“Sono tutti bravi a morire” di Niccolò Zancan: la città oltre le apparenze

Zancan_BraviaMorireGiorgia Sbuelz
ROMA – Milton Manera era la prima firma della cronaca, aveva camicie con bottoni color madreperla, una casa che divideva con la donna dei suoi sogni e una debolezza per i massaggi (erotici) cinesi, con cui ha fatto saltare in aria carriera, relazione e reputazione.

Dopo il supplizio della condanna pubblica operata, immancabilmente, dai suoi colleghi, si reinventa in una nuova poco onorevole professione: fornitore di alibi per coniugi fedifraghi. Mentre legge fra le righe del foglietto illustrativo di una confezione di psicofarmaci la penosità della sua attuale esistenza, bussa alla sua porta un’opportunità di riscatto travestita da proposta lavorativa.

 

Stavolta dovrà procurare un alibi per l’avvocato Rigamonti, persona bene in vista in città, ma con molti segreti, ed abitudini, da nascondere, segreti che sua moglie, l’intelligente e ancora affascinante Lisa Rigamonti, sta per scoprire. L’omicidio della donna e il colpevole frettolosamente rintracciato in un immigrato romeno, fa scattare in Manera il piglio del cronista che era stato e, malgrado l’incendio appiccato nel suo appartamento come monito, decide di andare a fondo con la storia.
Lo seguirà nelle indagini la fotoreporter Charo: avvenente, perspicace e riconosciuta come la migliore in piazza. Con lei condivide già il gusto per la birra a doppio malto e le belle donne, stavolta condividerà le stesse intuizioni su un caso che nasconde molto più del marcio che già preannuncia. In una foto, scattata da Charo poco dopo l’assassinio della signora Rigamonti, i due riconoscono il volto di un altro ragazzo romeno, Sorin, trovato impiccato ad un albero poco distante da una ex fabbrica di pneumatici.
Da questo momento, ricollegando gli indizi e sfruttando le vecchie conoscenze da giornalista d’assalto, Milton e Charo scovano la porta d’accesso ad una città “altra”. Silenziosa e inesorabile affiora dalle viscere della metropoli visibile, la città nascosta dell’immigrazione clandestina, dello sfruttamento e del degrado.
L’ex fabbrica di pneumatici è il covo per piegare con la violenza uomini senza documenti venuti in Italia inseguendo un sogno che s’infrange presto nelle scatolette di riso per cani come pasto e nelle scudisciate di aguzzini che muovono la nuova economia abusiva, fatta di mani sporche che spellano cavi di rame, che recuperano ogni singola vite o bullone dai materiali di scarto per rivenderli al mercato nero.

Emergono le storie amare di Doru, Maria, Laurent e Cosmina, la sorella scomparsa del defunto Sorin, tutti provenienti da Macin, una località a pochi chilometri dal mar Morto, luogo d’origine abbandonato e presto rimpianto, dove far ritorno appare più che mai impossibile. Milton e Charo seguono la pista della prostituzione di lusso per rintracciare Cosmina: orge elitarie coadiuvate da droghe con cui stordire le giovani vittime, depravazioni esaudite nella riservatezza di ville appartate sulla collina che guarda sprezzante il resto della città, la collina dei ricchi che odora del cloro delle loro piscine.
Ma ficcare il naso negli affari della gente “dabbene” ha un suo prezzo… e Milton e Charo lo scopriranno sulla propria pelle, catturati da una realtà che va al di là della loro propensione allo scoop: è la sete di verità che li muove, la voglia di recuperare parte della loro storia nella storia dell’altro, del “diverso” del “cattivo”, quando una vita e la sua storia sono solo un fattore contingente nel piano di qualcun altro.

 

Sono tutti bravi a morire, di Niccolò Zancan, edizioni Meridiano Zero, ha il gusto di un’inchiesta , il ritmo di un action movie e una costruzione narrativa scattante, che punta dritta al sodo, fatta di scambi di battute e un tono colloquiale che stempera l’acredine dell’argomento trattato. Le descrizioni vivide di odori e sapori si mescolano di volta in volta alle riflessioni sulle inquietudini proprie estendibili a una realtà sociale non circoscritta, ma rappresentativa, come il taglio su una ferita in cancrena che ha già infettato l’intero apparato. Una storia che può tranquillamente essere il retroscena di uno dei tanti episodi di cronaca a cui viene spesso attribuita una facile conclusione; Zancan qui pone un ragionevole dubbio attraverso un protagonista emblematico: fragile quanto sagace e cocciuto. Il profilo ideale di chi è in grado di gettare veramente uno sguardo oltre…

“Cucinare con i piedi” storie di cene mondiali e ricette cruciali

copertina cucinare con i piedi definitiva_sere.inddGiulia Siena
PARMA  – Pierpaolo Lala, giornalista e scrittore con una sfrenata passione per lo sport e la cucina, dopo il successo di 50 sfumature di fritto e Una frisella sul mare, torna in libreria e lo fa in occasione dei Mondiali di calcio 2014. Cucinare con i piedi, storie di cene mondiali è la nuova, insolita raccolta di storie, racconti, aneddoti, ricette e curiosità che legano lo sport più amato dagli italiani alla cucina. Pubblicato nella collana Fornelli Indecisi – che è anche un concorso di “cucina dozzinale” – della Lupo Editore, Cucinare con i piedi ci accompagna alla scoperta di Brasile 2014 percorrendo storie di sport raccontate a tavola.

 

 

Si parte con una rapido riscaldamento a prova di donna: il regolamento semiserio del giuoco calcio viene spiegato in maniera elementare (terreno di gioco, inno nazionale, arbitro, cartellini, divise, punizioni e rigori) per poi partire alla volta dei ricordi con la grande storia: “40 anni di Coppa del Mondo da Germania 1974 a Brasile 2014″. Già Brasile 2014, nonostante la voce fuori campo del curatore a ricordarci che ” I libri sui mondiali ancora da giocare sono come gli album di figurine stampati un mese prima di avere la lista ufficiale. La maggior parte dei giocatori sono giusti, ma c’è sempre qualcuno inserito ma escluso oppure qualcuno non inserito ma in campo” l’Italia, già dopo poche partite, è fuori dai giochi. Ma la precoce uscita di scena dell’Italia da questi Mondiali di calcio non deve influenzarci troppo perché Cucinare con i piedi è un viaggio a più voci e la gloria e i disastri del passato si mescolano agli odori succulenti di pranzi, cene e merende calcistiche. Dall’Olanda dei Mondiali del ’74 al “codino magico” di USA ’94 passando per la grandiosa Spagna in Sud Africa 2010 si arriva a questi giorni di Brasile 2014 in una carrellata di emozioni, voci, episodi e momenti che in qualche modo – più spesso di quello che pensiamo – si intrecciano a sapori e gusti che avevamo archiviato nella memoria. I sapori sono quelli delle cene, grigliate, teglie e occasioni luculliane che ogni buon appassionato di calcio abbina alla sua partita del cuore; se poi questi banchetti sono in occasione di Europei o di Mondiali il ricordo – e il languorino – si fa più forte. Il libro si chiude, perciò, con un ricco e divertente ricettario.

Sorpresa Homo Scrivens: Solo Nina, il romanzo di Rosalia Catapano

catapano_ninaGiulia Siena
ROMA “E aveva passato in rassegna il suo abbigliamento, con l’occhio esperto di chi di abiti femminili se ne intende. Quello di Nina era di una semplicità disarmante. Un vestitino di garza bianca che arrivava poco sopra il ginocchio e lasciava scoperte le spalle. Un qualcosa di svolazzante nel taglio della gonna, il tessuto inconsistente, quasi etereo, di un candore perfetto, conferivano alla sua figura un tocco deliziosi di leggerezza e femminilità”. Rivelazione, visione, disvelamento. E’ questo quello a cui assiste Raùl Ortega all’aeroporto di Napoli in una banale mattina d’estate. In questo momento la sua vita è a un punto fermo. Raùl deve decidersi: ha trentatrè anni e se vuole sfondare nel mondo della moda deve darsi da fare seriamente, non bastano più i suoi natali, non basta più fare la spola tra il passato e la classicità di Napoli e la creatività e il genio di Barcellona. Se la sua anima è così divisa ora deve trovare una strada, una sua strada. E quella che incrocia aspettando il volo da Capodichino non è solamente una nuova rotta. Raùl in questo momento incrocia Nina, “Solo Nina”. Comincia così l’omonimo romanzo di Rosalia Catapano, medico napoletano che da qualche anno si dedica – con ottimi risultati – all’attività letteraria. Il libro, pubblicato dalla casa editrice Homo Scrivens, è l’incontro tra un uomo e una donna in un momento qualsiasi. Per loro, però, questo momento è cruciale: entrambi aspettano qualcosa, sono in attesa di partire, ma il viaggio vero è la vita. Da una parte Raùl, la sua anima fragile e le tante aspettative, dall’altra Nina, “solo Nina”, la donna che viaggia per incontrare l’affetto delle sue amiche e aspetta quell’amore che non le faccia più sentire il grande vuoto lasciato dalla sua famiglia. Tra loro un trolley, punto d’incontro del loro futuro sentirsi.

Arrivati a destinazione Raùl deve creare, soddisfare le aspettative della vulcanica zia Blanca e dare vita ad abiti che lascino il segno. Ma nella sua mente ora c’è il ricordo della ragazza dell’aeroporto. Semplice, femminile, graziosa, gioiosa e malinconica; Nina, solo Nina. Lei, Nina, a Barcellona abbraccia le sue amiche e cerca di dimenticare Vincenzo, l’ennesimo errore sentimentale. Lei, non pensa minimamente che il ragazzo serioso e affidabile a cui ha lasciato il suo trolley per scappare alla toilette prima di partire sia rimasto così ammaliato da lei. Non lo sa. Non può saperlo. Ma lui ha qualcosa di lei, il suo numero di telefono e ha qualcosa che lei gli ha lasciato, l’ispirazione.

 

Una storia di vita, amore – probabile – cambiamento, coincidenze e speranze. “Solo Nina” è questo, anche questo, insieme a un grandioso affresco di vita quotidiana, con personaggi, errori e contrattempi che cambiano il nostro vissuto, e di conseguenza, la nostra vita.

Rosalia Catapano ha il merito di lasciarci, a ogni pagina, con l’emozione in gola e la curiosità negli occhi, creando quella silenziosa e quasi inconscia consapevolezza che le attese, le coincidenze e le speranze danno vita al nostro cammino quotidiano.

Guerrilla Plantation, il raccolto che ti cambia la vita. O forse no.

StampaGiulia Siena
PARMA “Che strano effetto gli facevano le parole della zia: “E’ proprio un bravo ragazzo!” mentre quelle della nonna gli parevano più appropriate: “Mah, speriamo lo sia diventato, perché da piccolo era proprio un gran lazzarone!”. Paolo è cresciuto; forse anche troppo per essere ancora uno studente universitario, ma Paolo è così: si culla nel suo tranquillo caos fatto di noia, studio (poco), letture (tante), amici (Brizzo), fumo, strambe idee imprenditoriali e una crescente voglia di fare soldi. Per questo Paolo – il protagonista di Guerrilla Plantation, il romanzo di Gianluca Mantelli pubblicato da David and Matthaus – decide che è arrivato il momento di cambiare le cose. Questa è la situazione adatta: il suo piccolo traffico di monete antiche vendute via internet viene di colpo bloccato e la dogana esige un ingente pagamento di tasse. Dove trova i soldi? Come fa a sbloccare la situazione, proprio ora che la sua testa dovrebbe essere impegnata a studiare per l’ennesimo esame di filologia o di linguistica? Arriva, così, una piccola “illuminazione”: perché non sfruttare la malsana passione per la marijuana e fare del suo rifugio di studio, immerso nel verde delle montagne dell’Appennino, la base per la sua casalinga coltivazione di erba? La piantagione cresce, gli affari crescono, l’impresa cresce, tanto che il giro d’affari di Paolo riuscirà a coinvolgere anche Brizzo. Ma gli esami sono lì, la vita continua, le letture trascorrono, l’amore arriva – come una Dea – e scappa, le sessioni passano e la tesi aspetta. Tutto nella quotidianità di Paolo ha un altro ritmo.

 

Guerrilla Plantation è la storia di Paolo, la storia di una passione e la storia di un tentativo. Il tentativo è quello di provare a fare soldi facendo una cosa illegale. Una cosa come tante, del resto. Ma Paolo ci crede, si lascia trascinare, trascina e riesce, in un certo senso, a raggiungere il suo scopo. Guerrilla Plantation, però, è di più. Guerrilla Plantation è la storia di un ragazzo come tanti: annoiato, rallentato e sfiduciato. Per Paolo con questa nuova scommessa arrivano altri stimoli e si aprono nuovi scenari; Paolo per la prima volta non è più lo studente fuoricorso ma è l’uomo che decide di tentare la propria strada – anche se provvisoria – ed è l’uomo che decide di riuscire, comunque e nonostante tutto, nei suoi studi.

Gianluca Mantelli, tra gli altri, ha questo merito; quello di far diventare – attraverso il racconto – uomo un dissennato studente fuoricorso.

 

Vedi QUI la videointervista di ChronicaLibri iTvRome a Gianluca Mantelli, autore di Guerrilla Plantation

Terre di Mezzo: Mari Accardi e “Il posto più strano dove mi sono innamorata”

il posto piu strano dove mi sono innamorata_chronicalibriGiulia Siena
ROMA
– All’inizio erano Tanya e Big Jim contro Barbie e Ken; poi la goffaggine di Irma contro l’eleganza delle Billeci. Con il tempo arrivarono gli amori sbagliati, le fughe, gli studi e i tanti lavori impossibili. Tutto, nella vita di Irma – la protagonista de Il posto più strano dove mi sono innamorata, il primo libro di Mari Accardi pubblicato da Terre di Mezzo Editore – era un contrasto, un continuo fuggire altrove per avere di più o avere cose diverse. Forse perché Irma, sin dall’inizio, aveva ascoltato suo padre ripetere “Cu niesci arriniesci”: se dalla vita vuoi qualcosa, devi andare via dal posto in cui sei nato. Così Irma si lasciò convincere e dopo aver sancito la sua inadeguatezza per Palermo arrivò a Torino. Da studentessa fuori sede alle prese con la solitudine e la paure Irma – ormai donna – inciampa in amori sbagliati e lavori impossibili. La nostra eroina siciliana viene licenziata da ogni posto di lavoro perché “troppo lenta”; passa, così, da cucinare per una mensa a cancellare foto pornografiche in un sito di annunci. Ed è in questo periodo che conosce Paolo, il decoratore di interni che non ricorda di aver mai baciato, ma con il quale vive ed è fidanzata da mesi. Forse la loro non è una vera storia d’amore, forse perché il loro è stato un incontro troppo normale, mentre, “A quanto pare, secondo un sondaggio di non so quale agenzia, gli amori più importanti nascono in circostanze o in luoghi anomali. E sono quelli che in percentuale durano di più”. Allora Irma è pronta a cambiare di nuovo, per l’ennesima volta, lei cambia rotta: viene licenziata, sale su una mongolfiera e poi vola a Praga con la convinzione di poter prendere in giro il tempo, fermarlo per giocarci e poi rientrare nella sua normalità anonima e viverlo. Perché il tempo, anche se scorre, rimane lì, attaccato a quella linea del telefono che lega Irma ai suoi genitori, alla sua isola, alla sua Palermo… richiamo perenne (quasi un rimpianto) che si accompagna e scontra con la sua certezza di sempre: fuggire.

 

Il posto più strano dove mi sono innamorata è un romanzo breve, intenso e immediato che raccoglie l’essenza di questo periodo incerto. La sua Irma è la giovane donna che vedi allo specchio o che incontri per strada, sul bus o in fila dal medico: tanto forte e determinata quanto nostalgica e indecisa; una donna che rincorre i sogni lontani convinta di cercare un posto nel mondo, un posto che forse non ha pensato di avere già. Una donna, Irma, che attraversa le situazioni e risorge dalle sue sconfitte.

“Come poteva essere una storia d’amore” due voci di Giuliano Bugani per Bébert

come poteva essere una storia d'amore_recensione_buganiGiulia Siena
BOLOGNA
– “Sai in fondo dovevo aspettarmelo: la nostra vita, le nostre vite, sono sempre state legate, anche se parte dei nostri anni siamo stati lontani. Ma io me l’aspettavo, come poteva la nostra storia essere una storia d’amore”. Forse lo è stata, forse no; forse sono solo ricordi, rancori e rimorsi. Forse i due protagonisti della penna di Giuliano Bugani sono solamente due esseri in cerca di ascolto dopo un lungo silenzio. Comincia così Come poteva essere una storia d’amore, il primo dei due racconti contenuto nell’omonimo libro targato Bébert Edizioni che, con Imeacht brònach. Una miserevole uscita, inaugura la collana Gli Irrisolti della casa editrice bolognese.

“Dopo tanti anni, cosa resta di una storia cominciata su idee che per sempre credevamo incancellabili?”. Si chiede lui. Lui, il cinquantenne divorziato è scettico, timoroso e disilluso quando riceve la lettera di Lei. “Siamo nati per parlare e adesso invece mi sembra la cosa più difficile da fare” dice Lei, tentanto una strada interrotta anni prima, quella del dialogo. Loro hanno un figlio ormai grande e ora, dopo anni di silenzio, tornano a parlare attraverso una fitta corrispondenza. Le cose sono cambiate e stanno cambiando e questo non potrebbe essere che un segno del destino per farli incontrare ancora. Perché ora hanno messo da parte le ostilità e la rabbia, sono alle prese con una nuova età, con la fragilità e la paura. Ora sono pronti a farsi avanti, a guardarsi con occhi nuovi e, forse, a dirsi addio.

 

Donnarkica, il secondo dei due racconti contenuto in Come poteva essere una storia d’amore è la storia dei Desaparecidos dell’America Latina. “Uccidere un pensiero ha necessità di uccidere una persona. Se si uccidono tante persone, si uccide un ideale” è questo quello che è stato fatto in Cile. Per questo Maria Esteban, Rosaura Guanda, Margarita Huanderamo e le altre madri continuano a urlare il loro dolore per quei giovani figli persi. Lo fanno per coltivare la memoria, affinché i sogni spezzati, gli ideali uccisi e le lotte zittite di quei figli reclusi e fatti sparire non siano vani e dimenticati. David, Anita e Francisco, infatti, avevano commesso il grave errore di credere di poter cambiare il mondo con le proprie armi: lo studio, la conoscenza e la cultura. A loro non fu permesso perché vennero catturati, torturati e fatti sparire. Per decenni si fece finta di nulla; ora sono le madri che tengono vivo il ricordo.

 

Con questo libro l’operaio, scrittore e regista Giuliano Bugani firma due racconti ricchi di pathos e poesia. In queste pagine la vita vissuta si intreccia al passato: l’amore e la quotidianità vengono raccontate con un coinvolgimento emotivo che riesce a trascinare il lettore nella fitta trama di parole e descrizioni. Il passato, il dolore e l’attualità diventano storia da non dimenticare grazie a una scrittura intensa e commovente (sembra quasi che il racconto dei Desaparecidos sia in presa diretta, lì nelle piazze cilene e nelle carceri dove avvengono i massacri). Due racconti diversi e simili. Entrambi hanno una straordinaria capacità di farsi leggere ed emozionare.

 

“Sono passati venticinque anni, e da quella notte, David Esteban, per il mondo intero non esiste più. Non esiste per questo Paese, non esiste per questa America Latina, non esiste per nessuno. Desaparecido”. 

 

 

Scelti per voi: Flavio Pagano presenta “Si lasciano tutti”, l’arte di amarsi (e quella di lasciarsi), in una esilarante commedia di Simone Laudiero

Si lasciano tutti_SK_chronicalibriFlavio Pagano*
NAPOLI – La letteratura italiana contemporanea muore di provincialismo, straziata dalle incursioni di autori sempre più improvvisati e dalla avvilente ripetitività dei temi, ma libri come Si lasciano tutti (appena uscito per Sperling & Kupfer) sono una bella iniezione di fiducia.

 

L’autore, Simone Laudiero, si definisce un napoletano nato “per sbaglio” a Milano, e noi aggiungiamo che è “bilingue”, dal momento che scrive anche per la tv (e si vede).
Al centro della vicenda c’è una coppia, Roberto e Sandra, che si prepara al grande passo: trasferirsi a casa di lei. Ma non temete, non siete davanti alla solita storia. Allacciate le cinture, invece, perché altrimenti la sterzata della trama vi scaraventerà giù dalla poltrona: sta per entrare in scena la nonna di Sandra. Un’ottantenne sannita, energica, cocciuta e volitiva, che ha appena preso una decisione che lascia tutti sbalorditi: divorziare dal marito ottantacinquenne e andare a vivere da sola.
A quel punto è dunque a lei (che del resto ne è la proprietaria…) che serve la casa in cui Sandra e Roberto progettano di andare a convivere: e se non vuole trasformare il classico “io mammeta e tu”, in un inedito “io nonneta e tu”, la nipote dovrà sloggiare.
Si lasciano tutti è un libro divertente, capace di raccontare il “ventre” di Napoli con una “veracità” e una leggerezza straordinarie, e di far vivere con i personaggi con realismo davvero travolgente.

Non possiamo non riconoscerci nelle vicende dei protagonisti, e saremo costretti a riflettere e a ridere un po’ alle nostre stesse spalle…. Insomma è una commedia – genere glorioso e ahimé assopito della nostra letteratura – dedicata all’amore, o meglio quasi alla sua meccanica, della quale siamo artefici ma anche, e forse soprattutto, le vittime più o meno ignare.
Roberto e Sandra non hanno dubbi amletici. La domanda è semplice: perché si lasciano tutti?
Ma la vera domanda, in fondo, è un’altra: perché, quando ci innamoriamo, aspiriamo a trasformare i nostri sentimenti in un legame dal sapore eterno, pur sapendo che il legarsi è, in qualche modo, l’energia potenziale del lasciarsi?
Una domanda alla quale è ormai impossibile rispondere, senza prima ascoltare quello che Simone Laudiero ha deciso di raccontarci in un libro che promette di diventare un piccolo classico del genere.

 

Lunedì di novità per Chronicalibri. Per i nostri lettori e tutti i curiosi di libri e novità editoriali, oggi lo scrittore e giornalista Flavio Pagano ci presenta Si lasciano tutti, una esilarante commedia di Simone Laudiero pubblicata da Sperling & Kupfer.

 

“Il tesoro di Sant’Ippazio”, l’esordio letterario di Alberto Colangiulo

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ROMA – Una Chiesa, un prete, una villa abbandonata e un tesoro segreto.

Sono questi gli ingredienti de “Il tesoro di Sant’Ippazio”, l’intrigante romanzo – a tinte noir – scritto da Alberto Colangiulo e pubblicato da Lupo Editore.
Nella prima metà anni degli anni ’80, la tranquillità di un piccolo paesino del Basso Salento viene stravolta da un terribile fatto di cronaca nera. La notte fra il 14 e il 15 agosto, durante la festa patronale, qualcuno attenta alla vita di Don Gino, parroco della piccola comunità salentina. Due arzilli quattordicenni – Fischio e Vasco – diventano loro malgrado testimoni oculari dell’orribile misfatto. Turbati dalla sconvolgente tragedia, gli abitanti del posto sembrano avere una certa reticenza nei confronti delle indagini condotte da Gerardi. Ad aiutare il giovane e razionale Maresciallo – che dovrà districarsi fra riti, superstizioni e antiche credenze – ci saranno due appuntati alquanto singolari: il taciturno Nardi e il gioviale Verzin. Pochi indizi: un leggendario tesoro di cui tutti parlano, ma che nessuno ha mai visto, e una chiesa aperta che però sarebbe dovuta restare chiusa per qualche giorno.  Risolvere l’intricato giallo non sarà facile.

Con uno stile semplice e scorrevole, Colangiulo riesce a creare la giusta atmosfera, un misto fra suspense e curiosità, che porta il lettore a restare col fiato sospeso fino all’ultima pagina.

“Mannaggia Santa Pupa”: il libro di esordio di Danilo Siciliano

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ROMA – Un mosaico di volti, parole e immagini è racchiuso nelle pagine di “Mannaggia Santa Pupa”, il libro che segna l’esordio in libreria di Danilo Siciliano, pubblicato da Lupo Editore. Guidato da un costante senso di nostalgia per un passato ormai lontano, sia da un punto di vista concettuale che temporale, il protagonista si abbandona lentamente ai ricordi dell’infanzia trascorsa nella “metropoli delle angurie”. A fare da sfondo al continuo avvicendarsi di pensieri e di stati d’animo, non sono solo i profumi e le atmosfere del Salento, ma sono soprattutto i mitici anni ’80. Ogni singolo personaggio – dalla cara suor Realina, alla generosa Maddalena al tanto atteso gelataio Nino – diventa il custode prezioso di un ‘attimo’ di vita assaporato con la serenità che solo l’ingenuità dell’infanzia riesce a regalare. “Mannaggia Santa Pupa” non è solo una simpatica espressione usata come sfogo, quando ci si rende conto di non aver saputo cogliere le tante occasioni che la vita ci ha offerto, ma è una presa di coscienza lucida che avviene quando si realizza di aver mancato un appuntamento importante con se stessi. Con una scrittura lineare, a tratti anche ironica, Danilo Siciliano sceglie di condividere alcune istantanee legate alla sua memoria: dalle giornate all’asilo, alle tante estati trascorse in compagnia dei nonni a Mondonuovo, alle esilaranti partite di calcio o alla salsa fatta in casa.
Chi si lascia trasportare dalle suggestive pagine del libro inevitabilmente si ritroverà a vivere pienamente le stesse emozioni provate dall’autore. Con grande spontaneità, Danilo Siciliano conduce il lettore in una sorta di viaggio nel tempo, guidandolo gradualmente nel “Paese di una terra magnifica e insopportabile, dove pullulano i cervelli di cemento armato e dove i vecchi materassi si buttano sui cigli delle strade di campagna. Una terra che è un caffè sospeso.”

“…Ed era colma di felicità”, la storia di Rosalba è una storia di non solo amore

copertina paola liotta_copertina aurora.qxdGiulia Siena
ROMA
“La scrittura, innanzitutto, perché è un’ancora di salvezza. Non sarà forse vero che negli occhi di chi scrive passa tutto il dolore del mondo? Perché scrivere è un atto di coraggio, testimonianza di cuore e di amore per la vita, una scelta che può liberarci dalle contingenze, elevandoci al di là delle sofferenze e dei dispiaceri più o meno immediati che siano”. La scrittura è una delle passioni di Rosalba Guerrera; la scrittura riesce ad appagarla, la spinge a dimenticare le sofferenze passate, la stimola a cercare il meglio e a dare il meglio di se stessa, in tutto quello che fa. Rosalba è giovane, è siciliana, è appassionata ed è la protagonista di “…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta pubblicato da Armando Siciliano Editore.

 

 

La passione di Rosalba è la vita e tutto quello che comporta: amore, arte, affetti, competizione e sfide, ma spesso Rosalba si trova quasi impigliata nella sua rigidità caratteriale, anche quando le situazioni andrebbero prese di petto, come quella con Ruggero. Il fascino di questo uomo a tratti arrogante, rappresenta per Rosalba l’amore. Un amore fatto di dedizione e donazione, un sentimento avvolgente e quasi cieco, anche quando gli avvenimenti porteranno Rosalba a scegliere, perché, dall’altra parte, c’è un altro amore: quello per il suo lavoro all’Università, fatto di studio e ricerca. Il suo senso di responsabilità, infatti, insieme a una sensibilità innata, fanno spesso soffrire la protagonista della Liotta, rendono questa creatura fragile e quasi ingenua. A soccorrerla, però, arriva la Due. Rosalba Due è  una figura che è una trovata narrativa semplice e sagace per dare verve a questa storia fatta di realismo e sogni. Il realismo è rappresentato da una perdita troppo grande da dimenticare, perché quando Isabella è venuta a mancare Rosalba era troppo piccola per immagazzinare tutto l’amore per affrontare il futuro; un amore sbagliato – quello per Ruggero – perché l’uomo la deluderà spesso e poi un neo sconnesso cresciuto sulla sua pelle come una minaccia. Dall’altra parte, però, ci sono i sogni: le sue ricerche su Jean Giono, il suo lavoro pieno di stimoli e Dario.

 

 “…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta, intreccia vari aspetti della quotidianità, affermandosi come un inno alla vita attraverso la scrittura.