Biancoenero Edizioni: arrivano i primi eBook ad Alta Leggibilità

Biancoenero_fontROMA – Il panorama dei supporti per la dislessia si arricchisce di un nuovo strumento: arrivano in Italia i primi eBook ad Alta Leggibilità, libri digitali con specifiche caratteristiche che aiutano la lettura di chi ha difficoltà. Gli eBook ad Alta Leggibilità sono i grandi classici della letteratura internazionale, gli stessi pubblicati nella collana Raccontami di Biancoenero, la casa editrice romana che dal 2005 si occupa del progetto Alta Leggibilità per avvicinare ai libri tutti i ragazzi, anche quelli che hanno difficoltà di lettura. In particolare ha elaborato dei criteri sintattici e tipografici che usa ormai da anni nelle sue collane (Raccontami e ZOOM, romanzi brevi italiani e stranieri per lettori più piccoli), infine li ha ripensati per l’ecosistema digitale.

 

Gli eBook ad Alta Leggibilità

– “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne, letto da Paolo Sassanelli

– “Canto di Natale” di Charles Dickens, letto da Giulio Scarpati

– “Le avventure di Huckleberry Finn” di Mark Twain, letto da Pierfrancesco Poggi
– “Lo strano caso del Dott. Jeckyll e del Sig. Hyde” di Robert Louis Stevenson, letto da Giulio Scarpati
– “Capitani coraggiosi” di Rudyard Kipling, letto da Pierfrancesco Poggi

 

Caratteristiche tecniche eBook biancoenero

L’eBook biancoenero è in Epub3, l’ultima implementazione dello standard più diffuso per la creazione di ebook. Usa la tecnologia Read aloud, ovvero sincronizza voce e testo paragrafo per paragrafo. Contiene un Dizionario digitale che definisce le parole difficili, permettendo l’arricchimento lessicale. Una barra marcariga aiuta il passaggio da una riga all’altra.  Inoltre, grazie anche al Fixed layout che mantiene fisso l’impaginato, l’eBook biancoenero conserva le caratteristiche dell’Alta Leggibilità già usate nei suoi testi di narrativa: Il fondo pagina è color crema e non bianco, per stancare meno la vista; righe spezzate e non giustificate che aiutano il ritmo della lettura paragrafi e capitoli brevi una font specifica (la font biancoenero®), disegnata appositamente per chi ha difficoltà di lettura. La font biancoenero® è stata scelta da Anastasis, la sofware house più nota in Italia per lo sviluppo di software innovativi per la disabilità e lo svantaggio. Ma la font è anche messa a disposizione gratuitamente per chi ne fa un uso non commerciale: ad oggi, sono più di 1500 gli enti, le istituzioni, i privati e le scuole che ne anno fatto richiesta.

 

Dove leggere gli eBook biancoenero

Gli eBook biancoenero sono disponibili per IBooks per iPhone o iPad e per Readium per Chrome Browser (su dispositivi Desktop).
Entro pochi mesi molti altri produttori adegueranno i loro dispositivi allo standard ePub3.

 

I 10 Libri per combattere la noia

leggere_10 libri per combattere la noiaROMA – La tanto chiacchierata e temuta crisi economica ci ha logorato: più tasse, meno distrazioni, più preoccupazioni. Il pessimismo dilagante spesso ci contamina e l’arrivo dell’inverno non può far altro che aumentare la nostra insofferenza verso tutto e tutti. E’ a questo punto che la noia fa capolino nelle serate piovose, nei pomeriggi cupi e nei week end uggiosi. Allora bisogna trovare un modo per combattere, bisogna cercare uno spiraglio di sole da fare entrare nelle nostre giornate: questo può essere un libro. Un buon libro, ovvero 10 Libri per combattere la noia.

 

 

1. “Le piccole virtù” di Natalia Ginzburg, Einaudi

2. “I sette pazzi” di Roberto Arlt, Sur

3. “Retablo” di Vincenzo Consolo, Sellerio

4. “Amori ridicoli” di Milan Kundera, Adelphi

5. “L’inizio e la fine” di Irène Némirovsky, Via del Vento

6. “A cuore aperto” di Elie Wiesel, Bompiani

7. “La donna di scorta” di Diego De Silva, Einaudi

8. “Finché c’è prosecco c’è speranza” di Fulvio Ervas, Marcos Y Marcos

9. “Middlesex” di Jeffrey Eugenides, Feltrinelli

10. “Con gli occhi chiusi” di Federigo Tozzi, Bur

Letterature 2013: il Festival di Massenzio cambia raccontando il mondo che cambia

letterature 2013ROMA – Per gli amanti della lettura e della letteratura è ormai un appuntamento fisso. Stiamo parlando di Letterature, Festival Internazionale di Roma giunto quest’anno alla XII edizione. Ideato e diretto da Maria Ida Gaeta e realizzato dall’Assessorato alle Politiche Culturali e dal Centro Storico di Roma Capitale, il Festival si svolgerà nella suggestiva Basilica di Massenzio da martedì 11 giugno a mercoledì 3 luglio. Nel corso delle 10 serate (ogni serata avrà due parti e due punti di vista: il dire e il fare, il narrare e il vivere) la relazione tra letteratura e vita – da sempre il tema del Festival – sarà proposta in maniera differente: il pubblico sarà invitato a una riflessione che trarrà spunti da esempi di vita concreti oltre che dall’ascolto di storie letterarie. Nell’anno del cinquantesimo anniversario dell’indimenticabile discorso “I have a dream” di Martin Luther King al Lincoln Memorial di Washington, il Festival di Massenzio ne raccoglie l’ispirazione. E’ stato chiesto agli scrittori di raccontare un sogno di umanità e di civiltà; per questo la lettura dei testi inediti degli scrittori invitati nelle 10 serate sarà preceduta dal racconto di storie italiane, esperienze, consolidate o di start up, soprattutto di giovani perché i giovani vivono un tempo in cui il sogno e la sua realizzazione non sono troppo distanti e la memoria e la vita sono più vicine. 

Ferdinando Scianna, Edward St Aubyn, Vinicio Capossela, Jennifer Egan, Scott Hutchins, Emanuele Trevi, Edwidge Danticat, Serena Dandini, Concita De Gregorio, Taiye Selasi, Maram Al-Masri, Farian Sabahi, Simonetta Agnello Hornby, Clara Usón, Chiara Gamberale, Eraldo Affinati, Fulvio Ervas, Alicia Giménez Bartlett, Andrea Bajani, Ko Un, Marek Halter, Bunker Roy, Zadie Smith, Roberto Saviano. Musica live,  immagini video e fotografiche accompagneranno, come sempre, il racconto delle esperienze e la lettura dei testi inediti degli autori.

 

Tra le novità di questa edizione, purtroppo per noi orfana di quella Poesia che aveva infiammato il pubblico di Massenzio, anche l’incontro tra Arte e Letteratura. La Casa delle Letterature, infatti, nell’ambito del ciclo Doppio Passo propone una rassegna che si intende dedicare alle grandi stamperie storiche romane e alle loro creazioni, sottolineando, in particolare, l’intensa e proficua collaborazione dei maestri stampatori con artisti e scrittori. Le stamperie romane sono state e tuttora continuano a essere punti di incontro dove, in un crogiolo di idee, avviene la vera fusione tra arte e letteratura. Si inizia dai Bulla, con una mostra che propone una selezione di opere di grandi maestri dell’arte contemporanea della scuola romana affiancati da prestigiose firme della letteratura durante un periodo che va dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’90.

 

Tra le altre novità anche alcuni “consigli” riservati al pubblico di Massenzio, che potrà usufruire dei servizi offerti da due start up ospitate presso l’acceleratore LUISS ENLABS “la fabbrica delle start up”: Le Cicogne e Pubster. Le Cicogne, società nata per far  incontrare domanda e offerta di baby-sitting, baby-tutoring e baby-taxi offrirà tariffe agevolate per il Festival ai genitori che potranno trovare la “Cicogna” più adatta alle proprie esigenze nella sezione del sito dedicata. Pubster offrirà, insieme al biglietto di ingresso a ogni serata, un coupon a tutti gli spettatori che, dopo aver  scaricato l’apposita app sul proprio cellulare, potranno bere un analcolico o mangiare uno snack gratis scegliendo tra un ampio elenco di bar e locali nelle vicinanze del Foro Romano.

 

Queste le case editrici italiane che pubblicano gli autori ospiti di questa edizione: Bruno Mondadori – Casa  della poesia – Contrasto – Einaudi – Einaudi Stile Libero – Fazi – Fandango – Feltrinelli – Il Saggiatore – Marcos y Marcos – Minimum Fax – Mondadori – Neri Pozza – Newton Compton – Nottetempo – Piemme – Ponte alle Grazie – Rizzoli – Sellerio.

 

Un po’ di info
Orario
Le serate hanno inizio alle ore 21.00
Il botteghino apre alle 19.00
I cancelli aprono alle 20.30

Come arrivare
Autobus: 60, 75, 84, 85, 87, 117, 175, 186, 271, 571, 810
Metro: Linea B, fermata Colosseo

Modalità di accesso
Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti.
L’accesso avviene solo se muniti di un coupon omaggio da ritirare al botteghino in Via dei Fori Imperiali.
All’ingresso è possibile ritirare esclusivamente il coupon relativo alla serata stessa e fino 2 biglietti per persona.
Non è possibile prenotare on-line o per telefono.
Per i portatori di handicap sono garantite facilitazioni di accesso e un’area riservata.
Capienza 2000 posti

Ro. Ro. Ro, i grandi romanzi in formato newspaper

roth_chrLROMA – All’ultimo Salone del Libro di Torino se ne sono viste delle belle. E non in senso ironico. Tra le tante presentazioni di collane, libri, progetti e iniziative c’era l’inaugurazione ufficiale di Ro. Ro. Ro. Brevi e semplici sillabe che racchiudono la storia dei romanzi tascabili oggi riproposti da una giovane casa editrice fiorentina. Riallacciandosi alla secolare storia della Rowohlt Verlag, le Edizioni Clichy portano in libreria dei grandi romanzi a piccolo prezzo e in un formato alquanto originale. Come successe nel 1950 per i Rowohlt-Rotations-Roman – da cui il nome Ro. Ro. Ro. – i “romanzi newspaper” di Clichy sono semplici giornali stampati in rotativa sulla comune carta del quotidiano che permettono a chiunque e in modo “veloce” di avvicinarsi  ai grandi classici della letteratura.
Quando vennero inventate dall’editore tedesco Heinrich Maria Ledig  nell’immediato dopoguerra, l’intento era quello di rispondere alle necessità di un Paese ancora annichilito dalle devastazioni anche culturali della Seconda Guerra Mondiale. Infatti, l’immediatezza del formato, l’economicità (venivano distribuiti al prezzo di 1 marco) e il supporto cartaceo alquanto anonimo permettevano la facile circolazione dei testi.

Oggi, dopo oltre sessant’anni da quella geniale idea, la casa editrice Clichy richiama anche nella grafica e nella carta lo spirito d’amore per il libro e per le storie che aveva animato Ledig nel Novecento proponendo 4 grandi titoli: “Le notti bianche” di Fedor Dostoevskij, “Lo strano caso del Dr. Jeckyll e Mr. Hyde” di Robert Louis Stevenson, “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad e “La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth.  Libri tutti da leggere. E newspaper da collezionare.

VerbErrando: OuLiPo

ROMA – Sono con amici a parlare di scrittori e libri di oggi. Io sorseggio il terzo o quarto calice di bianco; si parla dell’endemica incapacità di narrare qualcosa di rilevante, nella forma o nel contenuto. Tutti d’accordo, colpevoli (perché tutti, ovviamente, facenti parte della categoria incriminata) e tutti quasi ubriachi. Poi si comincia a discutere sulla forma, su come si costruiscono i libri oggi. La forma del libro, la sua architettura, gli espedienti ricercati per far sì che i libri abbiano un appeal. Si rintraccia in questa ricerca l’esigenza di sopperire alle mancanze, appunto, di contenuti andando a lavorare sul contenitore. Si dice che il risultato di questa manovra è quasi sempre incomprensibile e che questo non accadeva nel passato, un tempo, un mirabile tempo, in cui, invece, essendoci sostanza non c’era bisogno di esercizi di stile. Per avallare questa teoria è stato preso come esempio di semplicità Italo Calvino.
Sorrido, continuo a bere il vino. Non è così, affatto. Ma scelgo di tacere, perché mi è stato appena servito su un piatto d’argento il tema di Verberrando di questa settimana.

 
La letteratura potenziale- OuLiPo
“Secondo i calcoli di H. Gerstenkorn, sviluppati da H. Alfven, i continenti terrestri non sarebbero che frammenti della Luna caduti sul nostro pianeta. La Luna in origine sarebbe stata anch’essa un pianeta attorno al Sole, fino al momento in cui la vicinanza dalla Terra non la fece deragliare dalla sua orbita. Catturata dalla gravitazione terrestre, la Luna s’accostò sempre di più, stringendo la sua orbita attorno a noi. A un certo momento la reciproca attrazione prese a deformare la superficie dei due corpi celesti, sollevando onde altissime da cui si staccavano frammenti che vorticando nello spazio tra Terra e Luna, soprattutto frammenti di materia lunare che finivano per cadere sulla Terra. In seguito, per influsso delle nostre maree, la Luna fu spinta a riallontanarsi, fino a raggiungere la sua orbita attuale. Ma una parte della massa lunare, forse la metà, era rimasta sulla Terra, formando i continenti.”
C’era un gruppo di pazzi che nel 1960, a Parigi, hanno deciso di fare i sovversivi. Se la letteratura, aveva sempre seguito canoni e forme convenzionali e comuni a tutti, era ora di cambiare. Lo scopo era quello di costituire nuove strutture e schemi attraverso costrizioni (contrainte) da far usare a proprio piacimento agli scrittori, al fine di potenziare il loro impulso di ispirazione e visionarietà. Vincoli e restrizioni per liberare. Per risvegliare, come diceva Calvino, “i demoni poetici più inaspettati e più segreti”. Dei folli, insomma.
Questo Laboratorio di Letteratura Potenziale (Ou Li Po, Ouvroir de Littérature Potentielle), però, non detiene il primato di follia. Quello ce l’ha il Collegio di Patafisica di Alfred Jarry di cui la OuLiPo diventa costola; una scienza delle soluzioni immaginarie di cui il Faustroll è il manifesto… a dire il vero, parlando di scienza del paradosso e della matematizzazione impossibile, già il pastore-matematico-letterato Lewis Carroll aveva fatto il suo prima di Jarry, ma è meglio non entrare in questa selva oscura e non rischiare di perdere la ragione.
Torniamo alla letteratura potenziale del Laboratorio OuLiPo. Era una letteratura che non esisteva, “da scoprire all’interno di opere già scritte o da inventare attraverso l’uso di nuove procedure linguistiche, attraverso il rispetto di regole, vincoli, costrizioni, come ad esempio scrivere un testo senza mai usare una determinata lettera”. Sotto questa scia sono nati capolavori come “Esercizi di stile” di Queneau, “La vita istruzioni per l’uso” di Perec e “Il castello dei destini incrociati” di Calvino, ed è proprio da lui, Calvino “il semplice”, che voglio partire. Nel 1972, dopo essersi trasferito con la famiglia in Francia, entra a far parte del Laboratorio e scrive il libro oulipiano e patafisico per eccellenza.
Ne “Il castello dei destini incrociati” quasi ad ogni pagina, la narrazione è accompagnata da riproduzioni di carte dei Tarocchi, le cui diverse combinazioni danno vita a diversi racconti. La combinatoria porta sempre in sé l’ambizione folle e megalomane (e inesorabilmente fallimentare) di non omettere nulla, inserire, all’interno delle pagine, tutta, tutta la realtà nelle sue possibili declinazioni. La letteratura potenziale potrebbe andare avanti all’infinito, per poi scontrarsi con un limite, che non è dell’opera, ma nostro. Siamo noi a non avere a disposizione abbastanza tempo per
esaurire tutte le combinazioni possibili di una sequenza di immagini o di segni. E una delle conseguenze di questa constatazione viene ben formulata proprio da Perec, in un breve testo a commento del libro calviniano: “non ci saranno mai lettori a sufficienza per l’infinità di possibili racconti riflessi dagli specchi di questo Castello dei destini incrociati”. La letteratura potenziale è anche l’apertura all’infinito dei lettori possibili: i sentieri si biforcano di continuo, ogni storia può ramificarsi in infinite altre, ogni lettore potrà farsi largo a suo modo nell’oscura selva narrativa.
Perec, nel suo “La vita istruzioni per l’uso” (la cui traduzione in italiano è stata curata da Calvino in persona) immagina di togliere una parete dall’edifico e di osservare tutte le stanze e tutte le persone e le vite che le occupano. L’idea di osservare il palazzo dallo spaccato, come se fosse osservato da un architetto, gli viene da un disegno di Saul Steinberg, contenuto nella raccolta The Art of Living, che mostra appunto quello che succede nelle varie stanze di un palazzo al quale è stata tolta una parete esterna. Concentra “nel tempo di un istante (verso le otto di sera del 23 giugno 1975) e nello spazio perfettamente circoscritto di un caseggiato parigino, una pluralità favolosa di storie, di personaggi, di epoche, di mondi” (Hans Hartje, Bernard Magné et Jacques Neefs, Préface a Georges Perec) esplorando, in ogni capitolo, una stanza e muovendosi lungo l’area dell’edificio come su una scacchiera, con il passo obliquo della “mossa del cavallo”, secondo un itinerario tracciato in modo da non tornare mai due volte sulla stessa casella-stanza. Così nasce una macchina generatrice di storie: le vicende degli abitanti delle cento “caselle” si incrociano e si completano reciprocamente. Tutte le regole di costruzione delle sue strutture narrative, solo in parte svelate, sono annotate nei suoi cahiers de charges, amorevolmente ricostruiti da alcuni pazienti studiosi dopo la sua morte. Perec non esplorerà tutti e cento i locali del palazzo: ne salta uno, lasciando nella trama del romanzo un buco, un vuoto (voluto, cercato, impossibile da evitare, incolmabile e già indagato nel suo “Disparition” del 1968 , in cui la vita, mutilata di una componente essenziale, è rappresentata metaforicamente da una lunga narrazione scritta senza mai impiegare la vocale “e”). Il pezzo mancante è lo spazio che, all’interno del meccanismo letterario, permette agli ingranaggi di “fare gioco” e di mantenere il dinamismo dell’architettura complessiva. Per la stessa motivazione anche gli “Esercizi di stile” di Queneau erano novantanove e non cento. Come ci spiega Umberto Eco, traduttore di questo scrigno di preziosi “Un episodio di vita quotidiana, di sconcertante banalità, e novantanove variazioni sul tema, in cui la storia viene ridetta mettendo alla prova tutte le figure retoriche, i diversi generi letterari (dall’epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese), giocando con sostituzioni lessicali, frantumando la sintassi, permutando l’ordine delle lettere alfabetiche. […] Questi sono gli esercizi di stile di Queneau, che per anni mi hanno tentato come traduttore, perché erano ritenuti intraducibili, legati come sono al “genio” specifico della lingua francese. E infine la decisione: non si trattava di tradurre, ma di capire le regole di gioco che Queneau si era poste, e quindi giocare la stessa partita con un’altra lingua, azzardando qualche mossa in più, dato che lui aveva aperto la strada e non restava che continuare e andare oltre, nello stesso spirito.”
Strade aperte da altri, inviti ad andare avanti, a perdersi un po’, a percorrerla quella selva oscura.
Insomma, non è falso dire che la bellezza di un libro che farà letteratura si percepisca già dalla prima pagina, solo che non sempre quello che si legge è comprensibile. Il vizio dell’ingranaggio sta in noi, che riteniamo bello quello che ci arriva subito, ciò che è facile. I codici sono scrigni dentro i quali sono nascosti tesori. Le metafore i percorsi, i sensi il premio. La costruzione articolata e audace deve seguire una strategia e delle regole, non necessariamente messe a disposizione del lettore dall’autore. L’importante, per noi amanti del leggere, non deve rintracciare la costruzione del percorso, ma avere una strada da percorrere. Così come Lynch ci accompagna in quei corridoi senza luce incontro all’incognita, così la letteratura dovrebbe trasportarci “altrove”. Ma senza fiducia non puoi amare, conoscere, andare. Fidarsi del libro che si è scelto, affidarsi allo scrittore. Sincerandosi dell’esistenza di un valore prima di arrendersi a lui, fin dalla prima pagina.
Secondo me.

Un San Valentino tra poesia e antiche abitudini…

Giulio Gasperini

ROMA – Quest’anno, per San Valentino, darò spazio alla poesia e alla scrittura vera, quella pura, quella che rimaneva su carta, quando le emozioni si concretavano in parole e le parole prendevano forma e sostanza (tanto da parer più vere e meno cestinabili d’un sms o d’un messaggio sulla bacheca di feisbuc) con la linea dell’inchiostro. Che belle le lettere! Che nostalgia! Ma c’è spazio anche per l’amore giovane, per quello adolescente, per l’amore da ridere, per l’amore difficile, per quello biblico, per l’amore oramai remoto. È sempre intenso il tempo dell’amore!

1. Abelardo ed Eloisa, Storia delle mie disgrazie, Garzanti
2. Il Cantico dei Cantici, Adelphi
3. Patrizia Valduga, Libro delle laudi, Einaudi
4. George Sand & Alfred de Musset, Lettere d’amore, Archinto
5. Luigi R. Carrino, Acqua storta, Meridiano Zero
6. Wislawa Szymborska, Taccuino d’amore, Libri Scheiwiller
7. Brunella Gasperini, Rosso di sera, Baldini Castoldi & Dalai
8. Canti d’amore dell’antico Egitto, Salerno Editrice
9. Rossana Campo, Mentre la mia bella dorme, Feltrinelli
10. Per sempre tuo. Le più belle lettere d’amore di tutti i tempi, Mondadori

La pace nel fiume

sidStefano Billi

ROMA – Alcuni sono convinti che esistano libri belli e libri brutti. O meglio, che alcuni libri siano più belli di altri. Come dar loro torto?

E’ innegabile che ci siano dei testi che sanno emozionare ogni uomo nel suo io più profondo, e che inoltre sappiano far aprire gli occhi al lettore. Perché l’individuo del nostro tempo spesso non vede, o vede male. E anche se osserva il mondo, spesso non lo capisce.

Ecco che allora la letteratura – quella che eleva lo spirito – diviene il faro che rischiarai giorni bui, il grimaldello che scardina la volgarità culturale che accompagna questo tempo di crisi di valori.

All’interno di quella letteratura, fulgido esempio è “Siddharta”, insostituibile romanzo di Herman Hesse, edito in Italia da Adelphi.

A voler dare una descrizione sommaria del libro, si potrebbe riassumerlo nella storia di un giovane indiano che fatica a trovare il senso della propria esistenza. Ma questa sarebbe davvero una descrizione sommaria, e sicuramente riduttiva.

“Siddharta” è qualcosa di più: è la narrazione dei profondi travagli interiori di un uomo, che scopre la fragilità della sua purezza giovanile, che sperimenta il dolore provocato dalla perdizione morale.

Adolescente in cerca del sapere profondo, il protagonista della vicenda – il cui nome rispecchia il titolo del racconto – lascia la casa del padre per diventare adulto, ma al passare degli anni non corrisponde una simultanea crescita della coscienza, e così Siddharta assaggia il sapore amarissimo del fallimento, della mancata realizzazione di quello che si sarebbe voluti essere.

Ma proprio sull’orlo del declino, il protagonista ritroverà se stesso, segno che il cammino verso la saggezza è lungo ma raggiungibile, al volenteroso che lo intraprende.

Herman Hesse crea così un romanzo indimenticabile, la cui lettura riesce a forgiare soprattutto gli animi dei giovani. Difatti, attraverso le pagine immortali di “Siddharta”, proprio i ragazzi possono capire tutto il disagio di chi ha smarrito se stesso, in cerca di un’emancipazione che poi si è rivelata soltanto un abbandono della propria purezza. E così “Siddharta” può educare il lettore a comprendere se stesso, ascoltando il rumore del fiume e del mondo, che poi è il senso della rinnovata meditazione del protagonista della storia. Allora davvero si fa chiaro come anche un barcaiolo, un umile personaggio fluviale, possa diventare un maestro che spinge alla profonda meditazione sul senso della vita.

Asciutto nei dettagli, ma chiarissimo nella sua scrittura, questo libro merita comunque di essere letto, a qualunque età, perché ha il grande merito di lasciare una sensazione di appagante serenità. Quella stessa letizia che è cardine delle filosofie orientali e in particolar modo della religione buddista, sottofondo di tutta la vita del protagonista.

“Siddharta” è uno di quei bei libri che andrebbero assolutamente letti, ed auspicabilmente riletti, come una tappa fondamentale nella vita di ogni uomo. Perché non ci si improvvisa adulti, né tantomeno si cresce solo dal punto di vista anagrafico. Proprio per questo Herman Hesse ha regalato all’umanità una storia di crescita interiore. Proprio per questo, tra le tante cianfrusaglie che circondano i vasi degli alberi di Natale, “Siddharta” può rappresentare il dono più straordinario che si possa ricevere.

"Che intellettuale sei?" La figura dell’intellettuale di ieri e di oggi

Alessia Sità
ROMA – “Gli intellettuali sono sempre stati in competizione con i preti. Mentre i preti ti vengono incontro con il sorriso paternalistico di chi ha Dio in tasca e te ne offre un po’ a condizione che tu gli offra obbedienza, così gli intellettuali laici moderni si presentano al mondo come coloro che dicono la verità e difendono la libertà.”
Questo è quanto scrive Alfonso Berardinelli nel suo nuovo libro “Che intellettuale sei?”edito nel 2011 da Nottetempo, nella collana Gransasso.
L’autore tiene subito a precisare che ‘gli intellettuali non sono un gruppo, né un partito della verità: sono qua e là, non hanno potere, e se lo cercano si mettono al servizio di chi lo ha”. Schierarsi da una parte piuttosto che dall’altra, però, sarebbe un controsenso, sarebbe come snaturarsi e perdere la misura di ciò che si è.
Berardinelli passa in rassegna ben tre tipi di intellettuali: il Metafisico, il Tecnico e il Critico. I primi ‘si credono e si vogliono Critici’; i secondi ‘a loro volta si sentono massimamente critici, realistici, concreti e privi e di pregiudizi (…)’ ; gli ultimi ‘nutrono infine la presunzione di essere criticamente i più coerenti, dato che non credono né di credere né di sapere (…)’.
L’analisi prosegue tenendo in considerazione anche i rapporti morali e letterari con la politica, ‘per il sociologo e il politico gli intellettuali sono una categoria, una serie di corporazioni e di gruppi di pressione’. Esiste, però, anche una sorta di contraddizione fra Cultura e Società, che già dall’Illuminismo ha contribuito ad alimentare l’immagine dell’intellettuale misantropo, ovvero ‘un individuo indocile alle buone regole della socievolezza’. Insomma, il dibattito affrontato dal critico letterario non sembra essere di facile soluzione, da una parte vi è l’idea di intellettuali intesi come ‘artisti del pensare e del sapere’ e dall’altra vi è l’immagine di misantropia che pare appartenere a questa pseudo ‘categoria di professionisti’.
Con una certa vena umoristica, dietro la quale sembra paventarsi anche una nota polemica, Bernardelli affronta un quesito culturale particolarmente interessante, descrivendo l’intellettuale di ieri e di oggi con tutti i suoi paradossi.

"Il vecchio che avanza", scampoli di politica e letteratura degli Anni Zero

Alessia Sità

ROMA –Non lascia dubbi il titolo, anche se è ambiguo: c’è un vecchio che avanza e questo non è solo l’autore. Non è la prima volta che si assiste a una restaurazione ma quella d’oggi rima troppo con reazione. Non ci mancano certo le rime a noi che facciamo politica come poesia. Avanza la disoccupazione, cui fa da avanguardia una straripante cassa integrazione. E per chi è a caccia di rime eccone un’altra: la demagogia sta sconfiggendo la democrazia”.
Così scrive Walter Pedullà nell’introduzione al suo libro “Il vecchio che avanza. Scampoli di politica e letteratura degli Anni Zero”, pubblicato dalle Edizioni Ponte Sisto. Con occhio ironico, l’emerito professore de “La Sapienza”, spazia fra politica e letteratura – due mondi apparentemente separati, ma in realtà molto simili – presentando una serie di saggi pubblicati negli ultimi dieci anni, che per le tematiche affrontate risultano sempre molto attuali.

Con entusiasmo e comicità, l’autore ripropone i classici antichi e moderni, passando in rassegna le autorevoli voci e lo stile di grandi scrittori e critici della nostra civiltà intellettuale: da Savino a Sciascia; da Tommaso Landolfi, il ‘narratore che mentiva a se stesso’ a Fenoglio; da Moravia a Bonaviri, ‘il narratore che mangiava pane e assoluto’; da Francesco De Sanctis a Giacomo Debenedetti. “Il Vecchio che avanza” ci regala capolavori letterari sconosciuti, come il racconto tratto dal “Codice di Perelà” di Aldo Palazzeschi. Il personaggio chiave della vicenda è Carlomignolo, ‘colui che dà la felicità col minimo’, l’unico a riuscire a possedere donna Giacomina, alla quale ‘la ciambella era venuta senza buco o quasi’. Attraverso questo ilare racconto, Pedullà paragona l’Italia alla nobildonna che ‘continua a desiderare azioni più profonde’. La conclusione cui si giunge è triste, ma anche terribilmente vera:‘è inutile pensare in grande, se gli uomini sono sempre più piccoli, sia nella politica che nella cultura’.
“Il Vecchio che avanza” non è solo un volume di critica militante, che ci obbliga ad una profonda riflessione sull’indegna condizione in cui versa, ormai da troppo tempo, il nostro Paese, ma è anche un’opera di attualità politica, culturale e letteraria, che attraverso i paradossi della nostra odierna società, mantiene sempre vivo e presente anche il passato .

"Il quinto figlio" di Doris Lessing

Alessia Sità
ROMA – “Questo libro l’ho scritto due volte. La prima versione era meno cruda, poi mi sono detta: ‘cara mia stai barando. Se succede davvero, sarebbe molto peggio di così.’ E allora l’ho riscritto portandolo alle conseguenze estreme”. Così Doris Lessing, premio Nobel per la letteratura nel 2007, presenta uno dei suoi capolavori: Il quinto figlio pubblicato da Feltrinelli nella collana Universale Economica. Un romanzo scorrevole e fluido nello stile, ma particolarmente impegnativo per la delicata tematica trattata. Il bene e il male entrano costantemente in gioco e il confine è veramente sottile.

Harriet e David, una coppia come tante, sogna di trovare la felicità all’interno della propria famiglia, il loro desiderio li porta ad avere una grande casa e a mettere al mondo quattro splendidi figli, ma per loro non è ancora abbastanza. E infatti, il quinto figlio non tarda ad arrivare. Presto però la gravidanza si rivela essere molto difficile, diversa da quelle precedenti e qualcosa non va per il verso giusto. Il bambino nasce prematuro. Da subito si capisce che Ben, questo il nome del nuovo arrivato, è uno diverso: il suo comportamento e il suo aspetto primitivo lo fanno somigliare sempre di più ad una creatura del male. Presto i genitori, incapaci di accettare il tragico imprevisto, si ritroveranno ad dover affrontare una dura scelta. Gli equilibri familiari iniziano a sfaldarsi, nulla sarà più come prima.
La Lessing riesce a scrivere con grande maestria un libro cruento senza ricorrere alla descrizioni di scene violente o feroci. La scrittrice ci invita a conoscere la parte nascosta che c’è in ognuno di noi, esortandoci ad affrontare le cose anche quando sono più problematiche del previsto. Una riflessione insolita sulla diversità e sul contesto sociale che ci circonda.