"La storia d’Italia in 200 vignette": poche parole e tanto grottesco per un’Italia che pare non crescere mai.

Giulio Gasperini
ROMA

Si principia con Romolo e Remo abbandonati dagli uomini e si termina con un’amara confessione: “– Io sono onesto. – Non si preoccupi, vedrà che ci sarà un’amnistia”. Tra questi due momenti – alfa e omega – si ride (sempre a denti stretti) e si riflette sulla lunga e corposa storia della nostra penisola. Il grande vignettista e giornalista Giovanni Mosca ha raccolto, in questo “La storia d’Italia in 200 vignette” (edito da BUR nel 1975) tutti i vizi e le virtù del popolo italico, folgorando momenti storici e personaggi nella loro limitata attualità, ma offrendo a loro (e a noi) la possibilità di superare questi limiti imposti e di offrirsi quasi come una sorta di exemplum: in ogni vignetta siamo ammoniti noi, abitanti di un’Italia diversa e futura, perché vale sempre lo stesso principio, incrollabile e inconfutabile, che se si comincia a ignorare il passato non si potrà evitare un suo ritorno.
Giovanni Mosca sceglie la vignetta, come strumento, come vettore di analisi storica e contemporanea. Perché le vignette sono appunto dei flash, dei condensati sapienti di linee e di parole (poche, in verità, ma tutte funzionali e nessuna inerte, inutile). Sono dei prodotti che, per loro stessa definizione e ancoraggio col presente, durano il tempo di un mattino, d’una lettura di giornale.
O meglio, quasi tutte. Perché queste di Giovanni Mosca hanno la grande proprietà di non limitarsi, claustrofobicamente, a una dimensione troppo ridotta del loro messaggio, ma di potenziarsi attraverso un aggancio a una dimensione sovratemporale, senza (quasi) mai però scadere nell’anacronismo o nel “fuori luogo”. Qualche passo falso, in realtà, c’è: come, ad esempio, nella vignetta di Giacomo Casanova, dove la prospettiva diventa persino un po’ razzista e omofobica. Però, per il resto, l’andamento è abbastanza spumeggiante, intelligente e finanche sorprendente: non si ride mai a bocca spalancata, a polmoni spiegati, ma si rimane sempre con quel gusto amaro in bocca che dovrebbe servire a valutare la situazione, e a adoperarsi per convertire le mancanze in potenzialità, e gli aspetti negativi in aspetti finalmente estinti.

Da Il cavallo fatto senatore da Caligola a La battaglia di Calatafimi, da Le crociate al 25 aprile, da Aldo Manuzio a Montecassino si analizza (e un po’ si piange) un’Italia che, grottescamente, diventa sempre più vecchia ma pare non crescere mai.

“News”: il nuovo manuale di Sergio Lepri per chi desidera realmente conoscere i segreti della scrittura

ROMA – Se il vostro sogno nel cassetto è diventare dei bravi giornalisti, non perdete “News. Manuale di linguaggio e di stile per l’informazione scritta e parlata” di Sergio Lepri edito nel 2011 da Rizzoli. Troverete tanti ottimi consigli per imparare la difficile arte del giornalismo, evitando di cadere nelle insidiose trappole della nostra lingua.
Sergio Lepri mette a disposizione la propria esperienza giornalistica per insegnare i trucchi del mestiere, offrendo un’informazione chiara, completa e accessibile a tutti. I più noti “style book”, i manuali di linguaggio giornalistico, sono quelli di stampo anglosassone di Bbc, Economist, Associateci Press, New York Times.
Sergio Lepri, maestro di giornalismo con oltre mezzo secolo di esperienza, offre in questo libro una guida italiana di stile per scrivere e parlare correttamente. II testo introduce al contesto culturale, tecnologico, sociale e mediatico in accelerata trasformazione e fornisce consigli indispensabili per chiunque voglia stare al passo con la lingua in continua evoluzione, informando i cittadini in modo chiaro e corretto. Con consigli per migliorare il proprio linguaggio scritto e parlato e per la grafia e la pronuncia dei nomi stranieri, e con due “dizionari” – dei nomi propri di persona e toponimi e dei nomi comuni – per evitare stereotipi ed errori. Un manuale per un giornalismo preciso, serio e responsabile, che contribuisce alla crescita civile della società.

"Perché è Santo", la storia di Giovanni Paolo II raccontata da Slawomir Oder e Saverio Gaeta

Silvia Notarangelo

RomaDa Seminarista, studente a Cracovia, Karol Wojtyla trovò appeso alla porta della sua stanza un foglietto con le parole “Futuro santo”. Era un gioco scherzoso dei suoi compagni, che oggi si colora però di una luce profetica. Nel 2005 Benedetto XVI ha aperto il processo di canonizzazione di Giovanni Paolo II affidando il ruolo di postulatore a monsignor Slawomir Oder, che in “Perché è Santo. Il vero Giovanni Paolo II raccontato dal postulatore della causa di beatificazione” racconta gli esiti inediti del suo immane lavoro di raccolta di documenti e testimonianze, che fanno luce su aspetti della vita di Wojtyla prima ignoti e che apportano al suo ritratto nuovi essenziali elementi. Oggi, nella settimana che precede la beatificazione dell’amatissimo Pontefice, ChronicaLibri vi suggerisce il saggio “Perché è Santo”, nel quale si ridisegna non soltanto l’immagine di un protagonista della storia del Novecento, ma anche e soprattutto quella di un credente capace di vivere nella propria carne il messaggio evangelico.
Densa di episodi finora sconosciuti, questa ricostruzione ci rivela un Giovanni Paolo II essenziale ai limiti della povertà, umile, generosamente sensibile ai bisogni del prossimo ma anche spiritoso e gioviale. Un mistico devotissimo a Maria, che passava ore steso a terra a pregare e si flagellava con una cinghia. Un uomo capace di perdonare e di riconoscere la grandezza nel prossimo, come attestano l’inedita lettera ad Ali Agca e quella a padre Pio da Pietrelcina, che lascia intuire un rapporto fra i due assai più radicato di quanto si supponesse.

"La nave dei miliardari": un’esasperata (quanto inutile) diserzione dal mondo.

Giulio Gasperini
ROMA – Fu uno dei pochi, pochissimi giornalisti nel riuscire a intervistare Marilyn Monroe (e per questo litigò aspramente con Oriana Fallaci, negli anni del grande giornalismo italiano). Poi Nantas Salvalaggio si dedicò esclusivamente alla narrativa, scrivendo romanzi di estremo successo: come Il campiello sommerso, pubblicato finanche in Russia. Nonostante questa deviazione di carriera, il giornalismo è sempre stata la prima e profonda sua vocazione, tanto che persino in questo romanzo dimenticato, “La nave dei miliardari” (Rizzoli), la cronaca sociale e politica entra prepotente, e condiziona la trama, l’assurdo allacciarsi degli eventi. L’anno era il 1978: un anno particolare e delicato, per l’Italia.

Rino Gaetano aveva partecipato a Sanremo con Gianna; a Roma le Brigate Rosse avevano ucciso Aldo Moro; fu approvata la legge 174 sull’interruzione di gravidanza; Giovanni Leone (a seguito anche del libro-biografia di Camilla Cederna, immediato best seller) si era dimesso da Presidente della Repubblica; dopo solo 33 giorni di pontificato era morto papa Giovanni Paolo I e era stato eletto un polacco, Karol Wojtyla. In questo clima storico e politico dove se ne vanno i ricchi, preoccupati che i terroristi li rapiscano e li derubino? Ma ovvio: se ne vanno in crociera, cercando in alto mare una fuga dal mondo e dai problemi reali dell’esistere. Una crociera molto particolare, in un viaggio attraverso il mondo che porterà, porto dopo porto, terra straniera dopo terra straniera, a dare la giusta prospettiva alla situazione mondiale.
I favolosi “cento” più ricchi della nave, in un viaggio che solo a una prima e superficiale lettura potrà sembrare inutile e stomachevolmente lussuoso, si troveranno a essere comparse (magari ignare) di tutto quel che nel monto ribolle, di tutto quello che la società affronta e attraversa: nella Cina “rossa” non saranno accolti bene, in nave faranno sfoggio e vanto dei loro soldi, i nuovi dèi della nascente era post-moderna. Ma nella coscienza dell’individuo son sempre le solite, antiche questioni che dominano, con atto furioso: e così la vicenda viene plasmata attraverso gli occhi di un moderno mozzo, che si trova in eredità un lavoro che non conosce, che non desidera, che non lo riguarda. Ma che gli servirà per crescere, e per liberarsi dai fantasmi di un passato, se non ingombrante, comunque sempre in subbuglio.

La nave rimane un microcosmo che esiste solo nella prospettiva dell’errore, una sorta di modellino in scala di quel che il mondo, in più estese coniugazioni, comporta e giustifica. E il mondo esterno incombe, su quest’apparente isola di pace e tranquillità. Incombe e, soprattutto, filtra attraverso mille crepe, mille pertugi che incrinano una campana di vetro dall’aspetto indistruttibile, invalicabile, inviolabile.
I soldi paiono uno scudo, una protezione dal male, dalle cattiverie del mondo; in realtà, i soldi esistono per sé stessi. Perché l’uomo non ne è protetto; né è nobilitato.

"Le ricette di casa Clerici"- gustare con moderazione

Marianna Abbate
ROMA – L’indiscutibile simpatia di Antonella l’ha portata nel tempo a diventare una delle presentatrici più amate d’Italia. La sua semplicità e il suo calore “casalingo” sono gli ingredienti fondamentali del suo successo. Ingredienti che non mancano nel suo libro “Le ricette di casa Clerici” edito da Rizzoli, per lungo tempo dominatore delle classifiche di vendita. 
Perché la Clerici è una donna di successo. Dietro la sua dolcezza si nasconde una donna piena di temperamento, che ha saputo speziare la sua vita con un’immensa varietà di sapori.

Tutto questo dovrebbe bastare per acquistare il suo ricettario. Ma attenzione! Chi ha seguito almeno qualche volta “La prova del cuoco” sa che i gusti della Clerici non sono proprio sanissimi, e che la sua dieta non si può di certo consigliare a chi ha problemi di colesterolo. Basti pensare che il burro è l’ingrediente fondamentale di molte delle sue ricette, come per le famose “cotolette alla milanese” che non si possono di certo friggere sull’olio. Oppure per i suoi adorati risotti che misurano quasi più burro che riso. Bè, non si può certo darle torto, la sua cucina è saporita e nutriente. Dopo un pasto “alla Clerici” potrete tranquillamente arare dieci ettari di terreno.
Ma sfogliando attentamente il ricettario scopriremo anche sfiziose insalate che, se non si esagera nel condimento, potrebbero quasi compensare i grassi del piatto principale.
Sicuramente tra le duecentocinquanta ricette del libro sarà facile trovare qualcosa di adatto a tutta la famiglia. Ricette semplici di assicurato successo che Antonella ha raccolto tra consigli di parenti e amici, come dai grandi cuochi che partecipano alla sua trasmissione.
E se vi sentite un po’ pigri, tirate fuori quello che avete nel surgelatore e guardatevi le belle foto di casa Clerici.

Oggi scopri la ricetta del giorno di Chronache Culinarie su Chronica

"Brutte Notizie. Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv"

Alessia Sità

ROMA – “Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare?”
Maria Luisa Busi, lo storico volto del Tg1 delle 20, spiega i giochi di potere e il il dietro le quinte dell’informazione televisiva nel suo libro: “Brutte Notizie. Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv”, pubblicato da Rizzoli. La nota giornalista, che nel maggio scorso decise di rinunciare alla conduzione del tg di Minzolini, adesso ritorna alla ribalta per rivelare come il vero volto dell’Italia sia stato eliminato dal telegiornale più seguito, quello che dovrebbe raccontare la verità dei fatti, senza ricorrere a un’informazione che talvolta rischia di diventare mero intrattenimento.
Ripercorrendo la propria esperienza personale e professionale, la conduttrice descrive la progressiva decadenza di un’idea di giornale e di servizio pubblico. La vera faccia dell’Italia è sparita dai notiziari. La realtà viene costantemente deformata o taciuta. Le brutte notizie sono, quasi sempre, oscurate.
La Busi ridà, finalmente, voce agli invisibili: denuncia la situazione scandalosa dei terremotati de L’Aquila (il cui miracolo è avvenuto solo in televisione), punta il dito su come al Tg1 non vi sia più spazio per i cassintegrati dell’Alitalia, allo stesso modo denuncia la condizione delle donne, quella dei precari e dei disoccupati, senza dimenticare le tragiche vicende degli imprenditori del Nord Est vittime della recessione. Un racconto semplice e diretto che rivela, attraverso le piccole storie di gente comune, i grandi drammi quotidiani che attanagliano profondamente il nostro Paese.
Maria Luisa Busi, Brutte Notizie, Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv. Rizzoli € 18,00