“Volevo essere Coco Chanel” o almeno trovare un posto fisso e non annoiarmi

Marianna Abbate
ROMA “Volevo essere Coco Chanel.” Ah quante di noi si sarebbero accontentate di diventare una delle sorelle Fendi. Ma nei libri, si sa bisogna sognare in grande. Vanessa Valentinuzzi al suo esordio letterario con Avagliano Editore, ci racconta una storia tra il romanzo allegro sullo shopping – che negli ultimi anni abbiamo imparato ad amare – e la nuda, cruda e triste realtà italiana sul precariato.

Non riesce a resistere ai vezzi stilistici, tanto che chiama la sua protagonista Ottavia Brandeschi: un nome da favola, decisamente nobile.
Si parte dal lavoro dei sogni, dal fidanzato dei sogni e dalla città dei sogni, o almeno di quelli legati alla moda: Milano. Ottavia fa la shoes designer, ovvero disegna scarpe per un marchio famoso, è fidanzata un giovanissimo modello e la sua vita sembra avere preso una piega molto positiva. Finchè tutto gli crolla addosso: perde lavoro, casa e fidanzato e si ritrova a lavorare in un call center a Roma.

Una storia comune nell’Italia dei nostri tempi, dove non importa quanto hai studiato o quanta esperienza hai, ma chi conosci e chi ti potrebbe dare una spintarella. E’ pur vero che l’autrice non rinuncia all’happy ending, ma è chiaro che si tratta solo di un sogno, qualcosa di immateriale che accade nei libri, dove un bel finale non si nega a nessuno. Potrebbe aver iniziato un nuovo genere letterario. Forse un giorno qualcuno scriverà un romanzo alla Valentinuzzi, come si parla oggi della Kinsella. Ma non voglio sembrarvi troppo negativa: i sogni a volte si avverano! E se anche così non fosse, i sogni sono una delle pochissime cose che non costa nulla.

 

“Le dodici tavole. Le prime leggi dell’antica Roma” per tutti

le dodici tavole nuove edizioni romane recensione ChronicaLibriGiulia Siena
ROMA
” Esplose poi la notizia che, nella nuova riunione del Senato, Appio Claudio contrariamente alle attese, e lontano dal ribadire le tesi dei conservatori, aveva riconosciuto l’opportunità, e addirittura la necessità, di una raccolta scritta delle leggi di Roma”. Siamo nel 450 a. C. circa e ci troviamo nell’antica Roma. E’ questo il periodo di svolta per l’impero: Tarquinio Prisco e Servio Tullio, entrambi re etruschi, portano Roma a una straordinaria crescita, tanto che la città diventa una vera e propria potenza, oltre che il nodo cruciale per il commercio con i Cartaginesi. A raccontarci in modo semplice e lineare l’antica Roma e la nascita delle prime leggi di diritto romano è Luigi Capogrossi Colognesi, nome illustre tra gli accademici. Il professore, cambiando la sua solita platea, parla ai bambini e ai ragazzi nel libro “Le dodici tavole. Le prime leggi dell’antica Roma”, bellissima novità delle Nuove Edizioni Romane. “Mi sono reso conto che mancava del tutto un elemento che valeva la pena approfondire. […] – ha dichiarato l’autore nell’introduzione del libro – Si trattava per me dunque di narrare, in particolare ai più giovani, come proprio quel diritto è stato poi, ed è tuttora, strumento indispensabile per governare le nostre società e orientarne lo sviluppo“.

In un momento di grande fermento, le Dodici tavole rappresentavano la svolta democratica per una società che vedeva contrapporsi patrizi e plebei. Il valoroso Appio Claudio, comandante delle legioni straniere, si accorse che l’impoverimento della plebe potesse causare diversi problemi anche ai ricchi di Roma, i patrizi. Toccò quindi al Senato – un organo fondato da Romolo per dar voce decisionale agli “anziani”-  far redigere delle leggi scritte che mettessero ordine nei rapporti tra cittadini per lo svolgimento della storia a venire, fino a noi.

Un volume essenziale questo di Luigi Capogrossi Colognesi che districa anche i nodi più difficili del passato, rendendo ancora più affascinante la storia del grande impero romano.

 

 

“Cronache da un mondo (im)possibile”: intervista a Frank Solitario. Ma davvero, come ti chiami?

intervista Frank SolitarioGiulia Siena
ROMA
–  “Cronache da un mondo (im)possibile” è un romanzo costruito su racconti ironici e a quasi paradossali, un libro nel quale confluiscono ironia, dolcezza e sguardo analitico. Dietro le “Cronache” c’è la penna di Frank Solitario, uno pseudonimo che cela un abile comunicatore/osservatore.
Appena lo incontro, non contenta del nome d’arte, gli chiedo curiosa il suo vero nome… nulla da fare, Frank rimane sul vago. Ma ho l’arma dell’intervista: non potrò scoprire il suo vero nome, ma tutto il resto sì!

 

“Cronache da un mondo (im)possibile” si apre con diversi racconti suddivisi in “venti stanze”, tu quale stanza preferisci?

La ventesima.
Dalle pagine emerge una dolcezza particolare. E’ così?
Si, è tutto così ironicamente e drammaticamente fuori posto in quel racconto (Un futuro remoto): l’editoria ottusa e miope, l’autore tronfio che pensa di fare capolavori d’avanguardia (io stesso), gli stupidi compromessi per diventare qualcuno che non sei.
Un racconto intenso è quello dei due manichini che si innamorano. Come è nato quel racconto, cosa ti ha spinto a dare vita a due esseri inanimati?
I manichini prendono il posto di uomini e donne che smettono di essere vivi poiché perdono la capacità di provare sentimenti. Ho sentito subito che alla deumanizzazione potesse fare da contraltare l’anima profonda e commovente degli oggetti inanimati.
Il tuo romanzo procede per figure, cioè tutti i racconti diventano “visibili” agli occhi del lettore.
Il mio è un approccio visivo; scrivo così come si gira un cortometraggio. Una volta che fisso l’immagine iniziale poi tutto si svolge indipendentemente da me. Quando tutto si è svolto è necessario dargli una forma narrativa, altrimenti non si ottiene qualcosa di significativo. La mia scrittura nasce dall’emotività e poi viene rivista, sviluppata in base al mio stile narrativo.
Quindi il senso fondamentale per te è?
E’ la vista. E’ fondamentale perché con la scrittura doni immagini, sei il regista di un film che il lettore riproduce secondo la sua sensibilità  leggendoti. Con la scrittura puoi far vedere quindi; rispetto alla cinematografia hai il vantaggio di lasciare decidere al lettore come immaginare quello che tu gli stai descrivendo.
Il racconto per me cruciale del tuo libro è quello in cui un vecchio nobile decaduto si alza tutti i giorni per aprire e chiudere a fatica le finestre delle sue venti stanze. Questo personaggio è la personificazione di un’attesa?
Questo personaggio è attesa e lotta. L’uomo nella sua vecchiaia, ormai stremato dalla vita, per me è un personaggio epico. Nonostante la consapevolezza della mancanza di senso dei suoi giorni, ogni mattina lotta con tutte le sue forze per conquistarlo un senso, è un eroe epico che non sa accettare l’ arrivo del buio.
Accanto a te in questo libro c’è stato il lavoro di consulenza di Veruska Armonioso, editor dell’Agenzia Letteraria Verba. Come avete lavorato e in cosa è cambiato “Cronache..” dopo il lavoro con la Armonioso?
Veruska è intervenuta sul testo solamente per perfezionare alcuni dettagli rispettando il mio stile. Credo che l’editing debba essere solo un lavoro di limatura senza snaturare il carattere dell’autore. L’editor è colui che serve anche a tirar fuori, a plasmare il carattere di un autore che ha già in sé molta forza espressiva. L’autore deve riconoscere la piena autorità dell’editor per tutto quanto non ha a che fare con il suo stile di scrittura. Struttura del manoscritto, copertina e molte altre cose che contribuiscono a rendere inattaccabile il tuo lavoro dal punto di vista formale. Veruska in “Cronache da un mondo (im)possibile” mi ha aiutato ad individuare un filo che intrecciasse tutti i racconti in un unico romanzo. Un procedimento fondamentale soprattutto in Italia dove c’è una diffidenza di fondo verso i racconti.
E qual è il fulcro del tuo romanzo?
La presa di coscienza del percorso dell’esistenza. Ogni personaggio affronta le tematiche fondamentali dell’esserci, in fasi della vita diverse. Rimango sempre più colpito dal modo in cui la gente percepisce la realtà. Le persone si lasciano coinvolgere molto di più dalle morbose immagini dei media, dalla fiction costruita intorno alle notizie che dalla propria vita. Vorrei far distogliere lo sguardo dalla realtà rappresentata in modo morboso e riportare l’attenzione su di una finzione narrativa che spera di essere talmente interessante da farci perdere prima e ritrovare poi.
Pretenzioso?
E’ solo il modo in cui si comunica verso l’esterno che può essere pretenzioso. L’ideale espressivo a cui aspiro è quello di comunicare con diversi strati di profondità a seconda dell’interpretazione del lettore, ma di arrivare in qualche modo a più persone possibile. 

Che cos’è la comunicazione per te?
E’ solo un mezzo a disposizione per veicolare un contenuto.
E’ fondamentale non ingannare il lettore come fanno alcuni critici letterari su stimati giornali; qualche giorno fa è stato dato voto 10 all’ultimo libro di Faletti; assegnare 8 sarebbe già stato uno sproposito, ma un 10 significa perdere ogni freno inibitorio.
Non oso pensare a quale voto si potrebbe dare ad una riedizione della Divina Commedia.
Come sei arrivato a pubblicare con Il Foglio Letterario?
Ho conosciuto l’editore, Gordiano Lupi, attraverso il suo libro “Nemici miei” e l’ ho subito amato. Mi sono detto: chi è questo pazzo che si presenta al mondo editoriale facendosi odiare da tutti? Devo conoscerlo.
“Cronache da un mondo (im)possibile” è il secondo libro che pubblico con questa casa editrice toscana dopo “Storie ai minimi termini”.
Loro partendo dalla gavetta sono riusciti a portare due libri in finale al Premio Strega. Speriamo nei detti popolari e nella cabala.
Le tre parole che lo scrittore Frank Solitario ama?
Niente, nulla e zero. Ma non le scrivo mai proprio perché le amo.
Perché, tendi a tutelare ciò che ami?
Oscillo tra due opposti inconciliabili: il Nulla e il Tutto. La scrittura è forse il mio punto d’ equilibrio.

Intervista ad un autore “Clandestino”

Marianna Abbate
ROMA – Vi ricordate la recensione del “Clandestino” (Edizioni Sonda) che ho pubblicato a novembre? E’ inutile che annuiate, andate a rinfrescarvi la memoria e poi tornate su questa pagina a leggere la simpatica intervista all’autore, che serve fondamentalmente a dimostrare che io non ho capito nulla delle intenzioni dello scrittore. Ma d’altronde non è forse questo il destino di ogni critico che si rispetti? Chissà cosa ne penserebbero Dante e Leopardi di tutte le dietrologie prodotte sulle loro opere. Allora perché non approfittare del fatto che l’autore possa risponderci di persona e non correre a intervistarlo? Ecco a voi Ferdinando Albertazzi.

Quali sono gli ingredienti di un buon giallo?
Tono, brillanza e purezza son gli “ingredienti” che differenziano qualsivoglia colore dai suoi “gemelli”. Vale dunque anche per il giallo, che sia colore o… genere letterario.

Perché ha scelto di scrivere per i ragazzi?
Non scrivo affatto per i ragazzi. Non in esclusiva, almeno. Il fatto che nelle mie storie ci siano ragazzi in pagina non significa che siano destinate unicamente a loro. Altrimenti là dove in pagina ci sono invece cani, gatti o maiali, dovremmo considerarle storie per cani, gatti e maiali… Scrivo, questo sì, i ragazzi, indagati soprattutto lungo il frastagliato  percorso verso l’adultità e quindi insieme ai “grandi”. Se una storia che “punta” preferenzialmente i ragazzi non ha almeno qualche valenza anche per gli adulti, è una storia da cestinare.

Quali sono le differenze tra un noir per ragazzi e uno per adulti?
Per come si stanno differenziando le generazioni, per certe impensabili disinvolture “guardonesche” e non solo che mostrano i ragazzi, direi che, paradossalmente, un noir anche per ragazzi deve essere assai meno ingenuo di quello che va a infoltire il catalogo “per adulti”.

Lei insegna in un corso di scrittura creativa: quali consigli si sente di dare a chi vuole iniziare a scrivere, in particolare per i ragazzi?
Non aver paura di avere il coraggio di provarsi, di scommettere contro la pagina bianca. Senza smettere, al contempo, di leggere tanto e senza accontentarsi dei risultati che si pensano già raggiunti. Usare insomma molto il cestino della carta straccia, nella consapevolezza che il difficile non è cominciare bensì durare e che  il temperamento e la qualità letteraria sono tra i fattori decisivi della durata.

Che rapporto ha con i suoi lettori? Le scrivono, vengono alle presentazioni? Come sono, insomma, i giovani lettori?
Durante gli incontri, quelli che hanno la lettura nel DNA sono curiosi e avidi, desiderosi di farsi prendere dalle narrazioni. Quelli che, al contrario, si avvicinano alle storie in pagina con scarso entusiasmo o sono addirittura refrattari,  si lasciano però catturare dai laboratori musicali che Gabriella Perugini ha ideato e realizza per i miei libri. Diversi a seconda delle storie, ovviamente. Sono per lo più proprio quei ragazzi lì, quelli che non leggono volentieri o non leggono affatto, ad apprezzare gli incontri attraverso i laboratori musicali (soltanto così, d’altronde, parlo dei miei libri con i ragazzi), dove sono peraltro artefici. “Ah, ma se si può leggere così, allora…”, commentano stupiti e invogliati. Ed è una conquista davvero promettente, quella che principia dai loro sguardi magari di ironica sufficienza, via via accesi da un incredulo interesse…

 

 

Toilet, racconti da leggere in bagno.

Marianna Abbate
ROMA – Nell’anno passato mi sono incontrata veramente di sovente con un’ossessione nei confronti dell’attività da bagno. Il primo ritrovo è avvenuto nell’estate, quando ho sfogliato la rivista fotografica “Toilet paper”, con immagini a dir poco inquietanti e una copertina molto ambigua. Poi una ragazza, amica di amici, ha portato il suo libro appena pubblicato, che aveva in copertina un bel rotolo di carta igienica ed era stato scritto, secondo lei, proprio per una lettura in bagno. Ma all’origine di tutta questa tendenza sui racconti e articoli da “bagno” c’è 80144 Edizioni. E’ il 2007 quando la casa editrice romana pubblica “Toilet” una raccolta di racconti da leggere in bagno.  Ad oggi toilet ha pubblicato oltre 150 autori, tra i quali spiccano i nomi di Antonio Pennacchi e Pulsatilla e moltissimi autori emergenti.  “Toilet anno uno” raccoglie i racconti di 17 autori per un libro di 15o pagine che vi indica anche i tempi di lettura, così, per ogni vostra esigenza. Vi chiederete, perché qualcuno debba scrivere una cosa simile? Non è forse meglio scrivere per un cassetto che scrivere per un WC? Ebbene, per quanto io sia tentata di dirvi alla Fiorello/Brunì que volgaritè, devo riconoscere che l’idea non è poi tanto malvagia. Effettivamente in quel luogo specifico, potrebbe essere meglio leggere un libello così piuttosto che scomodare un possente romanzo. Non ve la prendete, giovani autori, per aspera ad astra: ora la gavetta dello scrittore passa dalla toilette. Non so dirvi se tutti i racconti hanno la medesima funzione lassativa: alcuni sono divertenti, altri fanno ridere un po’ meno. Ma se pensate che questo è il meglio di un anno di racconti già pubblicati, potete fidarvi almeno un po’ e ingerire questa pastiglia invece del solito SanPellegrino.

“Cronache da un mondo (im)possibile”, la costruzione di una coscienza di vita

recensione chronicalibri cronache da un mondo (im)possibile_frank solitarioGiulia Siena
ROMA “Sta di fatto che molti capolavori della Letteratura, ma anche dei libri insignificanti o addirittura disgustosi, cominciano così – Tac! – senza nemmeno un preavviso.” Lui è Frank Solitario ma non chiedetegli il suo vero nome. Lui è l’autore di “Cronache da un mondo (im)possibile“, il volume che tra qualche giorno sarà in libreria pubblicato dalle Edizioni Il Foglio Letterario.

Dopo la raccolta di racconti “Storie ai minimi termini”, Frank Solitario torna sulla scena letteraria italiana con “Cronache da un mondo (im)possibile”, racconti che si intrecciano a formare un romanzo. Per questo lavoro Frank ha voluto accanto Veruska Armonioso, editor e scrittrice che ha curato – da cultrice della parola – la revisione del libro.
I protagonisti sono tanti e dalle caratteristiche più disparate; essi si dispongono in una immaginaria palazzina fatta di venti stanze divise per piani. L’ultimo piano è quello della solitudine: c’è uno scrittore che non riesce a esprimersi con verbi al presente o al futuro, il barbone, l’anziano principe, dei manichini, il ladro, lo scrittore poi qualcuno, un altro e nessuno. Tutti però – in momenti diversi della vita – si accorgono della propria esistenza come svegliandosi da un momentaneo assopimento. Si scoprono stanchi, distratti, innamorati o delusi, si ritrovano vecchi senza aver vissuto alcuna giovinezza. Il mondo (im)possibile disegnato da Frank Solitario ha le fondamenta nella realtà e le mura costituite dai mattoni delle scelte di ognuno, semplici o esagerate fino all’eccesso. La scrittura visiva e attenta dell’autore completa e cementifica la costruzione di un mondo (im)possibile.

“Non riesce a compiacersene del tutto. Ma la battaglia è vinta. Ancora. Il sole aveva attraversato, per un tempo ingiustificato o solo per pochi secondi, tutte quelle venti stanze.”

Chi non ha mai cucinato con Sonia?

Marianna Abbate

ROMA – Cucinare a volte è una passione. A volte no. Anche seguire una ricetta può sembrare un ostacolo insormontabile: quanto è un pizzico di sale? mezzo bicchiere di farina intende un bicchiere da 20 cl o uno da 40? Sonia Peronaci ha avuto un’idea brillante. Rivoluzionaria. Come fare un uovo sodo? Devi aspettare che l’acqua bolle e poi poggiare l’uovo su un cucchiaio e immergerlo lentamente, poggiandolo sul fondo. E aspettare. Ma aspettare quanto? Nell’era di youtube e dei tutorial su qualunque cosa Sonia ha trasformato il nostro vivere in cucina. Possiamo sconvolgere i nostri amici con ricette originali che non pretendono alcun impegno reale grazie ai suoi video tranquilli e semplici che riempiono di giorno in giorno uno dei siti più famosi d’Italia: Giallo Zafferano.

Molti uomini che abitano soli proclamano a gran voce che Sonia li ha salvati da una frequenza quotidiana della tavola calda all’angolo.

Ma non lasciatevi ingannare: per Capodanno volevo, appunto, sconvolgere i miei amici con dei bellissimi macarones che mi hanno illusa con la scritta facile facile sul sito di Sonia. Eppure dopo ripetuti tentativi non ho potuto far altro che dichiarare il fallimento. Sarà perché non ho la tanto decantata planetaria o perché non ho usato il termometro da zuccheri, ma per me le paste a base di meringa rimangono un enigma.

Pertanto vi invito a non dimenticare tutti i consigli classici che le nonne tramandano, e se una cosa ha la fama di essere difficile non illudetevi che non lo sia solo perché Sonia ve lo dice sorridendo.

Ora è uscito persino un libro, che racchiude 130 delle sue ricette più cliccate, da quelle semplici alle più ricercate- indirizzato, più che altro, a tutte le signore che non usano internet e muoiono dalla curiosità di provare le sue ricette perché ne hanno sentito parlare.

Ma per chi internet lo sa usare, propongo di continuare a seguire le videoricette e, magari, comprarsi questa benedetta planetaria.

“Morti per la giustizia”: un libro per crescere.

Stefano Billi
ROMA – Il tempo passa in fretta e si fa presto a dimenticare quegli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia di un popolo, di una nazione. Soprattutto, ci si scorda di chi, quegli eventi, li ha vissuti sulla pelle, da protagonista, portandone ancora i segni e le cicatrici. Eppure, la coscienza di tutti dovrebbe essere attenta a non far cadere alcuni fatti nell’oblio, anche perché solo così ci si può preservare dal rischio che si ripetano certi errori già commessi nel passato.

Allora, vale davvero la pena leggere “Morti per la giustizia” un libro edito da Baldini Castoldi Dalai dove si unisce il dettato costituzionale alle storie drammatiche di undici uomini e donne che hanno perso la vita negli anni più bui della Repubblica, quelli tra il 1969 e il 1982.
Frutto di un incontro pubblico organizzato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus, questo testo introdotto da Michele Serra racconta di Giorgio Ambrosoli, Giovanni Arnoldi, Giulietta Bazoli, Luigi Calabresi, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Roberto Franceschi, Guido Galli, Fausto Tinelli, Lorenzo Iannucci, Giuseppe Pinelli, Walter Tobagi. E ne racconta attraverso la voce di coloro che, questi personaggi travolti dal sangue stragista, li hanno conosciuti e amati, come fratelli, genitori, figli, amici. Voci che, tra le pagine, si trasformano da testimonianza dell’essere vittime della violenza politica e criminale, in dimostrazione insigne di impegno pubblico, fondato ed ispirato sulla carta costituzionale, quale passaggio imprescindibile per una costante costruzione della democrazia. La cosa straordinaria di questi scritti, perciò, è rendersi conto di come chi ha subito sofferenze personali atroci e devastanti, abbia ancora la forza di mettersi in gioco per il bene del paese, coscienti che quel dolore può divenire la base per la costruzione di un futuro diverso, sicuramente migliore, grazie al loro impegno. Citando le fulgide parole di Benedetta Tobagi, “trasformare violenza, abusi e sofferenze in materia che possa essere vitale”. Ancor più eccezionale, poi, è l’idea di fondare ogni intervento di quell’incontro su singoli articoli della Costituzione, senza trasformare l’iniziativa in una sterile esegesi della grundnorm italiana, ma piuttosto muovendo dalla comune presa di coscienza che per affrontare tempi di crisi profonda, bisogna avere dei fari che rischiarano l’oscurità. Senz’altro la Costituzione, nei suoi lungimiranti “versi”, offre i valori fondanti dell’Italia, di quella comunità che va da nord a sud e che è accomunata dal medesimo amor patrio.

Un vecchio professore universitario di diritto privato era solito consigliare ai suoi studenti di lasciare una copia della Costituzione Italiana vicino al cuscino, quasi a voler proteggere il sonno, pronta per essere letta e per destar conforto di fronte a qualunque incubo.

Leggendo “Morti per la democrazia” si comprende benissimo che traguardo impareggiabile sia quella norma del 1948, e quanto ancora possa aiutare il bel paese a diventare bello davvero.

Libri in uscita, le novità editoriali proposte da ChronicaLibri

Alessia Sità
ROMA – Se siete alla ricerca di un buon libro e non avete idea di cosa leggere, non temete! Prendete carta e penna e annotate le interessanti proposte editoriali che ChronicaLibri ha selezionato per questa settimana. Per gli amanti dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, Edizioni Ambiente suggerisce “La terza crisi” di Danilo Bonato; mentre per gli appassionati di storia, Ortica editrice segnala l’uscita de “La Rivoluzione” di Carlo Pisacane nella collana Le Erbacce. Fra le sue novità, Mondadori annovera  anche l’ultimo lavoro di Andrea Camilleri “Il diavolo certamente”, “L’amore quando c’era” di Chiara Gamberale e “La chiave di Sara” di Rosnay Tatiana, un romanzo da 5 milioni di copie ora anche sul grande schermo. La Giuntina porta in libreria “La foto sulla spiaggia” di Roberto Riccardi, “Una strana fortuna” di Maurice Grosman e “Un cammino lungo un anno” di Drudi Emilio. Ad arricchire il vasto panorama editoriale contribuisce anche Giulio Einaudi editore con I Frank” di Mirjam Pressler, “Violazione” di Alessandra Sarchi e “Voci dal lager” di Mario Avagliano e Marco Palmieri. Inoltre, da non perdere sono le novità di Cavallo di Ferro che propone “Il settimo sigillo” di José Rodrigues Dos Santos e per i prossimi mesi segnala l’uscita dell’inedito romanzo di Josè Donoso“Lucertola senza coda”, “Ovunque io sia” di Romana Petri e “Il ritratto di Venere” di Riccardo de Palo.

Per chi volesse scoprire e ricostruire le figure magiche della tradizione orale in Maremma, edizioni Effiggi consiglia  l’uscita del libro il “ Cerchio magico” a cura di Paolo Nardini.
E per finire il nostro viaggio alla scoperta delle tante novità editoriali, segnaliamo due fra i libri stranieri che il 2012 ci offre: l’attesissimo “Stieg e io. La storia d’amore da cui è nata la Millennium Trilogy” di Eva Gabrielsson, edito da Marsilio, e “Tutte le famiglie sono psicotiche” di Douglas Coupland, pubblicato da Isbn edizioni.

“Il bambino con le braccia larghe”

Giulia Siena
ROMA “Quando hai un fratello matto riconosci qualche spicchio della tua follia nei suoi comportamenti, così come lui cerca disperatamente la sua normalità nei tuoi. L’unica cosa di realmente, profondamente diverso tra lui e me è sempre stato il volume della sua sofferenza, che forse è l’unico aspetto davvero riconoscibile della tua follia.” La storia è vera ed è quella di un bambino che è stato “normale” sino alle soglie dell’adolescenza; poi i suoi comportamenti sono diventati “strani” e i suoi movimenti si sono fatti articolati tanto da camminare tenendo le braccia larghe, staccate dal corpo. Questo ragazzo era Paolo raccontato con straziante e lucido affetto da suo fratello, Carlo Gnetti nel libro “Il bambino con le braccia larghe” pubblicato nella collana Carta bianca della casa editrice Ediesse. Una storia lunga più di quarant’anni viene raccontata ripercorrendone le difficili tappe segnate dal disagio di Paolo. La malattia, le cause, i possibili rimedi e i continui traslochi della famiglia Gnetti fino ad approdare a Roma. Nella capitale, in un periodo cruciale per il trattamento delle malattie mentali, il ragazzo affetto da schizofrenia divenne uomo e provò sulla propria pelle le conseguenze della legge Basaglia.

Le difficoltà provate e le sfide quotidiane da portare avanti contro l’indifferenza sociale sono espresse con una determinazione silenziosa. L’autore riesce a parlare dei continui scontri con le strutture di riabilitazione senza esporsi: la sua figura è celata. La sua scrittura molto democratica crea il giusto equilibrio tra un argomento forte di cui nessuno vuol sentir parlare e il bisogno di far emergere vite dimenticate nell’impossibilità di essere curate.