L’arte culinaria della pirateria, raccontata da Melani Le Bris

Stefano Billi

Roma – I pirati? Li immaginiamo imbronciati mentre rosicchiano insetti o lappano acqua putrida sulle loro bagnarole. Che errore!

Come dimostrano le memorie di Jean-Baptiste Labat, domenicano poco portato alle estasi mistiche, ma dotato di un appetito e una curiosità incontenibili.

In un inedito mélange di arte culinaria e storia, Melani Le Bris, insieme al padre Michel, il più noto storico francese della pirateria, ricostruisce questa misconosciuta epopea gourmande della filibusta caraibica, nel libro “La cucina della filubusta”, per le edizioni Eleuthera.

Una gustosa narrazione in cui un centinaio di ricette si alternano ad altrettanti aneddoti in un’armonica composizione di sapori e vicende.

Riviviamo così le gesta dei «Fratelli della Costa», che nelle loro modeste capanne o nelle malfamate taverne lungo i moli sono stati i precursori di quella cucina meticcia che oggi si chiama moderna, portando ai più alti livelli l’arte delle spezie, raffinando la preparazione delle grigliate e scoprendo molti dei cocktail che ancora oggi ci fanno sognare.

La vera Formentera, svelata da Stefania Campanella

Stefano Billi
ROMA – Il rischio più grande, quando si parte per la vacanza, può essere quello di incappare in una località turistica che, seppur intrinsecamente bellissima, tuttavia può non risultare così affascinante. Questo accade non perché il posto non sia affascinante, ma perché non si è a conoscenza di ciò che di entusiasmante c’è da scoprire. Proprio da questa consapevolezza nasce allora il libro “Formentera senza vie di mezzo” di Stefania Campanelli, per le edizioni Pendragon. Infatti Formentera è una delle mete turistiche più frequentate e conosciute in Europa, e in particolare dagli italiani. È una delle isole più suggestive del Mediterraneo.

Formentera, la regina delle Baleari, va però conosciuta a fondo: ha infatti ancora tanti lati nascosti, tante possibilità non sfruttate, tanti angoli di paradiso incontaminati e numerosi divertimenti più o meno noti. Tutte le domande e le curiosità su questa splendida isola trovano risposta in questa guida insolita e completa, anticonformista e divertente, che attraverso 66 “si” e 66 “no” fornisce al turista una serie di ottimi suggerimenti su cosa fare e cosa non fare, cosa vedere e non vedere, dove andare e dove non andare, per non prendere fregature, per sfruttare al meglio il tempo a disposizione e per poter godere di tutto il meglio disponibile. Da Cap de Barbaria a Cala Saona, dalla colazione alla moda Adlib; dalla paella da evitare alla sera alle chicche del Can Gavinu, dal mercatino alla globalizzazione, dagli hostal alle casette bianche di Es Calò. Un viaggio a trecentosessanta gradi nel cuore pulsante dell’isola, passando anche per tutti i must della vita notturna e gli eventi imperdibili, nonché per i personaggi protagonisti della vita di Formentera: il “figlio illustre” dell’isola Gabrielet, l’opera del fotografo Beni Trutmann, l’italianissima creatività cosmopolita di Alessandro Negri.

Riscoprire una morale nella giustizia tra le pagine di Alfonso de Liguori

Stefano Billi
Roma – L’immaginario collettivo di ogni società spesso si contraddistingue per una spiccata propensione al pregiudizio, come ad esempio avviene quando si parla di coloro che, per professione, sono chiamati ad amministrare la giustizia.
E così, ragionando sugli avvocati, li si raffigura come artisti della verbosità, propensi al litigio e assolutamente lontani da ogni minima forma di verità.
Per fugare questa volgare credenza, basterebbe ricordare il fulgido esempio di Giorgio Ambrosoli o di Fulvio Croce, entrambi martiri per la legalità: ma spesso si dimentica la storia facilmente.
Ancora, i giudici vengono spesso indicati come soggetti rapiti dalla “sindrome della condanna”, quasi che una forza misteriosa li avesse investiti della possibilità di scegliere cosa sia, in Terra, il Bene e il Male.

In realtà, il sacrificio di sangue di eroi come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino risuonerà a lungo per risvegliare la società, nel malaugurato caso in cui si scordasse cosa significhi “servire lo stato”.
Dunque è possibile amministrare bene la giustizia, e fugare quel pregiudizio popolare che comunque non si può non riconoscere essere fondato (a chi ritenesse il contrario, vale la pena suggerire una “passeggiata” nelle aule dei tribunali dello stivale)
Ma una classe di buoni amministratori non cresce dal nulla; è necessario istruirla e dotarla degli strumenti indispensabili per svolgere quella che sicuramente è la professione più difficile al mondo: l’applicazione giusta delle regole.
In tal senso, diviene illuminante uno scritto, sicuramente datato ma dal pregio inestimabile, come il libello di Alfonso de’ Liguori, intitolato “Degli obblighi de’ giudici, avvocati, accusatori e rei”.
Il testo, ormai quasi introvabile e risalente alla seconda metà del XVIII secolo, è pubblicato dalla casa editrice palermitana Sellerio e si presenta come una collezione di scritti di Alfonso de Liguori, tutti riguardanti il tema dell’etica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia.
L’opera, che non dovrebbe mai mancare dagli scaffali delle biblioteche personali di ogni giurista (o studente in tale materia), può essere considerata come un vademecum morale per quelle figure professionali che, nella vita quotidiana, sono chiamate a giudicare il comportamento di altri uomini, o a difenderlo, o ad incriminarlo.
Infatti. è indispensabile che il giudice, l’avvocato o il pubblico ministero, oltre alle conoscenze giuridiche, abbiano approfondito e assorbito nozioni sull’etica e sui valori professionali.
Perché si può amministrare la legge in maniera “giusta”, soltanto qualora si abbia immerso il proprio animo nell’apprendimento di cosa sia giusto.
Sebbene Alfonso de Liguori fosse ispirato da un profondo sentimento religioso, comunque le sue riflessioni e i suoi insegnamenti meritano di essere metabolizzati in maniera sincera da ogni cultore del diritto.
Anche perché, se malauguratamente le pagine del de Liguori divenissero lettera morta, il risultato di ciò sarebbe un detrimento culturale di inimmaginabili proporzioni , a danno dell’umanità, che ha bisogno di servitori fedeli della Giustizia.
Lo stile narrativo della trattazione, pur sicuramente datato, risulta tuttavia scorrevole ed agevolmente comprensibile; l’obiettivo dell’autore era infatti quello di scrivere per poter essere letto e compreso da tutti, nella più alta e nobile finalità di insegnare e trasmettere valori a quanti più uomini possibili.
“Degli obblighi de’ giudici, avvocati, accusatori e rei” è un’opera brillante, così preziosa che andrebbe assaporata continuamente, scoprendo tutti quegli aspetti che soltanto nelle letture successive alla prima possono essere appresi.
Allora proprio la testimonianza di Alfonso de Liguori può essere il volano per un cambiamento sociale e valoriale che, oggigiorno, si presenta come inevitabile.

Scoprite le "101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita"

Stefano Billi
Roma – Dagli Appennini all’Adriatico, attraversando l’Italia centrale. Le Marche hanno la fortuna di accogliere un territorio eterogeneo che va dalle montagne dell’entroterra fino al mare, con una costa a sua volta variegata, ricca di spiagge basse come pure di riviere scoscese e promontori rocciosi. E poi riserve naturali, colline, castelli, rocche, laghi e santuari. Per non parlare di arte, cultura e storia: dalle architetture di Urbino, autentica perla tra le città rinascimentali, a quelle di Jesi, che diede i natali a Federico II di Svevia, l’imperatore del Sacro Romano Impero soprannominato stupor mundi.

E poi la tradizione eno-gastronomica: dai vincisgrassi alle olive all’ascolana, dallo stoccafisso al ciauscolo, senza dimenticare il brodetto e il mosciolo selvatico di Portonovo! Di giorno c’è da perdersi in escursioni di ogni tipo, attività in riva al mare, percorsi alla riscoperta dell’artigianato locale: imparerete a fare cappelli di paglia, a lavorare il merletto o la ceramica e a produrvi da soli il vino di visciole. Potrete scendere nel ventre della terra alle Grotte di Frasassi e di notte immergervi nella movida, dalla Riviera delle Palme salendo fino alla storica Baia Imperiale di Gabicce. Lasciatevi prendere dalla passione di Paolo e Francesca tra le mura del castello di Gradara, abbuffatevi di tartufo ad Acqualagna, rabbrividite di paura nella Chiesa dei Morti di Urbania e andate a caccia di fate, streghe e regine nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Poi riposatevi all’ombra di un albero, davanti a un paesaggio incantato, fatto di colline, montagne, mare e fortezze.

Questo è tanto altro nella guida di Chiara Giacobelli, per le edizioni Newton Compton, un testo interessante da cui poter essere rapiti, per vivere cento e uno esperienze in una delle regioni più belle d’Italia.
Perché le Marche, come dice Dustin Hoffman, «le scoprirete all’infinito!».

101 ricette per i palati più golosi

Stefano Billi

Roma – “Che mondo sarebbe senza Nutella?”
Di sicuro sarebbe un luogo molto più triste in cui vivere.
Infatti non si può pensare ad un’esistenza priva di quella magica crema di nocciola, che fa ingolosire grandi e piccini.
Perché la Nutella mette d’accordo tutti, dimostrando di essere uno di quei marchi che rendono inconfondibile il made in Italy in tutto il globo. Per tutti coloro che amano quel magico vasetto di cioccolato, e che vogliono sperimentare nuovi modi di assaporare questa prelibatezza, è arrivato in libreria “101 ricette con la Nutella”, una golosissima opera di Roberto Krug per le edizioni Barbera.
Il libro offre tantissimi spunti per accostare la Nutella a pietanze e cibi, che magari a prima vista sembrerebbero inavvicinabili, come ad esempio “i petti di pollo al latte di mandorla e Nutella”.
Oppure si possono scoprire modi nuovi di usare la buonissima crema di nocciola per la preparazione di desserts, come la “torta Nutella e cocco”, o come il “salame dolce alla Nutella”.
Anche i puristi sull’uso di questo magico “barattolo”, potranno assaporarne nuovi modi di utilizzo, evolvendosi dal solo “pane e Nutella”, che comunque rimane un classico di cui non ci si annoia mai.
L’unico inconveniente in cui è possibile incappare, durante la lettura del ricettario, consiste in una voglia irrefrenabile di affondare un cucchiaio tra le soffici volute di questa crema strepitosa, e allora occorre star attenti a leggere il libro al di fuori della cucina, pena il rischio di una terribile acquolina in bocca.
Cento e uno ricette golose per passare un estate al ritmo del gusto, quelle raccolte da Roberto Krug nel suo ultimo libro, un testo appetitoso tutto da divorare!

Alessandro Savorelli e i simboli del Palio di Siena

Stefano Billi

Roma – Ci sono tradizioni che si perpetuano anno dopo anno, attraverso i secoli. Una di queste è il celeberrimo Palio di Siena, manifestazione equestre che coinvolge la piccola perla toscana che dà il nome all’evento, rendendola – per due occasioni ogni trecentosessantacinque giorni – l’epicentro dell’anima medievale italiana. Questa corsa di cavalli, in una delle piazze più belle del mondo, non è una semplice manifestazione turistica, ma piuttosto deve essere considerata come la vita del popolo senese, che dal 1644 ha un cuore che batte al ritmo degli zoccoli che risuonano, nei tre giri di palio, sulla terra battuta in Piazza del Campo. A testimoniare quanto questi due spettacoli annuali, assolutamente imperdibili, siano qualcosa di più di un semplice agone ippico, c’è un libro che vale davvero la pena leggere, intitolato “Il Palio di Siena e i suoi simboli” di cui è autore Alessandro Savorelli (per le edizioni La Mandragora). Questo testo infatti spiega la simbologia che si annida dietro agli stemmi e agli stendardi di ogni singola contrada (è così denominata quella entità territoriale comunale che partecipa, con un proprio cavallo, alla corsa), disvelando i profondi legami storici e di costume di ognuna di esse.
Alessandro Savorelli, pagina dopo pagina, conduce chi legge all’interno dell’atmosfera e della magia del Palio di Siena, quasi come se fosse un narratore di una fiaba intramontabile, che non smetterà mai di far sognare senesi e “stranieri”.
Di assoluto pregio, inoltre, sono le immagini che, insieme alle didascalie e alle descrizioni, compongono l’opera: e ciò che ancor di più colpisce l’attenzione del lettore è che non sono le foto ad illustrare il palio, ma tele e arazzi dall’alto rilievo artistico.
Questo libello è capace di infondere tutta quella consapevolezza di come ci si trovi davanti, quando si fa riferimento al Palio, ad un rito, una celebrazione, connotata da veri e propri momenti “liturgici”, che poi lasciano però libero ogni cittadino di gridare tutta la sua gioia immensa, non appena la propria contrada ha vinto la competizione.
In occasione del prossimo Palio di Siena, in questo magico duemilaundici che ci ricorda la bellezza di una patria da amare, leggere l’opera di Alessandro Savorelli è un’opportunità da non perdere, che permetterà di assaporare uno di quei momenti imperdibili della nostra tradizione popolare, così affascinante ed unico che lascia a bocca aperta tutto il mondo.

"In bianco e nero", l’ultima travolgente opera di Maddalena Lonati

Stefano Billi

Roma – Già dalla copertina, il nuovo libro di Maddalena Lonati intitolato “In bianco e nero” (pubblicato dall’editore Robin) trasmette una carica di passione difficile da contenere.
Infatti, quest’opera – da pochi giorni uscita in tutte le librerie – si presenta come una raccolta di storie tutte incentrate sull’Eros, sul piacere carnale e sulla sensualità.
Tuttavia, sin da subito occorre sottolineare la raffinatezza dell’autrice che tratta, all’interno di ogni pagina, la tematica dell’amore senza mai scadere nel triviale o nel volgare.
Anzi, il libro si caratterizza proprio per l’eleganza di ogni vicenda che, seppure connotata da amplessi e dirompenti incontri di corpi, poi non trascende nella scrittura lasciva e becera.
Dell’amore sono piene le biblioteche, e spesso le canzoni che vengono trasmesse dalle radio si ispirano a questa tematica: verrebbe da pensare, allora, che ogni altra forma d’arte che voglia esprimere un messaggio in questo ambito sia qualcosa di già letto, sentito, veduto.
Invece “In bianco e nero” risulta essere assolutamente originale, con tutti i suoi episodi dal carattere stravagante ed al contempo innovativo: storie di sesso, di sperimentazione artistica, di rapporti che travolgono e bruciano le carni.
Avventure di una notte, desideri istantanei, incontri che segnano una vita.
In sottofondo, un’attenzione spiccata per la descrizione dei particolari, da parte della scrittrice, che delinea sulla carta gli odori maschili e femminili, le sensazioni di piacere, le ansie e le emozioni dei contatti tra corpi che si danno, per arrivare poi alla condivisione dell’anima.
Sebbene presenti la stessa struttura narrativa de “L’apostolo sciagurato”, l’ultimo testo della Lonati manifesta una maturità superiore, una ricerca stilistica maggiormente accurata e definita.
Ad esempio, una delle vicende si distingue perché strutturata in forma di dialogo, intrattenuto attraverso e-mail; questo espediente risulta essere stimolante, poiché alimenta una curiosità quasi morbosa nel seguire la corrispondenza tra due individui che dalla disistima reciproca arrivano poi ad sentimento davvero inaspettato.
Anche il modus scrivendi dell’autrice sembra essersi evoluto, prova ne é una scorrevolezza accentuata nel periodare e nel costruire frasi che sanno tenere ben stretta tra le righe l’attenzione del lettore.
La bellezza del libro, comunque, risiede nella fantasia che si nasconde dietro ogni storia, perché tutte le avventure raccontate lasciano campo libero all’immaginazione, alimentando in chi legge sentimenti vari e fortissimi.
E così diviene facile e piacevole immedesimarsi nei protagonisti dei vari episodi di questa raccolta, lasciandosi trasportare nelle loro atmosfere romantiche, erotiche o artistiche.
“In bianco e nero” saprà riscaldare, semmai ce ne fosse bisogno, le estati di tutti coloro che si aspettano una stagione piena di amore e desiderio.

Certe notti irripetibili, ritratte dall’obiettivo di Jarno Iotti

Stefano Billi

Roma – I libri fotografici sono straordinari, perché sanno unire, al loro interno, due forme d’arte indispensabili per l’uomo, ovvero la scrittura e la fotografia. Perciò quando questi due elementi entrano in contatto, ecco che si forma un’alchimia bellissima, che lascia senza stupore.
Tutto questo capita, ad esempio, sfogliando il libro di Jarno Iotti, fotografo ufficiale di Ligabue, intitolato “7 notti all’Arena, tra orchestra e rock’n’roll”.
Quest’opera è davvero imperdibile, soprattutto per gli amanti del rocker emiliano,
proprio perché contiene numerosi scatti che ritraggono il cantautore alle prese con una serie di concerti all’Arena di Verona, che hanno scritto la storia della musica italiana.
Shows irripetibili, quelli che si sono tenuti all’anfiteatro veronese, perché hanno saputo coniugare la magia del rock con l’eleganza e la tradizione di un’orchestra classica (l’orchestra dell’Arena di Verona diretta dal M° Marco Sabiu).
Attraverso il suo obiettivo, Jarno Iotti ha catturato tutte le più belle sfumature della performance del Liga e della sua band.
Sfogliando pagina per pagina le fotografie, sembra di rivivere da vicino le emozioni e le sensazioni di una serie di eventi straordinari, cioè quei sette concerti all’Arena, che hanno lasciato impresso a fuoco nell’anima il marchio musicale di un artista, Ligabue, ormai da anni divenuto l’idolo di milioni di italiani, perché riesce in maniera assolutamente spontanea a farsi interprete dei sentimenti collettivi.
“7 notti all’Arena, tra orchestra e rock’n’roll” è impreziosito non solo da immagini superlative, ma anche da toccanti didascalie redatte da Corrado Minervini che accompagnano il lettore vicino al palcoscenico, per godere appieno di una commistione tra rock e musica classica che lascia a bocca aperta.
“Gli arrangiamenti orchestrali rivestono le canzoni di magnificenza” scrive Minervini, e come dargli torto, vista la perfetta riuscita di questo esperimento chimico che ha strabiliato tutti i fan di Ligabue.
Un’opera di pregio elevato, quella di Jarno Iotti, che riveste di magia un’esperienza musicale di per sé già leggendaria.
Questo libro è imperdibile, e va ricercato e letto perché svela un’anima intima di Luciano, in perfetta simbiosi con i duemila anni di storia dell’anfiteatro più bello del mondo.

"La versione di Barney", dove l’affermazione della propria verità diviene biografia

Stefano Billi

Roma E’ difficile trascorrere buona parte della vita sentendosi definire un omicida, o per lo meno, trascinandosi dietro il sospetto altrui circa un’ignobile azione che non si è mai commesso. Emerge così quel bisogno, del tutto naturale, di raccontare la propria versione dei fatti, di dimostrare che, in fin dei conti, quei pregiudizi accumulatisi negli anni altro non erano che meschine illazioni. Magari, un siffatto tentativo di discolparsi può condurre al racconto della propria vita, per far conoscere che si è profondamente brave persone, e che pur con tutti i difetti immaginabili, mai si arriverebbe a privare un altro uomo della vita, per di più se quest’ultimo è un amico. Questa prolusione è l’essenza del libro “La versione di Barney”, creato dallo scrittore Mordecai Richler e pubblicato in Italia dall’editore Adelphi.
La storia di questo testo è tutta imperniata sulla biografia di Barney Panofsky, produttore televisivo ebreo che vive in Canada, il quale sente il bisogno di narrare la verità sulle vicende che lo hanno portato ad essere incriminato per l’omicidio del suo amico Boogey (accusa che poi sarà ritenuta infondata) poiché pur nonostante l’esito giudiziale del caso, c’è ancora chi lo ritiene colpevole.
L’autore ha costruito il testo come un racconto in prima persona da parte di Barney Panofsky, dove appunto il protagonista, pur intento a discolparsi per ciò che non ha mai commesso, si ritrova poi a mettere per iscritto tutti gli episodi più importanti della propria vita.
Mordecai Richler, nell’elaborare questo libro, utilizza una tecnica assolutamente straordinaria: tutta la narrazione avviene attraverso la tecnica del flashback, che però non è adoperata in maniera continua, ma piuttosto si struttura come un continuo salto tra il passato e il presente.
Per di più, l’intero romanzo è diviso in base ad una categorizzazione a dir poco geniale, quella cioè di scandire i periodi dell’esistenza del Panofsky a seconda delle sue frequentazioni sentimentali.
E così l’elemento femminile diventa la lancetta cronologica della storia; sono le donne che plasmano la vita di Barney e che la rendono curiosa e inaspettata.
Il tono utilizzato per animare la storia si contraddistingue per la sua costante leggerezza, e ciò è testimoniato dal fatto che ogni episodio raccontato dal protagonista viene esposto in maniera divertente e spensierata, senza mai lasciare che la tristezza o l’angoscia prendano il sopravvento. Come un sopraffino droghiere, il Richler mescola abilmente romanticismo e ilarità, spesso accompagnando le pagine con espressioni colorite e veraci, le quali d’altronde, se in prima battuta potrebbero urtare le coscienze più raffinate, in realtà si rivelano, con il trascorrere della lettura, quali semplici cadenze verbali di un personaggio, il Panofsky, certamente “politically uncorrect”.
Ma è proprio questa schiettezza di Barney a renderlo immediatamente vicino al lettore: infatti non si può non sorridere sui bizzarri dialoghi tra il protagonista e Clara Chernofsky (la prima moglie del produttore televisivo), così come non si può non lasciarsi andare alla commozione quando si scopre, riga dopo riga, l’epilogo della vicenda e la drammaticità della fine di un uomo dalla vita realmente imprevedibile.
“La versione di Barney” è un libro da leggere tutto d’un fiato, calandosi senza riserve in una storia che saprà sconvolgere ed emozionare: pagine preziose, quelle di Mordecai Richler, che strappano risate e lacrime anche nei lettori dalla “corteccia” dura.

Michele Monina parla ai lettori di ChronicaLibri

Stefano Billi

Roma – Michele Monina, autore di “Eros Ramazzotti”, la biografia pubblicata da Leggereditore e da noi recensita qualche settimana fa, svela ai lettori di ChronicaLibri alcune curiosità sulla sua opera.

Nelle prime pagine del libro afferma che ha nutrito un particolare interesse in Eros Ramazzotti – e asserisce che ciò, per certi versi, è la ragione per cui ha scritto questa biografia – vedendolo esibire in un concerto.
Dunque, facendo riferimento all’intero profilo artistico del Ramazzotti, Lei predilige il cantante romano più in versione “live”, oppure più in versione “studio”?
Come ho cercato di chiarire nel corso della mia biografia, in realtà non mi sarei mai avvicanato alla biografia di Ramazzotti se non mi fosse capitato di vederlo dal vivo. Non perché avessi preconcetti nei suoi confronti, ma solo perché, onestamente, non ho mai guardato alla sua musica con eccessivo interesse. Ho però sempre seguito il suo personaggio, trovandolo sicuramente uno dei più singolari nel nostro panorama pop. Quindi, dal mio personalissimo punto di vista, l’energia vista sul palco batte quella espressa su cd in maniera abbastanza netta.

Come biografo, quale ritiene essere l’ingrediente fondamentale del successo di Eros Ramazzotti?
Difficile trovare il segreto di un successo, perché altrimenti sarebbe possibile anche costruirli a tavolino, con buona pace di quanti arrivano in vetta solo grazie alla gavetta e al duro lavoro (come Eros, del resto). Io penso che il suo principale pregio sia quello di aver trovato una lingua, un modo di comunicare diretto, senza filtri. Un modo di comunicare, magari, non rivolto e me, ma che non per questo non riconosco. Il pop, in fondo, è questo. Un linguaggio trasversale che non ha bisogno di traduzioni o di spiegazioni.

Per Leggereditore, Lei si è occupato non soltanto di redigere una biografia su Eros Ramazzotti, ma anche di narrare le storie e le vite di altri artisti, quali Vasco Rossi e Laura Pausini.
Ha mai pensato di raccontare la carriera musicale di una band, anziché di un musicista singolo?
Io da anni sto lavorando alla mappatura di quella che è la cultura popolare italiana e non solo, in modo particolare musicale. Ho scritto di popstar come Vasco, la Pausini, Eros, ma anche di Valentino Rossi, Michael Stipe, Lady Gaga, Mondo Marcio, Malika Ayane, Caparezza, Milito, Ibrahimovic, e a breve usciranno lavori su Lucio Dalla, Elisa, Cristina Donà e Fabri Fibra. In questa mia mappatura, ovviamente, rientrano anche alcuni gruppi, di cui presto dovrei andarmi a occupare. Ma tra il mio analizzare il mondo culturale pop e la pubblicazione di un libro deve scattare anche la volontà dell’editore. Io vivo di scrittura, e i miei studi si concentrano su un personaggio in maniera più stringente solo quando il mio studio diventerà un libro, cioè quando l’editore si farà avanti in maniera decisa. Al momento, quindi, non è di imminente uscita nessuna biografia di una band, ma prima o poi succederà…

Dopo aver scritto una biografia su un artista, Lei rimane molto appassionato del musicista in questione, diventandone un fan accanito, oppure al termine della redazione della biografia riprende i suoi gusti musicali tradizionali, lasciati appositamente “incontaminati” dal suo lavoro?
Io non tendo a diventare mai un fan accanito degli artisti di cui scrivo. E qui magari rispondo anche alla domanda successiva. Sono uno scrittore e un critico musicale, scrivo per mestiere, oltre che per passione. I miei libri, credo, hanno trovato un certo successo nel mercato editoriale proprio perché non avevano il tipico taglio del libro scritto dal fan, una sorta di santino del personaggio trattato. Io scrivo ovviamente quello che è il mio punto di vista, ma cerco di rimanere sempre obiettivo, incensando quando c’è da incensare, ma anche criticando quando c’è da criticare. L’essere distaccato, e quindi non un fan, è fondamentale. Anche per questo, per scelta, non scrivo mai di quelli che sono i miei reali gusti musicali. O raramente, come nel caso di Cristina Donà.

Perché i nostri lettori dovrebbero leggere il suo libro?
Quando una decina di anni fa ho cominciato a scrivere biografie di cantanti, i grandi editori, come la Mondadori, la Rizzoli e altri, dicevano che in Italia le biografie non avrebbero mai funzionato, perché i lettori italiani volevano le autobiografie. Dieci anni dopo, e oltre seicentomila copie vendute dopo, credo che questa faccenda sia archiviata per sempre. L’imminente uscita di Semplicemente Elisa, proprio per Mondadori, lo dimostra. Credo che, non stando a me parlare dei miei libri, un buon argomento potrebbe essere il fatto che i lettori, comprandoli e parlandone, hanno reso possibile l’inizio, anche in Italia, di un nuovo genere, “le biografie pop”. Non fidatevi di me, ché sarei poco obiettivo, fidatevi dei lettori…