamente, una distribuzione che premiasse i libri indipendenti o, addirittura, luoghi dove di solito i libri non si trovano; dall’altra, avete tutti i libri disponibili per esser scaricati e letti sull’e-book reader. Com’è stato, come casa editrice, scegliere di aderire, in maniera preponderante, alla nuova forma tecnologica della editoria che evolve?
Crediamo che l’e-book sia il futuro, negli USA le copie digitali hanno raggiunto quelle cartacee e crediamo che pian pianino anche nel nostro paese, nel giro di qualche anno, avremo un gran numero di lettori “digitali”. La tecnologia è il futuro e noi vogliamo essere pronti!

E cosa ne pensate della figura e del ruolo del libraio? Ve lo domando perché, in effetti, sono un po’ sensibile all’argomento, considerando la professione del librario una delle più affascinanti e “utili” che possano esistere, soprattutto al giorno d’oggi. L’e-book porterà, infatti, a una progressiva scomparsa di questa figura che, innegabilmente, svolge un importantissimo ruolo anche culturale…
Come tu stesso dici è sicuramente una delle professioni più affascinanti che esistano! La loro è una situazione difficile, causata dalla grande distribuzione che con i suoi grandi quantitativi può fare prezzi troppo concorrenziali per loro, però il piacere di parlare e farsi consigliare dal “saggio libraio” vale sicuramente la differenza di prezzo!

Tornando al concorso, che novità credi che il “Progetto letterario Alga” possa portare al mondo editoriale italiano? Dove pensi che si possa spingere? Quali sono i buoni propositi del gruppo “Alga”?
Ovviamente di buoni propositi ne abbiamo molti, vogliamo crescere portano con noi le caratteristiche che ci contraddistinguono, ci piace essere molto vicini agli scrittori e al pubblico e che la giuria popolare sia uno dei punti di forza insieme al voler vendere i nostri libri ad un prezzo basso. Piccoli dettagli che sommati creano una realtà differente.

E infatti son proprio codesti “piccoli dettagli” che stupiscono: abituati, probabilmente, alle grandi “filiere editoriali” e a un’editoria “mercificata” la semplicità e la schiettezza (sul prodotto) paion orpelli inutili; anzi, addirittura limitanti. Complimenti ancora ragazzi! Anche se, come nota personale, speriamo che il futuro dell’editoria non arrivi tanto presto!

ChronicaLibri incontra Barbara Ottaviani

intervista a barbara ottaviani_chronicalibriROMA ChronicaLibri ha incontrato Barbara Ottaviani, autrice di “Acquasanta”. Ci siamo viste in un book bar dalle tonalità femminili, una location perfetta per conoscere meglio una donna forte, decisa e consapevole del proprio bisogno di scrittura.

Barbara Ottaviani, un medico che decide di scrivere un romanzo?
Non è proprio così. L’anima di medico vive con quella intimista della scrittrice forte in me da sempre, anche da prima de “I cortoracconti di Sonja”, la mia prima esperienza letteraria edita da Navarra editore nel 2006. Sono innamorata delle persone e dell’idea di prendermene cura in senso generale; lo esprimo attraverso la medicina per una parte della giornata e attraverso la scrittura per l’altra.
In “Acquasanta” ho percepito una scrittura che voleva affermare la propria sensibilità nonostante il pragmatismo di tutti i giorni, un amore che venisse fuori dalle pagine come risposta al distacco professionale. E’ così? Barbara Ottaviani attraverso “Acquasanta” esprime la sensibilità che nella vita di tutti i giorni deve mettere da parte?
Sì, se mi ci soffermo a pensare, sento di dare, nei miei racconti, molto respiro alla parte sensibile a discapito di quella pragmatica. Mentre quando sono in ospedale, sebbene di partenza dosi in modo equo razionalità e sensibilità, riconosco, alcune volte, di dover sacrificare un po’ la sensibilità per lasciare più spazio al pragmatismo, alla determinazione, che nel mio lavoro di medico devo avere. Sicuramente la scrittura mi bilancia in senso umano, ma trovo la mia definizione nell’essere un medico-scrittore o uno scrittore-medico.
“Acquasanta” è un romanzo che ha la caratteristica di poter estrarre qualsiasi capitolo e trattarlo separatamente come entità autosufficiente. E’ solo una mia impressione?
No, affatto e sono felice che arrivi al lettore. All’inizio non volevo scrivere un romanzo, quindi scrivevo dei pensieri, dei micro mondi, definendo però dei punti di contatto tra di loro. . Sentivo il bisogno di mettere su carta le emozioni, poi, lentamente, come il fluire di un suono o di un odore, la storia ha preso la sua strada esercitando il suo potere catartico su ogni cosa toccasse. Questa è la scrittura, una forza catartica, che nel momento stesso in cui si manifesta e ti cambia, lenisce il tuo dolore per il cambiamento e si prende cura del tuo bisogno di sicurezza. Posso affermare che “Acquasanta” è andato scrivendosi.
Un processo del genere, però, immagino impieghi molto tempo. Quanto è durata la gestazione di “Acquasanta”?
Poco e tanto. Poco perché i pezzi che compongono il romanzo sono stati scritti di getto, quasi insieme, e in meno di un paio di mesi in tutto. Il tempo lungo è stato quello di trasformazione per rendere tanti pezzi un unico corpo. Senza considerare la mia anima di perfezionista: “Acquasanta” è stato un desiderio da limare e modificare continuamente; tagliavo, tagliavo, cercavo la parola giusta, e poi ancora tagliavo. Volevo che restasse solo l’essenziale. Rileggendolo ora taglierei ancora altro, però mi dicono che è meglio che non lo rilegga più, altrimenti resta solo un aforisma.
La protagonista del tuo romanzo è un’infermiera che si lascia coinvolgere nella storia di una bambina in coma. Come mai questa scelta?
Uno dei primi pezzi che ho sentito il bisogno di scrivere riguardava il diario di una bambina. In quel periodo mi capitava spesso di leggere romanzi o storie in cui i bambini che parlavano si esprimevano attraverso una linguistica e una forma mentis da adulto e lo trovavo molto incoerente. Quindi ho pensato di riscattare un po’ questo mio bisogno di leggere delle parole bambine, scrivendo un diario. Poi, come si diceva prima, la scrittura ha preso il sopravvento, e sono comparsi dei pezzi in cui c’era questa donna, che bambina non era stata mai; nel lavoro di unificazione dei pezzi non ho fatto altro che farle conoscere, il resto è venuto da sé. La scelta di non far parlare la bambina se non attraverso l’indagine della donna rappresentava la sublimazione della ricerca e, secondo me, l’anima dell’indagine emotiva: non ci si conosce se c’è qualcuno che ci da già tutte le risposte. Rintracciando le briciole di pane che la bimba ha seminato lungo il suo cammino, la protagonista ritrova sé stessa.
Perché i personaggi di questo romanzo sono descritti minuziosamente ma non hanno nomi?
I nomi non ti permettono di fare completamente tua un’immagine. La madre è madre per chiunque, la bimba potrebbe essere la figlia della tua vicina di casa o tua figlia, il vecchio, affascinante e oscuro, potrebbe essere l’Uomo che esiste nella vita di ognuno di noi.
Ecco, appunto, il vecchio! Guida e amico della bambina, per il quale la protagonista prova subito una forte e strana attrazione, non ha un nome ma viene reso riconoscibile da una descrizione molto attenta del suo odore. Facci capire meglio, per te il vecchio che odore ha?
Un odore rassicurante, carismatico, molto riconoscibile, familiare. Ha un odore di casa.
Scrivi: “Ho pure spiegato le scapole, rudimentale abbozzo d’ali con le quali prima o poi spiccherò il volo”. Come è nata questa immagine?
Un giorno la mia massaggiatrice Mari mi ha letteralmente afferrato le scapole e ha provato a tenderle al limite come a volerle spiegare. A quel punto, mi è come parso che stesse estraendo le mie ali, ecco è stato allora che ho deciso di scrivere delle ali in fieri, della frustrazione che ci consuma già dal ventre materno quando le ali si trasformano in scapole “come a ricordarci che ce la dobbiamo guadagnare la possibilità di volare”! Mi piace cercare nuove dimensioni dell’anima nel corpo, così come  nella mente.
Le tre parole che preferisci?
Non ho parole che preferisco, ma preferisco di massima le parole che mi colpiscono, e cambiano di volta in volta, di contesto in contesto. E’ come nella vita, se non c’è qualcosa che mi colpisce in modo particolare non so decidermi sulle scelte da fare.

(foto di Studio Kiribiri)