“Perché sei venuta a prendermi, mamma”; interrogativi, bullismo e disagio nel racconto di Elena Lattes

“Perché sei venuta a prendermi, mamma”
ELENA LATTES – “Ciao tesoro!”
Mongo aveva un’espressione cupa e, invece di correrle incontro con entusiasmo, come faceva quasi sempre, arrivò con lentezza e quasi controvoglia.
“Perché sei venuta a prendermi?”
“Amore, ti vengo sempre a prendere il lunedì, non te lo ricordi? Com’è andata la scuola oggi?”
Mongo non rispose e, dopo aver deglutito, ripeté la domanda: “Perché mi sei venuta a prendere, mamma?”
Anna si fermò, si abbassò e lo guardò intensamente: “Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire… perché sei venuta in Africa e hai scelto proprio me?”
Ada era preparata a quel genere di domande “imbarazzanti” e lanciate a bruciapelo, ma questa volta, forse a causa dell’espressione così triste e angosciata del suo “cucciolo”, si sentì del tutto spiazzata.
“Tesoro, è successo qualcosa oggi?”
“No, niente, volevo solo sapere perché non avevi preso un altro bambino”.
“Perché papà e io volevamo proprio te!”
“Ma come facevate a volere proprio me, se neanche mi conoscevate?”
Ada, invece di rispondere direttamente, cercò di indagare sulle motivazioni di quelle domande che Mongo le aveva già posto altre volte, ma apparentemente con più nonchalance: “Ti manca l’orfanotrofio? Hai nostalgia dei tuoi compagni?”
“Un po’”
“Ci vorresti tornare?”
“Forse…”
“Ne parleremo stasera con papà. Va bene?”
“Va bene, mamma”.

Mongo fu irrequieto per tutto il resto del pomeriggio e a cena Ada raccontò al marito di quella conversazione e delle sensazioni che le aveva provocato. Giorgio ascoltò con attenzione e, dopo aver riflettuto, disse: “Forse ci dobbiamo tornare. Ha bisogno e ha tutto il diritto di riscoprire le sue radici”.
“Già, ci ho pensato anch’io, ma come facciamo? Mi sembra un po’ complicato… Comunque c’è qualcosa che non mi quadra. Domani andrò a parlare con le maestre”.
“Sì, penso anch’io che sia opportuno. Purtroppo domani non potrò arrivare tardi al lavoro, ma terrò il cellulare acceso. Per ogni evenienza chiamami!”
Martedì Ada arrivò presto e fermò la maestra prima che entrasse. Le accennò a quel che era successo, ma ella si mostrò meravigliata e le promise di prestare maggiore attenzione al bambino. Durante la ricreazione, mentre Mongo stava mangiando la sua merenda, un compagno lo apostrofò: “Mongoloide tornatene da dove sei venuto. Sei solo uno sporco negro, non ti vogliamo qui!” e corse via. La maestra, che aveva assistito alla scena, ma non aveva sentito, fermò il bulletto e gli chiese: “Cosa gli hai detto?” E lui, alzando le spalle: “Niente, l’ho invitato a giocare con me, ma non vuole, pensa solo a mangiare, quel porco”. Alla maestra venne voglia di dargli un ceffone e a stento riuscì a trattenersi. Capì che non era la prima volta che Mongo veniva aggredito dal compagno e si rammaricò di non essersene accorta prima.
Alla mensa ne parlò con la sua collega e decisero di organizzare per l’indomani una lezione ad hoc.
Mercoledì mattina, dopo aver parlato a lungo della storia e della geografia dell’Africa, le maestre bendarono tutti i bambini e li sparsero nell’aula svuotata dei banchi. Poi dissero loro che dovevano scegliersi due compagni con cui avrebbero dovuto lavorare una settimana intera e giocare durante le ricreazioni. Non si sa se fu semplicemente un caso o quegli accoppiamenti furono in parte guidati, fatto sta che i gruppi erano composti da una o due persone “deboli” e una “forte”: il bulletto con Mongo e la sua migliore amichetta, gli altri tre o quattro gradassi, chi con un bambino disabile, chi con un altro bambino straniero o con qualcuno che non faceva parte del “branco”.
Inizialmente fu molto difficile, soprattutto a causa del pessimo comportamento dei più prepotenti, per cui il progetto andò ben oltre la settimana programmata, ma finalmente dopo un mese, i problemi più grossi sembrarono appianati: il bulletto aveva scoperto che Mongo aveva gli stessi suoi interessi e, anzi, in alcuni giochi era anche più bravo di lui. Mongo si rasserenò e tornò ad essere il bambino vivace e brillante di prima e da allora nessuno in quella classe venne più aggredito o preso in giro.
© Racconto di Elena Lattes per “VOLEVAMO SOLO RIDERE”, iniziativa di ChronicaLibri.
Tutti i diritti riservati.
© Foto di Nikos Economopoulos

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