“Il mistero di Maria. La filosofia, la De Filippi e la televisione”: fenomenologia di un nuovo mito televisivo

Alessia Sità
ROMA – Considerata la conduttrice di punta di Mediaset, Maria De Filippi col passare degli anni è diventata una delle personalità femminili più note della televisione italiana. I suoi popolari programmi hanno creato una vera e propria tendenza, lanciando addirittura  un nuovo linguaggio e un nuovo stile di vita. Ne “Il mistero di Maria”, edito da Mimesis Edizioni, Salvatore Patriarca analizza lo stravagante universo della De Filippi, cercando di cogliere principalmente le novità della comunicazione e leggendo la figura di ‘Maria’ non solo come esempio innovativo, ma “soprattutto come modello di personaggio televisivo svincolato dal predominio assoluto dell’immagine a favore del relazionarsi dialogico”. Dall’indagine condotta, emerge che programmi come “Amici”, “Uomini e Donne” e “C’è Posta per te” sono essenzialmente fondati su un ‘principio-chiave’ , che si delinea sulla base del contesto culturale nel quale si manifesta. Sono tre i principi rintracciabili: la formazione in “Amici”, la competizione in “Uomini e Donne” e la riconciliazione in “C’è posta per te”. Dopo aver delineato accuratamente l’architettura dei tre programmi e i rispettivi momenti salienti – dalle sfide di canto e ballo, ai tronisti e troniste  con tanto di opinionisti a seguito fino alla fatidica busta, preludio del possibile perdono televisivo – Salvatore Patriarca si sofferma sulla figura della conduttrice. Maria, infatti, è definita come una ‘rivoluzionaria’,  “lei non agisce è presente”, talvolta sembra quasi una spettatrice come tante. Dalla ‘supremazia della voce’ sulla visibilità deriva uno dei tratti distintivi della conduzione della De Filippi : ‘il primato della parola’, che nei suoi programmi diventa azione vera e propria. Patriarca, infine, si sofferma anche sul triplice ruolo ricoperto dalla conduttrice: quello di autorità fondativa in “Amici”, autorevolezza e assicurazione contro il relativismo in “Uomini e Donne” e garante della riconciliazione di “C’è posta per te”.

Il mistero di Maria” segna l’incontro fra cultura televisiva e riflessione filosofica, spingendo il lettore ad interrogarsi inevitabilmente sul sistema televisivo: come considerarlo “semplice imitazione del reale o modello per il reale?

Contro il partito degli evasori

Silvia Notarangelo
ROMA – Un titolo fin troppo eloquente, “La rivoluzione delle tasse”, per il nuovo saggio dell’ex magistrato Bruno Tinti, appena pubblicato da chiarelettere.
Le leggi tributarie sono progettate per essere violate impunemente. Si tratta di pura e semplice complicità tra Stato ed evasore fiscale”. Se il 93% del totale del gettito tributario lo pagano i lavoratori dipendenti e i pensionati vuol dire che troppi italiani vivono a sbafo: sono i possessori di partita Iva e i tanti professionisti che denunciano molto meno di quanto guadagnano.
Intanto lo Stato li protegge: non controllandoli, con iniziative ad hoc, come i condoni (uno ogni quattro anni), con leggi specifiche (abolizione del falso in bilancio).
Il messaggio è chiaro: rubare si può. “Non che lavoratori e pensionati non vogliano evadere, solo che non possono. Le imposte gliele prendono subito, prima ancora di dare loro la paga, il salario, lo stipendio”.
Ecco la testimonianza di chi ha provato a far pagare le tasse, anche con la proposta di una nuova legge tributaria approdata in parlamento ma affossata dal partito trasversale degli evasori. E ora? La vera rivoluzione di Monti sarebbe quella di far pagare le tasse a tutti. 160 miliardi da recuperare, altro che finanziaria. Potremmo essere più ricchi: come dimostra Bruno Tinti, basterebbe poco per raggiungere un risultato straordinario. Ma bisogna volerlo e non aver paura di perdere il voto degli evasori.

“Superdonne. Attente a non scoppiare!”: come imparare ad evitare una crisi di nervi

Alessia Sità

ROMA – Se sentite di essere sempre più vittima dei ritmi serrati che la vostra esistenza di donna, madre, moglie e professionista vi impone ormai da tempo e se siete quasi sull’orlo di una crisi di nervi… state calme!!!! Respirate, inspirate…e correte subito in libreria a comprare l’ultimo lavoro di Sherri Bourg Carter: “Superdonne. Attente a non scoppiare!” edito da Edizioni Ghena. Troverete tanti ottimi consigli ed eccellenti soluzioni per evitare di dare sfogo al vostro nervosismo da stress quotidiano, imparando a ripristinare facilmente anche il vostro equilibrio.
«Non gestisco un intero dipartimento legale: è lui che gestisce me».
Dopo vari colloqui con numerose donne di successo la psicologa statunitense Sherrie Bourg Carter riprende un tema caro al dibattito degli anni Settanta, incentrato sull’assurda pretesa di una società che richiede alle donne di essere contemporaneamente impeccabili sia nella cura domestica che nell’attività lavorativa. Nel libro vengono evidenziate le responsabilità provenienti dalla sopravvivenza di stereotipi di genere come fattori che determinano sofferenza psicologica e, nello specifico, stress. La tendenza ad essere perfette in ogni campo, a lungo termine, porta le donne allo sfinimento. Per questo motivo l’autrice indica diverse vie d’uscita: pratiche e concrete azioni che possano rimettere in pista e far superare lo stress alle personalità eccezionali che si nascondono in ogni “Superdonna”.


“La terza crisi”, come sconfiggere la crisi e difendere il futuro di imprese e famiglie

Silvia Notarangelo
ROMA – La parola crisi, in relazione al contesto economico, ha letteralmente invaso tutti i mezzi di comunicazione diventando sintesi di molteplici e inevitabili riflessioni. “La terza crisi” affrontata dal manager Danilo Bonato per Edizioni Ambiente, sembra, invece passare sotto silenzio pur essendo più devastante. Spesso minimizzata, la crisi ecologica presenta, infatti, una drammaticità che rischia di compromettere seriamente il futuro del pianeta.

Se i principali modelli di sviluppo economico, liberismo e statalismo, hanno evidenziato nel tempo le loro criticità, percorrere la strada di una decrescita o affidarsi al solo progresso scientifico potrebbe rivelarsi utopistico e pericoloso. Ecco perché la via d’uscita proposta da Bonato si chiama “progetto di rinascita del paese”. Un progetto che deve porsi, da subito, un obiettivo ambizioso: la ricerca di un equilibrio ecologico da perseguire imponendo dei limiti alle risorse prelevate e rendendo tale prelievo il più possibile rispettoso e compatibile con i cambiamenti che determinerà. Non solo. La rinascita di un Paese passa anche attraverso alcuni strumenti di regolazione esterna che un governo può mettere in atto. Rientrano in questa categoria finanziamenti e sgravi fiscali, contributi per quanti cercano di limitare l’impatto ambientale della propria produzione, ricerca e iniziative per ampliare le conoscenze e formare “capitale umano qualificato per costruire una crescita buona, quella qualitativa”. In quest’ottica, non può essere secondario l’apporto delle aziende e, in particolare, dei dirigenti d’azienda, di coloro che possono e devono farsi promotori di un reale cambiamento. In un piano di rilancio industriale non dovrà mancare un adeguato sviluppo del settore energetico ma anche una particolare attenzione nell’accesso e nell’utilizzo delle risorse naturali. Le possibilità e le metodologie ci sono, la biomimetica, l’analisi del ciclo di vita, un’accorata gestione dei rifiuti sono tutte strategie che già stanno fornendo ottimi risultati. Che cosa occorre ancora? Il coraggio di compiere “scelte virtuose”, magari impopolari ma sicuramente vincenti, come suggerisce Bonato.

“Prendila con filosofia!”

Stefano Billi
ROMA – Che cos’è la filosofia? Cosa vuol dire “amore per il sapere”?

Per la maggior parte delle persone la filosofia si manifesta come una materia di studi liceali, che per tre anni si è costretti ad imparare: nozioni, concetti, sforzi mentali – anche ardui – per una disciplina che i più fortunati (o sfortunati, a seconda della prospettiva del lettore!) dovranno approfondire solo per poco tempo della loro carriera scolastica. Dunque, uno sforzo limitato nel tempo, ecco il significato ultimo che taluni potrebbero dare alla filosofia, relegandola ad una sorta di “naya” del pensiero.

Fortunatamente, la filosofia non è affatto questo.

A testimoniarlo, tra gli innumerevoli testi che l’umanità ha conosciuto, c’è l’interessantissimo libello “Prendila con filosofia!”, edito da Il Melangolo, che racchiude al suo interno una serie di massime di pensiero di alcuni tra i più imponenti filosofi greci dell’antichità, tant’è che l’opera riporta – come autori – la dicitura “Socrate & C.”.

L’opera si suddivide in una settantina di tematiche di vita quotidiana – come l’amore, la morte, la virtù, l’odio, la libertà, il tempo – affrontate attraverso il contributo di quel manipolo di pensatori ellenici succitati, come se si chiedesse ad uno di essi la propria risposta in merito alle grandi questioni dell’esistenza.

Così, in poche righe, si conosceranno massime d’esperienza che aiutano a riflettere sul senso profondo delle cose e su come i problemi che ci affliggono spesso possano essere risolti facendo ricorso alla filosofia, che diviene dunque un modus vivendi da coltivare quotidianamente.

Tant’è che le origini della filosofia la tratteggiano, più che come una scienza o un lusso speculativo, piuttosto come una riflessione collegata fortemente alla realtà quotidiana, praticata per le strade, nelle piazze, a riprova della sua “utilità pratica”.

Il libro, perciò, lungi dal voler rappresentare un trattato filosofico o una dissertazione sui massimi sistemi, ha il pregio invece di manifestarsi come una serie di esercizi di pensiero sui temi importanti per la vita di ognuno. Praticando costantemente la filosofia e lasciandosi aiutare dall’imprescindibile contributo di quei filosofi che hanno determinato l’evoluzione culturale dell’umanità, il lettore può davvero plasmare la propria coscienza per arrivare così ad una vera salute dell’animo, indispensabile quanto la salute corporea.

Per dirla alla maniera dei curatori dell’opera, “prendila con filosofia significa dunque: sforzati di prenderti cura della tua vita attraverso gli esercizi filosofici“, col vigoroso incitamento proveniente dai quei maestri greci ad allenare la propria esistenza, per diventare concretamente libero!

Allora cosa aspetti?

“Prendila con filosofia!”

“Etcetera”, per arredare cogliendo la bellezza di ogni oggetto

ROMA “Etcetera”, pubblicato da L’Ippocampo Edizioni contiene numerosi suggerimenti e segreti del mestiere di stilista. Un libro di interior design riccamente fotografato in cui ogni immagine mostra un principio chiaro e facilmente replicabile, che vi aiuterà a trasformare una stanza senza dover ricorrere a ristrutturazioni costose e permanenti. Non si basa sulla pretesa che compriate tutto nuovo di zecca bensì di come diventare curatori del proprio stile personale e creatori di interni belli ed evocativi.
Lo stile dell’autore Sibella Court è molto globale, combina elementi contemporanei con pezzi d’antiquariato e reperti junk-shop, frammenti tessili, carte da parati, oggetti da collezione e effi meri. Etcetera si basa sui cinque abbinamenti di colori preferiti di Sibella come un quadro per la visualizzazione del suo occhio impeccabile per i dettagli. Ogni sezione trasporterà il lettore nel mondo di colore e di texture di Sibella, attraverso ispirate impostazioni di interni al più intimo dei dettagli.

“Ho un’unica regola: cogliete la bellezza e il significato di ogni oggetto, poi trovategli un contesto adatto. Se si procede in questo modo, persino il più umile e quotidiano degli elementi può subire una metamorfosi.”

“Al di là della natura”, l’uomo è l’animale che dimentica di essere animale

Silvia Notarangelo
ROMA – L’uomo è “l’animale che dimentica di essere animale”. Questa la tesi attorno alla quale ruota “Al di là della natura”, il bel saggio scritto da Marco Maurizi e recentemente pubblicato da Novalogos. Antispecismo, movimento animalista, Marx ed Engels, scuola di Francoforte: sono questi alcuni degli argomenti oggetto dell’accurata analisi dell’autore.
All’uomo non può essere tutto concesso. L’antispecismo ne è convinto. Non si tratta, però, di una condanna incondizionata della civiltà e della cultura. Più semplicemente, bisogna lavorare per una riconciliazione con il mondo naturale che non significa “tornare indietro”, ma stabilire un nuovo corso nei rapporti tra le specie.
Come immaginare, però, una società affrancata dalla violenza sugli animali che non abbia prima eliminato la violenza dell’uomo sull’uomo? Con questo interrogativo Maurizi introduce il movimento per i diritti degli animali, un movimento cui vengono contestate una sopravvalutazione dell’etica e dell’azione individuale, nonché la convinzione di costituire una società più giusta mediante un riconoscimento legislativo. Affinché ci sia, però, una vera liberazione animale occorre andare oltre.
L’indignazione verso il capitalismo e la sua ossessione per il profitto, già nella prospettiva assunta da Marx, possono, come dimostra l’autore, diventare strumento per una contemporanea liberazione animale e umana. Una liberazione che, secondo gli studiosi della scuola di Francoforte, non può che rientrare all’interno di un unico processo. Perché solo in un ordine che abbia saputo superare la contrapposizione tra cultura e natura, il rapporto tra uomo e animale riuscirà ad evolversi fino a divenire un “rapporto reale”, in cui sarà l’uomo con un “ atto di solidarietà” a decidere per e per il suo altro.

“Gli occhi della lingua”, la lettura interna di Jaques Derrida

Silvia Notarangelo
ROMAJacques Derrida non ha certo bisogno di presentazioni. Francese, di formazione fenomenologica, deve la sua fortuna filosofica alla tematizzazione del decostruzionismo.

Nel 2011, a sette anni dalla sua scomparsa, Mimesis Edizioni ha pubblicato “Gli occhi della lingua”, un volume curato da Luigi Azzariti-Fumaroli, in cui il Derrida riflette su una lettera del 1926, indirizzata da Gershom Scholem a Franz Rosenzweig.
La sua è una “lettura interna” che si sforza di attenersi il più possibile al testo tralasciando eventuali contaminazioni, richiami o commenti personali.
Nella lettera Scholem manifesta tutta la propria inquietudine di fronte a ciò che ha identificato come un “male interiore” che sta progressivamente lacerando il sionismo. Si tratta della secolarizzazione, della modernizzazione della lingua ebraica, in parte legata alle necessità della comunicazione quotidiana. Un male che, secondo Scholem, porterà non solo alla perdita della lingua sacra, di una lingua per natura non concettuale, ma determinerà anche un suo “ritorno vendicatore”, destinato a colpire quanti l’hanno profanata. Perché se è vero che non si può evitare di parlare la lingua sacra, si può, però, parlarla nello “scostamento, nella distrazione, come dei sonnambuli sopra l’abisso”.
Il tono, di ispirazione apocalittica, non lascia però trapelare quale sia il vero atteggiamento di Scholem, se di paura o di speranza in un ritorno della voce di Dio attraverso una lingua pronta, in qualunque momento, a risvegliarsi.
Non meno contraddittoria, come osserva Derrida, è anche la sua posizione in merito alla secolarizzazione. L’attualizzazione della lingua sacra è, in realtà, impossibile, la secolarizzazione non è altro che una “façon de parler”, una fraseologia vuota, un mero artificio retorico. E allora, non esiste alcuna lingua cattiva che viene a corrompere una lingua sacra, ma una “non-lingua alla quale si sacrifica la lingua sacra”. Un sacrificio che, nel distruggerla, non potrà che manifestarla e salvarla.

“Morti per la giustizia”: un libro per crescere.

Stefano Billi
ROMA – Il tempo passa in fretta e si fa presto a dimenticare quegli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia di un popolo, di una nazione. Soprattutto, ci si scorda di chi, quegli eventi, li ha vissuti sulla pelle, da protagonista, portandone ancora i segni e le cicatrici. Eppure, la coscienza di tutti dovrebbe essere attenta a non far cadere alcuni fatti nell’oblio, anche perché solo così ci si può preservare dal rischio che si ripetano certi errori già commessi nel passato.

Allora, vale davvero la pena leggere “Morti per la giustizia” un libro edito da Baldini Castoldi Dalai dove si unisce il dettato costituzionale alle storie drammatiche di undici uomini e donne che hanno perso la vita negli anni più bui della Repubblica, quelli tra il 1969 e il 1982.
Frutto di un incontro pubblico organizzato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus, questo testo introdotto da Michele Serra racconta di Giorgio Ambrosoli, Giovanni Arnoldi, Giulietta Bazoli, Luigi Calabresi, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Roberto Franceschi, Guido Galli, Fausto Tinelli, Lorenzo Iannucci, Giuseppe Pinelli, Walter Tobagi. E ne racconta attraverso la voce di coloro che, questi personaggi travolti dal sangue stragista, li hanno conosciuti e amati, come fratelli, genitori, figli, amici. Voci che, tra le pagine, si trasformano da testimonianza dell’essere vittime della violenza politica e criminale, in dimostrazione insigne di impegno pubblico, fondato ed ispirato sulla carta costituzionale, quale passaggio imprescindibile per una costante costruzione della democrazia. La cosa straordinaria di questi scritti, perciò, è rendersi conto di come chi ha subito sofferenze personali atroci e devastanti, abbia ancora la forza di mettersi in gioco per il bene del paese, coscienti che quel dolore può divenire la base per la costruzione di un futuro diverso, sicuramente migliore, grazie al loro impegno. Citando le fulgide parole di Benedetta Tobagi, “trasformare violenza, abusi e sofferenze in materia che possa essere vitale”. Ancor più eccezionale, poi, è l’idea di fondare ogni intervento di quell’incontro su singoli articoli della Costituzione, senza trasformare l’iniziativa in una sterile esegesi della grundnorm italiana, ma piuttosto muovendo dalla comune presa di coscienza che per affrontare tempi di crisi profonda, bisogna avere dei fari che rischiarano l’oscurità. Senz’altro la Costituzione, nei suoi lungimiranti “versi”, offre i valori fondanti dell’Italia, di quella comunità che va da nord a sud e che è accomunata dal medesimo amor patrio.

Un vecchio professore universitario di diritto privato era solito consigliare ai suoi studenti di lasciare una copia della Costituzione Italiana vicino al cuscino, quasi a voler proteggere il sonno, pronta per essere letta e per destar conforto di fronte a qualunque incubo.

Leggendo “Morti per la democrazia” si comprende benissimo che traguardo impareggiabile sia quella norma del 1948, e quanto ancora possa aiutare il bel paese a diventare bello davvero.

“Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione”: stereotipi culturali e copioni mediatici del nostro tempo

Alessia Sità
ROMA
«Nel Paese arriva la guerra, arrivano a valanga le bugie» diceva un vecchio proverbio tedesco, citato nel libro “Riflessioni di uno storico sulle false notizie sulla guerra” di March Bloch. Potremmo fare verosimilmente la stessa affermazione alla ciclica notizia dell’arrivo di profughi e migranti?

Questa è solo l’inizio della lunga riflessione del giornalista Giulio Di Luzio in “Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione”, pubblicato dalla casa editrice Ediesse nella collana Saggi. Con grande rigore scientifico, l’Autore indaga sul ruolo rivestito dai media nella diffusione dell’immagine stereotipata e negativa dell’immigrato, ormai chiamato esclusivamente clandestino.
“Nel villaggio globale l’informazione – è superfluo ribadirlo – assume un ruolo centrale e invasivo delle coscienze”. Lo scrittore definisce un vero “killeraggio mediatico” quello fatto contro l’immigrato; ogni giorno siamo bombardati da sondaggi, diagrammi e percentuali che non perdono l’occasione di mettere in evidenza il crescente numero di dati allarmanti che sottintendono una vera e propria ideologia xenofoba.
Con grande passione civile, Giulio Di Luzi analizza le diverse forme di intolleranza, soffermandosi anche sul linguaggio e sulle “mille forme dispregiative di connotazione”: extracomunitario, clandestino, immigrato, irregolare, profugo, disperato, rifugiato.
Il clima di sospetto nei confronti dei nuovi arrivati, riporta alla memoria l’analogo trattamento riservato in passato ai migranti meridionali, sbattuti in prima pagina dalla stampa italiana come “calabresi, siciliani o pugliesi”.
Con “Brutti, sporchi e cattivi”, l’Autore tenta di ripristinare la “verità storica”, distaccandosi totalmente dall’immagine mediatica, arricchita dai soliti cliché narrativi, che col tempo ha contribuito ad alimentare la visione dell’extracomunitario – clandestino – criminale.  In conclusione, Di Luzi si sofferma anche sul panorama fotogiornalistico italiano, definito come riduttivo e superficiale, dal momento che “l’immagine viene meno al compito di rappresentare i mutamenti in corso, presentandosi a simbolizzare vecchi copioni”.