Anteprime: leggi in esclusiva "Brivido eterno", romanzo sensuale e peccaminoso

ROMA – Grazie alla collaborazione con Leggereditore puoi leggere su ChronicaLibri l’esclusiva anteprima di “Brivido eterno”, l’ultimo libro di Larissa Ione in tutte le librerie dal 31 marzo. Il romanzo è il primo volume di una saga intrisa di sensualità, avventura e azione, solo per un pubblico adulto.

1.
Il demone è un principe dell’aria e può assumere diverse forme, ingannare i nostri sensi per un certo periodo di tempo; ma il suo potere è limitato,può terrorizzarci ma non farci del male.
Robert Burton, Anatomia della malinconiaSe non fossero stati in ospedale, Eidolon avrebbe ucciso il
tizio che implorava per la propria vita.

Ma visto che le cose stavano così, avrebbe dovuto salvare
il bastardo.Il paziente rispose con un gemito. «Derc.»
«Ascoltami bene, Derc. Curerò questa brutta ferita, ma farà
male. Parecchio. Cerca di non muoverti. E non gridare come
un diavoletto spaventato.»
«Dammi qualcosa per il dolore, pezzo di merda di un parassita.»
«Dottor parassita.» Eidolon fece un cenno al vassoio degli
strumenti e Paige, una delle poche infermiere umane, gli passò le pinze vascolari.
«Derc, amico, hai mangiato uno dei figli di quell’Umber prima che ti scoprisse?»
L’odio defluì dal corpo di Shade quando Derc scosse il capo,
mostrando i denti affilati, mentre gli occhi brillavano arancioni.
«Allora oggi non è proprio la tua giornata fortunata. Non
hai fatto uno spuntino e non avrai nemmeno qualcosa per il dolore.»
Concedendosi un ghigno sinistro, Eidolon clampò l’arteria
danneggiata in due punti mentre Derc gridava ignobili imprecazioni
e lottava contro le cinghie di contenzione che lo tenevano fermo sul tavolo metallico.
«Bisturi.»
Paige gli passò lo strumento e Eidolon incise sapientemente
tra le due clamp. Shade si chinò per osservarlo mentre tagliava
il tessuto arterioso a brandelli per poi ricongiungere i
due capi nuovamente intatti. Un brivido caldo gli percorse il
braccio destro lungo i segni che aveva sulla pelle fino alle punte
delle dita guantate, e l’arteria si fuse. Il mangiatore di bambini
non avrebbe più dovuto preoccuparsi dell’emorragia.
Dall’espressione di Shade, però, avrebbe dovuto preoccuparsi
di sopravvivere non appena avesse messo piede fuori dall’ospedale.
Non sarebbe stata la prima volta che Eidolon salvava la vita a
un paziente per poi vederlo morire subito dopo la dimissione.

sul monitor accanto al letto. «Potrebbe collassare.»
«C’è un’altra perdita di sangue da qualche parte. Stabilizza la pressione.»
Riluttante, Shade mise il palmo della mano sulla cresta ossea
della fronte di Derc. Le cifre sul monitor scesero improvvisamente,
poi si alzarono ancora e infine si stabilizzarono,
ma il cambiamento sarebbe stato temporaneo. I poteri di Shade
non potevano sostenere una vita che non c’era, e se Eidolon
non avesse trovato il problema, l’intervento di Shade non
sarebbe servito a nulla.
Una rapida valutazione delle altre ferite non rivelò nulla
che potesse spiegare il calo delle funzioni vitali. Poi, proprio
sotto la dodicesima costola, trovò una cicatrice fresca. Sotto
il taglio netto qualcosa gorgogliava.
«Shade.»
«Per le fiamme dell’inferno» disse Shade in un sospiro. I
suoi occhi si mossero in modo frenetico mentre si passava le
dita fra i capelli quasi corvini che, arrivandogli alle spalle, erano
più lunghi ma dello stesso colore di quelli di Eidolon. «Potrebbe
non essere niente. Non è detto che siano stati i ghoul.»
Ghoul. Non si trattava dei mostri che secondo il folklore
umano si nutrivano di cadaveri. Così venivano chiamati coloro
che facevano a pezzi i demoni per vendere le loro parti al
mercato nero degli inferi.
Sperando che il fratello avesse ragione, ma di certo non così
ingenuo, Eidolon premette delicatamente sulla cicatrice.
«Derc, che è successo qui?»
«Mi sono tagliato.»
«Questa è una cicatrice chirurgica.»
L’
la chirurgia sulla loro specie e Derc non era mai stato ricoverato
prima d’allora.
Eidolon percepì il puzzo pungente della paura. «No. È sta-
«La pressione sta scendendo.» Lo sguardo di Shade era concentratoUG era l’unica struttura sanitaria al mondo che praticasse10to un incidente.» Derc strinse i pugni, gli occhi privi di palpebre
erano disperati. «Devi credermi.»
«Derc, calmati. Derc?»
Le spie del monitor cominciarono a suonare e al divoratore
di bambini vennero le convulsioni.
«Paige, prendi il carrello delle emergenze. Shade, alza le funzioni vitali.»
Un misterioso lamento sembrò fuoriuscire da ogni poro
della pelle di Derc e un fetore di bacon andato a male e liquirizia
riempì lo spazio angusto. Paige vomitò la colazione nel
bidone dell’immondizia. Il tracciato dell’elettrocardiogramma era piatto. Shade tolse
la mano dalla fronte del paziente.
«Odio quando fanno così.» Chiedendosi cosa avesse spaventato
Derc a tal punto da fargli decidere di fermare da solo
le proprie funzioni vitali, Eidolon aprì la cicatrice con un
colpo deciso del bisturi, sapendo cos’avrebbe trovato, ma col
bisogno di esserne assolutamente certo.
Shade infilò la mano nella tasca della divisa e tirò fuori l’immancabile
gomma da masticare. «Cosa manca?»
«Il sacco di Pan Tai. Raccoglie i materiali di rifiuto e li reintegra
nell’organismo, così la sua specie non deve mai urinare o defecare.»
«Che praticità» mormorò Shade. «E uno cosa se ne farebbe?»
Paige si tamponò la bocca con una spugna chirurgica, aveva
un colorito ancora verdognolo, anche se il puzzo della morte
del paziente si era prevalentemente dissolto. «Il contenuto
viene usato durante alcuni riti vudu che colpiscono i movimenti intestinali.»
Shade scosse la testa e diede all’infermiera un pacchetto di
gomme. «Non c’è più niente di sacro?» Si voltò verso Eidolon.
«Perché non l’hanno ucciso? Hanno ucciso gli altri.»
«Valeva di più da vivo. La sua specie riesce a farsi ricrescere
un organo nel giro di qualche settimana.»
«Cosa da cui avrebbero tratto profitto.» Shade si lasciò sfuggire
una sfilza di imprecazioni, incluse alcune che Eidolon
non aveva mai sentito nonostante i suoi cento anni d’età. «Deve
trattarsi dell’Aegis. Morbosi bastardi.»
Chiunque fossero i bastardi in questione, erano stati piuttosto
occupati. I paramedici avevano portato in ospedale dodici
corpi mutilati nelle ultime due settimane e la violenza era
andata crescendo. Alcuni segni sui corpi delle vittime indicavano
che erano state squartate mentre erano ancora vive… e coscienti.
Peggio ancora: alla maggior parte dei demoni non importava
nulla, e quelli a cui importava non avrebbero cooperato con
i Consigli delle altre specie per aprire un’indagine. AEidolon
importava, non solo perché era implicato qualcuno con conoscenze
mediche, ma perché era solo una questione di tempo
prima che i macellai acciuffassero qualcuno che conosceva.
«Paige, informa l’obitorio perché vengano a prendere il
corpo e comunica loro che voglio una copia del risultato dell’autopsia.
Ho intenzione di scoprire chi sono questi stronzi.»
«Dottor E.» Eidolon non aveva fatto più di dieci passi
quando Nancy, una vampira che faceva l’infermiera da prima
di essere trasformata, lo chiamò dalla postazione dietro al
banco dell’accettazione. «Ha chiamato Skulk, ha detto che sta
portando qui un Cruentus. Arrivo stimato fra due minuti.»
Eidolon si lasciò quasi sfuggire un gemito. I Cruenti vivevano
per uccidere, il loro desiderio di carneficina era così incontrollabile
che persino durante l’accoppiamento a volte si
facevano a pezzi a vicenda. L’ultimo Cruentus che avevano
avuto come paziente si era liberato delle cinghie di contenzione
e aveva distrutto mezzo ospedale prima che riuscissero a sedarlo.
«Prepara la sala emergenza 2 con le cinghie rinforzate in
oro e chiama il dottor Yuri. Alui piacciono i Cruenti.»
«Ha detto anche che porta un paziente a sorpresa.»
Questa volta Eidolon gemette sul serio. L’ultima sorpresa
di Skulk si era rivelata un cane investito da un’auto. Un cane
che lui poi si era dovuto portare a casa perché lasciarlo uscire
dal pronto soccorso avrebbe significato offrire un bel pasto
a un certo numero di membri dello staff. Adesso quel piccolo
bastardo maledetto si era già mangiato tre paia di scarpe e
aveva preso il controllo del suo appartamento.
Shade sembrava combattuto tra dar sfogo all’irritazione
con Skulk, la sua sorella Umber, e flirtare con Nancy, con cui
era già stato a letto due volte per quel che ne sapeva Eidolon.
«La uccido.» Chiaramente, alla fine aveva vinto l’irritabilità.
«Non se la becco prima io.»
«Lei è off limits per te.»
«Non hai mai detto che non posso ucciderla» puntualizzò
Eidolon. «Hai solo detto che non posso andare a letto con lei.»
«Vero.» Shade si strinse nelle spalle. «Uccidila tu, allora.
Mia madre non mi perdonerebbe mai.»
Shade aveva ragione su questo. Sebbene Eidolon, Wraith e
Shade fossero demoni di pura razza Seminus figli dello stesso
padre ormai defunto, le loro madri erano tutte di specie
differenti e tra loro quella di Shade era la più materna e protettiva.
I segnalatori alogeni rossi ruotarono sui montanti attaccati
al soffitto, per segnalare l’arrivo dell’ambulanza. La luce cremisi
inondò la stanza, portando in evidenza le scritte sulle
pareti grigie. Quella tonalità non era stata la prima scelta di
Eidolon, ma tratteneva gli incantesimi meglio di qualsiasi altro
colore, e in un ospedale in cui tutti erano il nemico mortale
di qualcuno, ogni vantaggio era decisivo. Per questo i simboli
e gli incantesimi erano stati modificati per aumentare i
loro poteri protettivi.
13Invece della pittura, erano scritti col sangue.
L’ambulanza penetrò nei recessi della struttura sotterranea
e l’adrenalina iniziò a scorrere con violenza nelle vene di
Eidolon. Amava questo lavoro. Amava gestire quell’angolino
d’inferno personale, per lui era quanto di più vicino al paradiso
avesse mai trovato.
L’ospedale, situato sotto le strade affollate di New York e
nascosto con la magia proprio sotto al naso degli umani, era
la sua creatura. Ma era anche la sua promessa al genere demoniaco,
che vivesse nei meandri della terra o in superficie insieme
agli umani: sarebbe stato curato senza discriminazioni, la
sua razza non era abbandonata da tutti.
Le porte scorrevoli del pronto soccorso si aprirono con un
sibilo e il paramedico che faceva coppia con Skulk, un lupo
mannaro che odiava tutto e tutti, spinse dentro una barella cui
era stato legato per sicurezza un Cruentus sanguinante. Eidolon
e Shade si misero al passo con Luc: sebbene fossero entrambi
sul metro e novanta, i dieci centimetri in più e la corporatura
imponente del licantropo li faceva sentire dei nani.
«Cruentus» ringhiò Luc, perché non produceva mai altro
suono quando era in forma umana, come in quel momento.
«Trovato privo di coscienza. Frattura esposta di tibia e perone
alla gamba destra. Ferita lacerocontusa alla base della nuca inferta
da un colpo. Entrambe le lesioni si sono rimarginate. Profonde
lacerazioni non rimarginate all’addome e alla gola.»
Eidolon sollevò un sopracciglio. Solo l’oro o armi perfezionate
con la magia avrebbero potuto causare ferite del genere.
Tutte le altre lesioni si richiudevano da sole mentre il Cruentus si rigenerava.
«Chi ha chiamato aiuto?»
«Li ha trovati un vampiro. Il Cruentus e…» indicò con l’unghia
lunga del pollice l’ambulanza alle proprie spalle, dove
Skulk aveva tirato fuori la seconda barella «quella
Eidolon si fermò di colpo, e Shade con lui. Per un istante,

Uno dei medici le aveva tagliato i vestiti di pelle rossa che giacevano
sotto di lei come se fosse stata scuoiata. Adesso aveva
addosso solo le cinghie, reggiseno e mutandine neri e una vasto
assortimento di fodere per armi legate alle caviglie e agli avambracci.
Un brivido gli percorse la spina dorsale a doppia articolazione:
cazzo, no, questo non doveva succedere. «Hai portato
una cacciatrice dell’Aegis nel mio ospedale? Che diavolo ti è saltato in mente?»
Skulk sbottò esasperata, lo fulminò con i penetranti occhi
grigi che si accordavano con la pelle e i capelli cinerei. «Che
altro avrei dovuto farne? La sua partner è finita in pasto ai topi.»
«Il Cruentus ha neutralizzato una cacciatrice?» chiese Shade,
e quando la sorella annuì percorse con lo sguardo l’umana
ferita. I comuni esseri umani costituivano una minaccia insignificante
per i demoni, ma quelli che appartenevano all’Aegis,
un’associazione guerriera volta a sterminarli, non avevano
nulla di comune. «Non avrei mai pensato di ringraziare un
Cruentus. Avresti dovuto lasciare pure questa ai topi.»
«Le sue lesioni potrebbero risparmiarci un po’ di lavoro.»
Skulk snocciolò la lista delle ferite, tutte serie, ma la peggiore
– il polmone perforato – poteva anche accelerare il decesso.
Skulk le aveva praticato una decompressione con un ago e per
il momento la cacciatrice era stabile, il colorito era buono. «E
poi» aggiunse «la sua aura è debole, sottile. Non sta bene da molto tempo.»
Paige si avvicinò a loro, nei suoi occhi nocciola brillava
qualcosa di simile alla soggezione. «Mai vista una Buffy prima
d’ora. Non una viva, comunque.»
«Io sì. Diverse.» La voce roca di Wraith arrivò da qualche
parte alle spalle di Eidolon. «Ma non sono rimaste vive a lungo.
» Wraith, praticamente identico ai fratelli tranne che per
entrambi fissarono la femmina umanoide priva di coscienza.
alle spalle, prese il controllo della barella. «La porto fuori
e la faccio sparire.»
Farla sparire.
che l’Aegis aveva fatto a loro fratello, Roag. Una perdita
che Eidolon ancora sentiva come una crepa nell’anima. «No»
disse, digrignando i denti per quella decisione. «Aspetta.»
Per quanto lo allettasse l’idea di lasciare che Wraith facesse
a modo suo, solo tre tipi di creature potevano essere respinte
dall’
macellai dell’Aegis non erano tra queste. Una svista cui aveva
intenzione di rimediare. Certo, in qualità di quello che era
l’equivalente del capo dello staff medico in un ospedale umano,
lui aveva l’ultima parola: poteva lasciar morire la donna,
ma era stata concessa loro una rara opportunità. I suoi sentimenti
nei confronti dei cacciatori dovevano essere messi da parte.
«Portala in sala emergenza 1.»
«Ascolta,» disse Shade abbassando il tono per la disapprovazione
«averla catturata per poi lasciarla andare non mi
sembra una buona idea in questo caso. E se è una trappola?
E se ha addosso un dispositivo di localizzazione?»
Wraith si guardò attorno come se si aspettasse di vedere i
cacciatori dell’Aegis – loro si facevano chiamare Guardiani – comparire dal nulla.
«C’è l’incantesimo di Protezione.»
«Solo se ci attaccano dall’interno. Se ci trovano, potrebbero
cercare di far saltare l’edificio.»
«Occupiamoci di lei e dopo penseremo al resto.» Eidolon
spinse la barella nella sala predisposta, i fratelli paranoici e
Paige subito dietro di lui. «Abbiamo l’opportunità di imparare
qualcosa su di loro. La conoscenza che potremmo acquisire
supera di gran lunga gli eventuali pericoli.»
Allentò le cinghie e le sollevò la mano sinistra. L’anello argento
e nero che portava al mignolo aveva un’aria piuttosto
innocua, ma quando lo sfilò lo stemma dell’Aegis inciso al suo
interno confermò l’identità della donna e gli provocò un brivido.
Se le dicerie erano vere, qualsiasi gioiello che recasse inciso
quello scudo era imbevuto di poteri che conferivano ai cacciatori
la visione notturna, la protezione da certi incantesimi,
l’abilità di vedere attraverso i mantelli dell’invisibilità… e solo
gli dèi sapevano chissà che altro.
«Sarà meglio che tu sappia quello che fai, Eidolon.» Wraith
chiuse la tenda con uno strattone per lasciare fuori il personale sbalordito.
A giudicare dal numero degli astanti, probabilmente la
voce aveva cominciato a circolare. Venite a vedere Buffy, l’incubo«Non fai così tanta paura adesso, vero, piccola assassina?»
mormorò Eidolon infilandosi i guanti.
Il labbro superiore della donna si arricciò, come se lo avesse
sentito, e lui d’un tratto ebbe la certezza che non avrebbe
perso la paziente. La morte disdegnava forza e cocciutaggine,
qualità che si sprigionavano da lei a ondate. Incerto se la
sua sopravvivenza fosse una cosa positiva o negativa, le tagliò
il reggiseno per controllare le lacerazioni al torace. Shade,
che era rimasto in giro a ciondolare in attesa che iniziasse
il suo turno, stabilizzò le funzioni vitali, attenuando i suoi respiri faticosi e gorgoglianti.
«Paige, determina il gruppo sanguigno e portami una sacca
di gruppo 0 umano mentre aspettiamo.»
L’infermiera si mise al lavoro e Eidolon allargò la ferita più
grave della cacciatrice con il bisturi. Sangue e aria gorgogliarono
attraverso il polmone danneggiato e le pareti del torace
mentre inseriva le dita e univa i lembi lacerati per la fusione.
Wraith incrociò le braccia sul petto, i bicipiti si contraevano
come se volessero partire alla carica e uccidere la cacciatrice

Leggereditore tutti i diritti riservati.
appostato nei nostri armadi e pronto all’agguato.
Era la cosa giusta da fare. Dopotutto, era quellogli occhi azzurri e i capelli biondi – quasi bianchi – lunghi finoUG, in base allo statuto che lui stesso aveva redatto, e i.

«Avolte essere un medico è uno schifo» borbottò, e trafisse
il demone in abiti umani con una siringa piena di enoxacina.
Il paziente urlò quando l’ago penetrò nel tessuto lacerato
della coscia, iniettando nella ferita il medicinale per prevenire
eventuali infezioni.
«Non lo hai sedato prima?»
Eidolon ridacchiò per le parole del fratello minore. «L’incantesimo
di Protezione mi impedisce di ucciderlo. Non mi
trattiene dal dispensare un po’di giustizia durante la terapia.»
«Non riesci a lasciarti il vecchio lavoro alle spalle, eh?» Shade
aprì completamente la tendina che separava due dei tre
cubicoli del pronto soccorso e si avvicinò. «Questo figlio di
puttana mangia i neonati. Lascia che lo accompagni fuori io
in sedia a rotelle, poi gli spaccherò quel culo sciancato.»
«Si è già offerto di farlo Wraith.»
«Se fosse per lui, Wraith liquiderebbe tutti i pazienti.»
Eidolon borbottò. «Probabilmente è un bene che il nostro
fratellino non abbia intrapreso la strada della medicina.»
«Non l’ho fatto nemmeno io.»
«Tu avevi altri motivi.»
Shade non aveva voluto passare troppo tempo sui libri, soprattutto
perché il suo potere di guarigione si addiceva di più
al mestiere che aveva scelto, il paramedico. Tutto quello che
faceva era togliere i pazienti dalla strada e tenerli in vita finché
lo staff dell’Underworld General non li avesse sistemati.
Il sangue gocciolò sul pavimento di ossidiana mentre Eidolon
esplorava con lo specillo la ferita più grave del paziente.
Una femmina di demone Umber – la stessa specie della
madre di Shade – aveva sorpreso il paziente dopo che si era
intrufolato nella camera dei bambini e in qualche modo era
riuscita a trafiggerlo diverse volte con lo scopettino del water.
D’altra parte, i demoni Umber erano straordinariamente
forti nonostante la corporatura minuta. Soprattutto le femmine.
In diverse occasioni Eidolon aveva tratto piacere dall’impiego
di quella forza sotto le lenzuola. In effetti, quando non
sarebbe più riuscito a resistere al ciclo di maturazione finale
in cui era entrato il suo corpo, pensava di scegliere una femmina
Umber come sua prima infadre. Le Umber erano ottime
madri e raramente uccidevano la progenie indesiderata di un demone Seminus.
Mettendo da parte i pensieri che lo affliggevano sempre
più spesso con l’avvicinarsi del Cambiamento, Eidolon diede
un’occhiata al viso del paziente. La pelle, che sarebbe dovuta
essere di un intenso color ruggine, ora era pallida per il
dolore e la perdita di sangue. «Come ti chiami?»

Le ultime Novità Editoriali

ROMA – In libreria dalla settimana scorsa per Fandango c’è “Mustang. Un viaggio” il libro catalogo della mostra fotografica Click! 30 anni d’Asia di Tiziano Terzani poi, da qualche giorno, c’è anche “La cura” di Andrés Beltrami e “L’arte dell’inganno” di Vittorio Giacopini.
Tra le novità della Bompiani troviamo: “Bolle, balle e Sfere di cristallo. L’economia dell’inganno” del giornalista e scrittore Stefano Cingolani, “La rivoluzione dei gelsomini” di Tahar Ben Jelloun e “Più felice del mondo” di Umberto Pasti. Ugo Mursia Editore presenta “GLi angeli di Lucifero”, un libro di Fabrizio Carcano e festeggia l’Unità d’Italia con il libro “Il romanzo dei mille” di Claudio Fracassi. Candidato al Premio Strega 2011 è “Nina dei lupi” di Alessandro Bertante, l’ultima pubblicazione targata Marsilio.
In uscita per le Edizioni nottetempo troviamo “Cultura di destra” di Furio Jesi, “Mostrarsi” Andrea Canobbio e “Baba Jaga ha fatto l’uovo” di Dubravka Ugrešic, oltre che la terza ristampa de “La scoperta del mondo” di Luciana Castellina. Avagliano porta in libreria “Il silenzio del colore nero” di Serena Frediani e “San Gennaro non dice mai no” di Giuseppe Marotta. Tra qualche ora sarà disponibile su ChronicaLibri l’anteprima di “Brivido eterno”, un mix di azione e sensualità firmato Leggereditore, la casa editrice che porta per la prima volta in Italia l’apprezzata autrice Larissa Ione.

"LIBRI COME. Festa del Libro e della Lettura" a Roma da venerdì

ROMA “Libri come” raddoppia. Dopo il successo della prima edizione (arricchita in autunno dal ciclo di “lezioni americane” a New York, che ha visto la partecipazione di Carlo Lucarelli, Nathan Englander, Jonathan Galassi, Stefan Merrill Block e Benedetta Tobagi, Giancarlo De Cataldo, Paula Fox, Gino Roncaglia e Daniel Mendelsohn), la festa del libro e della lettura torna all’Auditorium Parco della Musica di Roma, con un programma di incontri, laboratori, corsi e iniziative per le scuole che non si limita più allo spazio di un weekend, ma si sviluppa su dieci giorni, dal 1° al 10 aprile 2011.

Promosso e organizzato dalla Fondazione Musica per Roma, con la collaborazione di Telecom Italia, partner unico della manifestazione, l’evento conferma e rilancia quegli elementi di originalità che sono stati il punto di forza del suo debutto. In particolare, il desiderio di non fermarsi al cosa di un libro, svelandone invece i segreti del come: come viene scritto, stampato, pubblicato, venduto e… letto. L’edizione 2011 dedica, inoltre, ampio spazio all’editoria digitale. Quest’anno si possono ‘sfogliare’ i libri preferiti anche nella versione ebook e provare una nuova esperienza di lettura con i dispositivi di nuova generazione nello spazio tecnologico biblet cafè di Telecom Italia.
Grandi protagonisti sono gli scrittori, scelti in modo da rappresentare la varietà e le tendenze del panorama letterario nazionale e internazionale. Sul palco dell’Auditorium sfilano autori come Jonathan Franzen, che nell’anteprima di lunedì 21 marzo ha presentato al pubblico italiano l’attesissimo Libertà, ritorno al romanzo a quasi dieci anni da Le correzioni. E poi ancora, il fenomeno letterario dell’autunno americano Nicole Krauss, il re del poliziesco Elmore Leonard, il sociologo della post-modernità e della “società liquida” Zygmunt Bauman, lo scrittore e saggista marocchino Tahar Ben Jelloun, rappresentante di spicco di quell’area maghrebina oggi battuta dal vento del cambiamento politico, sociale e culturale.
Dalla Barcellona medievale raccontata da Ildefonso Falcones al Medio Oriente alla ricerca di un equilibrio tra Israele e Palestina nei testi di David Grossman, dalla labirintica Mumbai di Suketu Mehta ai Balcani di Emir Kusturica, dagli Stati Uniti di Peter Cameron alla Romania di Norman Manea fino al Canada di Mordecai Richler (presenti a Roma la moglie Florence e il figlio Noah), tutto il mondo viene rappresentato sulla mappa di Libri come. Nulla sfugge alla sua lente di ingrandimento, al desiderio di esplorare a fondo il percorso che porta alla nascita di un libro.
Da questo punto di vista, anche l’Italia che si indigna, si entusiasma e si racconta attraverso la pagina scritta, viene raccontata a trecentosessanta gradi. Attraverso l’esperienza di protagonisti della cultura e della letteratura nazionale, come Claudio Magris (a cui è affidata l’apertura di venerdì 1° aprile) e Umberto Eco (protagonista dell’incontro di chiusura, domenica 10 aprile). Attraverso i 150 anni di storia del paese reinterpretati nella maratona-reading del 3 aprile da un gruppo di grandi narratori, tra cui Andrea Camilleri e Alessandro Baricco. Attraverso le mille strade del noir tracciate da maestri del genere come Giancarlo De Catald e Massimo Carlotto; i sentimenti del cuore raccontati da Andrea De Carlo e Chiara Gamberale; le parole messe in “gioco” da Stefano Bartezzaghi e Alessandro Bergonzoni.
L’elenco degli ospiti è lunghissimo, così come il programma è vario e articolato in diversi percorsi che comprendono dialoghi, conferenze, seminari, lezioni. Partendo da un libro si può riflettere su temi spirituali (con il priore di Bose Enzo Bianchi, il teologo Vito Mancuso, il pensatore “eretico” Matthew Fox), sui rapporti tra politica e natura umana (con la filosofa Roberta De Monticelli e lo psicanalista Luigi Zoja), sulle regole della società (con l’ex-magistrato Gherardo Colombo), sulla poesia (con il lirico canto dedicato alla Patria da Patrizia Cavalli), sulle narrazioni orali (con l’attore e drammaturgo Ascanio Celestini) sul cinema (con Francesco Piccolo, lo sceneggiatore di Habemus Papam di Nanni Moretti), sull’universo femminile (con Dacia Maraini e Michela Murgia), sulle relazioni tra storia e romanzo (con Melania Mazzucco e Alessandro Barbero). Si può raccontare la propria esperienza, trasmettere sapere, confrontarsi con altri autori: condividendo i successi e il percorso di una carriera lunga (Antonio Tabucchi, Roberto Calasso) o esprimendo le emozioni del debutto (la tavola rotonda di domenica 10 aprile animata da sei autrici al romanzo d’esordio). Muovendosi tra bestseller (Margaret Mazzantini, Alessandro Piperno, Sandro Veronesi), critica letteraria (Marco Belpoliti) e autobiografia (Helena Janeczek, Walter Siti a Mauro Covacich).
Se i weekend sono affidati ai momenti più spettacolari, durante la settimana l’attenzione di Libri come si concentra sugli studenti: con un occhio di riguardo per la ricorrenza dei 150 anni dalla nascita dell’Italia, protagonista di una serie di lezioni per le scuole in cui Maurizio Maggiani racconta avvenimenti e figure del Risorgimento. E poi ancora con attività didattiche, corsi, conferenze, presentazioni di novità editoriali, laboratori, mostre di illustrazione e fotografia, installazioni artistiche e seminari, raccolti nel Garage, un immenso spazio dove entrare nel sistema della produzione editoriale direttamente insieme ai suoi protagonisti: a caccia di quei motivi che fanno sì che un libro non sia solo un insieme di fogli riempiti d’inchiostro, ma un’avventura complessa che coinvolge talento, passione e professionalità.
Il programma di Libri come è curato da Marino Sinibaldi, con la collaborazione di Michele De Mieri e Rosa Polacco.

"Come eliminare i giornalisti (senza finire in prima pagina)", provateci!

Giulia Siena
ROMA – “Questo è un manuale di autodifesa. E non sorprenda il fatto che a scriverlo sia un giornalista. In oltre trent’anni d’attività ho conosciuto molti colleghi e di ognuno ho cercato di mettere a fuoco pregi e difetti.” Per essere solo all’introduzione, il libro del giornalista salernitano Gabriele Bojano, “Come eliminare i giornalisti (senza finire in prima pagina)”, promette svariate sorprese. Pubblicato il mese scorso da Mursia, il dissacrante libro o il “divertente pamphlet”- come lo ha definito Maurizio Costanzo nella prefazione – racconta la figura del giornalista attraverso 50 prototipi ben definiti di professionisti del settore. Bojano suddivide il libro in nove parti e, in ognuna di esse, descrive giornalisti caratterizzati da pessimi comportamenti professionali, sociali e umani.
Così, il mestiere più difficile del mondo (difficile più degli altri poiché spesso se non sei raccomandato non lavori, invece quando il giornalista lavora non viene riconosciuto come tale, quindi, non viene retribuito o sottopagato) è in mano a gente strana che si comporta in modo strano e ha pretese strane. Dal “giornalista hulk”- facile agli isterismi – al “giornalista glocale” – totalmente dedito agli scoop casalinghi del suo piccolo paese da non accorgersi del resto del mondo – passando per il “giornalista dinasty” – designato dagli dei come continuatore della stirpe giornalistica – fino al “giornalista oh happy day”- per il quale c’è sempre un motivo per festeggiare. Ognuno di loro presenta diversi motivi per irritare conoscenti e colloghi che di solito incontra sulla sua strada, ma un modo per eliminarli c’è: Bojano ne suggerisce uno per ogni tipologia di giornalista. Provare per credere!

Intervista a Minervino, dalla mostrificazione alle bellezze mozzafiato di una Calabria ancora carica di ardori e di nuove speranze

Alessia Sità
ROMA – Alcuni libri necessitano di un approfondimento, di una lente di ingrandimento puntata tra le righe del romanzo, per questo ChronicaLibri oggi propone l’intervista al professor Mauro Francesco Minervino, autore di “Statale 18” pubblicato da Fandango.
Che ruolo ha per lei la scrittura nell’esprimere un disagio?
Non credo che la scrittura (che può anche essere una buona cura per l’anima) debba curare il ‘disagio’ di chi scrive letteratura. Io non ho mai scritto un rigo per dare sfogo a un disagio personale, a qualcosa che appartiene alla mia psicologia individuale. Io scrivo per raccontare. Per provare a capire. Non da solo, ma insieme a chi legge. Parto sempre da un’esperienza, da un’urgenza di testimonianza e di confronto con ciò che vedo, con ciò che accade nella realtà. Anche se non escludo mai un mio punto di vista personale, non mi interessa limitare ciò che scrivo ad aspetti personali. Scrivere è sempre un atto di responsabilità che implica il rapporto di un sé con un altro, una forma congiuntiva, un incontro che unisce l’autore alla realtà, a persone diverse, alla verità del mondo. Scrivere è pur sempre tentare di dare una forma al caos, il tentativo di portare a ragione quello che la ragione rifiuta o nasconde. Per me raccontare persone e luoghi difficili, e tuttavia amati, di una Calabria che qualcuno già considera un pezzo d’Italia perduta, equivale a un rifiuto delle generalizzazioni e delle ovvietà mediatiche. Scrivo contro i pregiudizi che da lontano avvolgono la realtà del sud; il mio è un tentativo di fare chiarezza senza mai nascondere le nostre responsabilità collettive nei confronti di ciò che accade.
Cosa l’ha spinta a scrivere “Statale 18”?
I miei viaggi da pendolare su questa strada. Il fatto di vivere in un luogo così. L’idea che raccontare la strada oggi equivale a raccontare il sud nella sua parte più vera e problematica, meno letteraria. Su una strada come la Statale 18 vedi tutte le contraddizioni, la vita reale, che sempre di più è legata al movimento, a una mobilità esasperata e spaesante, a un’economia legata a forme di abuso e di violenza strisciante, sempre meno ancorata alla tradizione e a certe facili consolazioni del passato. Mi ha guidato l’idea che raccontando una strada che tutti conoscono il mio libro potesse aprire a una forma di ribellione, estetica, sentimentale e morale prima ancora che ‘politica’. Quello che vedevo, e che vedono tutti sulla Statale 18, mi colpisce ogni volta che questa strada mi accade di percorrerla. Qualcosa che offende e mortifica lo spirito e impoverisce la vita, la mia e quella di tutti. Un consumo folle di bellezze e di spazio. Il disprezzo per la cultura. Lo sfregio inarrestabile della natura e della storia. Tutto oggi si dispone sulla strada. Nessuno sembra accorgersene. Il fatto è che se cambia l’ambiente e il paesaggio, se cambia la qualità della terra e del mare, se viene avanti il brutto e il cemento conquista ogni spazio libero, diventiamo tutti più brutti e incivili, più poveri, più infelici, più mafiosi, anche se apparentemente questo si chiama ‘sviluppo’. Ma lo sviluppo non coincide con le case costruite, con le automobili che circolano, con la violenza che si insinua nei nostri rapporti sociali, con gli oggetti che compriamo negli ipermercati, con la corsa ai consumi di cui tutti siamo vittime.
Lei racconta e descrive apertamente ed in modo piuttosto chiaro i mali che affliggono la Calabria dalla Calabria, da uomo e da antropologo. La sua è una scelta coraggiosa. Ha mai incontrato difficoltà per questo?
Sì, pago un prezzo personale per essere un autore scomodo. Scomodo per il potere politico e per quello mediatico. Scomodo per quello che scrivo e per ‘come’ lo scrivo. Per i miei libri ho ricevuto importanti premi e riconoscimenti, anche internazionali, ma in Calabria sono stato oggetto di feroci campagne stampa, di diffamazione e di esclusioni (inconfessabili) che danneggiano la mia professione intellettuale e il ruolo che svolgo nel mio ambiente, che è quello dell’università, della cultura e dei giornali. Ma la mia scrittura, la mia libertà non la metto a disposizione di nessuno. Vado per la mia strada, ma resto qui. In questi anni, dopo che un maestro civile di quella che lui stesso chiamava “letteratura delle cose”, Enzo Siciliano, che per primo mi spinse a raccontare queste storie su Nuovi Argomenti, per il mio impegno di scrittore e di intellettuale ho avuto sostegno di personalità come Luigi De Magistris e Angela Napoli, di intellettuali come Gianni Vattimo e Gian Antonio Stella, fino a Roberto Saviano, che di Statale 18 in una recensione su “Tuttolibri” de “La Stampa”, ha scritto cose molto belle di cui lo ringrazio. I partiti, la politica, i calabresi che “contano”, i giornalisti, i colleghi? Ostracismo e una malcelata ostilità, invidie, mugugni e silenzi. Ma ci sono gli studenti, la gente che incontro, quelli che leggono i miei libri e li amano, e molti sono calabresi fuori dalla Calabria.
La “mostrificazione” di cui parla, c’è sempre stata o ha un’origine ben precisa?
Inizia nel dopoguerra con la ricostruzione, un periodo infinito di modificazioni ambientali e sociali, anche positive; penso alle infrastrutture necessarie, alle scuole, agli ospedali, ma anche all’origine di scempi, di facili distruzioni e di speculazioni spacciate per indispensabili opere di sviluppo. Una fase di espansione che da allora non si è più arrestata. Degenerazioni che hanno portato alla mostrificazione attuale del paesaggio che lo specchio di una metamorfosi antropologica che riguarda gli individui e la società, in Calabria e nel Sud. Ma ormai il discorso vale per tutta l’Italia.
Il pregiudizio che si ha del Sud, secondo lei, ha contribuito ad alimentare lo scempio e il degrado non solo paesaggistico, ma anche umano?
Certo, il sud, e i calabresi in particolare, vivono una specie di schizofrenia: per secoli sono stati gli altri a raccontarci e a giudicarci. Col tempo abbiamo assunto e interiorizzato punti di vista che sono sempre mediati dall’esterno. Perciò siamo facilmente inclini agli estremismi, siamo apocalittici o integrati, conformisti o ribellisti. Siamo ossessionati dal problema dell’identità. Oscilliamo tra il disprezzo per noi stessi e la difesa integralistica di tratti regressivi, con l’esaltazione acritica di ogni cosa che ci riguardi. Così abbiamo smesso di osservarci, di descriverci, di tracciare le nostre rappresentazioni e i nostri racconti. E anche di prenderci cura del paesaggio, della natura, della terra, del mare, delle case. La Calabria è una terra di sconfitte silenziose e di violenze eclatanti, di ribelli e di ipocriti, di gente in fuga o rassegnata al peggio. Oggi è da questa dittatura degli opposti che si deve smarcare se vogliamo pensarci moderni e davvero “diversi”: riprendiamo i nostri racconti, ribaltiamoli sul mondo; critiche e autocritiche non lasciamole più agli altri. Amare i luoghi e farne nuovamente ‘dimora’ prendendosene cura, ritornare a essere comunità, non c’è alternativa. La Calabria e i calabresi devono misurarsi con l’autocritica, devono smarcarsi dall’ossessione della ‘calabresità’, da un blocco culturale che è un limite e un regalo fatto a tutti quelli che vogliono mantenere le cose come stanno.
La descrizione che lei fa della sua lezione di antropologia tenuta a Catanzaro è molto eloquente. Ma perché i giovani di oggi, nati e cresciuti in Calabria, continuano a sentirsi estranei? Perché “sembrano essere tutti di passaggio in Calabria”?
Credo che molte responsabilità ricadano sulle generazioni precedenti. Ma oggi spetta ai giovani impegnarsi per il cambiamento. In Calabria dobbiamo tutti ripartire da una serena consapevolezza che il legame con la propria terra non è un atto di fede acritico ma un passaggio necessario verso la consapevolezza. Non è fuggendo che si diventa adulti. E la dimensione del “lontano” ormai nel nostro mondo globale è solo illusoria, fatta apposta per restare ‘provinciali’. Non c’è un altro mondo migliore fuori dalla Calabria. Siamo già nel mondo, e sta a noi invece creare qui le condizioni migliori che cerchiamo altrove, con un nuovo senso civico e nuovi patti di comunità. Il compito della scrittura civile deve essere anche quello di risvegliare i giovani e le coscienze assopite.
Nonostante il suo splendido panorama sul mare, la Statale 18 porta in sé una sorta di inquietudine. Secondo lei è un’inquietudine che solo chi ha vissuto quei luoghi può capire?
No credo che il successo del libro, come anche quello del mio precedente “La Calabria brucia”, dipenda dal fatto che attraverso le narrazioni che riguardano la mia regione io riesca a raccontare come antropologo e scrittore, una condizione che travalica confini e luoghi specifici e che appartiene a una dimensione umana e civile della nostra vita contemporanea. Il degrado è la cifra che unifica tutta l’Italia di adesso. La Calabria è in fondo il laboratorio avanzato di un’Italia che assomiglia sempre più a queste coste sfrangiate, a quest’onda di cemento che in Calabria sembra infinita e travolge e consuma ogni cosa. Paesaggio, cultura, legalità, umanità. E’ così che stiamo diventando tutti più moderni. Il corrispettivo della Statale 18 oggi lo trovi ovunque in Italia; sull’asse del cosiddetto “bilanciere veneto”, sulle coste turistizzate della Sicilia come sulla riviera Ligure da Rapallo in poi, ovunque dove viene meno il senso della civiltà e della bellezza. C’è un senso di smarrimento e di inquietudine sempre più esportabile e universale, in Italia e nel mondo occidentale.
Perché in Calabria “i desideri fanno in fretta a passare e diventano ricordi”?
E’ uno dei paradossi poetici, ma anche il sintomo di una condizione reale, che ho inserito nella prosa narrativa di “Statale 18”. E’ un invito a resistere, a prolungare gli sforzi che ogni desiderio deve compiere per diventare atto. In Calabria c’è chi ristagna nella nostalgia per il passato, nell’immobilità rassegnata. Io credo invece che la nostalgia debba essere trasformata in una forma di passione attiva, qualcosa che serva come il sogno per dare battaglia nel presente. In fondo come diceva Walter Benjamin “solo il fare è un mezzo per sognare, mentre il contemplare è solo un mezzo per rimanere desti”. La letteratura e la poesia illuminano sempre un piano di realtà utopiche ma possibili. Un altro straniero George Gissing, lo scrittore vittoriano, il viaggiatore trasognato e solitario che scrisse della Calabria della fine dell’Ottocento, povera, umile ma ancora carica di ardori e di nuove speranze, piena di grazia popolare e di bellezze mozzafiato, scrisse che “qui è più bello vivere”. Non dovremmo dimenticare mai parole come queste qui al Sud e in Calabria.
Per completare il quadro della situazione, pensa di scrivere qualcosa anche sulla Statale 106 Jonica, un altro tratto di strada tristemente noto per la situazione di precarietà in cui versa da troppo tempo?
No, lo farà qualcun altro se ne ha voglia. La strada è un tema interessante, ma non ho scelto di ‘specializzarmi’. Io scrivo solo i libri che un certo tipo di ricordi, di percezioni e di esperienze mi impongono di scrivere. E il prossimo libro sarà un romanzo sugli anni ’90, il decennio cruciale della mia vita d’uomo e un periodo che rappresenta la fine di certi tempi di attese, di passioni e di grandi speranze per una generazione come la mia. L’inizio di una presa d’atto della realtà e della vita così com’è, ma per cui vale ancora la pena di battersi, per quanto dura e ostile sia la realtà di oggi.
Tre parole per definire il suo libro
Doloroso, sincero, bello. Parole che quando si ama sono indispensabili per dire la verità.

Bompiani: Federica De Paolis,”Ti ascolto” chiudere gli occhi e vivere con le storie degli altri

Giulia Siena
Roma E’ strano leggere le movenze, i pensieri e gli atteggiamenti di un uomo dalla penna di una donna: le sensazione che percepisci sono aspre, dirette, proprio come le racconterebbe un uomo, ma si intersecano a descrizioni sentimentali e precise proprio come quando è la donna a raccontare. Questo è il terzo libro di Federica De Paolis, “Ti ascolto” edito da Bompiani.

Diego, il protagonista, peregrino perenne in fuga da qualcosa, deve fermarsi nella casa di famiglia senza nessuno che si prenda cura di lui. La monotonia del silenzio in cui è costretto viene spezzata dallo squillo del telefono: non c’è bisogno che le sue parole precipitino sulla cornetta, è il ricevitore che invoca ascolto. Il filo del telefono collega inaspettatamente Diego con i delicati intrecci di vite degli altri. Amicizie, storie, amori e sofferenze entrano nella cornetta del telefono per farsi ascoltare senza un nome e vivere senza un volto.

 

Così, le vite degli inquilini del suo stesso palazzo diventano anche la storia di Diego. Lui vuole vivere attraverso l’ascolto, celandosi dietro la sua buffa mascherina con la quale si aiuta a schermire la luce. Le storie degli altri lo coinvolgono, lo rinnovano, lo spronano a mettersi in gioco e a entrare nelle altre vite come un bisogno. I tasselli si riuniranno e il romanzo non smetterà di sorprendervi fino alle ultime righe dell’ultima pagina.
Fermarsi e chiudere gli occhi porta all’ascolto, regala quiete e riflessione: da qui alla decodificazione in parola è stato un passo semplice per una narratrice attenta come Federica De Paolis. La sua scrittura è compatta nello stile e agile nel gestire il congegno narrativo; in questo modo il lettore ha il posto da spettatore d’onore.

L’Italia del "Vicolo dell’Acciaio"

Marianna Abbate
ROMA Che l’Italia abbia mille volti lo sapevamo già. Certo è che per l’italiano medio l’operaio ha sempre il volto di un dipendente Mirafiori, che campeggia sulle prime pagine dei giornali. Quello che Cosimo Argentina ci mostra nel suo libro, edito da Fandango, è il “Vicolo dell’Acciaio” un distretto industriale di Taranto, che al massimo potremmo aver visto nella quinta pagina di cronaca, quando si è trovato al centro di un Referendum.
Forse perché gli operai siderurgici non sono altrettanto fotogenici quanto i dipendenti Fiat, o forse perché il loro lavoro mostra effettivamente delle problematiche economico-sanitarie ben diverse da quelle delle fabbriche di automobili. Certo è che nel libro di Argentina, si respira un’aria pesante, tossica. Una nube grigia di fumi e odori acri che chi ha sentito una volta non potrà più dimenticare. 
Poi ci sono i personaggi, i protagonisti di questo ritratto dell’ Italia industriale: combattono le loro battaglie quotidiane e cercano di sopravvivere in mezzo a quel male di vivere e a tutto quel fumo. Sono coraggiosi, forti come il Generale, o indefiniti, indecisi, ma pur sempre arrabbiati, come il figlio Mino. Non cambiano. Rimangono così, statici e un po’ tristi, fino all’ultima pagina del romanzo; almeno i sopravvissuti. 
Cosimo Argentina è agitato e commosso. Si vede dalle sue frasi, brevi e concise, ma non per questo semplici. Spesso il linguaggio è ermetico, autoreferenziale e complicato. Per chi non conosce il dialetto la lettura risulta poco scorrevole, nonostante si tratti comunque di una scrittura rapida e discorsiva. 
La tematica ricorda un po’ Zola e un po’ Verga, ma lo stile è completamente diverso.
L’autore è troppo coinvolto per risultare oggettivo, il suo è un romanzo sentito e sofferto. Un alone di depressione si posa anche sulle considerazioni finali, come se la speranza avesse evitato di proposito questo libro. O perlomeno il quartiere industriale di Taranto.



5PERCHE’, la nuova rivista per bambini di scuola primaria

ROMA – Nasce 5PERCHE’ (5XK), una originale rivista dal taglio multilingue e multiculturale per bambini di scuola primaria. 52 pagine coloratissime, di formato quadrotto pratico, è un progetto editoriale che si distingue anche per il taglio “narrativo” che hanno le sue pagine: dalla filastrocca alla leggenda, dalla poesia al proverbio, dal breve racconto alla fiaba. La rivista bimestrale si presta ad un uso ludico e didattico non indifferente. Peculiarità principale è la fiaba (inserto staccabile) in due lingue illustrata non da uno ma da numerosi giovani professionisti che frequentano i corsi della famosa Scuola Internazionale dell’illustrazione di Sarmede (TV).
5PERCHE’ (5XK) è un “piccolo libro” che usa le parole di più lingue e le immagini di più mani, che permette al piccolo lettore di interagire con la multiculturalità delle varie etnie che vivono oggi in Italia e la multicreatività di giovani talenti.
Un progetto destinato soprattutto ai bambini delle scuole, ma utile anche agli insegnanti, ai mediatori culturali, ai bibliotecari.
Gli insegnanti troveranno un sussidio per l’uso didattico della rivista, con idee, giochi, bibliografia, filmografia.
Questo progetto editoriale partecipa al mondo dei ragazzi di oggi in un’Italia multiculturale, sulla traccia dell’educazione alla lettura, obiettivo costante e primario dell’ associazione di promozione sociale Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile, ideatrice del progetto.
Il Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile (GSLG) taglia il traguardo di 35 anni di ininterrotta attività e ha deciso di varare nel 2011 questo progetto che li suggella nel segno della dinamicità e della creatività.
La rivista 5PERCHE’ (5XK) è stata presentata ufficialmente alla IX edizione della Fiera della piccola e media editoria Piùlibripiùliberi di Roma il 6 dicembre 2010, e ha incontrato il plauso del numeroso pubblico intervenuto al convegno del GSLG: “Dove vai principe azzurro? Fiabe di ieri e di oggi”.

Arianna Chieli e nadiolinda unite per "Obiettivo: maschio!", il primo manuale per cacciatrici metropolitane

Giulia Siena
ROMA “L’uomo è come il seno: va curato e sostenuto; altrimenti… crolla”, questa è la regola numero uno dell’indispensabile decalogo della cacciatrice metropolitana. “Obiettivo: maschio!”, pubblicato da B. C. Dalai editore, è il manuale scritto a quattro mani da Arianna Chieli e nadiolinda, le quali, per l’occasione, hanno indossato i panni ultrafashion di love coach. Il loro allenamento, fatto di regole, consigli, ordini, dritte di stile e osservazioni relazionali condurrà tutte le single sulla via dell’accoppiamento amoroso. Infatti, per innamorarsi bastano pochi secondi, otto secondo la scienza e bisogna sfruttarli alla perfezione per sedurre l’uomo individuato nella giungla metropolitana.
Ed è proprio qui, nella città moderna, che si muovono le 25 categorie di uomini: l’intellettuale represso e il single macrobiotico, il mammone negazionista e l’amico delle donne, poi il feticista, il maschio di cantiere, l’uomo di potere e tanti altri fino a quello più comune nella giungla, l’etero-perplesso. Attreverso questa divisione in categoria le donne sapranno individuare il loro tipo e comportarsi di conseguenza: come curare il proprio look per colpire l’uomo desiderato, quale icona di stile seguire, i libri da leggere, quali film vedere e cosa evitare.


“A voi, cacciatrici metropolitane.
Sexy, tenaci, orgogliose femmine urbane.
Affamate di carni, vogliose di pelle, in cerca di amore.
In amore, prima dei sentimenti, occorre avere stile.”


“Obiettivo: maschio! Il primo manuale per cacciatrici metropolitane” , Arianna Chieli e nadiolinda, Milano, B. C. Dalai Editore, 175 pp, 16 euro.

"Statale 18": una strada su cui oggi si gioca la partita finale tra conservazione e ricostruzione

Alessia Sità
ROMA‘In mezzo alla statale 18, insomma, corre un mondo e una vita che fermenta come il mosto di una cattiva vendemmia. Qui c’è tutto quello che sta a sud di Gomorra.’
Così scrive il professore di Antropologia Culturale ed Etnologia, Mauro Francesco Minervino, nel suo libro “Statale 18” pubblicato nel 2010 da Fandango Libri.
La Salerno – Reggio Calabria non è semplicemente una strada statale, ma è una chiara testimonianza di un degrado che ormai consuma, logora e affligge sempre di più l’Italia. Questa striscia di asfalto, lunga 600 chilometri, è la traccia di una ‘gestione scriteriata delle coste cementificate’, dell’abusivismo, delle contraddizioni di una terra che deturpa la bellezza mozzafiato dei suoi panorami senza alcuna pietà.

‘Una strada su cui oggi si gioca la partita finale tra conservazione e ricostruzione, paese legale e paese nascosto, cosche e istituzioni, nella continua dialettica di un sud che va ricapitolato con impegno civile e narrato con autentica passione’.
L’intento dell’autore non è tanto quello di fare un semplice elenco delle macerie e del degrado, piuttosto si intuisce il desiderio – molto forte per chi ha amato e continua ad amare i propri luoghi – di capire da dove è possibile partire per ricostruire e conservare una terra che ha ancora tanto da offrire, ma che con desolazione molti abbandonano per l’incapacità di combattere contro la ‘mostrificazione’. Solo la natura riesce a ribellarsi a questo orrore e solo ‘se si incazzano i santi’ qualcuno inizia a pensare che bisogna agire per fermare lo scempio, che ha quasi del tutto soffocato una terra dove ‘i desideri fanno in fretta a passare e diventano ricordi’.
Minervino riesce a raccontare, in modo poetico, e nostalgico al punto giusto, una profonda ferita del meridione, ma allo stesso tempo sembra voler dare una nuova speranza per chi sogna un futuro diverso per la Calabria.
“Statale 18” di Mauro Francesco Minervino, Roma, Fandango, 15 euro