FROSINONE – Il Festival delle Storie nasce dall’idea di portare la cultura nelle piazze, nelle strade, in spazi storici da recuperare come castelli, conventi, ville ottocentesche, roccaforti. Non una cultura chiusa, non una cultura per pochi; lo strumento sono le storie e torneranno dal 23 al 27 agosto nella valle tra il Lazio e l’Abruzzo.
Per cinque giorni il festival viaggerà per le strade e le piazze e i castelli e gli orti e le osterie di Alvito e delle sue contrade, Picinisco, Atina, Borgo Castellone e Casalvieri. Siamo in una valle e la valle è qualcosa di più dei singoli paesi che ne fanno parte: è un microcosmo e va alla ricerca della propria identità. La valle è una storia; significa avere i piedi, le radici, nella terra, ma lo sguardo al di là dell’orizzonte. In questa epoca in cui i confini sono diventati immaginari e il mondo appare più piccolo, in quella che chiamano globalizzazione, è importante riconoscersi senza alzare muri. E’ necessario navigare, sapendo però bene da dove si è partiti. E’ importante riconoscersi per aprirsi agli altri. E’ bello andare per il mondo sapendo che c’è un posto che puoi chiamare casa. Era più facile scegliere uno dei paesi della Valle di Comino, ma le cose meno faticose non sempre sono le migliori. Il sentirsi una valle rende ogni paese più forte.
Il Festival delle Storie nasce nel 2009 dall’idea del club “Antrasarta” e, all’inizio, è solo un’improvvisazione; un piccolo circolo culturale con un nome evocativo, un termine dialettale comune, in varie sfumature, a gran parte del Sud. Antrasarta significa improvviso; è il mutamento, qualcosa che ti sorprende, che non ti aspetti. E’ il fulmine che straccia il cielo. E’ l’incanto, l’epifania, la rivelazione improvvisa di cui parlava Joyce.
Il Festival delle storie racconta l’Italia dei piccoli paesi e la celebra. I paesi sono la spina dorsale della penisola, sono gli atomi della nostra identità. Spesso il mondo della cultura vede solo le grandi città o al massimo i capoluoghi di provincia, ma nei paesi c’è fame di libri, di storie, di racconti, di ritrovare un contatto umano al di là di una società che vive solo di televisione, di immagini o di virtualità. Perché come scriveva Cesare Pavese nella Luna e i falò “un paese di vuole, non fosse per il gusto di andarsene via”. Ma soprattutto perché “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Immaginate una valle, nel versante laziale del parco nazionale Abruzzo, Lazio e Molise, sotto Montecassino, a una decina di chilometri da Sora, una costellazione di paesini appoggiati sui monti, paesi di mille, tremila, cinquemila abitanti, con rocche, castelli, piazze medievali e vicoli e un orizzonte che si perde nel verde.
I tarocchi faranno da filo conduttore al Festival delle Storie 2017. Il riferimento al Castello dei destini incrociati di Italo Calvino è chiaro. Calvino racconta che l’idea gli venne dopo aver assistito ad un seminario internazionale tenutosi ad Urbino ed in particolare a seguito dell’intervento di Paolo Fabbri Il racconto della cartomanzia. Il “castello” è accompagnato, quasi ad ogni pagina, da riproduzioni delle carte dei tarocchi. Le varie combinazioni tessono lo sviluppo della trama. Come accade con le particelle subatomiche, “un numero finito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di miliardi”. Nell’intrecciarsi delle vicende e dei personaggi è possibile riconoscere con chiarezza riferimenti a precedenti testi letterari, primo fra tutti l’Orlando furioso, che fu a lungo oggetto di studio e di rielaborazione da parte di Calvino. Il gioco dei tarocchi è utilizzato anche nella canzone di Fabrizio De André Volta la carta, “C’è una donna che semina il grano volta la carta si vede il villano. Il villano che zappa la terra volta la carta viene la guerra. Per la guerra non c’è più soldati a piedi scalzi son tutti scappati”.
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